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Ambiente, società e tecnologia

L’inversione di rotta di Joe Biden sul cambiamento climatico

Il 20 gennaio 2021 si è ufficialmente insediato alla Casa Bianca il 46esimo Presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, il quale ha posto tra i principali obiettivi del suo mandato la lotta al cambiamento climatico.

Il suo predecessore, Donald Trump, durante i quattro anni della sua presidenza si era sempre mostrato contrario all’adozione di una politica di tutela dell’ambiente, negando l’esistenza del surriscaldamento globale.

Aveva infatti deciso di uscire dall’Accordo di Parigi del 2015 firmato da Obama, definendolo economicamente svantaggioso per gli Stati Uniti, abrogato le norme poste durante le precedenti amministrazioni a tutela del clima e adottato misure economiche che non tengono conto dei problemi causati dall’inquinamento alla salute dei cittadini e all’ambiente. Secondo un’indagine del New York Times Trump ha annullato più di 100 norme ambientali, tra le quali quelle volte a limitare le emissioni di gas a effetto serra e di sostanze tossiche prodotte dalle industrie.

Cosa cambierà con Biden?

Il neopresidente fin dagli inizi della sua campagna elettorale ha affermato che, se eletto, avrebbe messo il problema ambientale al centro del suo mandato governativo, iniziando con il rientro degli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi. E così è stato: il giorno dopo il suo insediamento alla Casa Bianca ha iniziato l’iter per rientrare nell’Accordo, di cui fanno parte 190 Paesi e che ha come obiettivo principale quello di mantenere l’aumento della temperatura globale entro i 2° C rispetto ai livelli preindustriali.

Biden ha poi promesso un piano di investimenti da 2 trilioni di dollari da distribuire durante i quattro anni del suo mandato volto a risolvere la crisi climatica, proteggere l’ambiente e creare nuovi posti di lavoro nel settore dell’energia pulita.  L’obiettivo di Biden è di dare un impulso alla ripresa economica del Paese, messo in ginocchio dal Covid 19, creando però una economia green, non inquinante e rispettosa dell’ambiente, che porti gli Stati Uniti ad essere un Paese ad emissioni 0 entro il 2050.

Il nuovo presidente ha anche presentato un team di esperti sull’inquinamento climatico che avrà il compito di preparare i lavori necessari per ridurre le emissioni che causano il riscaldamento del pianeta e per proteggere l’ambiente, e ha creato un nuovo Ufficio per la politica climatica presso la Casa Bianca.

Le iniziative del nuovo presidente nell’ambito della politica ambientale rappresentano sicuramente un importante passo avanti nella lotta al cambiamento climatico. Secondo un’analisi del sito Climate Action Tracker se Biden andrà avanti con il suo programma questo potrebbe ridurre il surriscaldamento del pianeta del 0,1°C entro il 2100, contribuendo così al raggiungimento degli obiettivi fissati dagli Stati nell’Accordo di Parigi.

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Marketing & Social Media

TikTok e la nuova pop-culture

Se c’è una cosa che abbiamo sicuramente appreso da questo funesto 2020 è proprio che i social sono ormai arrivati a dettare, nel bene o nel male, le regole e i tempi della nostra vita. Il lockdown obbligato della scorsa primavera ha infatti esplicitato una verità finora rimasta in sordina: siamo tutti diventati, direttamente o indirettamente, schiavi della rete.

Nel periodo di quarantena, a cui tutta l’Italia ha dovuto sottostare per contrastare l’avanzamento della pandemia, i social sono stati sicuramente un mezzo efficace per vincere la solitudine. Instagram, Facebook e Whatsapp ci hanno infatti permesso di mantenere i rapporti sociali e rimanere aggiornati su cosa stesse accadendo fuori dal microcosmo di casa nostra. Ma nell’elenco delle app che non possono mancare sul cellulare fa capolino un’altra icona che ha ormai conquistato il posto fisso nella nostra schermata home ed è destinata a rimanerci ancora per molto: sto parlando di TikTok.

Secondo i dati statistici, è TikTok l’applicazione più scaricata del 2020. Ma perché un’altra app? Facebook e Instagram non ci bastavano?

TikTok, questo sconosciuto

Lanciato in Cina nel 2016 inizialmente sotto il nome di musical.ly, TikTok è la nuova piattaforma social che nello scorso anno ha letteralmente subito l’invasione da parte di milioni di giovani. Ne abbiamo sentito parlare ininterrottamente per molti mesi, ma di cosa si tratta veramente?

Il social è nato come piattaforma destinata ad un pubblico di adolescenti ma l’età media degli utenti, ad oggi, si aggira tra i 18 e i 24 anni. Il social network cinese ha registrato un vero e proprio boom di nuovi iscritti nel 2020, complici la noia e la necessità di novità scaturite dal lockdown, ed è arrivato a toccare i 63,3 milioni di download solo nel mese di agosto. Il suo cavallo di battaglia è sicuramente la completa rivoluzione del concetto di “contenuto”: sulla piattaforma infatti si trovano solo dei mini-video dalla durata massima di 15-30 secondi, non ci sono foto e non c’è uno spazio dedicato al pubblico confronto (manca, per così dire, un analogo dei post su Twitter o Facebook). L’unica possibilità concessa agli utenti per scambiarsi opinioni è utilizzare lo spazio dedicato ai commenti presente sotto ogni video. Questa opzione però risulta estremamente limitante se si considera che esiste un massimo di battute relativo ad ogni commento. Molto spesso infatti si scatenano vere e proprie discussioni causate principalmente da incomprensioni o fraintendimenti dovute proprio a commenti precedenti. Talvolta, la giungla che si scatena sotto ad ogni video degenera in veri e propri dissing, “litigi a distanza” pieni di astio e uscite teatraleggianti, che possono trascinarsi per giorni.

Sebbene queste novità possano sembrare a primo impatto disorientanti (anche per un qualsiasi utente della genZ), ci si accorge ben presto che non siamo lasciati soli nell’esplorazione di questo nuovo mondo: l’algoritmo di TikTok infatti ci accompagna assiduamente in ogni nostra ricerca.

La presenza costante di un tracciamento che incrocia i nostri interessi con i contenuti virali è incredibile ed inquietante allo stesso tempo. Nonostante siamo tutti consapevoli di essere ogni giorno direttamente o indirettamente controllati (basti pensare ai cookie di Google), la personalizzazione attuata da TikTok è incredibilmente tangibile. L’algoritmo infatti governa i contenuti che ci vengono mostrati sulla base di interessi specifici, like, trend ed interazioni. In questo modo, la “home” (per i più esperti, il feed) di due utenti, anche coetanei e con interessi simili, può risultare completamente differente a seconda dei parametri valutati dall’applicazione.

Dimmi com’è il tuo feed e ti dirò chi sei

La struttura dell’applicazione in realtà è semplice ed immediata. Sulla piattaforma infatti esistono solamente due sezioni principali: i “seguiti” ed i “per te”. Se da un lato nei seguiti troviamo solo video di utenti selezionati da noi, nei “per te” troviamo i video fatti su misura per noi. Vi compaiono infatti i trend del momento, i contenuti virali o appositamente consigliati dall’algoritmo di tiktok.

Può accedere quindi che per un periodo la tua schermata sia occupata costantemente da video di Timothee Chalamet, gattini e ricette vegane, per poi passare irragionevolmente a popolarsi di comedy, vlog e “what I eat in a day”: dipende tutto da te e dall’algoritmo.

É necessario puntualizzare che comunque TikTok si è dimostrato essere un grande bacino di creatività, nel senso più democratico del termine. Ogni utente della piattaforma è infatti un potenziale “content creator”e ha le piene possibilità di generare un trend o di far diventare virale un proprio video (registrato amatorialmente col proprio cellulare) , raggiungendo centinaia di migliaia di visualizzazioni in poche ore…se l’algoritmo sarà clemente. L’unica autorità a cui l’utente deve sottostare infatti rimane l’algoritmo: niente su TikTok è affidato al caso.

L’interrogativo a questo punto rimane solo uno: siamo noi a decidere cosa guardare o è l’algoritmo che decide cosa farci piacere?

Non solo balletti

Siamo ormai nel 2021 e TikTok è sicuramente diventata una di quelle applicazioni mainstream fondamentali che tutti conosciamo, nel bene o nel male. Il nuovo social è rivoluzionario proprio nella sua istantaneità: tra migliaia di mini video di 15 secondi si nasconde un mondo pieno di risorse e creatività, che è riuscito ad inglobare anche la cultura.

Si potrebbe dire che l’audience si divide tra chi lo giudica “aberrante ed infantile” e chi invece ritiene che sia una “grande risorsa”. Di rado infatti si incorre nella cosiddetta “macchia grigia” degli indecisi: Tiktok o lo odi o lo ami, raramente esistono vie di mezzo. Se lo scarichi, finisci inevitabilmente con l’esserne un avido consumatore. Troppo spesso infatti si finisce con lo spendere inconsapevolmente intere ore scrollando da un video ad un altro e ascoltando sempre le solite canzoni in tendenza: senza accorgertene, quei ripetitivi jingle diventano così anche il sottofondo delle nostre esperienze giornaliere.

I più scettici si rifiutano di scaricarlo perché ritengono che sia un’applicazione estremamente superficiale. La piattaforma infatti è diventata famosa proprio per la possibilità di abbinare musica (o altri contenuti audio) a brevi video di ogni tipo. Se però i trend iniziali consistevano principalmente nel realizzare semplici coreografie su una base musicale, adesso possiamo affermare che questi confini sono stati ampiamente superati. Il Tiktok di oggi non è più il mondo dei “balletti” dell’esordio. Sulla piattaforma possiamo trovare una grande varietà di contenuti a scopo ludico o didascalico, dall’attivismo a tematiche lgbtqia+, alla politica fino alla cultura. Nel giugno scorso per esempio, la piattaforma è stata letteralmente invasa da video/testimonianze del movimento BLM (Black Lives Matter), esponendo pubblicamente i fenomeni di violenza messi in atto dalla polizia contro gli afroamericani e mostrando così la rivoluzione che finalmente stata avvenendo negli USA contro secoli di razzismo sistemico. Milioni di utenti hanno visto, ricondiviso e commentato i video delle proteste, contribuendo a diffondere i valori del movimento.

UffizziGalleries on Tiktok

In un mondo in costante accelerazione, dove la soglia dell’attenzione si riduce sempre di più e la comunicazione diventa immediata, è necessario adeguarsi alle regole del gioco.

La capacità del content creator sta proprio nel riuscire ad “evocare” i concetti più che nell’enunciarli, e sicuramente chi gestisce l’account Tiktok degli Uffizi (@Uffizigalleries), uno dei musei più famosi al mondo per le sue straordinarie collezioni di sculture antiche e di pitture (dal Medioevo all’età moderna), è riuscito nell’intento.

A causa dell’emergenza sanitaria causata dalla pandemia del coronavirus, i musei sono stati costretti a rimanere chiusi per mesi, rendendo così impossibile a milioni di persone di poter accedere ai luoghi dell’arte. Di fronte alla stasi totale però, gli Uffizi sono un grande esempio di propositività ed ingegno. Se è impossibile avere un contatto diretto col visitatore, occorre portare l’arte sui social, a casa del pubblico: e quale miglior vetrina sul mondo se non proprio TikTok?

La campagna social messa in atto dalla pagina ufficiale degli Uffizi è chiara: in questo periodo storico, è più che mai necessario diffondere e far conoscere le opere d’arte ad un pubblico più vasto possibile, cercando in particolare di catturare l’attenzione del target giovanile, così da trasformare followers in futuri visitatori.

“Questi video ideati e creati con il linguaggio al momento più convenzionale ai giovani, permettono all’arte di avvicinarsi alle nuove generazioni” afferma Ilde Forgione, social media manager degli Uffizi, in un’intervista su RepubblicaFirenze. Forgione racconta che il progetto è nato in accordo con il direttore Eike Schmidt che, sempre su Repubblica, spiega come secondo lui anche un museo possa fare umorismo: “serve ad avvicinare le opere a un pubblico diverso da quello cui si rivolge la critica ufficiale, ma anche a guardare le opere in modo diverso e scanzonato. In un momento difficile come questo, è importante, ogni tanto, concedersi un sorriso e un po’ di autoironia. E se è possibile farlo grazie alla grande arte, ancora meglio”.

Tra i video creati dall’account Uffizigalleries diventati virali su TikTok non si può non consigliare la visione di alcune clip, come il video sul ritratto di Petrarca , poeta proto-umanista consumato dall’amore per Laura, che ha raggiunto gli oltre 64mila likes grazie all’acuta scelta di un audio trend del periodo.  Tra gli altri video di successo, ricordiamo il TikTok fatto in occasione del GayPride, il video con protagonista La Primavera di Botticelli e quello che racconta il mito del satiro Marsia, scorticato vivo da Apollo.

Gli Uffizi si sono quindi dimostrati un grande esempio di innovazione ed apertura in un mondo troppo spesso recidivo al cambiamento.

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Ambiente, società e tecnologia

5 febbraio: giornata nazionale contro lo spreco alimentare

Oggi è il 5 febbraio 2021 e se ci fermassimo un secondo a riflettere su quanto è accaduto negli ultimi mesi potremmo dire che è già passato quasi un anno dal primo caso di Coronavirus in Italia, si è rinunciato alle vacanze esotiche, alle festività in famiglia e magari anche a celebrare quei traguardi attesi per tutta la vita. Ma solo una cosa è rimasta costante nella nostra quotidianità: il cibo; in fondo non c’è nulla che non possa essere risolto davanti ad una buona una pizza e una birra.

Il cibo, in particolar modo in Italia, non è solo un modo per far fronte alle necessità vitali, bensì rappresenta anche un vero e proprio piacere. Pensiamo al pane, alla pizza, alla pasta: alcuni cibi hanno un loro valore culturale. Ciò che invece non è insito nella nostra cultura è il valore materiale del cibo.

I dati dello spreco alimentare in Italia e nel mondo

Secondo l’Osservatorio Waste Watcher, il primo osservatorio italiano sugli sprechi alimentari, nel 2019, ciascun italiano ha buttato circa 36 kg di cibo, per una perdita economica di circa 15 miliardi di euro, ovvero quasi lo 0,88% del PIL; è come se ogni domenica mattina, ogni italiano, si svegliasse e buttasse più di 5 euro nel cestino marrone che solitamente si trova posizionato sotto al lavandino. Nessuno lo farebbe realmente, eppure si hanno molti meno problemi a farlo col cibo…infatti ben più del 50% dello spreco alimentare avviene in casa per la scarsa sensibilità dei cittadini.

Cifre del tutto simili sono state registrate sia in Europa e persino negli Stati Uniti, dove nel 2017, la NRDC, una delle più importanti organizzazioni ambientaliste della nazione, ha stilato il primo report sul fenomeno del food waste nelle città e deducendo che, anche in questo caso, ben più del 50% dello spreco del cibo avveniva tra le mura domestiche. Inoltre, dallo studio si evince come ben il 57% del cibo gettato in America sia “typically edible”, ossia generalmente ancora commestibile. Con un buon grado di astrazione, anche se non sono presenti studi in materia, è lecito pensare che percentuali simili siano presenti anche in Italia.

Cos’è veramente lo spreco alimentare?

Generalmente, ci si riferisce alla nozione di spreco alimentare per riferirsi al cibo acquistato e non consumato e che inesorabilmente finisce nella spazzatura, ma questa non è di certo l’unica accezione valida. Infatti, è più corretto riferirsi allo spreco alimentare come fa l’ISPRA che lo definisce come “la parte di produzione che eccede i fabbisogni nutrizionali o le capacità ecologiche”. La descrizione che ci viene fornita permette di annoverare nello spreco alimentare tutte le perdite di quella quantità di prodotti alimentari che viene persa o gettata lungo la catena di produzione e di lavorazione delle materie prime, fino alla distribuzione e al consumo.

Sebbene manchi una definizione riconosciuta a livello internazionale, solitamente ci si riferisce alla nozione di “food waste”. Waste è un termine inglese e secondo il Collins, può assumere ben due significati: spreco ma anche rifiuto…così, è lecito chiedersi: cos’è un rifiuto? La risposta è presente nel Testo Unico dell’Ambiente (art.183 comma1), secondo cui può essere definito rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto di cui il detentore si disfi o abbia l’intenzione o abbia l’obbligo di disfarsi”, eppure nella spazzatura finiscono anche: i prodotti acerbi, i prodotti non conformi agli standard qualitativi/estetici e anche prodotti che giacciono troppo a lungo nei magazzini. È forse necessario disfarsi di essi? È forse obbligatorio? No, nemmeno questo!

Le conseguenze dello spreco alimentare

Secondo i dati diffusi dalla FAO, a livello globale, circa il 14% del cibo prodotto viene perso tra la raccolta e la vendita al dettaglio. Lo scorso settembre, António Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, in un messaggio diffuso in occasione della Prima Giornata internazionale della consapevolezza della perdita e dello spreco alimentare ha definito questi fenomeni come un’”offesa etica”, considerato l’elevato numero di persone che soffrono la fame. In somma la questione dei rifiuti alimentari finisce per inasprire il problema della sicurezza alimentare, tanto che il food-waste assume le caratteristiche di un fenomeno socio-economico a tutti gli effetti.

Inoltre, non possono essere tralasciate i danni ecologici provocati dallo spreco alimentare. Infatti, allo spreco dei prodotti edibili corrisponde un inesorabile spreco di risorse: il suolo utilizzato per la coltura non consumata è un suolo che è stato impoverito inutilmente per non parlare della preziosissima acqua utilizzata per favorire la crescita dello stesso prodotto; un discorso analogo può essere fatto per prodotti animali e per i loro derivati. Senza contare che sia nel caso di prodotti vegetali che nel caso dei prodotti animali, è stata rovinosamente emessa anidride carbonica in atmosfera la quale dà un enorme contribuito a quel noto fenomeno che minaccia l’esistenza della vita sul Pianeta ossia il cambiamento climatico.

Chiunque può contribuire a migliorare la situazione

Le perdite e gli sprechi alimentari rappresentano una grande sfida per la nostra epoca,” ha dichiarato il Direttore Generale della FAO, QU Dongyu, tanto che successivamente ha esortato i Paesi membri alla collaborazione mediante partenariati più stretti. Inoltre, ha auspicato un aumento degli investimenti nella formazione dei piccoli agricoltori, nelle tecnologie e nell’innovazione con apporti del settore sia pubblico che privato.

Nell’ultimo anno, anche “grazie” alla pandemia gli Italiani hanno dimostrato di aver intrapreso il giusto percorso tanto che, secondo Coldiretti: “Più di 1 italiano su 2 (54%) ha diminuito o annullato gli sprechi alimentari adottando strategie che vanno dal ritorno in cucina degli avanzi ad una maggiore attenzione alla data di scadenza, fino alla spesa a chilometri zero dal campo alla tavola con prodotti più freschi che durano di più.” Questo ci dimostra come è possibile porre gradualmente fine al fenomeno del food-waste, ma ciascuno di noi deve contribuire secondo la propria misura.

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Marketing & Social Media

Whatsh(app)ppening? Dati e informativa sulla privacy

L’applicazione di messaggistica instantanea WhatsApp è entrata nella quotidianità delle nostre vite, al punto che il suo nome è diventato una espressione gergale usata per riferirsi all’azione di scambiarsi messaggi.

Lanciata sul mercato nel 2009, dopo il 2014 è entrata a fare parte del gruppo Facebook Inc.

Oltre alla sopra citata WhatsApp e l’omonima applicazione Facebook l’azienda possiede diverse controllate tra cui Instagram, Onavo, Oculus VR LLC, LiveRail, CrowdTangle e tante altre.

Com’è strutturata l’azienda?

WhatsApp Ireland Limited con sede a Dublino, si occupa di gestire tutti i dati degli utenti che risiedono in un Paese o in un territorio appartenente allo Spazio Economico Europeo.

Questa distinzione è necessaria perché l’Unione Europea ha redatto un Regolamento con l’obiettivo di rafforzare la protezione dei dati personali dei suoi cittadini.

Mentre i dati di tutti gli altri utenti vengono gestiti da WhatsApp LLC che ha sede a Menlo Park in California, Stati Uniti.

Quali dati raccoglie l’applicazione dagli utenti? Che tipo di dati sono?

Quando l’utente spunta la famigerata casellina “accetto i termini e le condizioni di utilizzo” dà il suo consenso alla raccolta dati che ne deriva e quindi, in base alle informazioni che decide di cedere, sarà in grado accedere o meno a determinate funzioni.

É interessante sapere che al momento della creazione dell’account personale l’utente sottoscrive a WhatsApp una licenza globale, che autorizza l’applicativo ad ottenere tutti i dati ed i contenuti dell’utente ricevuti o condivisi  tramite i suoi servizi cui diritti servono per garantire una migliore user experience agli utenti finali.

Possiamo distinguere due tipi di informazioni: quelle fornite direttamente dagli utenti, e quelle raccolte in automatico dal software.

L’utente fornisce informazioni in merito a:

  • le generalità riguardanti il suo account come il numero di cellulare, l’immagine del profilo e l’eventuale stato
  • I suoi messaggi; curioso è sapere che WhatsApp si comporta come una sorta di tramite per quanto riguarda l’invio dei messaggi.

Una volta consegnato il messaggio al destinatario esso viene salvato sul dispositivo di arrivo e l’applicativo procede poi con l’eliminazione dai suoi server.

In caso non fosse possibile recapitare il contenuto del messaggio, esso viene conservato in forma crittografata nei server fino ad un massimo di 30 giorni e superato questo limite si procede con l’eliminazione definitiva del messaggio.

  • Anche i suoi file multimediali vengono salvati sempre in forma crittografata nello stesso modo nei server, in modo di da poterli condividere con altri utenti in maniera efficiente e veloce.
  • Le sue connessioni: acconsentendo alla funzione di caricamento dei contatti si forniscono alla piattaforma tutti i recapiti telefonici presenti all’interno della rubrica.

Le informazioni raccolte automaticamente invece riguardano:

  • Le attività dell’utente come ad esempio le modalità di interazione coi suoi contatti e con gli eventuali gruppi di cui fa parte, il registro delle chiamate, la data e l’ora dell’ultimo accesso qualora ci sia, la data di aggiornamento delle informazioni di profilo.

WhatApp riceve inoltre informazioni sull’utente anche da altri utenti, come una sorta di controllo incrociato dei dati.

  • Informazioni riguardanti il tipo di dispositivo utilizzato ed il tipo di connessione; il modello di hardware, il tipo di sistema operativo utilizzato, la potenza del segnale, l’operatore telefonico, le informazioni relative al browser, al tipo di rete mobile o il provider.
  • Informazioni sulla posizione: quando l’utente attiva i servizi di geolocalizzazione dalle impostazioni sul proprio dispositivo, WhatsApp le riporta nei propri server, riporta quando e come l’utente ha condiviso la propria posizione coi suoi contatti o quando l’utente ha visualizzato la posizione ricevuta dai suoi contatti.

Se invece il servizio di posizione è disattivato, si ricorre ad altri indirizzi come il prefisso telefonico per stimare dove l’utente potrebbe trovarsi.

  • I cookie: il software rileva i cookie dell’utente come ad esempio le preferenze sulla lingua, il fuso orario, su cosa l’utente cerca e si interessa quando naviga sul web.

Possiamo dire che un servizio è gratuito perché il mezzo di scambio utilizzato è diverso dalla moneta?

Quali sono i nostri parametri per definire qualcosa come gratuito?

4 Gennaio 2021

L’aggiornamento delle policy, inizialmente doveva essere accettato dagli utenti entro la data 8 febbraio 2021 per continuare ad utilizzare il social, chi non si trovasse d’accordo con queste policy veniva implicitamente esortato a disiscriversi.

Specifica chi è l’azienda responsabile dei dati, inserisce il requisito dell’età minima di sedici anni per potersi iscrivere, viene citato il codice europeo delle comunicazioni elettroniche, spiega come il software collabora con le altre aziende del gruppo di cui fa parte, e si propone di creare una migliore comunicazione tra le aziende perché molte si affidano all’applicazione per gestire la comunicazione coi propri clienti.

Riguardo la comunicazione con le aziende del gruppo Facebook viene evidenziato come questo permetta di offrire i servizi in modo efficiente ed affidabile, garantire protezione e sicurezza tramite l’eliminazione degli account di spam, ottenere una condivisione diretta tra i contenuti condivisi su Facebook e WhatsApp tramite ad esempio la condivisione di link nelle chat, e avere a disposizione i recapiti commerciali delle aziende che lavorano sul social tramite link personalizzati.

Il Garante della privacy italiano lo scorso 14 gennaio è intervenuto d’urgenza perché ritiene che i contenuti dell’aggiornamento siano poco chiari e che necessitano di attente valutazioni.

Alla luce di queste proteste WhatsApp ha rinviato la data al 15 maggio.

Anche gli utenti si sono trovati perplessi da questo aggiornamento, tanto da registrare nelle scorse settimane una “migrazione” verso altri social di messaggistica istantanea come Telegram.

Da un lato il software mette a disposizione degli utenti gli strumenti di crittografia end-to-end. Perché questo bisogno di collaborazione con le altre controllate del gruppo?

Sabato 30 gennaio Whatsapp ha pubblicato delle stories contenti alcuni chiarimenti sulle nuove policy.

L’applicativo spiega che il nuovo aggiornamento riguarda solamente il rapporto con le aziende, un servizio facoltativo destinato alle funzionalità business.

L’introduzione dei messaggi effimeri potrebbe rappresentare una risorsa aggiuntiva per proteggere la privacy degli utenti?

La possibilità di scaricare i propri dati potrebbe tranquillizzare gli utenti?

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Marketing & Social Media

Tumblr e censura: andiamo a fondo della questione

Nel Novembre del 2018 la Apple si è trovata costretta a rimuovere Tumblr dal proprio store in seguito alla scoperta di materiale pedopornografico su tale piattaforma.

Questo è quanto si legge sui diversi siti che affrontano il tema in oggetto, affermazioni mai confermate ma neanche smentite dallo staff e dallo stesso CEO di Tumblr Jeff D’Onofrio: nei post ufficiali si legge, infatti, che per il 17 Dicembre dello stesso anno sarebbero entrate in vigore delle Linee guida più restrittive al fine di adeguare il social alle direttive imposte da ciascun paese per il rispetto degli utenti a seconda dell’età, del genere e della provenienza e, così, mantenere attivo Tumblr, farlo evolvere e, infine, avere un impatto positivo nel mondo.

Una censura che avrebbe posto delle limitazioni anche nella pubblicazione di materiali pornografici che non recavano alcun danno ai minori di 18 anni, materiali che rappresentavano i fondamentali della piattaforma.

Le origini

Tumblr nasce nel 2007 per mano di David Karp e Marco Arment (che lascerà la compagnia nel 2010) con lo scopo di creare una versione innovativa del classico social network; la piattaforma si basa, infatti, sulla creazione di brevi blog personali (tumblelog) personalizzabili con immagini, video o GIF e anche grazie a semplici tips grafiche fornite dalla piattaforma stessa. Gli sviluppatori, però, non imposero significative restrizioni a livello di libertà di espressione e, così, i loro seguaci videro la possibilità di sfruttare la piattaforma per parlare di porno in chiave creativa e nel formato di un diario personale, possibilità negata su moltissimi altri siti.

Con l’acquisizione della compagnia da parte di Yahoo! prima e di Verizon Communications dopo, i proprietari della piattaforma hanno cercato di pulirla solo con bot e Safe Mode, per evitare significativi stravolgimenti all’”orientamento” della stessa; ma da come si è potuto leggere nell’incipit, le azioni intraprese sono state vane.

Tutta l’attenzione al porno… buono

Nelle nuove linee guida si legge, infatti, del divieto di pubblicare <<contenuti per adulti che includono principalmente foto, video o GIF che rappresentano organi genitali esposti o capezzoli femminili, nonché tutti i contenuti, tra cui foto, video, GIF e illustrazioni, che rappresentano atti sessuali (comprese le immagini ingannevoli ovvero quelle che richiamano tale contenuto ma sotto mentite spoglie)>>; le uniche azioni permesse riguardano <<l’esposizione di capezzoli femminili per l’allattamento, momenti prima o dopo il parto e situazioni legate alla salute, come ad esempio immagini successive a mastectomia o interventi chirurgici relativi al cambiamento di sesso. Contenuti scritti come erotismo, nudità impiegata per temi politici o di attualità e immagini di nudi in ambito artistico, come sculture e illustrazioni, possono essere liberamente postati>>.

Una sostanziale differenza rispetto alle sue origini e una differenza che ha fatto storcere il naso a molti seguaci, che si sono visti limitare anche la possibilità di esprimere la loro creatività in campo artistico e scientifico; una scelta che ha portato ad un significativo calo dei nuovi iscritti e ad un’altrettanta migrazione su altri siti più permissivi in termini di pornografia. Un risultato alquanto negativo nonostante il tentativo del CEO di Tumblr di rimediare a questa restrizione facendo leva sul buon senso degli iscritti: i contenuti espliciti rimangono visibili solo al suo proprietario, con l’auspicio che lo stesso adotterà un comportamento diverso in futuro. Una sorta di escamotage che richiama quel senso di “permissività” e di comunità tipici di Tumblr.

Alla fin fine, se si entra nell’applicazione, si vede come non tutti i contenuti pornografici siano stati oscurati: permangono le immagini che lasciano poco spazio all’immaginazione, come accade su Instagram.

L’iniziativa degli utenti più affezionati

Di tutta risposta, coloro che volevano salvare il materiale pornografico di Tumblr e mantenere viva la sua tradizione, hanno fondato un gruppo di volontari chiamati Archive Team che hanno provveduto a fare un backup di tutto il materiale prima della fatidica data, aiutati anche dall’Internet Archive, un’organizzazione no profit americana che ha messo a disposizione il suo Wayback Machine, ovvero il suo archivio digitale.

Ad affiancare questa corsa contro il tempo, è stata creata la piattaforma Tapblr che ha permesso di ripristinare il proprio blog di Tumblr inserendo le credenziali di accesso dello stesso nella nuova piattaforma: indagando più a fondo, però, poco si sa di chi ha creato tale social e di come riesca a “sfuggire” al controllo delle autorità competenti.

Ma di tutta questa storia una cosa è certa: di fronte ad una limitazione della libertà di espressione, non ci sarà mai un punto di incontro tra le parti interessate e neanche una possibilità di ascolto reciproco, ma solo una continua lotta legale e personale.

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Ambiente, società e tecnologia

1000km, 0 emissioni

La lotta ai cambiamenti climatici si fa sempre più intensa, e l’elettrificazione dei trasporti (e in particolare del settore automobilistico) è una delle strategie che potrebbero garantirci la vittoria.

Il mercato, però, è attualmente spaccato tra gli entusiasti e i fedeli ai motori termici che sollevano una serie di perplessità.

Prima tra tutte, la cosiddetta ”range anxiety”. Rispetto a una tradizionale vettura a combustione interna, un’auto full electric spesso si presenta con un’autonomia notevolmente inferiore – a fronte di tempi per “fare il pieno” decisamente più lunghi.

Una sfida invincibile per l’elettrico?

Sembrerebbe proprio di no.

Sia perché negli ultimi anni il mercato a zero emissioni è in rapida ascesa (a conferma del fatto che molte persone non reputino un problema le basse autonomie nella loro quotidianità), sia perché l’industria sta muovendo passi da gigante per conquistare anche quella fetta di mercato che ha esigenza di percorrere più km.

L’ultima innovazione in tal senso arriva dalla Cina, e si chiama Nio ET7.

Se sicuramente l’auto stupisce per la tecnologia avanzatissima (tra cui la guida autonoma e una miriade di sensori di ultima generazione), la vera rivoluzione sta nella batteria.

Nel 2022, promette la casa, sarà introdotta la versione a stato solido, che garantirà un’autonomia da 1.000 km.
Un risultato strabiliante che fa sfigurare la top di gamma del leader di mercato Tesla (che con la sua Model S garantisce circa 840 km con una ricarica).

La super batteria da 150kwh sfrutta al meglio gli spazi a disposizione, aumentando la densità a 360 Wh/Km, il 50% in più dei 100Kwh utilizzati oggi.

Non solo, sarà anche più sicura: il fatto che ora l’elettrolita non sia liquido (è la prima auto a potersene vantare) scongiura il rischio di incendi e del Thermal Runaway causato dalle reazioni di celle vicine.

Questa nuova architettura, se accompagnata da una parallela evoluzione delle colonnine, permetterebbe anche di accorciare i tempi di ricarica.

E a proposito di ricarica, arriviamo alla seconda innovazione.A Nio hanno pensato che piuttosto che investire in una rete di colonnine più potenti valesse la pena dirigersi verso il battery swap.

Come suggerisce il nome, è la possibilità di fare il cambio rapido di batteria in meno di 5 minuti.

Proprio come fare benzina, insomma: si arriva, un tecnico smonta la batteria scarica e la sostituisce con una al 100%, e si è subito pronti per ripartire.

Già testato sui modelli precedenti della casa, il modello swap sembra avere un discreto successo: a giugno 2020, a circa due anni dal lancio, sono state effettuate 500 mila sostituzioni in 131 stazioni in Cina.

Questo permette anche di abbassare il prezzo finale della macchina, che verrebbe acquistata senza le batterie di proprietà.

Soluzione impegnativa specie per un mercato liberale come quello europeo, che richiederebbe uno standard di progettazione per tutti i produttori per diventare di massa.

Le auto alla spina hanno ancora diversi nodi da sciogliere, come i problemi legati all’etica dell’estrazione delle materie prime o alla non totale circolarità della filiera, ma innovazioni come questa ci fanno capire che una valida alternativa ai combustibili fossili c’è e migliora di giorno in giorno.

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Ambiente, società e tecnologia

Digital Services Act e Digital Markets Act: le nuove normative europee sul mondo digitale

Il 15 dicembre 2020 la Commissione europea ha proposto una riforma dello spazio digitale al fine di renderlo più sicuro, aperto e conforme ai valori europei, introducendo nuove norme che disciplinano i servizi digitali applicabili in tutta l’Ue.

Tale riforma consiste in due nuove iniziative legislative: il Digital services Act e il Digital markets Act.

Secondo quanto dichiarato dalla Vicepresidente esecutiva per un’Europa adatta all’era digitale e alla concorrenza, Margrethe Vestager: “le due proposte perseguono un unico obiettivo: garantire a noi, in quanto utenti, l’accesso a un’ampia gamma di prodotti e servizi sicuri online e alle aziende che operano in Europa di competere liberamente ed equamente online così come offline. Si tratta di un unico mondo. Dovremmo potere fare acquisti in modo sicuro e poterci fidare delle notizie che leggiamo, in quanto ciò che è illegale offline è altrettanto illegale online.”

Perché la Commissione europea ha ritenuto necessario introdurre nuove regole?

La Commissione ha preso atto del fatto che l’enorme sviluppo dei servizi digitali che si è avuto negli ultimi decenni ha inciso significativamente sul nostro modo di vivere, introducendo nuovi modi di comunicare, informarsi e acquistare. Questo ha reso necessario introdurre normative a livello europeo per regolamentare i nuovi servizi digitali, i quali hanno sicuramente apportato notevoli vantaggi, come agevolare i consumatori nell’acquisto di beni e servizi e creare nuove opportunità per imprese e operatori economici, ma hanno anche causato alcuni problemi, in particolare l’illegalità dei contenuti e dei servizi on line.

Il Digital services Act


Questa legge ha lo scopo di disciplinare i servizi di intermediazione on line, che collegano i consumatori a beni, servizi o contenuti. Gli obiettivi principali sono: garantire una maggior protezione dei consumatori e dei loro diritti fondamentali on line; introdurre nuovi obblighi in materia di trasparenza e una maggiore responsabilità delle piattaforme on line; creare un mercato unico europeo che incentivi la competitività, l’innovazione e la crescita.

In concreto la Legge sui servizi digitali:

  • Consente agli utenti di segnalare con maggiore facilità la presenza on line di contenuti, beni o servizi illeciti e contrastare le decisioni delle piattaforme circa la rimozione dei contenuti;
  • Prevede obblighi di trasparenza per le piattaforme on line riguardo le norme sulla moderazione dei contenuti e sulla pubblicità
  • Introduce nuove norme sulla tracciabilità degli utenti commerciali nei mercati on line, al fine di scoraggiare la vendita di prodotti o servizi illegali;
  • Introduce maggiori obblighi per le piattaforme on line dette sistemiche, cioè quelle che raggiungono oltre il 10% della popolazione dell’Ue, le quali sono tenute a prevenire possibili abusi dei loro sistemi adottando misure basate sul rischio e alla introduzione di una nuova struttura di sorveglianza;
  • Al fine di garantire l’applicazione delle norme in tutto il mercato unico europeo, prevede l’obbligo per ogni Stati membro di designare un Coordinatore dei servizi digitali, organo indipendente che ha il compito di vigilare sul rispetto delle norme sul proprio territorio e che sarà sostenuto nello svolgimento delle proprie funzioni da un Comitato europei per i servizi digitali.

Il Digital Markets Act


Introduce nuove norme per cercare di risolvere i problemi causati dai comportamenti scorretti delle cosiddette “Gatekeeper”, cioè quelle “piattaforme on line di grandi dimensioni che esercitano una funzione di controllo dell’accesso”, che spesso approfittano del forte impatto che hanno sul mercato digitale mettendo in atto pratiche commerciali sleali.

In base alla legge un’impresa per poter essere definita Gatekeeper deve rispettare tre criteri:

  • Detenere una posizione economica forte
  • Avere una forte posizione di intermediazione tra utenti e imprese
  • Detenere una posizione solida e duratura sul mercato.

Per queste piattaforme on line sono previsti determinati obblighi e divieti che hanno lo scopo di creare un mercato unico più equo, competitivo e innovativo, consentire ai consumatori di disporre di più servizi e a prezzi più convenienti e di impedire ai Gatekeeper di tenere comportamenti iniqui.

Le due leggi sul mondo digitale proposte dalla Commissione nei prossimi mesi saranno discusse dal Parlamento europeo e una volta adottate saranno direttamente applicabili in tutti gli Stati membri.

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Ambiente, società e tecnologia

Come le produzioni Netflix possono realizzare trend inaspettati

Lo scorso 25 dicembre sulla piattaforma Netflix è uscita una nuova serie tv: si chiama “Bridgerton” e in pochissimi giorni è riuscita a conquistare oltre 63 milioni di spettatori in tutto il mondo.

Proprio in queste ore, Netflix ha annunciato attraverso i propri canali social che la serie è stata confermata per la seconda stagione.

L’aspetto più curioso di questo fenomeno però non riguarda solamente la straordinaria popolarità che ha raggiunto la serie, quanto più le conseguenze che si sono verificate in seguito alla sua diffusione.

Il successo di Bridgerton

Ambientata nella Londra del 1823, “Bridgerton” si differenzia molto da altre storie simili sull’alta società inglese.

L’aspetto principale che a primo impatto la contraddistingue è il fatto che i personaggi siano di etnie differenti, e che persone di colore ricoprano i ruoli più vari, compresi quelli di duchi, nobili e della stessa regina, aspetto alquanto insolito per il diciannovesimo secolo.

In questa serie vi è inoltre un’evidente cura dei dettagli, degli allestimenti scenografici, dei costumi e il tutto è accompagnato da un tocco moderno identificabile nella scelta delle musiche o di altri elementi introdotti nel corso della narrazione.

Per chi non ne fosse a conoscenza, questa nuova serie tv di successo ha preso ispirazione da una saga scritta dall’autrice statunitense Julia Quinn, che è rimasta altrettanto sorpresa dal buon risultato che ha raggiunto “Bridgerton”.

La curiosità nata tra gli spettatori e fan della storia è stata così grande che i libri della scrittrice, pubblicati per la prima volta ormai più di venti anni fa, sono letteralmente scomparsi da scaffali fisici e digitali, prima negli Stati Uniti e in questi giorni anche in Italia, cogliendo totalmente impreparate le case editrici che si sono trovate a dover ristampare rapidamente tutti i volumi in modo tale da poter soddisfare la domanda di mercato.

Dato che in queste settimane trovare i libri è diventata un’ardua impresa, i pochi volumi rimasti sono stati venduti online a prezzi esorbitanti, che negli Stati Uniti hanno addirittura superato i 700 dollari.

La stessa Julia Quinn, attraverso i propri canali social, ha chiaramente raccomandato di evitare di spendere cifre assurde per i suoi libri, e di attendere l’uscita delle copie ristampate in modo tale da poterle acquistare a prezzi ragionevoli!

In questi giorni, in Italia, sono già disponibili le nuove edizioni.

L’aspetto più curioso di questa situazione consiste nel fatto che i volumi hanno suscitato questo inaspettato boom esclusivamente in seguito alla creazione dell’omonima serie e naturalmente grazie alla sua diffusione attraverso Netflix.

La regina degli scacchi

Un fenomeno analogo è stato l’aumento delle vendite delle scacchiere in conseguenza al successo della miniserie Netflix più vista di sempre: “La regina degli scacchi”.

Gli spettatori, dopo solo quattro settimane dal suo lancio il 23 ottobre, sono diventati circa 62 milioni.

L’avvenimento interessante che ha aperto moltissimi dibattiti online è stato il rapido incremento delle vendite di oggetti ed accessori inerenti al mondo degli scacchi.

Secondo la società di ricerca NDP Group, in seguito alla diffusione de “La regina degli scacchi”, la vendita delle scacchiere è aumentata dell’87% negli Stati Uniti e la vendita dei libri dedicati alle strategie del gioco (che nel corso degli episodi vengono inquadrati spesso) addirittura del 603%!

(https://www.npd.com/wps/portal/npd/us/news/press-releases/2020/sales-spikes-for-chess-books-and-sets-follow-debut-of-queens-gambit/)

Sono inoltre aumentati anche gli accessi a portali di gioco online e l’utilizzo di applicazioni attraverso cui potersi esercitare e organizzare competizioni con altri giocatori.

Insomma, un successo del tutto inaspettato! Soprattutto considerando il fatto che in questi ultimi anni la vendita di scacchiere, accessori e libri dedicati al gioco era addirittura vittima di un costante declino.

La situazione si è bruscamente ribaltata nel momento in cui “La regina degli scacchi” è diventata una serie-tv popolare, esattamente come è accaduto per i volumi della saga di “Bridgerton”.

Entrambi i fenomeni si sono quindi verificati in seguito alla popolarità raggiunta da parte di due serie tv diffuse da Netflix.

Che questi trend siano il risultato di efficaci strategie messe in atto da Netflix è ovvio, il che dovrebbe farci riflettere sulle abilità di questa azienda in grado anche di condizionare gli interessi delle persone.

La cultura di successo di Netflix

Netflix è molto abile nelle attività di marketing che svolge, tanto da suscitare sempre moltissima curiosità nei confronti delle proprie produzioni.

Non ci si potrebbe aspettare di meno da una delle aziende più efficienti e innovative degli ultimi anni!

Nel libro “L’unica regola è che non ci sono regole” uscito lo scorso ottobre e dedicato a Netflix, sono state evidenziate le caratteristiche principali che distinguono l’azienda e che l’hanno portata a raggiungere numerosi traguardi nel corso degli anni.

Alcuni esempi sono: la mancanza quasi totale di regole che potrebbero ostacolare o diminuire l’efficienza e la motivazione dei dipendenti, una cultura basata su sincerità, trasparenza e moltissimi feedback costruttivi e naturalmente la presenza di un’alta densità di talento.

L’azienda cresce costantemente e riesce ogni volta a trovare strategie sempre più innovative per sorprendere i propri utenti.

Cos’altro avrà in serbo per noi?

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Marketing & Social Media

Twitter e il caso Trump: l’oggettività delle condizioni di utilizzo dei social media e il relativismo con cui possono essere lette

I fatti di Capitol Hill, con l’assalto di un gruppo di facinorosi al Parlamento americano e il conseguente ban di Trump dai principali social network, hanno aperto una discussione molto accesa sul ruolo che le piattaforme digital assolvono nel dibattito politico. Il ban è partito da Twitter e si è esteso anche a Facebook. Mark Zuckerberg ha addirittura definito “troppo pericoloso l’uso dei social da parte di Trump in questo periodo” . Un’azione legittima da parte delle due piattaforme a seguito della ripetuta violazione delle condizioni di utilizzo: nelle norme di Twitter, ad esempio, si può leggere che “sono proibiti contenuti finalizzati a incitare la paura, odio e violenza.”. Tuttavia sorge spontaneo porsi delle domande. Rimuovere Trump dai social media è stata una misura decisiva, anche se tardiva, per evitare la propagazione di messaggi di odio e violenza? Nel caso di un contenuto censurato, quanto si possono considerare oggettivi i criteri con cui quest’ultimo è stato eliminato? E infine, se non ci fossero state le incitazioni di Trump, sarebbe stato evitato tutto quello che è successo?

Il fenomeno delle “Eco chambers”

Le “eco chambers“, letteralmente “camere dell’eco”, sono un concetto importante nel mondo delle scienze sociali: si creano quando un gruppo di persone che condividono la stessa visione del mondo si trova isolato dalla discussione generale. Ogni opinione espressa rimbalza come un’eco senza incontrare smentite o critiche: chi la ascolta fa parte della stessa fazione e la appoggia senza remore. Estromettere le voci estremiste e inaccettabili dai social network più diffusi sembra una mossa necessaria e probabilmente lo è, ma potrebbe avere degli effetti collaterali.

Su Twitter infatti circolano idee e opinioni di ampio raggio: su Parler invece, la piattaforma di microblogging su cui a seguito del ban di Trump si sono spostati molti suoi accaniti sostenitori e già frequentata da estremisti, probabilmente no. Amazon e Google hanno riconosciuto il rischio legato a questa piattaforma e l’hanno rimossa dai loro server, di fatto impedendone l’accesso. Un’azione legittima, ma su cui possiamo ulteriormente riflettere: con la chiusura di Parler, si evitano odio e incitamento alla violenza o si provoca la nascita di altri spazi web di condivisione di messaggi inaccettabili?

Non sarebbe quindi meglio, da questo punto di vista, che queste voci rimanessero su Twitter, venendo sanzionate quando necessario, ma non incoraggiando questa deriva?

Il caso dell’Ayatollah Khamenei

«Non è improbabile che vogliano contaminare altre nazioni. Data la nostra esperienza con le scorte di sangue contaminate dall’HIV in Francia, neanche i vaccini francesi sono affidabili», ha scritto l’Ayatollah Khamenei sul suo profilo twitter attaccando non solo i vaccini contro il Coronavirus, ma avanzando un sospetto pregiudizievole nei confronti di un’intera nazione. Lo stesso attacco scritto pochi giorni dopo il ban dell’ex presidente Trump, è stato rivolto anche ai vaccini sviluppati in Gran Bretagna. Twitter ha reagito tempestivamente sospendendo l’account del leader iraniano fino al momento in cui i tweet, considerabili fonte di disinformazione, non sono stati rimossi. Se Twitter sceglie di sospendere un utente perchè non ha rispettato le condizioni di utilizzo si rischia di innescare una reazione a catena in cui molti esponenti politici potrebbero essere rimossi per la trasmissione di messaggi “non giusti e costruttivi”: non è facile individuare infatti la linea che separa un contenuto “sbagliato” da uno che “rappresenta un pensiero soggettivo seppur non condivisibile”.

La sospensione dell’account dell’ambasciata cinese

In questi ultimi giorni ha fatto ulteriormente discutere un tweet dell’ambasciata Cinese negli U.S.A., che è stata la causa scatenante del blocco del relativo account: Twitter lo ha considerato “disumanizzante nei confronti delle donne di etnia uigura“, una minoranza musulmana della zona dello Xinjiang, territorio nord-occidentale della Cina. Secondo quanto scritto dall’ambasciata, “grazie alle politiche di Pechino le donne uigure non sono più considerate come macchine per bambini”. Difficile contestualizzare questo blocco al di fuori delle politiche oppressive che le potenze occidentali attribuiscono al governo centrale di Pechino nei confronti dello Xinjiang, tradizionalmente separatista, e in particolare di Etnia uigura, anche tramite la denuncia dell’istituzione di “campi di rieducazione al lavoro”.

Una questione complessa che dimostra che il blocco di un account possa riflettere un contesto più ampio: non dobbiamo dimenticarcene nemmeno quando consideriamo l’espulsione di Trump dalle piattaforme social.

Ma in conclusione, quanto peso hanno questi tweet? 

La violazione oggettiva delle condizioni di utilizzo va sicuramente considerata, ma al di là di questa possiamo riflettere su molti risvolti di questi eventi.

Se pensiamo che le parole di Trump a cui é seguito l’assalto al Congresso ( e anche l’intervento dell’Ayatollah) sono state rivolte a un pubblico in grado di filtrare le informazioni con una propria capacità di giudizio, sorgono alcune questioni. Ci si chiede se, nel caso in cui gli incitamenti all’odio di Trump fossero stati evitati, ci sarebbe ugualmente stato l’assalto al Congresso. È legittimo rimuovere dei contenuti considerati “disinformazione” e per nulla costruttivi, pensando che le persone, senza una propria capacità di giudizio, vengano influenzate a compiere azioni sbagliate? È proprio il fatto che le parole di Trump siano state cancellate dopo essere state condivise con un’utenza globale che ha permesso ai cittadini di giudicare l’ex presidente Trump per la sua figura e di trarre adeguate considerazioni sul personaggio.

Gli ultimi eventi che si stanno verificando ci mostrano le dimensioni della potenza di cui dispongono i social media a livello mondiale: questo comporta una loro continua evoluzione verso un miglioramento costruttivo delle piattaforme. Bisogna prestare attenzione a quando la volontà di un miglioramento porta all’eliminazione di utenti poco esemplari dal momento che potrebbe portare a una controversia tra ciò che è giusto e sbagliato.

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Marketing & Social Media

Twitter: policy e ban di Trump

Lo scorso 9 gennaio l’ormai ex-presidente degli Stati Uniti Donald Trump è stato definitivamente bannato da Twitter, il suo principale strumento di comunicazione con il pubblico.

Il duro provvedimento è stato preso dall’azienda in seguito alla pubblicazione di un tweet scritto dall’ex-Presidente, il quale avrebbe incitato i manifestanti delle scorse settimane di Capitol Hill a compiere azioni violente.

I creatori di Twitter hanno commentato l’accaduto affermando che, a seguito di un profondo controllo, hanno stabilito la sospensione ufficiale dell’account per evitare la diffusione di ulteriori messaggi simili, i quali non rispettano termini e condizioni stabilite dalla piattaforma.

https://twitter.com/TwitterSafety/status/1347684877634838528?s=20

Questa decisione ha suscitato pareri molto contrastanti sulla questione, in quanto molti credono sia stata la decisione migliore, altri invece che la libertà di espressione sia stata limitata.

Nello specifico, quali sono le regole che qualsiasi utente iscritto al social deve impegnarsi a rispettare? E quali tra queste sono state trasgredite dall’ex-Presidente?

Regole e norme di Twitter

Come ogni piattaforma, anche Twitter possiede norme molto precise e articolate per tutelare i propri utenti.

Queste regole hanno lo scopo di far svolgere le attività garantite dal social senza turbare coloro che non desiderano visionare contenuti violenti o in grado di minacciare la propria sicurezza.

Le norme definite da Twitter sono raggruppabili in tre macrocategorie: sicurezza, privacy e autenticità.

Per garantire sicurezza e protezione di ogni iscritto, la compagnia si impegna ad eliminare contenuti violenti e sensibili, tra cui: messaggi che contengono atti di terrorismo, violenza minorile, abusi e molestie, autolesionismo e suicidio, beni e servizi illegali o dichiarazioni che incitano all’odio e alla violenza.

Il social, inoltre, si assume il compito di proteggere i dati e le informazioni private delle persone, perciò è assolutamente vietato condividere materiali altrui senza il loro esplicito consenso.

Infine, una delle regole fondamentali è rappresentata dall’autenticità delle informazioni pubblicate, che non devono avere lo scopo o la capacità di manipolare il pensiero altrui, non possono violare diritti quali norme su copyright e marchi e soprattutto non possono essere ingannevoli o false.

Twitter non solo si assume le responsabilità delle sue azioni, ma si impegna anche a chiarire dettagli e motivazioni che li costringono a prendere i provvedimenti nei singoli casi.

Le norme ideate sono infatti il risultato di approfondite ricerche sulle attitudini e le tendenze degli utenti online; ciò consente alla piattaforma di comprendere quali paletti porre in contesti differenti per potersi adattare sempre di più alle esigenze delle persone.

Per farlo, vengono raccolti regolarmente dei feedback dai membri interni all’azienda da ogni paese, in modo tale da adattare le regole ai differenti contesti culturali e sociali di tutto il mondo.

Un importante aspetto di cui Twitter tiene conto è infatti anche il contesto in cui viene svolta la trasgressione, se avviene nei confronti di altre persone, se la persona in questione ha dei precedenti, se l’obiettivo prevede il coinvolgimento di un pubblico molto ampio e naturalmente in generale la gravità della violazione.

Le azioni di ammonizione che possono essere intraprese dipendono dal caso specifico: Twitter potrebbe limitare la visibilità di un determinato tweet, oppure rimuoverlo definitivamente a seconda della sua pericolosità.

In altri casi è prevista invece la sospensione temporanea del profilo o l’impossibilità di interagire o pubblicare messaggi sulla piattaforma.

Il provvedimento più severo è quello che ha subito Donald Trump: la sospensione permanente del profilo, azione che non permette all’interessato di creare un eventuale nuovo account. 

Eccezioni previste per messaggi di interesse pubblico

Twitter prevede all’interno del proprio regolamento delle eccezioni per gli utenti che diffondono messaggi di interesse pubblico.

Soprattutto nel caso degli account di leader mondiali o rappresentanti governativi sono previste numerose esenzioni nel caso in cui vengano infrante alcune linee guida, tra cui la pubblicazione di messaggi che normalmente verrebbero immediatamente eliminati.

Ciò però non autorizza chiunque abbia una certa posizione a violare le norme della piattaforma senza alcuna conseguenza: la sospensione definitiva dell’account avviene nel momento in cui viene riscontrato nella pubblicazione un elevato rischio potenziale, quando vi è un evidente richiamo alla violenza o una call to action a danno di istituzioni o altre persone.

Trump, nel corso della sua permanenza sul social durata 12 anni, avrebbe scritto più di 57 mila tweet dichiarando più di 18 mila false accuse secondo il Washington Post e, secondo il New York Times, insultando circa 598 persone, luoghi o cose.

In quasi tutti i casi Twitter ha lasciato visibili i messaggi, fino al momento in cui è stato sospeso il suo profilo, in quanto le informazioni scritte dall’ex-Presidente avrebbero potuto essere considerate di pubblico interesse.

Quali regole ha infranto Trump?

In considerazione delle norme che regolano la piattaforma e in funzione dei privilegi e delle protezioni concesse alla figura di Donald Trump, la prima segnalazione da parte di Twitter nei suoi confronti è avvenuta il 26 maggio 2020. In questa data, le sue dichiarazioni riguardanti il voto postale previsto per le presidenziali di novembre sono state definite dalla piattaforma come potenzialmente fuorvianti e, in calce ai contenuti in questione, è stato inserito, attraverso la frase “Get the facts about mail-in-ballots” e preceduta da un punto esclamativo, un collegamento ad un articolo della CNN riguardante le sue forzature e imprecisioni.

Potenzialmente fuorviante è risultato essere un altro tweet con il quale venivano accusati i democratici di voler rubare le elezioni.

Dopo pochi minuti dalla sua pubblicazione, il contenuto è stato “oscurato”, mantenendo la possibilità di leggerlo attraverso il tasto “visualizza”, ed è stata limitata la funzione “retweet”. Il processo di censura ha riguardato, in generale, tutti i suoi tweet che denunciavano le elezioni come truccate.

Un’altra regola violata da Trump in più occasioni riguarda la glorificazione della violenza. La sua prima segnalazione si inserisce nel contesto delle proteste che hanno seguito la morte di George Floyd e anche in questo caso i contenuti in questione sono stati censurati (vedi ANSA e The Verge).

In funzione di questa regola è avvenuta prima la sospensione temporanea di 12 ore, a causa di alcune sue dichiarazioni che legittimavano l’attacco al Congresso del 6 gennaio 2021, e successivamente quella permanente, nella notte fra venerdì 8 e sabato 9 gennaio.

Sviluppi e riflessioni

Dopo la sospensione definitiva da Twitter e da Facebook, anche altre piattaforme, come YouTube, TikTok e Twitch, hanno seguito lo stesso percorso.

Jack Dorsey, CEO e cofondatore di Twitter, nel commentare queste decisioni, ha affermato: “non penso sia stato un atto coordinato. Più probabilmente, le varie aziende hanno tratto le loro conclusioni o sono state incoraggiate dall’azione di altre”. La sospensione permanente viene però definita dallo stesso Dorsey come fallimentare, dal punto di vista del dialogo e del dibattito politico. Afferma anche, e soprattutto, la necessità di riprogettare le regole, sia dell’azienda sia di internet, perché l’epilogo della vicenda Trump – Twitter “stabilisce un precedente che ritengo pericoloso: il potere che un individuo o un’azienda hanno su una parte della conversazione pubblica globale”. Conversazione pubblica online che risulta essere già di per sé oggetto di discussione in merito al fatto che essa passi attraverso poche piattaforme private che agiscono sulla base di regole stabilite in autonomia.

Sempre secondo Dorsey, tale questione è assorbita dal pluralismo delle piattaforme online: “Twitter è soltanto una piccola parte della conversazione più ampia che avviene su internet. Se qualcuno non è d’accordo con le nostre regole, può semplicemente andare su un altro servizio online”.

https://twitter.com/jack/status/1349510769268850690?s=20

E adesso?

Molti si sono chiesti come farà Trump a comunicare senza il social preferito, ma il vero problema è: come farà Twitter senza di lui?

Bisogna ricordare che l’azienda californiana nel 2016, a 10 anni dalla sua fondazione, era valutata meno di 10 miliardi di dollari, risultava essere in difficoltà e stava vivendo una fase di incertezza esistenziale.

Un anno dopo, Donald Trump, presente sulla piattaforma dal 4 maggio 2009, diventa presidente degli Stati Uniti, e questa carica politica, insieme ad altri fattori come il flusso costante di contenuti pubblicati, caratterizzati da una retorica provocatoria ed incendiaria, e la base di sostenitori (e followers) di riferimento, riesce straordinariamente a risollevare l’azienda che, ad oggi, risulta quotata intorno ai 44 miliardi di dollari.

La sospensione applicata potrebbe portare ad una diminuzione dell’attenzione globale nei confronti della piattaforma stessa e un abbandono importante dei seguaci di Trump, che potrebbero confluire verso altri competitor.

Interessanti in questo senso risulteranno essere le novità e le strategie che Twitter intenderà applicare.

Non ci resta che attendere i loro prossimi tweet.

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Ambiente, società e tecnologia

Veganuary: un’occasione per riflettere sulla sostenibilità del cibo

L’arrivo del nuovo anno riempie l’Homo Sapiens di buoni propositi che, pur toccando diversi ambiti, hanno lo scopo di renderli la versione migliore di loro stessi e proprio in questa ottica, nel 2014 vede la luce per la prima volta Veganuary. L’iniziativa, proposta dall’omonima organizzazione no-profit, lancia una sfida universale per incoraggiare le persone a provare per un mese un’alimentazione di tipo vegetale.

Il motivo per il quale si chiede di approcciarsi ad un’alimentazione vegana è semplice, attuale e chiaro: ciò che ciascuno mangia ha un enorme impatto ambientale e cambiare abitudini alimentari potrebbe divenire un gesto di consapevolezza per il benessere futuro del nostro Pianeta. Allora è opportuno chiedersi…qual è l’impronta ambientale impressa dall’alimentazione? Ed è possibile ridurla?

L’impatto ambientale del cibo

Nel luglio 2017 sulla rivista scientifica Nature è stato pubblicato uno studio nel quale veniva confrontato l’impatto ambientale della dieta di 153 adulti italiani suddivisi rispettivamente secondo il loro regime alimentare in: onnivori, vegetariani e vegani. Prima di analizzare i dati riportati nell’articolo, è bene dare alcune definizioni: vengono considerati onnivori tutti coloro che includono abitualmente nella loro dieta un’ampia varietà di alimenti sia di origine animale sia di origine vegetale, mentre le restanti categorie includono entrambe la componente vegetale e ciò che distingue i vegetariani dai vegani è l’utilizzo dei derivati animali, i quali sono ammessi solo nel primo dei due gruppi dietetici.

Così, ai fini della ricerca sono stati raccolti più di mille registri alimentari giornalieri dei quali si è calcolata: l’impronta di carbonio, l’impronta idrica e l’impronta ecologica. Questi tre indici tengono conto rispettivamente delle emissioni di gas serra, del consumo di risorse idriche e della quantità di suolo necessaria per produrre un’unità di prodotto alimentare. In particolare, le analisi hanno rivelato come la dieta a base animale sia associata ad un maggior impatto per ogni indicatore ambientale valutato; tuttavia, nel complesso, non sono state riscontrate delle differenze significativamente rilevanti per quanto riguarda i gruppi vegetariani e vegani. Inoltre, sebbene né il pesce né la carne fossero gli alimenti consumati in maggiore quantità, il loro è stato il maggior contributo ai valori di impatto ambientale degli onnivori, con tassi del 37% per quanto concerne l’impronta del carbonio, del 38% per quanto riguarda l’impronta idrica e del 44% per quanto riguarda l’impronta ecologica.

Questi dati possono essere spiegati considerando il fatto che la carne, e i suoi derivati, portati in tavola dagli onnivori spesso derivano dagli allevamenti intensivi il cui inquinamento va ad interessare i diversi comparti del Pianeta. Per esempio, l’acqua e l’atmosfera sono inquinate in maniera particolare dalle deiezioni: mentre il comparto atmosferico risente dei gas emessi dalla fermentazione di queste ultime, la risorsa idrica viene contaminata dai liquami che vengono sparsi, spesso illegalmente, sul suolo che, dilavato dalle piogge, contamina dapprima le acque superficiali e talvolta le acque di falda con sostanze come: fosforo, azoto e antibiotici. Tuttavia il dato che più stupisce, e a cui non si fa mai troppo caso, è l’erosione della risorsa suolo, secondo la FAO “il settore dell’allevamento rappresenta, a livello mondiale, il maggiore fattore d’uso antropico delle terre”. Guardando il caso emblematico dell’Amazzonia, il 70% dei territori deforestati è stato trasformato in pascoli bovini, mentre il restante 30% è occupato dalle terre coltivate per produrre il mangime destinato agli animali stessi.

Sebbene quanto descritto finora sia una linea generale desunta dall’intero esperimento, è bene sottolineare come si siano riscontrate delle importanti variabilità interindividuali e questo significa che non tutti gli individui hanno contribuito allo stesso modo agli indici di impronta ambientale. Alcuni soggetti specifici possono avere impatti ambientali notevolmente diversi dagli altri soggetti appartenenti allo stesso gruppo alimentare.

Cosa c’è di eticamente corretto nell’intraprendere un’alimentazione più vegana

Se si chiedesse a un vegano quali sono le motivazioni che lo hanno spinto a questa scelta si potrebbe ottenere un’ampia gamma di risposte, partendo dai motivi di salute arrivando anche a motivi legati all’etica. Veganuary nasce anche con l’intenzione di sensibilizzare i non-vegani, proponendo sempre nuovi spunti di riflessione. Se lo si chiedesse a Vegolosi.it, pionieri in Italia per tutto quello che riguarda la dieta vegana, risponderebbero che bastano 5 semplici e ironiche motivazioni per convincere tutti ad intraprendere questo stile di vita.

Una delle motivazioni più forti è quella, secondo cui non è più necessario mangiare carne per essere in salute: infatti grazie allo sviluppo socio-economico avvenuto a partire dal dopo guerra, le persone sono in grado di mangiare di più e di variare al meglio la loro dieta assumendo così tutti i nutrienti di cui hanno bisogno. Vi è una sola eccezione che, per correttezza, va riportata: è la vitamina B12. Infatti, questa preziosa vitamina andrebbe integrata in quanto, anche se presente nei vegetali, non si trova in forma biodisponibile e dunque non può essere assorbita e utilizzata dall’organismo umano.

Inoltre, una scelta alimentare di tipo vegano permette di tenere allenata la fantasia. È vero…inizialmente si rischia il momentaneo smarrimento nel dover rinunciare a moltissimi piatti della tradizione italiana, eppure esistono delle varianti perfettamente in linea con questa scelta e si possono creare anche tantissimi nuovi piatti semplicemente sperimentando l’accostamento di sapori conosciuti. In questo caso possono venire in soccorso i social con le regine indiscusse della cucina vegetale: la Dottoressa Silvia Goggi e Carlotta Perego nota ai più con lo pseudonimo cucinabotanica.

Un’altra motivazione sta nel fatto che la cucina vegana non contribuisca alla sofferenza animale, tuttavia questa motivazione è quella che meno convince i più scettici, ma spesso si riduce il tutto ad una questione di empatia.

Quanto è fastidioso sedere a tavola e dover deludere le aspettative sociali di chi ti sta intorno? Infatti, a qualsiasi tipo di raduno, c’è sempre qualcuno che porge domande scomode del tipo “Quando ti laurei?” “L’hai trovata l’anima gemella?”. Ecco, essere vegani vi eviterà tutto ciò! Infatti, soprattutto all’inizio, tutti saranno impegnati a chiedervi come mai avete fatto questa scelta e così le fatiche della tavola saranno accompagnate da lunghe conversazioni che toccheranno temi sociali, etici e ambientali…insomma, essere vegani vi permetterà di provare l’ebbrezza della maieutica socratica senza per forza aver studiato filosofia.

L’ultima motivazione è quella ambientale. Come già visto, sono sempre più evidenti i danni arrecati al Pianeta non solo dalle scelte politiche ed economiche di Stati e multinazionali, ma anche dalle nostre condotte quotidiane. Il 14 dicembre scorso è stata lanciata la “La Glasgow Food and Climate Declaration”: un impegno dei governi locali ad affrontare l’emergenza climatica attraverso politiche integrate e un invito all’azione. All’interno della dichiarazione si afferma che “i sistemi alimentari attualmente rappresentano il 21-37% dei gas serra totali e sono al centro di molte delle principali sfide del mondo odierna, tra cui la perdita di biodiversità, la fame e la malnutrizione persistenti e un’escalation della crisi della salute pubblica”. Dunque, anche qualora si fosse in dubbio sulle quattro motivazioni precedenti, non si può non cedere di fronte a questi dati.

“Non sono d’accordo con quello che mangi, ma farei di tutto perché tu lo possa mangiare”

Non importa che sia onnivora, vegetariana o vegana, ciò che più conta è che il regime alimentare rappresenti una scelta sostenibile; il concetto di dieta sostenibile viene teorizzato per la prima volta nel lontano 2010. Secondo la FAO «le diete sostenibili sono diete a basso impatto ambientale che contribuiscono alla sicurezza alimentare e nutrizionale nonché a una vita sana per le generazioni presenti e future. Le diete sostenibili concorrono alla protezione e al rispetto della biodiversità e degli ecosistemi, sono culturalmente accettabili, economicamente eque e accessibili, adeguate, sicure e sane sotto il profilo nutrizionale e, contemporaneamente, ottimizzano le risorse naturali e umane». Scegliendo un’alimentazione sostenibile si contribuisce attivamente al raggiungimento di quasi tutti gli obiettivi fissati dall’Agenda 2030, con particolare attenzione per quelli a tutela del clima, dell’uso sostenibile delle risorse e della protezione della vita sul Pianeta.

Mantenere uno stile di vita sano e sostenibile passa attraverso tante scelte, alcune delle quali possono essere fatte fin dalla prossima spesa come ad esempio: la predilezione di prodotti locali, di stagione e qualora fosse possibile con certificazione biologica. Altre scelte potrebbero risultare più difficili, come ad esempio quella di cambiare completamente tipo di alimentazione, Veganuary nasce con l’intento di supportare i primi 31 giorni di questo importante passaggio fornendo uno “starter kit” nei quali sono presenti spunti di riflessione, consigli e ricette.

Nel suo primo libro Carlotta Perego spiega che diventare vegani, o sostenibili, non rende le persone migliori, né conferisce loro una superiorità ed è per questo che è necessario mantenere rispetto e ragionevolezza anche nei confronti di chi non condivide questo pensiero. Operare con garbo è fondamentale, suggerendo scelte che possono far bene a “chi ci circonda” nel senso più ampio possibile, dagli amici che sorbiscono i nostri consigli a tutti gli esseri viventi che condividono con noi il destino della Terra. Infatti; ogni volta che qualcuno si avvicina al mondo dell’alimentazione sostenibile anche solo per la curiosità suscitata o perché coinvolti dalla gentilezza, è possibile dire che è stata compiuta un’azione concreta per salvare il Pianeta.

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Ambiente, società e tecnologia

Formula E vs Formula 1: il futuro sostenibile dello sport automobilistico

Il 26 febbraio riprenderà il settimo campionato mondiale di Formula E, la competizione sportiva con protagoniste monoposto da corsa.

Qual è la particolarità di queste vetture? Principalmente il fatto che siano provviste di motore elettrico.

Che cos’è la Formula E?

La Formula E è la prima competizione automobilistica che coinvolge monoposto totalmente elettriche.

È stata introdotta nel mondo dello sport nel 2014 dalla FIA, la Federazione Internazionale dell’Automobile, con lo scopo di realizzare obiettivi a lungo termine focalizzati sulla salvaguardia dell’ambiente.

I campionati mondiali di Formula E si svolgono ogni anno in numerose città in tutto il mondo, nello specifico non in circuiti chiusi ma tre le strade dei loro centri abitati.

Ciò è possibile grazie al fatto che, essendo vetture elettriche, non inquinano e possono quindi gareggiare liberamente anche nei centri urbani.

Si tratta di uno sport che sta riscontrando sempre più successo, soprattutto in questi ultimi tempi in cui la questione ambientale è fortunatamente al centro di numerosi dibattiti.

I creatori di Formula E si sono da sempre prefissati un obiettivo principale, identificabile con il loro motto: “to race, but leave no trace”.

I tifosi, infatti, possono divertirsi e vivere le emozioni suscitate da questo sport dinamico e ricco di adrenalina che allo stesso tempo rispetta l’ambiente e contribuisce alla lotta contro il cambiamento climatico.

Oggi siamo in grado di affermare che Formula E ha veramente raggiunto il suo obiettivo: la compagnia ha recentemente annunciato con orgoglio sui propri canali social che in questi primi 6 anni di competizioni, la Formula E è stata il primo sport automobilistico al mondo ad aver causato zero emissioni di carbonio sin dal suo principio.  

I report ufficiali possono soltanto confermare questa splendida affermazione: https://www.fiaformulae.com/en/discover/sustainability/reports-recognitions?_ga=2.85000665.1549595519.1609441130-1445400497.1591190955

Inoltre, è sempre più frequente la volontà di molti piloti e organizzazioni sportive di entrare a far parte di questa competizione.

Proprio in questi giorni infatti, la scuderia McLaren, storica squadra della Formula 1, ha annunciato attraverso i propri canali di comunicazione una novità sul suo futuro che ha suscitato molto stupore tra i tifosi: la compagnia ha infatti firmato un’opzione che prevede il suo potenziale ingresso in Formula E a partire dalla nona stagione, dato che, come comunicato dal CEO Zak Brown, è da tempo che stanno attentamente osservando gli sviluppi e i progressi di questo sport rivoluzionario e sono prossimi a prendere una decisione ufficiale in merito al loro coinvolgimento nella competizione.

La notizia ufficiale pubblicata sul loro sito: https://www.mclaren.com/racing/inside-the-mtc/mclaren-racing-signs-option-formula-e-season-nine-entry/

Questa è la breve storia di uno sport automobilistico innovativo che si impegna a raggiungere nei prossimi anni altri importanti traguardi, in modo tale da contribuire in maniera sempre più evidente alla creazione di futuro migliore per tutti!

La Formula 1 rischia di perdere il suo prestigio?

Di fronte ad alternative più innovative e sostenibili, gli sport automobilistici ai quali siamo abituati, come l’intramontabile Formula 1, rischiano di subire sempre più critiche a causa del mancato impegno in questioni che al giorno d’oggi dovrebbero essere di primaria importanza.

Affermare, per esempio, che tali organizzazioni non cerchino soluzioni alternative per contribuire alla lotta contro il cambiamento climatico è sicuramento estremo.

Un anno fa la stessa Formula 1, sport che ha alle spalle più di 70 anni di storia, ha espresso la volontà di raggiungere degli obiettivi a lungo termine previsti per il 2030.

Gli organizzatori si impegnano infatti a raggiungere, entro il termine stabilito, zero emissioni di carbonio per mezzo dell’utilizzo di carburante sostenibile.

Recentemente la compagnia ha pubblicato in aggiunta un comunicato in cui ha esposto i traguardi raggiunti durante l’ultimo anno, tra cui: la riduzione dell’impronta di carbonio della vettura durante le attività svolte sui circuiti, il miglioramento della logistica dei viaggi compiuti per recarsi verso le mete del campionato e l’utilizzo di energia rinnovabile per tutti i lavori svolti in uffici, strutture e fabbriche.

Gli aggiornamenti completi forniti dalla compagnia accompagnati da nuovi obiettivi: https://corp.formula1.com/formula-1-update-on-sustainability-progress/

Attraverso queste azioni, Formula 1 ha dimostrato serietà e impegno nella formulazione di un piano di sostenibilità efficace che le permetterebbe di continuare a svolgere i propri campionati nel rispetto dell’ambiente.

Nell’ultimo periodo ci siamo resi conto di quanto sia diventato davvero importante cambiare le nostre abitudini e stili di vita per ridurre l’inquinamento e costruire un futuro più sostenibile.

Gli sport automobilistici cercano di dare il proprio contributo in questo processo che dovrebbe coinvolgere tutti, tramite la creazione di piani personalizzati che hanno la finalità di superare molti traguardi legati alla salvaguardia dell’ambiente.

Inoltre, si impegnano a coinvolgere e sensibilizzare i propri tifosi dando il buon esempio e dimostrando che con consapevolezza, senso di responsabilità e molto lavoro è possibile migliorare continuamente.