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Bonus vacanze: soluzione per l’economia italiana o un’ulteriore complicazione?

Dal 1 luglio è possibile fare domanda per ottenere il Bonus vacanze, o Tax credit vacanze, il contributo che potrà permettere a molti italiani di andare in vacanza anche affrontando la crisi economica post-COVID.

Il bonus può essere una giusta soluzione per la ripresa economica italiana: il turismo è un settore preziosissimo per la nostra economia, offre moltissimi posti di lavoro e garantisce notevoli entrate di denaro sia allo Stato che ai privati; uno stimolo strategico per il, sistema Paese.

È un dato di fatto che con l’epidemia, l’Italia rischia di perdere gran parte dei proventi che ogni anno riceve da turisti italiani e stranieri, circa il 13% del PIL nazioanle; secondo una stima iniziale della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media (CNA) il settore turismo potrebbe subire una contrazione dei ricavi del 73%, con una perdita circa di 40 miliardi.

Anche per questa ragione il governo, e in particolare il Ministero per i Beni, le Attività culturali e per il Turismo, ha proposto che il bonus vacanze si possa utilizzare fino alla fine del 2020. Per supportare la misura sono stanziati fondi limitati fino a 2,4 miliardi di euro: una cifra decisamente importante.

Ma come funziona? Come si può usufruire di tale risorsa?

 

Il Bonus vacanze si potrà spendere in strutture turistiche aderenti all’iniziativa come alberghi, campeggi, villaggi e B&b; il contributo sarà diviso in tre categorie, differenti per numero di componenti del nucleo famigliare:

  • Se la famiglia è composta da 3 o più persone potranno godere di 500 euro.
  • I nuclei composti da 2 persone otterranno 300 euro.
  • Le persone singole potranno avere 150 euro.

Il richiedente dovrà avere un ISEE (l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente) inferiore ai 40.000 euro. Il Bonus potrà essere richiesto solo una volta da un componente della famiglia e potrà essere utilizzato da un qualsiasi membro del nucleo famigliare, anche diverso dal richiedente, in un arco di tempo che va dal 1 luglio al 31 dicembre 2020, nelle strutture aderenti all’iniziativa in Italia; non sarà utilizzabile infatti in località e stabilimenti turistici all’estero.

Non si deve fare l’errore di credere che l’ammontare del Tax credit verrà assegnato in toto con la stessa modalità o in denaro effettivo: il bonus sarà infatti diviso in due percentuali, con diverse caratteristiche. L’80% dell’ammontare sarà sotto forma di credito al momento del pagamento presso la struttura turistica, mentre il restante 20% sotto forma di detrazione nella dichiarazione dei redditi dell’anno successivo.

È proprio questo aspetto che ha scatenato molte critiche da parte sia di richiedenti che di operatori turistici. Questi ultimi hanno bisogno di liquidità in questo periodo di estrema crisi e il bonus vacanze rischia di non essere la risposta giusta: l’80% dell’ammontare sarà anticipato proprio dai fornitori del servizio, già in carenza di denaro, che, solo successivamente, potranno poi chiedere il rimborso sotto forma di credito d’imposta, quindi attraverso una riduzione delle imposte da pagare successivamente allo Stato.

Dal punto di vista dei clienti, i dubbi sono per il sistema di prenotazione: per poter sfruttare del bonus, il beneficiario dovrà chiedere direttamente alla struttura ricevente se è disposta ad accettare tale strumento, oppure affidarsi a tour operator o agenzie di viaggi, escludendo però le piattaforme intermediarie di prenotazione, come Booking o Air Bnb.

Per facilitare la ricerca alle persone, Italyhotels offre agli utenti la lista di tutti gli hotel e località turistiche disposte ad accettare il bonus vacanze facenti parte di Federalberghi, organizzazione nazionale che maggiormente rappresenta gli albergatori italiani.

Perché il tax credit venga riconosciuto al momento del pagamento ci sono le seguenti regole standard da seguire:

  • il bonus dovrà essere utilizzato in un’unica soluzione
  • il corrispettivo totale dovrà essere documentato da fattura elettronica o documento commerciale in cui viene indicato il codice fiscale del soggetto che utilizza il credito
  • il pagamento dovrà essere effettuato senza l’utilizzo di intermediari, come piattaforme o portali telematici, diverse da agenzie di viaggio e tour operator.

Dal punto di vista pratico il richiedente ed il fornitore del servizio cosa devono fare?

 

L’utente dovrà scaricare sul proprio smartphone l’app “Io”, messa a disposizione da PagoPa; una volta scaricata l’applicazione si dovrà fare il login attraverso la propria identità SPID, identità digitale attraverso la quale l’utente può godere di determinati servizi offerti dalla Pubblica Amministrazione, o CIE (Carta d’Identità Elettronica) ed attivare la funzione “Bonus vacanze”.

La richiesta sarà poi esaminata da PagoPa, in collaborazione con l’INPS, assicurando che il richiedente soddisfi tutte le condizioni per le quali possa ottenere il Bonus vacanze; nel caso in cui queste venissero a mancare, il richiedente dovrà aggiustare quegli errori che gli vengono fatti notare e ripresentare domanda, con le stesse modalità della precedente.

Nel momento in cui viene accetta la richiesta, verranno inviati dei codici QR ed un codice univoco che dovranno essere utilizzati nel momento in cui il cliente vorrà godere dello sconto; i codici non dovranno essere stampati ma si utilizzeranno online attraverso smartphone o tablet, semplicemente mostrandoli all’hotel o struttura ricevente.

Il fornitore del servizio invece che procedura deve seguire?

Una volta ricevuto il codice dal cliente, applicherà lo sconto al richiedente e dal giorno successivo potrà presentare domanda, attraverso il modello F24 – documento attraverso il quale il contribuente effettua il pagamento di tributi, contributi e premi – per recuperare lo sconto concesso.

Il credito recuperato potrà essere utilizzato in due modi: come detrazione di imposta oppure potrà essere ceduto a banche o enti finanziari, ottenendo liquidità.

Dal momento in cui era possibile richiedere il bonus vacanze, secondo quanto riporta il Mibact in un suo comunicato stampa, sono stati erogati più di 140.000 bonus vacanze per un valore superiore ai 67 milioni di euro; già più di 450 nuclei famigliari lo hanno utilizzato presso le varie strutture turistiche e sembra che molti altri dovranno far domanda.

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Bnb Working Spaces: le case vacanza si trasformano in uffici diffusi

Avevamo cominciato ad abituarci al modello turistico basato su Airbnb: ma sul lavoro, poteva essere importato? Probabilmente la risposta è sì, grazie all’idea dell’ufficio diffuso. Cosa sono? In poche parole: le case vacanza vengono adattate al concetto di intelligenza diffusa negli oggetti e spazi di uso quotidiano e arredate sfruttando la tecnologia per fornire il migliore comfort individuale.

Ma come ha fatto l’ufficio diffuso ad arrivare nelle case?

L’emergenza COVID-19 ha portato molte aziende ad adottare la modalità di lavoro agile (o smart working) che permette ai dipendenti di lavorare in assenza di vincoli orari o spaziali.Tuttavia è diventato sempre più difficile conciliare la vita familiare con quella lavorativa.

La pandemia ha scompaginato ancor di più carte, sconvolgendo il settore turistico e obbligando a rivedere i propri modelli di business.  Piattaforme come Airbnb, ad esempio, ha dovuto prendere decisioni drastiche per affrontare la crisi.

È qui che nasce l’idea di Roberta D’Onofrio per dare nuova vita alle case vacanza di Roma: Bnb Working Spaces.

Questa startup permette agli smart worker di affittare case dotate delle principali attrezzature per garantire un lavoro agile sempre più efficiente.

Tra le dotazioni fornite abbiamo: spazi computer friendly, connessioni Wi-Fi ad alta velocità, sedie ergonomiche e sistemi di self check-in per consentire accessi contactless in totale autonomia e sicurezza.

Il target su cui lavora Bnb Working space sono quei lavoratori che possano muoversi agilmente e abbiano bisogno di un luogo che venga incontro alle sue esigenze lavorative. Nello specifico tra le varie figure professionali segnalate sul sito della piattaforma abbiamo in particolare manager e liberi professionisti, ma ad essere potenzialmente interessanti possono essere anche interi team di lavoro aziendali.

Mercoledì 17 giugno Gianpaolo Vairo (professionista con più di 12 anni di esperienza nel settore dell’ospitalità extra alberghiera) ha intervistato la fondatrice di Bnb Working Spaces durante un webinar di HOST B2B.

Nell’intervista, Roberta D’Onofrio ha descritto com’è nata l’idea della sua piattaforma.

Per spiegarlo si è servita del video che mostra il docente Robert E. Kelly durante un collegamento da casa con la BBC in cui suoi figli irrompono nella stanza.

La D’Onofrio da questo video ha capito che si doveva pensare a un modo per dare ai lavoratori un luogo in cui svolgere la propria professione senza essere interrotti da un evento inaspettato: durante il periodo di quarantena sono molti i fenomeni di videobombing, cioè l’apparizione di individui che non sarebbero dovuti essere parte del video. Bnb Working Spaces non solo salva le entrate delle case vacanza ma anche gli smart workers da eventi particolarmente divertenti tuttavia spiacevoli per i diretti interessati.

Ma Airbnb potrebbe prendere spunto da questa idea e tagliare fuori la D’Onofrio?

Secondo la fondatrice la chiave contro la possibile concorrenza è la qualità.

Prevede in futuro di creare un network in cui rimarrà in collaborazione con i migliori nel settore dell’arredamento tech e dell’organizzazione di video conference.

Ultimamente le sono anche arrivate richieste di case per vivere e non per lavorare. La D’Onofrio vede qui l’opportunità di allargare il target della sua offerta.

L’idea sembra buona: e voi, siete pronti per andare in vacanza per… lavorare?

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Ambiente, società e tecnologia

Qual è lo stato del settore vinicolo nel post COVID-19?

L’Italia è il paese che possiede la produzione vinicola più ampia e diversificata del mondo, grazie ai differenti climi e ai diversi terreni che la compongono. Non a caso, i primi ad apprezzare gli aromi e i sapori del vino sono gli stessi abitanti del “Bel Paese”.

Durante il lockdown, gli italiani sono stati costretti a restare tra le mura domestiche, ma non per questo hanno rinunciato alla “vita sociale”. Gli aperitivi virtuali hanno aperto una breccia nel cuore di molte persone che si sono ritrovate con un calice in mano, davanti a un PC a trascorrere il tempo con i propri amici, scoprendo che basta una buona connessione internet per coprire le distanze che ci separano.

Secondo i dati IRI nei primi 3 mesi e mezzo del 2020 le vendite di vino nella GDO (grande distribuzione organizzata) sono aumentate del 7,9% rispetto al 2019, con una preferenza per le etichette DOC e IGT. L’aumento nelle vendite di vino tra i privati va però accostato ad un minor, se non nullo, consumo del vino fuori casa: di conseguenza bisognerà aspettare la fine dell’anno per capire esattamente quanto la pandemia abbia inciso sull’economia del settore vinicolo.

Le difficoltà di un periodo come questo non hanno però fermato le idee e la voglia di puntare sempre più in alto, sia fra le aziende vinicole sia fra chi ha pensato a sviluppare strumenti per godersi al meglio l’esperienza di consumo.

Un caso interessante arriva dalla provincia di Bari, e precisamente dalla cantina Colli della Murgia è riuscita a dare un valore aggiunto ai propri prodotti attraverso l’utilizzo di un chatbot. Sfruttando l’intelligenza artificiale, la cantina pugliese fa in modo che il suo vino non solo respiri, ma addirittura parli. Il consumatore potrà inquadrare il QR code presente sull’etichetta della bottiglia per poter iniziare una conversazione con un assistente virtuale che sarà in grado di fornirgli informazioni sull’iter di produzione del vino che sta sorseggiando, consigliare abbinamenti gastronomici e permettere di prenotare delle degustazioni ad hoc.

Non tutti i vini riescono però a parlare da sé.

Un aiuto arriva dai wine influencer, sempre più richiesti nel settore per la loro capacità di arrivare ai più giovani. Grazie al clima di fiducia che si instaura nella community, il follower tende a vedere sotto una luce positiva il brand sponsorizzato. La peculiarità del wine influencer, e ciò che lo distingue da un sommelier è la capacità di saper parlare in modo semplice a tutti gli utenti, creando così una comfort zone in cui anche i non esperti possano farne parte.

Per chi invece non ha uno spiccato lato social ma tende comunque ad essere digitale è stata creata l’app Combivino, scaricabile su dispositivi Android e iOS, in grado di abbinare vini e cibo in maniera corretta e divertente.

Grazie ad un’ampia selezione di etichette, divise in 6 categorie e 45 tipologie, l’applicazione riesce a sposare un vino non solo ad un determinato piatto ma a tutto un menù grazie alla sezione “Abbinamento Multiportata”.  Se invece si preferisce organizzare una serata alternativa si può sfruttare la “Opzione Degustazione” che mostrerà il corretto ordine di degustare più vini partendo dal nostro preferito.

Grazie ad una sempre maggior sensibilizzazione ambientale ed alla ricerca verso lo sviluppo sostenibile è nata nel Regno Unito, dalla società Frugalpac, il primo packaging per vino composto al 94% da carta riciclata.  Con un peso di 83g e una capacità di 75 cl la Frugal Bottle è in grado di  mantenere fresco il vino più a lungo di una normale bottiglia in vetro.

In Italia la Cantina Goccia è stata la prima ad adottarla per imbottigliare il suo vino 3Q, un blend di Sangiovese, Merlot e Cabernet Sauvignon. Attualmente è acquistabile solo online ma in un prossimo futuro potrebbe essere comune trovare vini con un packaging simile nel commercio al dettaglio.

Il vino italiano è tra i più amati sul mercato e la ricerca dell’innovazione è un tassello importante nel valorizzarne appieno la qualità e diversità per poter fare la differenza sul mercato globale: anche -e soprattutto- in un periodo di crisi.

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Ambiente, società e tecnologia

Urban Mask: la mascherina intelligente della startup milanese Narvalo

Sareste interessati a una mascherina che vi protegge non solo da un virus come il COVID-19 ma anche da batteri, inquinamento e agenti allergeni?

Se la risposta è sì è in arrivo una nuova mascherina intelligente, che farà al caso vostro: è la Urban Mask del progetto Narvalo e sarà disponibile dal 10 luglio con annesse funzionalità smart.

L’idea nasce dalla mente del giovane designer Ewoud Westerduin del Politecnico di Milano. Il primo collaboratore è il suo relatore Venanzio Arquilla che attualmente ricopre la posizione di Co-founder e President. All’interno del team abbiamo anche Costantino Russo nella posizione di CEO.

L’idea di Westerduin risulta essere così interessante che nel novembre del 2018 viene incubata da POLIHUB attraverso il programma Switch2Product mentre ad aprile 2019 viene selezionata come “talent in residence” in POLIFACTORY.

 

Prima dell’emergenza COVID-19 la startup Narvalo era partita dalla progettazione di una mascherina anti-smog di cui aveva preventivato il test per i primi 50 esemplari dal 24 gennaio 2020. I filtri di queste mascherine sono stati progettati insieme a BLS, azienda boutique milanese specializzata nella progettazione e produzione di maschere e dispositivi di protezione delle vie respiratorie.

Al momento del test la mascherina della startup Narvalo presentava già le seguenti caratteristiche: tessuto 3D, valvola di espirazione che massimizza il deflusso dell’aria evitando l’accumulo di calore e l’umidità, filtri sostituibili della durata di un mese e idrorepellenza della parte esterna del filtro.

Il sistema filtrante ha garanzia BLS e il filtro è composto da 5 strati che bloccano virus, batteri, polveri e odori in quanto uno degli strati contiene carbone attivo. La protezione garantita è infatti pari al 99,9% contro tutti i nemici invisibili dell’aria e risulta quindi più efficace di una FFP3.

Il claim di Narvalo è Air of Change, una promessa verso la sostenibilità e contro l’ inquinamento caratterizzata da un modello di business improntato sull’economia circolare attraverso il riutilizzo dei filtri esausti.

L’emergenza COVID-19 ha portato Narvalo a implementare nella sua mascherina, oltre alle già citate caratteristiche, un tappo “anti-Covid” che blocca la fuoriuscita di goccioline anche durante l’espirazione e si può rimuovere quando non necessario. Inoltre la parte di sviluppo si è evoluta al punto da permettere la versione IoT della Urban Mask che prevede l’uso di un app; grazie al dialogo tra app e mascherina è possibile monitorare non solo chi la indossa ma anche l’ambiente circostante in modo da creare un ecosistema connesso.

Nella vision di questa startup c’è l’intento di formare una mobile community di Narvalo’s people: persone che indossando la mascherina monitorano l’ambiente, avendo cura di se stessi e per il prossimo.

Chi indossa questa mascherina diventa quindi consapevole dei propri comportamenti e di quelli degli altri: essere Narvali significa acquisire la possibilità di cambiare il mondo in meglio.

Siete pronti a diventarlo anche voi?

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Ambiente, società e tecnologia

Le parole dell’Europa: una mini guida per muoversi fra le scelte dell’UE

Negli ultimi mesi si è discusso molto di come l’Europa potrebbe superare la crisi finanziaria post Coronavirus: fin da subito è stato chiaro che sarebbe stato necessario adottare misure precauzionali al fine di limitare i danni economici e finanziari che gravano sulle economie europee, con l’obiettivo di preparare l’Unione al meglio una ripresa che si speri il più rapida possibile.

Da quanto emerge dalle riunioni della Commissione Europea non si è ancora raggiunto un accordo, ma si sono messe in tavola differenti opzioni: il MES, o Meccanismo Europeo di Stabilità, i Coronabond (o Eurobond, molto richiesti dall’Italia) e infine il Recovery Fund.

È però necessario fare chiarezza su cosa sono questi strumenti e come possono essere utilizzati dai vari Stati Membri per poter affrontare questa crisi.

Perché c’è stato bisogno di un fondo salva-Stati?

 

La storia dell’UE è piena di esempi dove Stati Membri si sono trovati in crisi economica.

Gli Stati dell’Unione non potevano agire in loro soccorso (secondo quanto riporta l’art. 123 dei Trattati), in quanto un Paese che avrebbe ricevuto un aiuto economico sarebbe poi stato obbligato a prestare protezione a quel Paese che inizialmente gli aveva prestato aiuto, creando cosi una rete di vincoli che nell’Unione non devono esserci.

Per ovviare al problema, è stato creato un fondo temporaneo diventato nel luglio del 2012 permanente: il MES, un’organizzazione internazionale nata come fondo finanziario europeo che si propone di mantenere la stabilità finanziaria della zona Euro. Ad oggi conta una capacità di oltre 650 miliardi di euro e ha sede in Lussemburgo. La sua gestione è affidata a un Consiglio di Governatori costituito dai ministri delle finanze dell’UE, un consiglio di Amministrazione nominato proprio dai Governatori, un Direttore Generale e due osservatori.

Utilizzato più volte per soccorrere paesi come Portogallo, Grecia, Spagna o Cipro, ha scatenato molte polemiche tra economisti e politici per la sua regolamentazione: gli impegni previsti dal dispositivo sono molto rigidi sia dal punto di vista economico che politico per lo Stato che ne intende beneficiare. Chi riceve i prestiti è obbligato ad approvare un memorandum -un programma- che definisce con stretta precisione quali misure dovrà rispettare e quali obiettivi raggiungere, come ad esempio i tagli al debito pubblico.

Come funziona e chi lo gestisce?

 

L’assistenza sarà fornita solo successivamente ad un iter che lo Stato in difficoltà dovrà seguire:

  1. Lo stato dell’UE che necessita di aiuto, deve, insieme alla Commissione e alla Banca centrale europea, valutare il suo fabbisogno finanziario.
  2. Sottoporre alla Commissione una bozza, in cui si espone il proprio programma economico-finanziario di aggiustamento.
  3. Nel caso in cui venga accettata la richiesta, la linea di credito dovrà essere accompagnata da tali informazioni: le modalità dell’assistenza finanziaria, le condizioni generali di politica economica, legate all’assistenza finanziaria UE, alle quali lo Stato dovrà attenersi ed infine l’approvazione del programma di aggiustamento predisposto dal paese destinatario.
  4. La Commissione verifica poi a scadenze regolari che la politica economica del paese beneficiario sia conforme con il programma di aggiustamento presentato ed alle condizioni stabilite dal Consiglio, così da poter continuare ad erogare l’aiuto finanziario.

Come verrà impiegato?

 
Il MES era e rimane tutt’ora l’organizzazione più simile ad un “prestatore di ultima istanza”, con l’obiettivo di soccorrere i paesi in difficoltà finanziaria. La pandemia ha obbligato a rivederne l’applicazione con un fondamentale criterio di novità: la sua adozione è senza condizioni.

Con la nuova riforma questo ruolo sarà più semplificato, infatti il fondo assumerà la funzione di backstop (paracadute finale): nel momento in cui una o più banche dovessero trovarsi in situazioni di estrema difficoltà, il MES agirà da garante stanziando 70 miliardi sotto forma di linea di credito; un’ulteriore novità è l’introduzione di un percorso semplificato per poter godere dei finanziamenti del Meccanismo. Parliamo però di una riforma non ancora approvata: la votazione è stata posticipata per dare priorità alle problematiche date dalla pandemia.

Cos’è il Recovery Fund?

 

Il Recovery Fund è un fondo di recupero richiesto fortemente dagli stati del Sud Europa, per cercare di limitare al massimo i danni creati da questa pandemia.

La prima proposta sul fondo, avanzata da Francia e Germania, si basava su concessioni esclusivamente a fondo perduto; successivamente è stato poi presentato dalla Commissione Europea un ulteriore progetto che prevedeva sia finanziamenti che concessioni a fondo perduto.

Come Funziona il Recovery Fund?

 

Con la proposta dei francesi, il Recovery Fund aveva il compito di emettere Recovery Bond, quindi titoli di debito pubblico Europeo garantiti dagli stessi bilanci UE, cosi da poter condividere il debito e il rischio senza dover affrontare una vera mutualizzazione.

Cos’è un titolo di debito pubblico, obbligazione o bond?

 

Il titolo di debito pubblico è un prestito che gli investitori, quindi imprese e famiglie, danno allo Stato per un determinato periodo di tempo, al termine del quale otterranno indietro il capitale prestato maggiorato degli interessi. Quindi è un prestito a favore dello stato, che assumerà quindi l’obbligo (“o l’obbligazione”) di restituire tale somma ottenuta maggiorata degli interessi maturati nel tempo.

Quanti fondi saranno a disposizione e in che forme?

 

750 miliardi di euro: 500 saranno distribuiti come sovvenzioni, quindi contributi finanziari a fondo perduto (che non prevedono ne la restituzione dei capitali, ne degli interessi), e 250 come prestiti agevolati.

La differenza tra prestiti e sovvenzioni è in merito alla restituzione dei capitali ottenuti: le sovvenzioni dovranno essere ripagate da tutti gli Stati, indipendentemente da quanto e se ne avranno ricevuto una parte; i prestiti invece dovranno essere restituiti applicando tassi di interesse bassi solo da coloro che ne usufruiranno entro il 2058, anno in cui dovranno essere restituiti.

Chi potrà beneficiare del Recovery fund?

 

I 750 miliardi verranno ripartiti tra i vari Stati in base alle necessità di ciascuno Stato, infatti l’Italia sarà il maggior beneficiario ottenendo 172,7 miliardi di euro: 81,8 miliardi saranno sotto forma di sovvenzioni e 90,9 miliardi come prestito agevolato. Dopo l’Italia c’è la Spagna con 140,4 miliardi totali, la Polonia e successivamente la Francia.

E gli Eurobond, cosa sono?

 

Non è la prima volta che gli Eurobond entrano nelle discussioni della Comunità Europea: erano già stati proposti nel 2011/12 durante la crisi dell’Eurozona, ma bocciati dalla forte opposizione della Germania e dei suoi alleati per gli stessi motivi che ne bloccano tutt’ora l’applicazione.

Gli Eurobond sono un altro strumento finanziario che permetterebbe agli Stati UE di poter condividere il debito: ha incontrato forti resistenze dalla Germania e dagli Stati del Nord, in quanto questi ultimi hanno bilanci e conti in ordine, quindi senza debito pubblico, cosa che non li accumuna ai Paesi del Sud; la preoccupazione è che attraverso questo strumento, si possano condividere i debiti con l’Europa, rischiando di squilibrare anche i conti degli altri Stati membri.

I Coronabond, fortemente richiesti durante le trattative per superare la crisi post-COVID, sono obbligazioni del tutto simili agli Eurobond che nascono espressamente per far fronte alle spese legate alla pandemia. Questi bond potrebbero essere emessi o da un’istituzione europea o da un singolo Paese Membro.

 Differenza tra Coronabond e Recovery Bond?

 

Si può pensare che i due strumenti siano uguali: sono titoli di debito pubblico europeo entrambi, emessi per fronteggiare la crisi post Coronavirus e danno interessi a coloro che prestano i loro soldi all’UE.

La sostanziale differenza tra queste due soluzioni riguarda il modo in cui il debito è condiviso tra i vari membri dell’Unione: scegliendo il Coronabond uno Stato condivide tutti i propri debiti contratti precedentemente con gli altri Stati (ad esempio spese per l’innovazione) mentre con i Recovery Bond -che ricordiamo, sono i bond emessi dal Recovery Fund- i debiti condivisi con gli altri Stati Membri saranno solo quelli contratti nel periodo post pandemia: un bel danno per i Paesi più indebitati.

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Piccola guida all’app Immuni

Dal 15 giugno è definitivamente disponibile l’app Immuni, lo strumento scelto dalle istituzioni italiane per gestire il contact tracing e contrastare così l’epidemia da COVID-19.

Scaricare l’app è semplice e gratuito: l’installazione dura pochi secondi e non richiede l’inserimento di dati personali.

L’utilizzo non è obbligatorio ma fortemente consigliato, anche se ad oggi non tutti i telefoni sono abilitati a scaricare l’app: l’applicazione funziona solamente su sistemi operativi Android 6 o Ios 13.5 e seguenti, perché opera grazie a un aggiornamento della tecnologia Bluetooth che Google e Apple hanno dovuto apportare per permettere proprio la tracciabilità “anonima”.

Il rischio è quindi che vengano tagliati fuori dalla possibilità di scaricare l’app e quindi di tracciare eventuali contagi le fasce della popolazione più basse, come anziani e indigenti, che generalmente non posseggono smartphone aggiornati.

Le strutture sanitarie, nel caso in cui un utente dovesse risultare positivo al Covid.19, inseriranno in un database il codice anonimo agganciato all’app; in questo modo, sarà Immuni a inviare una notifica agli altri utenti entrati in contatto nei 14 giorni precedenti con il soggetto risultato positivo.

Lo sviluppo dell’app Immuni

Il compito di sviluppare materialmente l’app è stato affidato alla società italiana Bending Spoons, in collaborazione con il Centro medico Sant’Agostino.

Per lo sviluppo, l’azienda milanese ha avuto due alternative: utilizzare un sistema decentralizzato (il quale permette al server di immagazzinare solo i codici anonimi dei device risultati positivi), come avviene in moltissimi paesi europei, oppure optare per un sistema centralizzato, che si differenzia da quello decentralizzato per la raccolta sul server centrale di codici identificativi non solo dei soggetti risultati positivi, ma anche dei loro contatti.

La scelta è ricaduta sul sistema decentralizzato, ritenuto più sicuro per la tutela della privacy degli utenti.

Privacy e gestione dei dati

Il Ministro dell’Innovazione tecnologica ha spiegato che Bending Spoons non gestirà i dati personali degli utenti né avrà alcun ruolo attivo nel processo di conservazione degli stessi, ma fornisce esclusivamente i codici sorgente: tutte le informazioni degli utenti saranno gestiti da un soggetto pubblico – il Ministero della Salute -, e raccolti da Sogei, società completamente controllata dal Ministero di Economia e Finanze.

I dati verranno trattati fino al 31 dicembre 2020, e gli utenti potranno chiederne la cancellazione anticipata in qualsiasi momento. Ancora non è certo però cosa accadrà se la situazione di emergenza dovesse perdurare oltre questa data.

L’obiettivo

Già nel primo giorno di lancio si sono raggiunti i 500.000 download: oggi sono circa 2 milioni i device tracciati da Immuni. Se il trend rimarrà questo, l’app sarà abbastanza diffusa da garantire una copertura sufficiente per contrastare l’epidemia.

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Lo stato dell’arte dell’agricoltura 4.0: da trend a necessità per uscire dalla crisi

Come sta evolvendo l’agricoltura?

È una domanda che ci si potrebbe porre, a maggior ragione osservando come tutti i settori produttivi stiano cambiando, secondo una logica incentrata su metodologia Agile, ampio impiego dei dati e digitalizzazione spinta.

Il settore primario non fa eccezione, anzi: si parla proprio di agricoltura 4.0 per indicare l’impiego di nuove tecnologie per innovare i processi di coltivazione e il conseguente miglioramento dello stato dei lavoratori.

La ricerca condotta dall’Osservatorio Smart Agrifood nel 2017 ha offerto un quadro chiaro della situazione  dell’innovazione in agricoltura. L’Osservatorio ha individuato più di 220 soluzioni nel campo dell’agricoltura 4.0 offerte da più di 70 aziende. Alcune di queste soluzioni sfruttano i Big Data Analytics, altre i sistemi software di elaborazione e dell’interfaccia utente e altre ancora l’Internet of Things.

Una ricerca che, pur datata, dimostra come già tre anni fa le aziende puntassero sull’innovazione per il settore agricolo.

La pandemia ha accelerato il processo: un recente studio condotto dalla banca Monte dei Paschi di Siena e SWG, individua l’agricoltura 4.0 come essenziale per una rapida ripresa dalla crisi del settore agricolo innescata dall’emergenza COVID-19.

I punti chiave sono sempre l’innovazione e la sostenibilità, ritenuti entrambi importanti dalla maggioranza delle imprese: l’innovazione da opzione diventa un driver per crescita e sviluppo e di questo ne sono convinti l’85 % degli imprenditori. Inoltre il 76% dei produttori ritiene che l’investire nell’innovazione possa accelerare l’uscita dalla crisi.

Tra i principali fattori che concretizzano l’agricoltura 4.0 abbiamo banda larga, energie rinnovabili, sensoristica, piattaforme digitali e strumenti per magazzini intelligenti.

Dalla ricerca di MPS e SWG risulta inoltre che sono circa l’85% gli imprenditori che ritengono la sostenibilità dei modelli di produzione essenziale in vista del superamento dell’attuale crisi: questa comprende sia l’attenzione nel ridurre l’impatto sull’ambiente sia il rispetto dei diritti dei lavoratori. Un trend di cui tener da conto e che può diventare traino per nuove formule sempre più innovative di organizzazione e produzione agricola: in questo senso è interessante il progetto lanciato da OfficineMps, il laboratorio permanente di Banca Monte dei Paschi di Siena: un contest sull’agroalimentare per cercare di creare un’unione tra il settore agrifood e l’innovazione.

Insomma, i dati ci mostrano come ci sia una presa di coscienza e una rinnovata consapevolezza da parte delle imprese nell’orientarsi sempre di più verso un modello di produzione green 4.0.

Non resta che augurarci un’agricoltura sempre più innovativa e sostenibile possa anche essere un fattore di competitività aggiunta per uscire dalla crisi economica che si sta affacciando sull’Europa (e conseguentemente, sull’Italia).

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L’UE e il tortuoso percorso per fronteggiare l’emergenza Covid-19

Da febbraio la pandemia del Covid-19 e la successiva crisi economico-sanitaria hanno colpito -e stanno tutt’ora colpendo- anche se in misure differenti tutti i paesi dell’Unione Europea.

Le istituzioni comunitarie stanno mettendo a punto diverse manovre per contrastare la diffusione del virus e stimolare la ripresa economico-sociale degli stati membri, fra cui ovviamente l’Italia.

Sotto il profilo sanitario e di ricerca le iniziative sono tantissime: il principale obiettivo della Commissione Europea è fornire un costante supporto ai sistemi sanitari nazionali: a marzo l’organo esecutivo guidato da Ursula von der Leyen ha dichiarato di sostenere lo sviluppo di un vaccino attraverso l’operato della società CureVac. Sono stati investiti 137,5 milioni di euro a sostegno della ricerca che si sommano a 164 milioni per finanziare startup e imprese tecnologiche che siano intenzionate a sviluppare metodi innovativi per contrastare il virus.

I provvedimenti economici sono quelli che hanno maggiormente lasciato adito a critiche e discussioni, mettendo a rischio per un momento la credibilità della stessa Unione: alcuni stati, soprattutto nel periodo più critico, hanno recriminato a proposito del deficit di aiuti da parte delle istituzioni dell’Unione. La proposta del piano “Next Generation Eu”, presentato ufficialmente dalla presidente Ursula Von Der Leyen il 27 maggio 2020, ha sanato un po’ la situazione limitando le polemiche.

Il piano, riconducibile a tutti gli effetti al meccanismo di Recovery Fund, è l’ultimo e forse più efficace step del lungo percorso avviato dall’Europa per mitigare gli effetti letali del virus verso le economie continentali.

La manovra, che dovrà prima essere approvata, ha il valore 750 miliardi di euro di cui si stima circa 173 miliardi saranno destinati all’Italia.

La parte più innovativa consiste nel fatto che la Commissione sta progettando nuove forme di pagamento attraverso cui i paesi coinvolti possono risanare il debito. La presidente della Commissione ha ipotizzato tasse che potrebbero essere imposte ai giganti del mondo digitale e legate alla sostenibilità ambientale, come una imposta sulle emissioni di CO2.

Prima del Recovery Fund sono state già approvate una serie di misure volte ad aiutare l’Italia e gli altri paesi membri dell’Unione che si trovano in difficoltà, tra cui lo stop del patto di stabilità e il “Pandemic Emergency Purchase Programme ” istituito dalla Banca Centrale Europea a fine marzo.

Nel nostro paese ci sono state tuttavia una serie di polemiche e opinioni discordanti riguardo alla proposta di creare una nuova linea di credito del MES, presentata e approvata il 23 aprile scorso dalla Commissione Europea. Le prese di posizione contrarie al MES derivano dall’idea che, per usufruire dei finanziamenti, i paesi membri abbiano l’obbligo di sottostare a rigide condizioni tra cui la sorveglianza rafforzata. Ciononostante nei primi giorni del mese di maggio, l’Eurogruppo è riuscito a trovare un accordo in grado di rendere il MES uno strumento più idoneo a questo periodo di crisi economico-sanitaria: ogni stato potrà usufruire di prestiti a tassi agevolati e l’unica condizione a cui dovrà sottostare è destinare i soldi derivanti dal MES unicamente a spese sanitarie. È stato poi concordato che gli stati membri possono ricevere finanziamenti fino al 2% del proprio PIL.

I partiti politici italiani restano distanti rispetto all’accettare o meno gli aiuti europei, e anche a livello europeo ci sarà molto da fare per trovare una quadra rispetto alle tante idee che si stanno discutendo. Il lavoro della Commissione sembra comunque già a buon punto, e la sensazione è che l’Europa possa fronteggiare finalmente in maniera unitaria la crisi economica che prepotentemente si sta affacciando.

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Ambiente, società e tecnologia

Il futuro della formazione? Passa (anche) dall’Edutainment

La digitalizzazione ha portato ad un profondo cambiamento nel mondo dell’educazione, favorendo l’apprendimento ovunque ed in qualsiasi momento. Non si tratta solo di un miglioramento dell’erogazione di corsi online, bensì di un’evoluzione del modo di apprendere attraverso il coinvolgimento attivo dei soggetti.

Si parla in questi casi di Edutainment, cioè l’imparare divertendosi attraverso attività divertenti e coinvolgenti come videogiochi, programmi TV o software multimediali.

Un fenomeno molto in crescita: il mercato dell’edutainment raggiungerà un CAGR (Compound Annual Growth Rate) del 16,1% tra il 2018 e il 2028 arrivando a toccare i 11.348,9 milioni di dollari in termini di entrate. Non è un caso che le aziende si siano aperte a queste formule, a maggior ragione durante la pandemia, in cui si è dovuto completamente riconfigurare il paradigma della formazione.

Gli esempi interessanti non mancano anche nel nostro Paese.

Attraverso i canali social e il sito web, ad esempio Gardaland propone diverse attività per i più piccoli: si passa dai video tutorial per imparare a disegnare la mascotte Prezzemolo e le diverse specie di pesci del SEA LIFE ai quiz per scoprire curiosità sugli animali che i bimbi hanno imparato a disegnare.

Arriva invece da Matera l’idea di una piattaforma online gratuita e sicura, “l’Accademia degli Stracuriosi”, che attraverso il linguaggio video-teatrale, digitale e il linguaggio del gioco riesce a parlare ai più piccoli e accendere la loro curiosità. La piattaforma ha lo scopo di introdurre i bambini, in modo semplice, a temi e discipline più svariati attraverso otto diversi giochi che puntano a stimolare i giovani in diversi modi, usando il movimento del corpo, i numeri, le parole o le forme.

Una nuova piattaforma basata sui principi di Edutainment è “H-FarmPlus”, la quale avrebbe dovuto debuttare a settembre 2020, ma causa lockdown ha deciso di rendere fruibili i propri contenuti prima del previsto.

Il suo catalogo è ricco di contenuti originali tra cui video tutorial in cui gli educatori spiegano l’elettronica creativa, la robotica e il tinkerin (cioè l’imparare svolgendo una specifica attività: il termine indica in particolare gli aspiranti maker) utilizzando oggetti di uso comune. La piattaforma H-FarmPlus comprende nel suo catalogo anche eventi, webinar, talk e open day dedicati ad un pubblico più maturo.

Discostandoci dallo scenario italiano e andando oltre i nostri confini, e precisamente negli Stati Uniti, è nato a Seattle dall’idea di un professore di geografia il progetto “Zombie Based Learning” basato sulla gamification.

Gli studenti dovranno essere in grado di sfuggire ad un’apocalisse zombie e costruire una nuova civiltà attraverso conoscenze, sia basilari che avanzate, di sociologia, economia e geografia

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Entertainment, videogame e contenuti

Non chiamateli videogames: a che punto è il settore degli eSports

Durante il periodo del lockdown, in assenza di altri eventi sportivi, a prendersi la copertina sono stati i “fratelli minori” o, per meglio dire, “elettronici”: gli eSports o “Sport Elettronici”, cioè le competizioni fra giocatori professionisti di videogame.

Per molti sembrerebbe un hobby qualunque, e invece stiamo parlando di un mondo molto più articolato (e remunerato) di quel che si pensi: basti pensare ai ricavi generati a livello mondo, pari a 950 milioni di dollari.

Un giro d’affari esorbitante, se si considera che stiamo parlando, comunque, sempre di videogiochi.

Sarà, anche se i “videogame” sono un ecosistema sempre più articolato dove agiscono giocatori professionisti, squadre, sponsor, piattaforme di streaming, eventi dal vivo… Un vero e proprio movimento, paragonabile per intenderci al mondo del Calcio, in cui attorno ai giocatori ruota un’intera galassia che genera fatturato: diritti televisivi, merchandising, eventi.

I dati che citavamo su ce lo confermano: il mondo degli eSports è in rapida espansione. Secondo l’ultimo rapporto di Newzoo, i ricavi supereranno gli 1,1 miliardi di dollari nel 2020, con una crescita del +15,1% rispetto all’anno precedente.

A fare da Paesi capofila del movimento sono Cina e Corea del Sud, dove il settore si può dire essere più sviluppato: sul mercato cinese troviamo infatti team come i TSM, squadra con ricavi annui sui 29 milioni di dollari ed un valore societario di 400 milioni, che nel 2019 ha generato ricavi pari a 326,2 milioni di dollari.

Anche in Italia sono presenti team che negli ultimi anni si sono strutturati, sia in termini di organizzazione e strutture che sul fronte dei ricavi.

Tra i più importanti possiamo menzionare Qlash Italia, squadra attiva sui principali titoli (Fifa, League of Legends, Fortnite, Rainbow Six: Siege…) con ricavi nel solo 2019 pari a 512 mila di euro e un valore societario di 3 milioni di euro.

Altre realtà presenti in Italia sono Mkers, Outplayed, Samsung Morning Stars, Exeed, Nl Esport, Campus Party Spark e Hsl Esport.

Ultime arrivate, ma non per questo meno importanti, sono le società di calcio che hanno creato il proprio team eSport: i “pionieri” in questo settore sono Sampdoria, Empoli, Genoa e più recentemente Inter, Roma , Atalanta e Juventus.

Dati questi numeri, non è strano prevedere un futuro roseo: gli analisti si attendono guadagni pari a 1,5 miliardi di dollari entro il 2023.

Nei prossimi anni sarà interessante monitorare la crescita di questo settore soprattutto in italia, paese che fino ad ora è stato tra gli ultimi a svilupparsi nel panorama Esports.

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Marketing & Social Media

TikTok si apre agli inserzionisti (e le aziende si preparano)

Fino a un anno fa chiedere cosa fosse TikTok a qualcuno che avesse superato gli anni dell’adolescenza non poteva che condurre a un silenzio imbarazzato.
Oggi l’app cinese di microvideo è invece sulla bocca di tutti: con più di 800 milioni di utenti attivi (in continua crescita), possiamo dire anzi che sia il nuovo fenomeno social.
La pandemia non sembra aver impattato su questo percorso di crescita: il boom dei download (e il conseguente aumento di valore) è stato continuo.

Visto il successo ottenuto, era solo questione di tempo che le aziende cominciassero a chiedersi come sfruttare il network che abita il colosso di ByteDance. Per questa ragione, TikTok ha cominciato a studiare come perfezionare il proprio sistema di advertising, aprendosi agli inserzionisti.

TikTok: ads tra limiti e potenzialità

Di recente si è sentito parlare di recessione pubblicitaria e della necessità di provare nuove strategie, tipi di contenuto e di target. TikTok è certamente una delle strade più promettenti per il suo DNA innovativo: la piattaforma di mini-video si avvicina all’ideale di “Marketing umanistico” incentrato sul contenuto e sulla fiducia, e proprio per questo in grado di raggiungere un pubblico sempre più eterogeneo (anche se il vero Eldorado della piattaforma sta nell’utenza riconducibile alla Generazione Z, i consumatori di domani, che corrispondono anche alla maggior parte dei suoi utilizzatori).

Al momento però non è semplicissimo investire su TikTok: essendo il sistema in fase di testing, l’accesso per l’Europa è riservato a pochi fortunati che sono stati invitati.

In secondo luogo, il costo. Per essere efficaci, le campagne adv sulla piattaforma cinese richiederanno un vasto budget a disposizione: la tariffa minima sembra essere 20 euro al giorno per la pubblicità day by day (con risultati se si desume essere decisamente contenuti), mentre per lo strategie a lungo termine l’investimento minimo sarà di 500 euro.
Insomma, ben diverso dalle formule a costo irrisorio messe a disposizione da GoogleAds o Facebook.

Altre barriere che sembrano esserci sono la rigidità dei criteri dell’app per approvare una campagna pubblicitaria (ancora da capire limiti e opportunità) e l’ambiguo algoritmo del feed, che presenta meccaniche un po’ discutibili: sembra infatti che TikTok promuova tutto ciò che è coinvolgente, virale, conducendo gli utenti verso i cosiddetti “loops” in cui lo stesso video viene visto e rivisto più volte.

L’unica certezza sta nel come dovrà essere confezionato il contenuto: i video sponsorizzati dovranno essere originali, accattivanti, efficaci, brevi, ma soprattutto coerenti con lo spirito della piattaforma.

Per questo gli inserzionisti sono incoraggiati a mettere in campo tutta la loro creatività, a informarsi sui trend del momento e ad adattarli alla loro comunicazione.  Un lavoro molto più complesso e forse difficile per i brand poco conosciuti e affermati, o che possiedono un’immagine molto distante dall’ecosistema di TikTok.

I brand che ce l’hanno fatta

Sul blog ufficiale della piattaforma è presente una sezione #Inspiration dove vengono postati i case studies dei brand che hanno realizzato le campagne più efficaci fino ad ora: i più interessanti da segnalare Mercedes, Balenciaga, ma anche una curiosa marca di deodoranti russa.

Casi utili da analizzare per tutti i marketers che decideranno di tentare l’impresa e tuffarsi nel mondo delle inserzioni su TikTok. I risultati si prospettano essere più che buoni: in fondo perché ignorare questa opportunità?

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Entertainment, videogame e contenuti

Il COVID-19 e la (ri)scoperta del Social per i Comuni d’Italia

Il Coronavirus ha stravolto il nostro modo di relazionarci, costringendo anche i comuni italiani a fare i conti con la sfida (in ballo da anni) di interagire in modo diretto con il cittadino tramite la Rete.

Il comune è la realtà amministrativa più prossima alla gente; tanto basta a giustificare la crescente attenzione che negli ultimi anni è stata posta sulla necessità di sfruttare i social network per aprire le istituzioni locali al mondo esterno.

Come spesso accade, tuttavia, il desiderio di cambiamento si è scontrato con la lentezza legislativa che fatica a stare al passo con i tempi.

Risale, infatti, all’inizio del nuovo millennio la legge a cui si fa tuttora riferimento in materia di disciplina delle attività di informazione e comunicazione delle PA (Legge 150/2000), nonostante all’epoca gli unici strumenti digitali disponibili fossero i siti web.

Il progresso, però, non attende: apre la strada.

Un’applicazione che ha precorso i tempi in questo senso è “Comuni-Chiamo”. Rilasciata nel 2012 e ad oggi adottata in 107 comuni di diverse dimensioni, si offre come spazio dedicato all’amministrazione comunale e ai relativi cittadini per scambiarsi comunicazioni ed avvisi, pubblicizzare eventi e informare sul lavoro dell’amministrazione stessa. Inoltre, con “Comuni-Chiamo Connect”, dal 2017 i cittadini possono condividere contenuti sulla pagina Facebook del proprio comune, collegando il loro profilo personale e ricreando così una community di cui sentirsi parte.

È sempre in quest’ottica di apertura al cambiamento che è nata la collaborazione tra PA Social (la prima associazione italiana dedicata allo sviluppo di una nuova comunicazione per le PA), ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e Facebook, con l’obiettivo di formare gratuitamente Social Media Manager e portavoce dei Comuni della Penisola.

Volendo illustrare le strategie comunicative da utilizzare sulle piattaforme social, il progetto, inaugurato a novembre 2019, è stato opportunamente riadattato al formato digitale e reindirizzato sulla tematica della corretta comunicazione sui social media durante l’emergenza da COVID-19 e nella successiva fase di ripresa.

È sufficiente fare una rapida ricerca su Facebook per rendersi conto di come molti comuni abbiano creato, rispolverato o continuato ad usare il loro profilo ufficiale, non solo come canale di condivisione di aggiornamenti, buone prassi e contenuti utili alla comunità, ma anche come strumento di vicinanza e senso di appartenenza in momenti di grande difficoltà.

Non sorprende che, secondo le stime di We Are Social, durante la quarantena i social media abbiano guadagnato 2,1 milioni di utenti attivi (+6,4%), dimostrandosi uno dei mezzi più efficaci di divulgazione a disposizione del Paese.

Forse il Coronavirus può costituire la spinta che si attendeva per l’introduzione in tutti i comuni dell’informazione 2.0 e per l’emanazione di una normativa ad hoc che tuteli e regolamenti i comportamenti da adottare da parte di entrambi gli attori in questo scenario digitale, i comuni ed i cittadini.