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Ambiente, società e tecnologia

Le città del futuro tra smart city e borghi

L’ultimo anno ci ha costretto a ripensare alle nostre abitudini, al modo di vivere la vita quotidiana e il nostro lavoro. La pandemia ci ha tolto spazi in cui incontrarci e svagarci, ma ci ha dato un nuovo luogo dove vivere: la nostra casa e il nostro quartiere. Il lavoro da remoto ha svuotato le grandi città portando a un calo dei consumi, ma anche al calo del traffico e dell’inquinamento. A Milano nel mese di settembre (periodo in cui rispetto alla pandemia abbiamo vissuto una quasi-normalità) le prenotazioni nei ristoranti sono calate del 25% rispetto all’anno precedente, il trasporto privato si è ridotto del 15% e il trasporto pubblico del 50% (fonte: Il Sole 24 Ore). Ora, con la campagna vaccinale che procede ci si chiede come sarà la nostra vita quando la pandemia sarà finita. In particolare, come sarà la vita nelle grandi città? Sono destinate a sparire in favore di una vita nei borghi?

Un futuro tra il fisico e il digitale

Carlo Ratti, architetto e docente di Urban Technologies al MIT di Boston, durante l’intervista per l’anteprima dell’evento FORUM PA 2021 che si svolgerà a giugno, afferma che secondo lui “la forza magnetica che ci porta nelle città tornerà come prima, se non più di prima, alla fine della pandemia”. Ratti ritiene che il futuro delle città sarà ibrido, tra il fisico e il digitale, sia per la socializzazione che per il lavoro. Ci sarà grande flessibilità e soprattutto le città di medie dimensioni, ma ben collegate ad altre, avranno una nuova opportunità: le persone potranno vivere e lavorare da casa per la maggior parte del tempo in queste città e andare nella sede centrale nella città più grande solo alcuni giorni a settimana. L’attenzione deve essere posta proprio in questa direzione, verso quelle tecnologie che permettono di lavorare in modalità digitale e fisica.

Stefano Boeri, architetto e urbanista, come riportato nell’intervista pubblicata da Repubblica, ritiene che la fuga dalle grandi metropoli non sarà irreversibile ma ci saranno aspetti che saranno reversibili e altri, quelli che hanno migliorato la vita delle persone, che non torneranno come prima. Come Ratti, Boeri parla di un modo di vivere lavorare ibrido, per la maggior parte del tempo in un borgo e solo qualche giorno in città. Tornare a vivere nei borghi, per lui, non vuol dire porre fine alle città ma anzi significa continuare a farle vivere: “città che diventano arcipelaghi di borghi e borghi storici che tornano a essere piccole città”. Per riportare in vita i borghi sono necessarie tre condizioni. La prima riguarda la connessione digitale, cioè la banda larga. La seconda è l’accessibilità: infatti affinché il modello ibrido funzioni è importante che i borghi non siano troppo distanti da una città che abbia tutti i servizi che invece un piccolo paese non può avere, come l’ospedale specializzato, l’università e luoghi di cultura. La terza condizione, invece, è urbanistica. Occorre, infatti, riadattare gli spazi alle esigenze della società moderna, senza danneggiare il patrimonio naturale in cui i borghi si trovano.

Qualunque sia la direzione che prenderemo, è chiaro che la tecnologia avrà un ruolo fondamentale. Stiamo assistendo a una vera e propria rivoluzione: la tecnologia è entrata in ogni ambito della nostra vita e in molti luoghi delle nostre città, dalle nostre case alle nostre strade. Le ultime innovazioni tecnologiche sono partite dalle grandi città e stanno raggiungendo anche quelle più piccole. Per definire la nuova città più tecnologica si sceglie di utilizzare il termine smart city (o città intelligente). Il termine viene utilizzato per la prima volta negli Stati Uniti per indicare il punto di vista di una città ideale legata alla automazione. Ma cosa sono le smart city oggi? Quali tecnologie utilizzano e in quali dimensioni della vita cittadina?

Smart city: cosa sono e quali tecnologie

L’Unione Europea definisce una città intelligente come un luogo in cui la rete e i servizi tradizionali sono resi più efficienti grazie all’uso delle tecnologie digitali e delle telecomunicazioni a beneficio dei suoi abitanti e delle imprese. Non si limita all’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT, dall’inglese Information and Communications Technology) per un migliore impiego delle risorse e una riduzione delle emissioni ma riguarda la città nella sua totalità. In una smart city le reti del trasporto urbano sono sostenibili e tecnologiche e l’approvvigionamento idrico ed energetico è potenziato ed efficiente.

Smart city significa anche avere un’amministrazione cittadina più interattiva e reattiva per migliorare la qualità dei servizi, spazi pubblici più sicuri ed essere in grado di soddisfare le esigenze di tutta la popolazione venendo incontro alle sue necessità. Tutti questi aspetti sono inclusi in sei grandi dimensioni di azione interconnesse che coinvolgono persone, governo, economia, stile di vita, mobilità e ambiente. La città è al servizio del cittadino e il suo obiettivo finale è migliorare la qualità della vita dei suoi abitanti.

Le principali tecnologie che consentiranno di rendere smart le città sono la tecnologia 5G e la tecnologia Internet of Things (o in italiano Internet delle Cose). Il 5G permette di garantire elevate prestazioni e servizi grazie alla sua maggiore velocità di trasmissione dei dati, alla bassa latenza e alla capacità di gestire un numero elevato di dispositivi. È il mezzo che permetterà alla città la connettività degli “oggetti connessi”, cioè dell’Internet of Things (IoT). Infatti, gli ambiti applicativi dell’IoT sono molti: dal trasporto urbano all’agricoltura ma anche all’interno delle nostre case per migliorarne la sicurezza, la comodità e ridurne i consumi. In questa ottica è fondamentale lo sviluppo di sensori e l’utilizzo dell’intelligenza artificiale per ricavare e rielaborare il grande numero di dati necessari per la gestione dei servizi della città intelligente.

Digitalizzazione e pandemia

La pandemia e il lockdown hanno dato una forte accelerazione al processo di digitalizzazione del Paese, modificando i comportamenti delle persone e permettendo di vivere le proprie abitudini anche se in modo differente. Secondo uno studio condotto da Deloitte, infatti, 26 milioni di italiani hanno dichiarato di essere riusciti a svolgere le proprie attività regolarmente durante il lockdown grazie all’innovazione tecnologica. Ma non sono mancate le difficoltà. 1 italiano su 2 riporta complicazioni nell’accedere ai servizi scolastici erogati da remoto e un limitato accesso a una connessione veloce. Inoltre, il 36% degli italiani ritiene che il processo di digitalizzazione non consideri sufficientemente l’aspetto umano. Secondo Deloitte, i risultati della ricerca evidenziano la necessità di cambiare il modo di vedere l’innovazione per rispondere meglio alle esigenze delle persone: occorre applicare un nuovo modello di innovazione antropocentrica che metta al centro l’uomo e i suoi bisogni. Anche in questo caso si parla di un’innovazione bilanciata, tra la dimensione digitale e quella fisica.

Smarter Italy: il progetto

Per rendere l’innovazione tecnologica accessibile e in grado di soddisfare tutti i bisogni dei cittadini è necessaria una digitalizzazione diffusa e occorre rendere il Paese sempre più smart in tutte le dimensioni della vita cittadina. In questa ottica nell’aprile 2020 ha preso l’avvio il progetto Smarter Italy.  Smarter Italy nasce con il Decreto del MISE del 31 gennaio 2019 e diventa operativo con l’appoggio dell’Agenzia per l’Italia digitale, del MUR e del Ministero per l’Innovazione tecnologia e la digitalizzazione. Vede protagonisti 11 centri urbani, le cosiddette “Smart Cities” e 12 piccoli comuni (al di sotto 60.000 abitanti), che costituiscono i “Borghi del futuro”, per realizzare servizi innovativi nei settori di mobilità, salvaguardia dell’ambiente, beni culturali e benessere delle persone. I comuni scelti diventeranno laboratori di appalti innovativi per imprese, centri di ricerca e startup che saranno invitati a cercare nuove soluzioni per rinnovare i settori.

È chiaro quindi che non è più sufficiente che solo le grandi città siano il luogo di tutte le innovazioni ma è importante che queste vengano pensate e adattate anche alle necessità dei piccoli comuni. Quello che succederà realmente quando la pandemia sarà finita non lo possiamo sapere ma sappiamo che occorre lavorare affinché i progressi fatti non vadano persi.

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Marketing & Social Media

Bnb Working Spaces: le case vacanza si trasformano in uffici diffusi

Avevamo cominciato ad abituarci al modello turistico basato su Airbnb: ma sul lavoro, poteva essere importato? Probabilmente la risposta è sì, grazie all’idea dell’ufficio diffuso. Cosa sono? In poche parole: le case vacanza vengono adattate al concetto di intelligenza diffusa negli oggetti e spazi di uso quotidiano e arredate sfruttando la tecnologia per fornire il migliore comfort individuale.

Ma come ha fatto l’ufficio diffuso ad arrivare nelle case?

L’emergenza COVID-19 ha portato molte aziende ad adottare la modalità di lavoro agile (o smart working) che permette ai dipendenti di lavorare in assenza di vincoli orari o spaziali.Tuttavia è diventato sempre più difficile conciliare la vita familiare con quella lavorativa.

La pandemia ha scompaginato ancor di più carte, sconvolgendo il settore turistico e obbligando a rivedere i propri modelli di business.  Piattaforme come Airbnb, ad esempio, ha dovuto prendere decisioni drastiche per affrontare la crisi.

È qui che nasce l’idea di Roberta D’Onofrio per dare nuova vita alle case vacanza di Roma: Bnb Working Spaces.

Questa startup permette agli smart worker di affittare case dotate delle principali attrezzature per garantire un lavoro agile sempre più efficiente.

Tra le dotazioni fornite abbiamo: spazi computer friendly, connessioni Wi-Fi ad alta velocità, sedie ergonomiche e sistemi di self check-in per consentire accessi contactless in totale autonomia e sicurezza.

Il target su cui lavora Bnb Working space sono quei lavoratori che possano muoversi agilmente e abbiano bisogno di un luogo che venga incontro alle sue esigenze lavorative. Nello specifico tra le varie figure professionali segnalate sul sito della piattaforma abbiamo in particolare manager e liberi professionisti, ma ad essere potenzialmente interessanti possono essere anche interi team di lavoro aziendali.

Mercoledì 17 giugno Gianpaolo Vairo (professionista con più di 12 anni di esperienza nel settore dell’ospitalità extra alberghiera) ha intervistato la fondatrice di Bnb Working Spaces durante un webinar di HOST B2B.

Nell’intervista, Roberta D’Onofrio ha descritto com’è nata l’idea della sua piattaforma.

Per spiegarlo si è servita del video che mostra il docente Robert E. Kelly durante un collegamento da casa con la BBC in cui suoi figli irrompono nella stanza.

La D’Onofrio da questo video ha capito che si doveva pensare a un modo per dare ai lavoratori un luogo in cui svolgere la propria professione senza essere interrotti da un evento inaspettato: durante il periodo di quarantena sono molti i fenomeni di videobombing, cioè l’apparizione di individui che non sarebbero dovuti essere parte del video. Bnb Working Spaces non solo salva le entrate delle case vacanza ma anche gli smart workers da eventi particolarmente divertenti tuttavia spiacevoli per i diretti interessati.

Ma Airbnb potrebbe prendere spunto da questa idea e tagliare fuori la D’Onofrio?

Secondo la fondatrice la chiave contro la possibile concorrenza è la qualità.

Prevede in futuro di creare un network in cui rimarrà in collaborazione con i migliori nel settore dell’arredamento tech e dell’organizzazione di video conference.

Ultimamente le sono anche arrivate richieste di case per vivere e non per lavorare. La D’Onofrio vede qui l’opportunità di allargare il target della sua offerta.

L’idea sembra buona: e voi, siete pronti per andare in vacanza per… lavorare?