Economia creativa e intelligenza artificiale: sfide e opportunità per i professionisti del futuro

L’intelligenza artificiale, meglio detta in questo caso G.A.N. (Generative Adversarial Network) rappresentano forse una delle evoluzioni tecnologiche più d’impatto dell’epoca presente. C’è lo stupore che desta la realizzazione di materiale creativo (apparentemente) nuovo e originale da parte di un computer, lo sfondamento del muro che nell’immaginario collettivo separava questi ultimi dall’uomo: la creatività. C’è anche la paura che l’idea di essere sostituito può generare nel professionista delle industrie creative, con il dilagare di governance sempre più concentrati sul taglio dei costi e sull’efficienza. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale non può realisticamente sostituire del tutto, almeno per il momento, il lavoro di coloro che rappresentano l’economia creativa, ma è possibile che un giorno ciò non corrisponda più alla realtà… Quali sono dunque i rischi e le sfide che gli artisti, i compositori, gli scrittori contemporanei affrontano? E quali affronteranno domani? Ancora, viene da chiedersi anche quali vantaggi questi professionisti traggono e potrebbero trarre in futuro da queste tecnologie che hanno giusto adesso raggiunto il livello di funzionalità necessario ad entrare nella “cultura pop”.
Allucinazioni, biases, diritto d’autore: le sfide
Quanto alle sfide non è difficile immaginare che un giorno le intelligenze artificiali possano davvero sostituire il lavoro di professionisti del settore creativo: accade già oggi quello che anche solo cinque anni fa sarebbe stato quasi inimmaginabile e piccole imprese così come start-ups neonate utilizzano software come ChatGPT e Dall-E per evitare di disperdere risorse di cui non dispongono per l’assunzione di copywriters, artisti e designers. Con molta cura e attenzione sembrerebbe possibile rendere i prodotti dell’A.I. indistinguibili dall’operato di un essere umano: vorrebbe dimostrarlo la vittoria di “Théâtre D’opéra Spatial”, opera generata da J. Allen utilizzando Midjourney, alla Colorado State Fair; il caso, assai controverso, ha infiammato a più riprese il dibattito sulla legittimità artistica delle “opere” create da intelligenze artificiali. Ovvio però che, senza l’intervento umano – e di uno che sappia cosa sta facendo – è molto difficile che oggi l’A.I. sostituisca completamente un professionista del settore creativo a pari requisiti. È un dibattito aperto: durante lo sciopero dello scorso maggio, la Writers Guild of America ha commentato la situazione evidenziando come “le industrie creative sono uno dei settori in cui la mancanza di un approccio centrato sull’uomo nell’implementazione dell’intelligenza artificiale rischia di far perdere all’intero sistema la sua stessa raison d’etre”. Secondo l’Harvard Business Review “uno scenario possibile vede la competizione ingiusta degli algoritmi ed una governance inadeguata portare allo spiazzamento della creatività umana autentica […]”.
L’utilizzo delle intelligenze artificiali per generare materiale in ambito professionale è poi minacciato da quello che è un framework legislativo ancora acerbo: sull’A.I. si dice ancora poco o nulla nei parlamenti di tutto il mondo – anche se alcune aree stanno facendo progressi – e nel frattempo dilagano i contenziosi su diritto d’autore e proprietà intellettuale. L’intelligenza artificiale, infatti, sebbene possa apparentemente produrre materiale originale, lavora in alcun casi in modo difficilmente assimilabile alla creatività umana: le reti neurali sono addestrate utilizzando un data lake, un enorme set di informazioni e dati che il software utilizza – attraverso diverse possibili modalità – per trarre relazioni, interconnessioni, metodi di rielaborazione a partire (solitamente) dal materiale finito per poi svolgere il processo inverso una volta finito l’addestramento. In breve, per addestrare un “pittore A.I.” vengono utilizzate milioni di opere d’arte, fotografie, e di informazioni sulle suddette, dalle quali il modello sarà in ultimo capace di trarre delle conclusioni che gli permetteranno poi di realizzare “nuove” opere d’arte da un prompt. Il problema è in primis rappresentato dal data lake stesso, che non sempre viene aggregato, categorizzato e classificato in modo etico: più di sedicimila artisti hanno lamentato l’uso illecito delle loro opere da parte di Midjourney per il training del modello, ed il caso non è isolato. In secondo luogo, quando i dataset utilizzati sono ristretti il risultato finale può presentare molte somiglianze con il materiale del dataset, ponendo sia un precedente pericoloso che un rischio di contenziosi con i creator originali, specialmente se non interpellati perché la loro opera fosse legittimamente utilizzata per addestrare il modello. Al contempo non risulta difficile immaginare che la controparte a questa situazione sul piano etico e legislativo sia l’illegitimità, seppur non uniformemente in tutti i contesti nazionali, delle pretese a livello di diritto d’autore su opere realizzate con l’intelligenza artificiale. Ciò rappresenta ovviamente un grande pericolo per gli enti coinvolti che, realizzato un contenuto da fruire o da utilizzare per la promozione o ancora finalizzato alla vendita, non vorrebbero vederlo sottratto da altri. In ultimo, sull’argomento licensing, alcuni software permettono per contratto di licenza l’utilizzo a fini commerciali del materiale generato solo se questo è stato realizzato con abbonamenti premium o utilizzando particolari piani sottoscritti ad hoc. I problemi che derivano da dataset ridotti o costruiti con determinati bias si espandono anche oltre la questione sul diritto d’autore: non sono stati rari i casi di modelli che, addestrati su dati ristretti, specifici, parziali oppure prevenuti, producevano output poco vari o recanti gli stessi pregiudizi insiti nel data lake. Esempi che ci mettono in guardia sulla presumibile apartiticità delle intelligenze artificiali sono processi di acquisizione del personale che vedono i modelli perpetrare, attraverso i loro suggerimenti, fenomeni di razzismo e sessismo sistemico, oppure modelli di riconoscimento facciale incapaci di identificare le caratteristiche visive di individui non caucasici.
La maggioranza dei risultati insoddisfacenti legati all’uso dell’intelligenza artificiale in settori creativi nasce sostanzialmente dalla mancanza di supervisione da parte della creatività umana, ma ancor più dalla competenza: non è necessario girare troppo a lungo su internet per trovare esperti che al lancio di ChatGPT hanno voluto mettere il G.A.N. alla prova su una varietà di argomenti per segnalarne importanti mancanze. La cosa che più preoccupa delle cosiddette allucinazioni non è un fattore legato all’assurdità – in certi casi – delle informazioni fornite, quanto la certezza matematica con cui il modello ce le propone. Quando le nozioni presentate non sono neanche lontanamente di nostra conoscenza, come possiamo determinare con certezza che il modello non stia fraintendendo o rimescolando in maniera inesatta o prevenuta i dati a sua disposizione? Per spezzare una lancia a favore del modello di OpenAI, il motivo per cui GPT non è in grado di contare le “R” nella parola “strawberry” ha poco a che fare con la qualità con cui elabora le informazioni a sua disposizione e riguarda più come il modello “vede” le parole, il processo chiamato tokenisation. È una parabola interessante però, utile a notare come sebbene questi modelli abbiano grandi potenzialità (e siano eccellenti a svolgere certe funzioni e operazioni) nessuno è onnipotente: DALL-E non è capace di scrivere, così come determinate immagini quali “caverne prive di finestre sul cielo” o “persone senza denti” sono – inspiegabilmente – molto difficili da ottenere; e ancora, ChatGPT genera spesso informazioni totalmente errate su argomenti non estensivamente documentati, o comunque poco presenti nel database dal quale è stato addestrato (e non solo).
Dunque le opere creative realizzate tramite l’intelligenza artificiale sono solo in rari casi qualitativamente equiparabili all’operato di un professionista delle industrie creative e in determinati contesti legislativi o tramite l’utilizzo di determinati software è impossibile rivendicare i contenuti realizzati come propri. Inoltre, vi sono importanti rischi che l’intelligenza artificiale pone quando i dati di partenza non sono affidabili o raccolti in maniera eticamente e legalmente accettabile. Ma quali sono invece i meriti dei G.A.N. e quale il loro possibile ruolo nell’economia creativa?
Spunti creativi e prompt engineering: cosa i modelli fanno bene
Per parlare dei meriti “trasversali” è implicito, dal punto di vista economico, che esistano dei casi d’uso, segmenti in cui l’I.A. non sottrarrebbe lavoro a nessun professionista: determinate realtà semplicemente non possiedono o non sono intenzionate a investire il budget necessario nell’impiego di un professionista del settore a prescindere. Queste realtà sono spesso piccole imprese, magari di nuova formazione; piuttosto che lasciare queste senza risorse in senso creativo perché non possiedono le risorse necessarie, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale può essere una buona risorsa per ottenere materiale utilizzabile, sebbene la differenza con il materiale in cui l’uomo – nella veste dei founder in questo caso – ci ha messo del suo è spesso abbastanza evidente. Ed è su quest’ultimo punto che si concentrano quasi tutti gli altri vantaggi che i modelli e le reti neurali possono e potranno portare ai professionisti dei settori creativi. In un’intervista per Radio Davos, lo scrittore Deepak Chopra ha dichiarato che, pur non avendo ancora fatto uso di intelligenze artificiali generative nel suo processo creativo, immagina lo farà sicuramente nel futuro, aggiungendo che “qualsiasi strumento che permetta ad un artista di creare è fantastico […]”. Questo ruolo di assistenza al processo creativo è lo stesso che l’Harvard Business Review vede tra i migliori possibili risultati dell’integrazione dell’I.A. nelle industrie creative, evidenziando come molti business già promuovano l’uso dell’intelligenza artificiale, solo però con lo scopo di migliorare l’efficienza di determinati processi (e quello creativo è stato sempre risaputamente difficile da efficientare). Un altro aspetto di grande importanza nel quale i modelli – quando utilizzati con cognizione di causa – sta nella risoluzione di un problema che affligge i creativi di tutto il mondo da tempi immemori: l’art block, il blocco creativo, quella situazione in cui, per quanto ci si sforzi non si riescono ad avere buone idee (o non si riesce a vedere alcuna delle proprie idee come buona); in queste situazioni l’intelligenza artificiale può essere di grande aiuto per trovare uno spunto, qualche stimolo esterno. Anche nei casi meno estremi, i modelli generativi sono un potente strumento per trovare nuove idee dagli spunti che questi software ci lanciano, osservare nuovi fronti, uscire dagli schemi della propria mente: se ne fa già grande utilizzo nell’ambito business più generale quando si lavora in gruppo su spunti prodotti individualmente, a volte elaborati proprio in tandem con modelli generativi. Il vantaggio che può essere tratto nel proprio lavoro creativo dall’intelligenza artificiale, al di là della propria esperienza professionale, sembrerebbe essere in ultima battuta condizionato anche dalla conoscenza delle basi di quello che viene definito prompt engineering, la conoscenza delle tecniche per la scrittura di prompt che massimizzano la qualità dei risultati ottenuti modificando in determinati aspetti il prompt, l’insieme di parole utilizzate per spiegare all’I.A. quale risultato l’utente vuole ottenere.
In definitiva, i vantaggi principali non starebbero, almeno per il momento, nel sostituire il lavoratore creativo con la macchina in una sorta di nuova rivoluzione Fordista, ma nell’affiancarlo perché i modelli generativi possano dargli spunti, velocizzare il suo lavoro, permettere una migliore comunicazione tra committente e professionista. È importante notare come la maggior parte degli insuccessi nell’uso di modelli generativi in questo settore stiano proprio nel tentativo di rimpiazzare i professionisti con il modello stesso, senza che quest’ultimo sia supervisionato da qualcuno di qualificato nell’ambito di interesse. La strada, insomma, pare non sia quella di generare l’illustrazione con il modello e inserirla direttamente nel materiale pubblicitario dell’azienda, rischiando anche di incorrere in contenziosi, ma utilizzare invece questi software per generare moodboards più precise, per fornire al professionista immagini di riferimento più in linea con la propria visione, per efficientare ed integrare l’opera dei creativi senza tentare di sostituirla integralmente.
Fonti:
https://www.weforum.org/stories/2024/02/ai-creative-industries-davos/
https://www.nytimes.com/2022/09/02/technology/ai-artificial-intelligence-artists.html
https://hbr.org/2023/04/how-generative-ai-could-disrupt-creative-work
https://hbr.org/2023/04/generative-ai-has-an-intellectual-property-problem
https://techcrunch.com/2024/08/27/why-ai-cant-spell-strawberry/
https://www.reddit.com/r/dalle2/s/crPpig1opr
https://community.openai.com/t/why-is-it-that-dall-e-cant-write/646218
https://www.nature.com/articles/s41586-024-07856-5
https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2713374524000050