Il successo di Clubhouse e dei formati audio: intervista a Mario Moroni
In queste ultime settimane tra i dispositivi provvisti di sistemi iOS c’è stata l’esplosione di un nuovo social network: si chiama Clubhouse e si basa sulla creazione di stanze virtuali nelle quali si può comunicare con gli altri utenti solamente attraverso l’audio.
Si tratta di un’applicazione che ha suscitato molta curiosità e di cui in effetti si conosce ancora poco, motivo principale per cui spesso all’interno delle “room” l’argomento centrale di cui si discute è proprio Clubhouse!
Molte personalità del web vi partecipano quotidianamente in maniera molto attiva, in modo tale da sfruttare al massimo questo nuovo social e con l’intento di crearvi una community.
Per approfondire questo tema e scoprire le potenzialità legate alla piattaforma abbiamo fatto affidamento sul parere di chi della sua voce ne ha fatto uno strumento di lavoro: Mario Moroni, creatore del podcast quotidiano “Il caffettino” e autore del libro “Startup di merda”, il quale spesso organizza interessanti room a tema su Clubhouse.
Mario, in Italia i podcast vengono ascoltati sempre di più, mentre in queste ultime settimane c’è stato il boom di Clubhouse. Secondo te, a cosa è dovuto questo enorme successo dei formati audio?
“Il mondo dei podcast sta funzionando già da diversi anni perché i contenuti letti oppure visti attraverso i video hanno una fruizione che viene lasciata allo smartphone e al computer, quali i video di Tik Tok e i reels, contenuti ai quali però non si riesce a prestare molta attenzione se si sta facendo altro.
I contenuti audio stanno funzionando da diverso tempo perché le persone hanno la possibilità di svolgere altre attività nello stesso momento come, per esempio, correre, fare commissioni, magari viaggiare (quando si poteva viaggiare).
Nell’ultimo periodo, Clubhouse ha avuto una vera e propria esplosione, a differenza di altri social del mondo audio che abbiamo avuto modo di conoscere in passato, anche durante la pandemia, i quali non hanno riscontrato lo stesso successo.
I creatori di Clubhouse hanno fatto leva su due argomenti principali: il primo l’esclusività, il fulcro fondamentale del social è infatti il fatto di potervi accedere grazie a un invito e che all’interno del social ci siano determinate persone. Lo stesso vale per l’esclusività tecnica, dato che per il momento è disponibile solamente per sistemi iOS.
Il secondo riguarda il fatto che Clubhouse sia stato in grado di rimettere una netiquette, parola che nel mondo del digital si è sentita all’epoca dell’inizio web. Essa consiste in una sorta di regolamento non scritto, la buona educazione che noi professionisti, imprenditori o anche utenti utilizziamo come early adopter, ovvero come utilizzatori iniziali di qualsiasi piattaforma.
Questo sui social non c’è più da un po’ di tempo: su Tik Tok si viene invasi dai video mentre si scorre la home, e lo stesso accade anche sui vecchi Facebook e Instagram dove tutto è ormai un po’ alla mercé di tutti.
Dunque, il fatto che ci sia una sorta di esclusività e ordine delle cose ha attirato molto l’attenzione dei più grandi e dei più importanti.
Anche se ad ora iniziano già a vedersi le prime crepe…”
Sia Clubhouse che i podcast lavorano attraverso l’audio, ma, nonostante ciò, presentano delle importanti differenze. Quali sono le potenzialità di Clubhouse che i podcast non hanno, o viceversa?
“Innanzitutto, Clubhouse è un mondo social, avrà e ha quindi le stesse dinamiche di tutti i social network. Le piattaforme social di norma funzionano sempre tutte così e Clubhouse è identica a tutte le altre: fa arrivare gli early adopter, i più scaltri diciamo, che vedono tutto gratis e con una portata organica altissima. Su un nuovo social quando si fa qualcosa si viene ascoltati da moltissime persone, il che incentiva a farci rimanere di più sulla piattaforma, più si rimane sulla piattaforma più si è premiati dai likes, dai followers, e dai contenuti, e infine piano piano tutta l’esaltazione iniziale diminuisce, come una droga. Come la classica regola metaforica della rana bollita, la quale si trova in una pentola d’acqua che si riscalda gradualmente, per cui nel momento in cui la temperatura diventa troppo alta la rana muore senza accorgersene.
Questa è la stessa situazione, in qualche maniera siamo inconsapevolmente presenti a questo cambio di paradigma.
Il livello successivo sarà la monetizzazione di Clubhouse, che ad oggi è un po’ un mistero, però accadrà, dato che i creatori del social sono attualmente in perdita.
I podcast invece non sono dei social, sono contenuti che non si devono usufruire necessariamente in diretta, come accade invece per Clubhouse, dove se non si arriva al momento giusto si perde la live e il contenuto perché non lo si può rivedere in un momento successivo. Il contenuto di Clubhouse arriva infatti a un limitato numero di persone alla volta, non è determinato da una scalabilità.
Per il momento i podcast sono one to many, mentre Clubhouse è composto da piccole-micro community, com’è oggi il trend dei social.
Nei podcast c’è anche una qualità sonora superiore, a differenza di Clubhouse sul quale si utilizzano microfono e cuffie del cellulare.
I podcast hanno fatto la loro fortuna sulla lentezza, sui contenuti medio-lunghi, sugli approfondimenti e su una qualità alta.
Essendo poi contenuti e non social, possono stare su diverse piattaforme, come Spotify, Apple Podcasts, Google Podcasts o altre app di podcasting senza curarsi di algoritmi o fattori che invece determinano il successo delle singole piattaforme.
Chiaramente la similitudine sta nel fatto che entrambi siano contenuti audio e che in qualche maniera siano frutto del lavoro dei content creator; dietro non c’è un’intelligenza artificiale, ma ci sono degli esseri umani che comunicano sempre con altri esseri umani.”
Per chi è adatta una piattaforma come Clubhouse?
“Clubhouse è adatta a qualsiasi persona o azienda.
Abbiamo già visto delle aziende fare delle room per i propri clienti, aziende che vogliono avere un contatto diretto e in questo momento molto naturale con gli eventuali ascoltatori.
Questo social differisce dai podcast in quanto vi è la possibilità di aprire un dialogo con gli altri utenti, che salendo sul palco virtuale delle room di Clubhouse hanno l’occasione di esprimersi e confrontarsi tra di loro. Questo è il lato bello del social.
Inoltre, si possono creare stanze differenti in base alle esigenze e agli obiettivi che si vogliono raggiungere: si può creare una room aperta al pubblico, una room social solo per le persone che mi seguono o una room chiusa, accessibile solo tramite un invito.
C’è differenza anche tra room e club: la room è una sorta di evento che c’è in quel momento mentre il club è una sorta di pagina Facebook. Ad oggi le room sono aperte a tutti mentre i club non lo sono, bisogna fare richiesta ed essere accettati.
I test che ho visto svolgere dalle aziende in queste settimane sono stati sia positivi che negativi: positivi per quelle aziende dinamiche e al passo con i tempi che sperimentano tantissimo e che non hanno necessità di monetizzare subito, negativi per coloro che vorrebbero ricavare un guadagno immediato, dato che per il momento le persone sono su Clubhouse solo per comunicare.”
In questi ultimi giorni sono state create delle stanze virtuali con il solo scopo di aumentare i propri follower. Secondo te, si sta perdendo l’interesse verso la creazione delle conversazioni?
“Questo è un “escamotage” che viene utilizzato su tantissimi social e che è mutuato da altri social, come i gruppi di scambio like o la classica pratica del “follow unfollow”.
È un’ottica di scorciatoia tra chi nel 2021 non ha ancora capito come funzionano i social: il numero dei follower non è importante, questa è solamente un’ottica di vanità, una vanity metric, perché non ha nessun effetto che io abbia 10.000 follower o 1.000 follower.
L’ottica consiste nel capire chi sono quei follower e perché ti seguono!
Se arrivano notifiche che ci riguardano a profili che non interagiscono con noi, non facciamo altro che dare una comunicazione negativa al social, che pensa che i nostri contenuti non interessino a nessuno.
La verità è che la maggior parte delle persone che seguo stanno andando nella direzione completamente opposta, impegnandosi nella creazione di contenuti utili e di qualità.
In questo modo le persone sono più attratte da quello che diffondiamo e ricordano il nostro obiettivo, che da professionisti e utenti è quello di stare sui social spendendo del tempo per ottenere o dare qualcosa che ci è utile.
Può darsi che per la maggior parte delle persone che seguono il social ci sia una “decadenza del contenuto”, ma in realtà non è così, dato che vediamo benissimo che quando le cose vengono fatte bene le persone rispondono e ci sono.
Non dobbiamo mai avere l’ottica di creare il contenuto perfetto, perché quello non c’è mai, e soprattutto su un social nuovo si fa fatica a misurare i risultati, dato che è ancora sperimentale e le statistiche per il momento non ci sono. È tutto ancora molto all’inizio.
Chiudo dicendo che effettivamente il modo in cui noi stiamo vivendo questo social è molto più veloce rispetto a quello che abbiamo visto in passato per app come Snapchat, Tik Tok o prima ancora anche per Instagram e Facebook; tutto quello che sta accadendo adesso in soli tre mesi in molti social del passato l’abbiamo visto accadere in sei mesi, in un anno o in cinque anni. È solo cambiata la velocità di trasformazione, però non è cambiato nient’altro.”
In futuro le persone continueranno ad utilizzare Clubhouse o si tratta semplicemente del trend del momento?
“Se lo sapessi investirei o non investirei in azioni!
Quello che posso fare è prevedere due strade: la prima, che è quella più interessante secondo me, è che Facebook stia creando il clone di Clubhouse. Bisogna quindi capire se lo strumento Clubhouse funziona perché funziona bene Clubhouse o solo perché funziona la sua funzionalità. E se fosse così, quale sarà il suo futuro? Si trasformerà in Snapchat, che in seguito all’introduzione delle storie da parte di Instagram è stato dimenticato, quindi la copia di Facebook andrà a buon fine, oppure accadrà come nel caso di TikTok in cui Instagram ha replicato la funzionalità di creazione dei video attraverso i reels ma nessuno la utilizza?
Una seconda ipotesi da tenere in considerazione potrebbe essere il fatto che in qualsiasi caso Clubhouse diventi una sorta di LinkedIn, ovvero una piattaforma per poche persone che si rivolge soprattutto a un target over 25.
Bisogna vedere come sarà l’evoluzione.
Dubito che la funzionalità di Clubhouse sia l’unico punto a favore di Clubhouse, perché in passato altri social audio hanno fatto anche meglio, ma sono finiti in tragedia in pochi mesi.
Per il momento non c’è nessuna novità nel modello di business, per cui quando il progetto verrà totalmente reso pubblico bisognerà capire quali saranno le reazioni delle persone.
Se a inizio marzo Clubhouse sarà disponibile anche per i dispositivi Android scopriremo in pochissimi giorni quali saranno i risultati.
Ciò che è certo è che una sfida come questa mancava da tempo.
L’importante è continuare a creare contenuti, in modo tale da capire come funziona il gioco e se ha senso portarlo avanti!”