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Ambiente, società e tecnologia

Come e quanto si sono arricchiti i miliardari durante la pandemia

Il COVID-19 ha messo in ginocchio migliaia di famiglie in tutto il mondo ed ha portato a livelli macro la ricchezza dei miliardari. Mentre milioni di famiglie italiane e non pensava a come fare per arrivare a fine giornata, i più ricchi hanno guadagnato cifre da capogiro.

Forbes, il magazine più famoso al mondo, in un suo recente articolo ha riportato la lista delle persone più ricche al mondo all’inizio del 2021.

Jeff Bezos #1 e Elon Musk #2

Al primo posto, come accade da 4 anni, tra i più ricchi al mondo troviamo Jeff Bezos, imprenditore statunitense e fondatore di Amazon, il cui patrimonio ammonta a 177 miliardi di dollari. Di essi sono 74 i miliardi ricavati nel 2020 grazie alle vendite online registrate durante la pandemia.

Da una notizia degli ultimi giorni egli ha commissionato la costruzione di un super yatch da 500 milioni di euro, che sarà inoltre dotato di un secondo yatch di supporto per l’elicottero, il quale rientrerà tra le imbarcazioni più grandi e costose al mondo.

Il fondatore e CEO di SpaceX e Tesla, Elon Musk, si colloca al secondo posto tra gli uomini più ricchi del mondo con un patrimonio di 151 miliardi di dollari. Egli detiene il primato di essere la persona che più si è arricchita nell’ultimo anno tenendo conto che i suoi guadagni nel 2020 ammontavano a “solo” 24,6 miliardi di dollari.

Ma non solo …

Tra i primi 5 miliardari al mondo troviamo anche Bernard Arnault, imprenditore francese presidente e CEO di LVMH, gruppo leader internazionale nel settore del lusso che possiede marchi di bellezza tra cui Louis Vuitton, Hennessy, Bulgari e Christian Dior. Il suo patrimonio da 76 miliardi ha toccato la cifra di 150 miliardi di dollari e le azioni della sua società sono salite del 30% nell’ultimo anno.

Sotto di lui troviamo Bill Gates, il fondatore di Microsoft e co-presidente insieme alla sua ex moglie della Bill&Melinda Gates Foundation, con un aumento di 26 miliardi di dollari.

Al quinto posto non poteva mancare Mark Zuckerberg, CEO e co-fondatore di Facebook, che è passato da 54,7 a 97 miliardi di dollari.

Il lockdown è stato un periodo di crescita non solo per questi colossi, ma anche per il fondatore e CEO di Zoom, Eric Yuan, il quale è passato da 5,5 a 14,9 miliardi di dollari, grazie a questa piattaforma di videoconferenze della quale si sono servite milioni di persone in tutto il mondo sia per ragioni lavorative sia per rimanere in contatto con le persone a loro lontane a causa della pandemia.

Una new entry in questa classifica mondiale è Tim Sweeny, informatico statunitense, che è passato ad avere un patrimonio da 2 a 4,7 miliardi di dollari. Egli è famoso per aver creato il videogioco Fortnite, all’interno del quale nell’Aprile del 2020, è stato organizzato il primo concerto online della storia al quale hanno partecipato più di 12 milioni di ascoltatori.

I miliardari italiani

Forbes Italia ha pubblicato recentemente la classifica dei più ricchi che vede in testa Giovanni Ferreo, imprenditore e unico amministratore delegato dell’industria dolciaria Ferrero dopo la morte del fratello nel 2011, il quale vanta la 40esima posizione su scala mondiale. Il suo patrimonio è cresciuto da 22,4 miliardi nel 2019 a 35,1 miliardi nel 2021.

Al secondo posto troviamo Leonardo Del Vecchio, imprenditore italiano, fondatore e presidente di Luxottica, con un patrimonio di 25,8 miliardi di dollari, in crescita rispetto ai 16,1 di marzo.

La donna più ricca d’Italia si trova al terzo posto: Massimiliana Aleotti la quale ha ereditato, insieme ai suoi tre figli, la società farmaceutica Menarini a seguito della scomparsa del marito Alberto Aleotti. Il suo patrimonio è passato da 6,6 a 9,1 miliardi, il suo gruppo è presente in 135 paesi del mondo e vanta più di 17.0000 dipendenti.

L’imprenditore agricolo più ricco del mondo

Dopo gli Stati Uniti al secondo posto troviamo la Cina con 456 miliardari posizionati nelle classifiche di Forbes. L’uomo che da una pandemia di influenza suina africana è riuscito ad arricchirsi passando ad avere un patrimonio di 4,3 miliardi nel 2019 a 33,5 miliardi nel 2021 è un imprenditore agricolo cinese noto come Qin Yinglin.

Egli è co-fondatore e Presidente di Muyuan Foods uno dei più grandi allevamenti di suini in Cina che, grazie ad una carenza di carne a livello globale, lo ha portato ad innalzare i prezzi di vendita delle sue merci realizzando così il 260% dei profitti in più rispetto all’anno precedente.

Da 22 suini con cui ha iniziato è arrivato a macellare in media 5 milioni di suini all’anno e in particolar modo la sua ricchezza è esplosa con la pandemia da COVID-19 essendo il prezzo delle azioni della società cresciute del 200%.

I magnati cinesi

Ma Qin Yingli non è il solo in Cina a detenere un posto nella classifica dei più ricchi del mondo.  Con una vera e propria esplosione nel 2021 troviamo Zhong Shanshan che è passato da 2 miliardi di dollari nel 2020 a previsti 68,9 nel 2021. Soprannominato “il re dell’acqua minerale” il suo fatturato deriva da Nongfu Spring, azienda cinese di acqua in bottiglia e bevande che controlla un quarto del mercato cinese.

Egli così superato, Jack Ma, il co-fondatore di Alibaba, una delle più grandi piattaforme al mondo per l’acquisto di beni all’ingrosso, grazie alla quotazione della sua impresa dell’8 Settembre alla Borsa di Hong Kong. A seguito del crollo delle sue azioni, per sospette pratiche monopolistiche, l’imprenditore cinese è sceso al 26esimo posto nella classifica mondiale con un fatturato di 38,8 miliardi di dollari nel 2020.

Da un recentissimo articolo pubblicato su Forbes è trapelato che Ma Huateng, amministratore delegato di Tencet Holdings, società che serve servizi per cellulari e internet in Cina come ad esempio WeChat, è tornato ad essere l’uomo più ricco della Cina. Il suo patrimonio nell’ultimo anno è aumentato di 27 miliardi di dollari, ma in particolare, i primi di Aprile del 2021, le sue azioni hanno avuto un rialzo del 7% portando un aumento del suo patrimonio di 4 miliardi di dollari in modo da permettergli di superare il sopracitato Zhong.

“Il virus della disuguaglianza”

Secondo un recente report pubblicato dalla Oxfam dal titolo “il virus della disuguaglianza” i miliardari del mondo detengono il 60% della ricchezza globale e un aumento dello 0,5% delle tasse in capo ad essi consentirebbe in dieci anni di pagare 117 milioni di nuovi posti di lavoro.

Oltre ciò rileviamo che i miliardari hanno impiegato solamente nove mesi per tornare al livello di ricchezza che detenevano prima della pandemia, mentre per le persone più povere del mondo ciò potrebbe richiedere anche più di dieci anni, così come previsto dal nuovo piano strategico di lotta alla disuguaglianza proposto dalla nuova direttrice esecutiva di Oxfam International Gabriella Bucher.

La ricchezza dei miliardari “tra il 18 marzo e il 31 dicembre 2020 ha registrato un’impennata di ben 3.900 miliardi di dollari arrivando a toccare quota 11.950 miliardi” e ancora si cita nel report:il patrimonio dei 10 miliardari più ricchi al mondo è complessivamente aumentato di 540 miliardi di dollari: risorse sufficienti a garantire un accesso universale al vaccino anti-Covid e assicurare che nessuno cada in povertà a causa del virus.”

Cavalcando la tempesta

L’ultimo report di banca svizzera UBS e PwC analizza come i miliardari siano diventati ancora più ricchi, intitolandolo infatti “Riding the storm” e mettendo in luce come le fortune si stiano piano piano polarizzando per il fatto che molti “business innovators” e “disruptors” utilizzano la tecnologia per poter essere tra i leader dell’attuale rivoluzione economica: “la ricchezza totale dei miliardari tecnologici è aumentata del 42,5% a 1,8 trilioni di dollari, supportato dall’aumento delle azioni tecnologiche”. Molti di loro hanno approfittato della pandemia per redigere nuovi business model improntati maggiormente su una crescita nel mondo del digitale rivoluzionando le loro industrie in modo tale da poter sviluppare nuovi prodotti e servizi da poter offrire ai propri clienti.

In questo momento storico ad aver avuto un aumento di fatturato maggiore sono state sia le case farmaceutiche grazie alla produzione dei vaccini anti-COVID, sia i dirigenti sanitari che detengono azioni in esse: Pfizer stima guadagni per 15 miliardi di dollari e una vendita di quasi mezzo miliardo di dollari delle azioni appartenenti alle industrie farmaceutiche.

Ma il motivo principale per il quale i ricchi lo siano diventati ancor di più possiamo rilevarlo da un commento del responsabile di Wealth Management per conto di UBS, il quale si occupa di gestire i patrimoni famigliari delle persone più ricche al mondo, Josef Stadler:Hanno fatto buoni affari durante la crisi causata dal Covid-19 perchè non solo hanno cavalcato la tempesta al ribasso, ma hanno anche guadagnato con il rimbalzo dei mercati azionari”. A sua detta i miliardari hanno approfittato della situazione in quel momento sfavorevole per il mercato per effettuare investimenti rischiosi che però a lungo termine avrebbero sicuramente portato a vantaggi nettamente superiori tramite la loro rivendita al rialzo.

Questo rischio era concepibile solamente per loro, date le grandi fortune che possiedono, ma esso ha portato però ad una ulteriore maggior disuguaglianza economica con l’intera popolazione.

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Ambiente, società e tecnologia

Summit on Climate: come e perché la crisi climatica va affrontata ora e insieme

Source: White House photo by Adam Schultz/ Public Domain - https://www.state.gov/leaders-summit-on-climate/

Il 22 e 23 aprile 2021 si è svolto il Leaders Summit on Climate, evento virtuale ospitato dalla presidenza degli Stati Uniti che ha visto partecipi, oltre a 40 leader politici mondiali, importanti esponenti del settore privato, dirigenti d’azienda e attiviste per la giustizia climatica. Due i motivi principali che hanno spinto Biden a promuovere questo vertice: ribadire il ritorno degli Stati Uniti all’interno degli accordi di Parigi sul clima  annunciando, durante l’apertura dell’evento, l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas serra del paese di almeno il 50% entro il 2030 e, soprattutto, riunire personalità rilevanti della scena politica, economica e sociale per creare tavoli di confronto e condivisione incentrati su un tema di importanza globale e di estrema urgenza: mantenere l’aumento della temperatura a livello globale al di sotto di +1.5°C rispetto all’era preindustriale e raggiungere Net 0.

Quali idee, proposte ed esperienze sono emerse da questo vertice? Quali sono i concetti fondamentali che dovranno essere alla base della collaborazione tra le autorità nazionali e internazionali e le comunità di cittadini?

Cosa significa Net 0 e perché è così importante

Con l’espressione Net 0 si definisce l’obiettivo della neutralità climatica: non significa che entro il 2050 non dovremo più emettere gas serra, ma dovremo fa sì che il risultato netto tra i flussi in entrata e in uscita dall’atmosfera sia zero. Perché dovremmo raggiungerlo? Durante il primo giorno del Summit è stato presentato il documentario Breaking Boundaries, in cui lo scienziato Johan Rockström illustra il concetto dei confini planetari”. Si tratta di una framework scientifico integrato da un articolo pubblicato su Science nel 2015 che definisce, seppur con un certo grado di incertezza e un margine di precauzione, delle barriere soglia per nove fenomeni critici il cui intensificarsi oltre i limiti porterebbe il nostro pianeta ad allontanarsi dalle sue condizioni di stabilità. Gli scienziati identificano come uno dei più rilevanti il cambiamento climatico, ed è per misurare gli effetti di quest’ultimo che si considera la concentrazione di CO2 atmosferica: tra tutti “driver del cambiamento climatico”, secondo il rapporto del 2013 dell’IPCC è la variabile che dal 1750 ha contribuito maggiormente alla variazione dei flussi di energia nel sistema Terra. Attualmente la concentrazione di CO2 atmosferica si attesta intorno ai 415 ppm, in un range considerato una “zona di rischio”: oltrepassarne il limite superiore (circa 450 ppm) significherebbe esporci a un alto rischio di destabilizzare il nostro pianeta irreversibilmente. Sulla base di questi dati, Biden ha ricordato nel suo discorso di benvenuto ai leader che “il tempo per agire è limitato” e che “non abbiamo scelta”, se non quella di agire all’unisono verso Net 0.

Tre punti chiave: Mitigation, Adaptation, Resilience

Sono tre i pilastri fondamentali, stabiliti con gli accordi di Parigi, che dovranno orientare le azioni di tutti i paesi nella risposta al cambiamento climatico e che sono stati al centro dei brevi interventi di tutti i leader nazionali presenti. Per il primo, “mitigation”, molti tra i leader partecipanti hanno presentato alcuni dettagli dei propri INCD, ovvero piani nazionali che stabiliscano obiettivi di medio e lungo termine, rispettivamente per il 2025/2030 e per il 2050, e strategie da implementare per ridurre le emissioni nazionali di gas serra, che dovranno essere poi aggiornati. Ne sono stati consegnati 163 prima del 25 febbraio per il 2020/2021, molti ancora in corso di revisione: economie già sviluppate come l’UE, il Giappone  e il Canada hanno dichiarato di voler ridurre le proprie emissione rispettivamente almeno del 55% entro il 2030, del 45% entro il 2040 e tra il 40% e il 45% entro il 2040. Il Leaders Summit aveva l’obiettivo di sollecitare i paesi, soprattutto in vista di COP26, la 26esima Conferenza sul cambiamento climatico delle Nazioni Unite, che si terrà a Glasgow tra l’1 e il 12 novembre 2021 e durante cui verrà negoziato un piano d’azione coordinato per affrontare la crisi climatica.

Il secondo e il terzo pilastro, “adaptation” e “resilience”, si riferiscono rispettivamente alle azioni che dovranno essere messe in campo per fronteggiare gli effetti attuali del cambiamento climatico e per trasformare le comunità e i paesi in soggetti resilienti ai futuri cambiamenti. Questi ultimi saranno cruciali per le “comunità in prima linea” dell’Africa, dei grandi delta dell’Asia e delle piccole isole e del Centro e Sud America, perché subiranno i danni peggiori di un cambiamento a cui hanno contribuito in minima parte, se non nulla, nel corso del XX secolo, come ha affermato nel suo intervento l’attivista per la giustizia climatica messicana Xiye Bastida. Biden ha ribadito l’importanza dell’impegno condiviso preso dai paesi sviluppati di raggiungere 100 miliardi di dollari all’anno per finanziare misure necessarie a seguire i tre pilastri nei paesi in via di sviluppo e ha dichiarato che gli Stati Uniti contribuiranno duplicando entro il 2024 il loro piano di finanziamenti per il clima nei paesi in via di sviluppo rispetto a quello dell’amministrazione Obama-Biden e che triplicheranno il loro Public financing for Climate Application per i paesi in via di sviluppo entro lo stesso anno.

Responsabilità condivisa, ma differenziata? Il caso della Cina

Tra tutti gli interventi condotti dai leader politici, quello di Xi Jinping, presidente della Repubbica popolare cinese, appare discordante: ha infatti dichiarato che la Cina si impegnerà a raggiungere il picco delle sue emissioni di gas serra prima del 2030 e che successivamente si impegnerà a diminuirle fino a raggiungere Net 0 prima del 2060. Lo stesso leader ha fatto riferimento a un principio del diritto ambientale internazionale abbreviato con “CBDR, ovvero “responsabilità condivisa ma differenziata”, affermando che i paesi sviluppati devono “perseguire obiettivi ambiziosi e aiutare i paesi in via di sviluppo nell’affrontare la crisi climatica”. Per capire cosa si intende oggi con CBDR bisogna analizzare sia il contributo storico dei diversi stati alle emissioni totali di gas serra, sia l’evoluzione legislativa di questo principio.

Secondo i dati raccolti nel database EDGAR, nel 2019 la Cina è stata responsabile 30.3% delle emissioni, gli U.S.A. del 13,4% e l’UE, assieme a UK, dell’8.7%. Se consideriamo invece le percentuali delle emissioni accumulate dagli stessi paesi dal 1751 al 2019, disponibili sul sito Our World in Data, osserviamo che la Cina ha contribuito per il 13.3%, gli U.S.A. per il 24.8% e l’UE per il 22% circa. A questo divario tra la situazione attuale e la prospettiva storica è dovuta la diatriba, portata avanti per diversi anni, su chi dovrebbe essere considerato maggiormente responsabile per il cambiamento climatico e agire di conseguenza: il principio CBDR è stato presentato a livello internazionale durante la Conferenza di Rio nel 1992, per poi essere meglio definito nel Berlin Mandate del 1995 e riproposto nel Protocollo di Kyoto del 1997. Il problema della sua prima definizione era dovuto al fatto che si attribuisse la responsabilità dell’azione in campo climatico ai paesi sviluppati, in quanto detentori della percentuale maggiore di emissioni a livello storico e del potenziale economico e tecnologico per rispondere ai cambiamenti climatici; in questo modo si trascurava il contribuito dei paesi in via di sviluppo, che sarebbero poi diventati tra i più grandi emettitori, come la Cina e, in percentuale molto minore, l’India. Questo principio si è evoluto: tutti i paesi all’interno degli accordi di Parigi sono chiamati ad essere attivi nel raggiungere Net 0 (soprattutto considerando che sarebbe molto difficile riuscirci senza la collaborazione della Cina). Come è emerso dal Summit, il ruolo di paesi sviluppati come gli Stati Uniti e i paesi dell’UE sarà quello di rendere disponibili il maggior numero di finanziamenti e strumenti affinché i paesi in via di sviluppo possano accelerare nella loro transizione verso un’economia indipendente dai gas fossili.

 “Imperativo morale, imperativo economico”: conciliare crescita economica e giustizia climatica

Se dovessimo estrapolare uno dei concetti più ricorrenti durante i giorni del Summit, questo sarebbe il multilateralismo. È fondamentale guardare alla crescita economica, alla crisi climatica e alla lotta per la giustizia sociale come a battaglie profondamente interconnesse: per riuscirci servono non solo grandi investimenti, ma anche “una sinergia tra il settore pubblico i privati”. Sono stati dedicati due panel alla discussione degli strumenti economici e legislativi da adottare per affrontare la crisi e delle innovazioni tecnologiche che dovranno essere implementate su larga scala nei prossimi anni.

Sia Angela Merkel, sia Ursula Von der Leyen sia Charles Michel hanno affermato l’importanza di adottare un sistema di tassazione sulle emissioni di gas serra e di rendere questo sistema il più omogeneo possibile a livello mondiale. La direttrice operativa dell’IMF Kristalina Georgieva ha espresso la necessità di portare il prezzo per l’emissione di una tonnellata di CO2 equivalente da una media mondiale di 2$ ad almeno 75$ entro il 2030 per garantire una transizione equa anche per i paesi la cui economia è fortemente dipendente dalle risorse fossili; al contempo bisognerà riformare i sussidi per i combustibili fossili sia per i consumatori, sia per i produttori. Se da una parte bisognerà alzare questi prezzi, dall’altra bisognerà rendere accessibili quelli delle nuove tecnologie per produrre energia da fonti rinnovabili affinché diventino disponibili su larga scala: è quello che cerca di realizzare il gruppo di investitori di Breakthrough Energy Coalition, il cui portavoce al Summit è stato Bill Gates: il mercato dell’energia pulita potrebbe raggiungere entro il 2030 un valore di 23 trilioni di dollari secondo Jennifer Granholm, attuale segretaria dell’energia statunitense. Sarà però necessario indirizzare capitali verso progetti in linea con l’obiettivo Net 0: Jane Fraser, presidentessa di Citi, e Marcie Frost, CEO di Calpers, hanno proposto di rendere obbligatorio, per chi richieda qualsiasi tipo di finanziamento, un report standard sui rischi del progetto stesso legati al clima, unico modo per poter contare su dati affidabili.

I finanziamenti dovranno essere resi accessibili ai paesi in via di sviluppo: in questo senso agisce l’African Development Bank, associazione finanziaria nata con la missione di promuovere investimenti che possano aiutare lo sviluppo di progetti e realtà imprenditoriali in Africa, come quelli dei 40 milioni di agricoltori africani che cerca di raggiungere. Il suo presidente Akinwumi Adesina ha evidenziato come l’Africa perda dai 7 ai 15 miliardi di dollari ogni anno a causa del cambiamento climatico.

Nonostante le differenze sociali e culturali, tutti i leader che hanno partecipato al summit sono d’accordo su un punto cruciale: le azioni concrete con cui risponderemo a queste domande nei prossimi dieci anni determineranno il futuro della nostra specie sul pianeta.