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#NoStreamDay: anche gli streamer meritano tutela

Come è tristemente noto, perdere il lavoro è, specialmente in questo periodo storico, una delle esperienze più destabilizzanti e deprimenti che si possano sperimentare nella propria vita personale. Fortunatamente, nel nostro Paese, esistono (forse fin troppe) tutele a garanzia che ciò avvenga il meno possibile. Tuttavia, diverse nuove categorie di lavoratori del web, nonostante paghino le tasse in Italia e siano, spesso, sotto contratto, vengono pressoché completamente ignorate da queste tutele. Particolarmente precaria è la situazione degli streamer di Twitch: dipendenti da un regolamento il cui contenuto non è pubblico (sono consultabili solamente alcune “linee guida”), spesso si ritrovano allontanati dalla piattaforma per motivi futili e in maniera decisamente poco trasparente. Alla luce di ciò, diversi tra i creator italiani più seguiti hanno deciso di collaborare per provare a migliorare la loro situazione lavorativa. Nasce così il “NoStreamDay”, il primo vero e proprio sciopero degli streamer che si terrà il 9 dicembre.

La scintilla

Ma qual è stata la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso? L’iniziativa nasce a seguito del ban di Sdrumox, pseudonimo di Daniele Simonetti, che, dopo essere stato solamente “sospeso a tempo indeterminato” a maggio, si è visto cacciato definitivamente dalla piattaforma qualche settimana fa. Il ban, per chi non conoscesse il linguaggio web, è l’equivalente del licenziamento nel “mondo reale”. Più nello specifico, essere bannati da Twitch comporta non solo la cancellazione del proprio canale ma anche l’impossibilità di crearne uno nuovo (cosa invece possibile su YouTube) e il divieto di essere “pubblicizzati” in qualsiasi modo da altri streamer. La pena si inasprisce se il soggetto del ban è un partner di Twitch: durante quelli temporanei non è possibile utilizzare altre piattaforme concorrenti, pena l’allontanamento definitivo. È, quindi, intuitivo come una sospensione di sei mesi possa essere inabilitante per un professionista, soprattutto se poi si tramuta in allontanamento conclusivo senza alcuna apparente ragione.

L’iniziativa

Storie come quella di Daniele sono, in realtà, all’ordine del giorno sul sito viola e gli organizzatori del NoStreamDay sperano che l’iniziativa possa essere un primo passo verso una maggiore tutela del loro lavoro. L’invito allo sciopero è esteso a chiunque utilizzi la piattaforma come streamer e, soprattutto, a tutti gli spettatori. Il 9 dicembre, infatti, coloro che decideranno di aderire non dovranno accedere al sito viola per tutta la giornata. Unica eccezione saranno le ore 16.00, orario in cui gli streamer partecipanti al NoStreamDay trasmetteranno 5 minuti di live dove verrà letto il manifesto dell’iniziativa. Il giorno precedente, invece,v errà organizzata una trasmissione collettiva con tutti i supporter e verrà fatto partire l’hashtag #nostreamday su Twitter, con lo scopo di dare maggiore visibilità alla protesta.

Il manifesto

Il manifesto in questione non contesta la durezza del sistema dei ban in sè ma l’aleatorietà con cui viene attuato, oltreché la già citata poca chiarezza e trasparenza del regolamento stesso. In effetti, è facile notare diverse disparità di trattamento e insensatezze nella moderazione di Twitch. Basti pensare ad alcune streamer che sono state sospese per aver indossato vestiti “troppo scollati” nonostante nella piattaforma prolifichino contenuti soft-pornografici di ogni tipo; oppure a gag fisiche innocue punite per “autolesionismo” mentre, giusto qualche giorno fa, la trasmissione di uno streamer russo, in cui veniva costantemente inquadrato il cadavere della sua compagna appena deceduta, non è stata nemmeno interrotta. Per non parlare di tutte le problematiche e i fraintendimenti che possono nascere attorno alle trasmissioni di stampo comico-satirico, che spesso si trovano a doversi auto-censurare nel timore di andare a toccare argomenti non graditi. Tabù che, come è immaginabile, non sono comunicati chiaramente nemmeno a chi con Twitch ha un contratto. In definitiva, gli streamer e le streamer chiedono di poter avere, quantomeno, un dialogo con Amazon, che ricordiamo essere proprietaria di Twitch, e di avere qualcosa di più che opache linee guida su cui decidere cosa fare e cosa no nello proprie trasmissioni.

Quale futuro?

In definitiva, gli streamer e le streamer chiedono di poter avere, quantomeno, un dialogo con Amazon, che ricordiamo essere proprietaria di Twith, e di avere qualcosa di più che opache linee guida su cui decidere cosa fare e cosa no nello proprie trasmissioni. Nonostante il NoStreamDay riguardi, quindi, solamente Twitch, l’iniziativa pone diversi interrogativi e problematiche che, probabilmente, diventeranno sempre più centrali nel futuro prossimo del mondo del lavoro. Non solo il sito viola, ma anche tutti gli altri social media come Facebook, YouTube e Twitter possono interrompere il rapporto lavorativo con qualsiasi creatore di contenuti da un giorno all’altro e senza alcun preavviso. In un mondo in cui sempre più persone si troveranno, in un modo o nell’altro, a lavorare attraverso società web semi-monopoliste, è concepibile che questo modus operandi continui senza alcuna tutela? Vale più il regolamento di una piattaforma privata o la legge dello Stato? Domande come questa meriterebbero più attenzione nel dibattito politico. Non resta che augurarsi che il NoStreamDay abbia abbastanza eco mediatico da, magari, iniziare a smuovere l’opinione pubblica.

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TWITCH: da videogiochi a “televisione del futuro” il passo è breve

Quando si pensa alla visione ad accesso libero di video in streaming il pensiero, inevitabilmente, viene subito indirizzato verso YouTube. Tuttavia, in quest’ultimo periodo, un’altra piattaforma, radicalmente diversa, sta riuscendo ad imprimersi nella cultura popolare come nuovo dominus dei video online: stiamo parlando di Twitch. Il social media di proprietà di Amazon è, infatti, leader dei live-streaming con ben il 72% delle ore totali trasmesse globalmente online e con una crescita di utenza – e di broadcaster – che non accenna a fermarsi. Ma qual è stata la “formula magica” dietro al successo del sito viola? Per capirlo occorre prima indagarne le origini.

Dalle origini a oggi: un successo predestinato?

Twitch nasce nel 2011 come succursale dedicata esclusivamente a videogiochi ed eSport della piattaforma di streaming generico Justin.tv. Da semi-monopolista del settore, Twitch divenne nel 2013 il sito dedicato alle trasmissioni eSport più popolare e, dopo essere stata acquistata da Amazon nel 2014, arrivò, già nel 2018, ad avere in media un milione di utenti attivi all’ora: ben più di alcune emittenti statunitensi come la CNN e la ESPN. Nonostante, quindi, Twitch abbia già da diversi anni dimostrato il suo enorme potenziale, il vero grande balzo di popolarità (soprattutto fuori dagli Stati Uniti) è arrivato solamente quest’anno.

È innegabile, infatti, che il lockdown abbia giovato a Twitch data la natura estemporanea dei contenuti offerti dal sito. Non a caso il maggior numero di persone disposte a guardare – e a trasmettere – video in diretta si è riflesso nella crescita esponenziale di ogni statistica con cui è misurabile il successo della piattaforma. Dal 2019 al 2020, gli spettatori medi connessi sono raddoppiati superando la soglia dei due milioni. Ad oggi, si parla di un totale di 1.6 miliardi di ore visionate al mese, con una media di 95 a utente: uno scenario quantomeno insolito rispetto al web “mordi-e-fuggi” a cui siamo stati abituati negli ultimi anni.

Anche in Italia, sembrerebbe che Twitch abbia ormai messo radici. Pur non avendo a disposizione dati precisi e aggiornati sul nostro paese, è possibile capire la crescente popolarità che la piattaforma sta avendo in terra nostrana considerando le analytics pubbliche di alcuni streamer.

Lo scenario italiano

Nel 2019 erano 23, oggi sono più di 64 gli streamer italiani che hanno superato i 100.000 follower, con il record di 1.172.244 attualmente detenuto da Pow3rtv, videogiocatore professionista. Interessante notare come in questa classifica più della metà dei broadcaster rientri nella categoria “Just Chatting”, la vera rivelazione di quest’anno. In quest’ultima, infatti, rientrano tutti quei contenuti che, prendendo in prestito un termine dal linguaggio televisivo, potremmo chiamare “talk show” e che, di conseguenza, si allontanano prepotentemente dalla natura videoludica per cui era nata in origine Twitch. La piattaforma si sta, quindi, avvicinando sempre di più a un pubblico generalista, attraendo così maggiori guadagni, creatori di contenuti ed investitori pubblicitari.

Per inquadrare meglio il fenomeno del Just Chatting in Italia consiglio di dare un’occhiata al canale Youtube dove vengono ricaricate le repliche del Cerbero Podcast, attualmente al primo posto della categoria in Italia e 48° nel mondo. Quest’ultima è una trasmissione condotta da tre youtuber (Simone Santoro, Davide Marra e Mr.Flame) che, tra toni irriverenti e situazioni surreali, tratta gli argomenti più disparati e svolge interviste a personaggi del web. Tuttavia, più che il contenuto in sé, è importante capire che, come successo con il Cerbero, gran parte dei programmi più seguiti (tra quelli non legati al mondo gaming) sono portati avanti da personaggi che sono nati e hanno raggiunto la popolarità su YouTube per poi, in un secondo momento, migrare su Twitch. Ma perché rinunciare ad audience già consolidate e, spesso, anche a sei cifre? Beh, come ci ha confessato Ruggero Rollini, divulgatore e comunicatore scientifico, durante un incontro di iBicocca… perché Bezos paga. E paga bene, molto più di Google.

Perché Twitch?

Rispetto a YouTube, che basa la monetizzazione dei suoi creator solamente sulle pubblicità, il sistema che ha creato Amazon per assicurarsi i migliori contenuti è decisamente più remunerativo. Oltre ai classici adv e alle donazioni una tantum, Twitch consente di basare il proprio business su abbonamenti che consentono agli utenti, a fronte di un pagamento mensile, di ottenere benefit di varia natura sul canale a cui ci si è iscritti. Sistema, questo, semplificato dal fatto che è possibile avere un abbonamento gratuito al mese collegando il proprio account Amazon Prime, senza nulla togliere a cui ci si sottoscrive. Questi bonus possono andare dalla possibilità di rivedere le live in differita a meri elementi estetici per la chat, come icone o emoticon. La chat, in effetti, è uno dei punti focali che rende Twitch unico: consentendo l’interazione immediata tra utenti e creator, rende gli show visti in diretta unici e più “vicini” al pubblico, consentendo un maggiore engagement e una più facile fidelizzazione degli spettatori. Il risultato? Un fatturato di 1 miliardo e mezzo di dollari nel solo 2019, di cui 300 milioni provenienti da sponsorizzazioni.

Come se non bastasse, Amazon non si accontenta e ha piani che vanno ben oltre al peer-to-peer streaming per la sua Twitch. La compagnia di Bezos ha già, difatti, acquistato i diritti di  trasmissione della Champions League per tutto il triennio 2021-2024, con l’esclusiva per alcune partite, ed intende promuovere la produzione di format d’intrattenimento di alto livello come game show, reality ed iniziative musicali. È dunque questo il futuro dello streaming e della televisione? Forse è troppo presto per dirlo ma le fondamenta paiono essere state messe e la volontà di far crescere ancora di più la piattaforma è ben presente in quel di Amazon. Non resta che aspettare, magari gustandosi qualche Just Chatting o gameplay live nel frattempo.