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Ambiente, società e tecnologia

Il medico del futuro è un algoritmo?

Il futuro della sanità potenziata con l’AI

Immaginiamo un futuro in cui una tecnologia sia in grado di valutare il nostro stato di salute, rilevare la possibile presenza di patologie e proporre trattamenti personalizzati basati sulle nostre caratteristiche psicofisiche. Non serve essere i protagonisti di un episodio di Black Mirror – la serie britannica che esplora, in chiave distopica e speculativa, le implicazioni sociali, etiche e psicologiche dell’innovazione tecnologica – per visualizzare uno scenario del genere. Quel futuro, infatti, è già presente.

Tra gli esperti del settore sanitario infatti, si discute già da tempo del potenziale contributo dell’intelligenza artificiale alla medicina del futuro, grazie alla sua capacità di analizzare e interpretare grandi quantità di dati in modo rapido e più o meno accurato.

Ma come si fa a introdurre nel percorso clinico-terapeutico una nuova tecnologia e renderla una vera “innovazione”? Chi sono i protagonisti e quali sono le implicazioni etiche e sociali dell’introduzione di algoritmi volti a guidare le decisioni cliniche?

 

Sfide all’integrazione dell’AI nella pratica clinica

Sono numerosi i fattori che contribuiscono oggi ad aggravare lo stato di salute dell’umanità. Tra questi figurano problemi strutturali legati al cambiamento climatico, alla crescente preoccupazione per la salute mentale, alle disuguaglianze socioeconomiche e all’accesso ineguale ai servizi sanitari. A tali problematiche strutturali si aggiungono poi problemi contestuali che interessano, in misura variabile, gran parte dei sistemi sanitari nazionali mondiali. Tra questi si annoverano le maggiori aspettative riposte nella medicina, l’aumento della popolazione globale e il progressivo invecchiamento della stessa, nonché i costi crescenti legati allo sviluppo e all’adozione di nuove tecnologie.

Sebbene molti di questi problemi, per la loro complessità e dimensione, non possano essere risolti da un algoritmo, gli esperti concordano sul fatto che l’intelligenza artificiale possa offrire soluzioni efficaci per affrontarne alcuni aspetti. Fabrizio D’Alba, direttore generale del Policlinico Umberto I di Roma e presidente di Federsanità, sottolinea ad esempio che “L’intelligenza artificiale è uno strumento che può rendere più accurata l’attività dei professionisti, semplificarla e ridurre i tempi necessari per alcune decisioni critiche”. 

È evidente, quindi, che l’intelligenza artificiale può svolgere molteplici compiti assegnati dai medici, supportandoli nel miglioramento e nella semplificazione di gran parte del loro lavoro.

 

Le possibile applicazioni nella sanità

Le applicazioni dell’AI in sanità infatti sono molteplici, e a questo proposito ricordiamo la presenza di algoritmi capaci di analizzare immagini radiologiche per rilevare patologie con una buona performance diagnostica, di sistemi come DrugGpt che aiutano a identificare nuove potenziali molecole da utilizzare a scopo terapeutico, e di chatbot avanzati capaci di assistere i medici nella gestione di diagnosi preliminari e follow-up.

Tutto appare semplice e promettente, almeno in teoria, ma approfondendo il funzionamento di questi sistemi emerge che il vero perno dell’innovazione risiede nella raccolta e nella gestione accurata dei dati. I sistemi di machine learning e deep learning si basano infatti su enormi dataset per identificare pattern, fare previsioni e ottimizzare processi complessi. È qui che sorgono alcune delle sfide più rilevanti. Da un lato, modelli addestrati su dati provenienti da popolazioni specifiche possono introdurre bias discriminatori verso gruppi etnici o sociali minoritari. Dall’altro, il trattamento di dati sensibili, come quelli sanitari, richiede il rispetto di rigorosi protocolli di sicurezza, come evidenziato dall’OMS nel report Regulatory Considerations on Artificial Intelligence for Health.

Per un’integrazione sana e costruttiva dell’intelligenza artificiale nella pratica medica, dunque è innanzitutto fondamentale riconoscere che essa non può né deve sostituire il ruolo del medico. Solo un medico, infatti, può comprendere appieno le complessità della vita umana e del rapporto tra mente, corpo e ambiente, instaurare una connessione emotiva con il paziente, generare fiducia nel paziente, gestirne l’ansia e motivarlo ad affrontare trattamenti complessi o cambiamenti nello stile di vita. È il medico che tiene conto della volontà del paziente, dei suoi valori morali, e che trova soluzioni creative e sensibili, adattandosi al contesto specifico. L’intelligenza artificiale deve dunque essere vista come uno strumento complementare, non come un sostituto. Al contrario, il professionista sanitario deve acquisire le competenze necessarie per comprenderne il funzionamento e sfruttarne il potenziale, con l’obiettivo finale di migliorare la cura del paziente.

In ogni caso, siamo ancora lontani dal poter basare diagnosi o terapie esclusivamente sugli algoritmi. Il cosiddetto “occhio clinico” resta imprescindibile per individuare le peculiarità del paziente e registrarle in modo accurato nel suo Fascicolo Sanitario Elettronico. Durante il Forum Sanità 2024, Maria Immacolata Cammarota, responsabile del progetto FSE presso il Dipartimento per la Trasformazione Digitale, ha sottolineato che solo a partire da dati di alta qualità è possibile generare una conoscenza altrettanto valida e utile attraverso l’AI. Questo evidenzia come la tecnologia possa diventare un alleato prezioso per il personale medico, a patto che esso si impegni a raccogliere, organizzare e interpretare i dati con precisione e competenza. “Oggi – sostiene la Dottoressa Cammarota- parliamo non solo di big data, ma di good data, ovvero dati accurati e affidabili su cui costruire una conoscenza buona e consapevole”. È evidente quindi che il successo dell’AI dipenderà dalla qualità dei dati su cui sarà addestrata, e quest’ultima è strettamente legata alle abilità del professionista, medico o chirurgo. 

 

Startup e istituzioni: attuali protagonisti dell’innovazione

Attualmente tuttavia, i principali protagonisti dell’innovazione tecnologica in ambito sanitario non sono i sistemi sanitari o il personale medico, ma le startup, aziende caratterizzate da modelli di business innovativi e orientati alla rapida scalabilità. Il loro obiettivo è spesso quello di espandersi velocemente all’interno di settori consolidati o nuovi mercati. Tra gli esempi più interessanti troviamo Imagene, una startup israeliana che sfrutta l’intelligenza artificiale per identificare biomarcatori tumorali e prevedere le risposte ai trattamenti; WideLabs, realtà brasiliana che utilizza modelli linguistici avanzati per creare contenuti biografici personalizzati per pazienti con Alzheimer e anticipare la diagnosi della malattia; e Cerebriu, azienda danese che impiega l’AI per ridurre i tempi di analisi delle scansioni cerebrali ottenute tramite risonanza magnetica.

Al fianco di queste realtà emergenti, si posizionano grandi attori istituzionali e tecnologici. Tra questi, l’Organizzazione Mondiale della Sanità, che guida il dibattito sulla regolamentazione dell’uso dell’AI in medicina, e colossi affermati come Oracle, che fornisce infrastrutture cloud avanzate per l’addestramento dei modelli di intelligenza artificiale.

La trasformazione è già in atto e progredisce a un ritmo sempre più rapido. Tuttavia, restano aperti i dibattiti su come questa rivoluzione possa essere guidata in modo da massimizzare il benessere collettivo e ridurre le disuguaglianze, sottolineando l’urgenza di definire un equilibrio tra innovazione tecnologica, etica e accessibilità.

Da un lato, le startup, con la loro capacità di attrarre investimenti e generare innovazione, rappresentano un motore economico di straordinaria importanza. Queste realtà, spesso fondate da team multidisciplinari che includono ingegneri, medici e bioinformatici, stanno guidando una nuova era della medicina digitale. Secondo recenti dati, le startup del settore AI in sanità hanno raccolto miliardi di dollari in finanziamenti, catalizzando lo sviluppo di tecnologie avanzate come algoritmi di monitoraggio per trial clinici e piattaforme per la medicina predittiva.

Un esempio concreto del valore economico e sociale dell’AI è rappresentato dagli algoritmi che monitorano in tempo reale i trial clinici, identificando anomalie e accelerando il processo di approvazione dei farmaci. Startup come Imagene, che utilizzano approcci innovativi come il self-supervised learning per superare i limiti dei dataset ridotti o non etichettati, stanno dimostrando che è possibile ridurre i bias geografici ed etnici, migliorando così la cura delle minoranze meno rappresentate nei materiali impiegati per l’apprendimento degli algoritmi. Tuttavia, anche modelli avanzati richiedono aggiornamenti costanti, risorse computazionali elevate e una supervisione umana accurata.

Parallelamente, le istituzioni sanitarie e politiche assumono un importante ruolo nel guidare e regolamentare questa trasformazione. L’Unione Europea, attraverso l’AI Act, sta sviluppando normative che definiscono standard di sicurezza ed equità per l’uso dell’AI, con un’attenzione particolare al settore sanitario. “Senza una regolamentazione chiara e condivisa, sottolinea Fabrizio D’Alba, rischiamo di perdere di vista l’obiettivo finale: migliorare la qualità della cura e ridurre le disuguaglianze”.

Nonostante possano essere previsti alcuni vantaggi economici, l’espansione dell’AI in sanità non è quindi priva di rischi. La concentrazione delle innovazioni tecnologiche in startup private solleva interrogativi su come garantire equità nell’accesso e trasparenza nell’utilizzo dei dati sanitari. Paesi con risorse limitate potrebbero restare esclusi da queste innovazioni, aggravando le disuguaglianze globali. La stessa adozione di tecnologie AI in contesti clinici avanzati può sollevare dubbi etici legati alla sostituzione del giudizio umano con quello di un algoritmo.

 

Intelligenza artificiale e relazione medico-paziente

L’AI ha il potenziale di migliorare la qualità delle cure, ma non deve compromettere il cuore della professione medica: il rapporto umano tra medico e paziente. Se utilizzata correttamente, può supportare i professionisti nel prendere decisioni più informate e rapide, lasciando loro più tempo per instaurare una relazione empatica con il paziente. Come osservato da Dean Bitan, cofondatore di Imagene, l’AI non è solo uno strumento per aumentare l’efficienza, ma anche un mezzo per estendere l’accesso a cure di alta qualità, persino in aree rurali e svantaggiate.

Tuttavia, un’adozione indiscriminata e poco critica della tecnologia potrebbe compromettere il ruolo decisionale del medico, riducendo il suo apporto a semplice supervisore di algoritmi. La formazione dei professionisti sanitari deve quindi diventare una priorità, per consentire loro di integrare l’AI nella pratica clinica senza rinunciare al loro ruolo centrale. Come evidenziato durante il Forum Sanità 2024, “la tecnologia non sostituirà mai la sensibilità e il giudizio umano, ma può amplificarne l’efficacia quando utilizzata con consapevolezza”.

 

Collaborazione tra algoritmo e professionista umano

L’intelligenza artificiale rappresenta quindi una straordinaria opportunità per trasformare il settore sanitario, ma la sua diffusione deve essere guidata da principi di equità, sicurezza e responsabilità. Startup, istituzioni e professionisti sanitari devono collaborare per creare un ecosistema in cui l’innovazione tecnologica sia al servizio delle persone, non viceversa.

Solo un approccio consapevole e collaborativo potrà garantire che l’AI diventi un alleato indispensabile, migliorando non solo la qualità delle cure, ma anche il benessere complessivo della società. La vera sfida non è solo sviluppare tecnologie avanzate, ma far sì che queste possano essere accessibili e utili per tutti, contribuendo a una sanità più giusta, inclusiva e umana.

 

Fonti

  • Annual Review of Biomedical Data Science Probabilistic Machine Learning for Healthcare Irene Y. Chen

 

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Ambiente, società e tecnologia

Cultura digitale e musei: come l’AR sta trasformando l’arte e il patrimonio culturale

Nell’era della digitalizzazione, risulta sempre più semplice ed immediato ricorrere a spazi o mezzi digitali per approfondire ed esplorare qualsivoglia aspetto o campo d’interesse. Tra mostre con stanze immersive quadrimensionali, prodotti artistici generati dall’Intelligenza Artificiale e tour virtuali di svariati musei, anche la fruizione culturale si sta evolvendo e trasformando seguendo una direzione sempre più digitalizzata.

 

Intelligenza Artificiale: dalla parola all’immagine

Gli sviluppi della fusione tra arte e digitale hanno caratteri proteiformi e la loro concretizzazione risulta varia nel processo di realizzazione e nel risultato finale. Una prima introduzione a questi innovativi sistemi è raccontata da Chiara Canali, Rebecca Pedrazzi e Davide Sarchioni, esperti nel settore di divulgazione artistica; il trio ha tenuto un convegno riguardo l’omonima mostra L’opera d’arte nell’epoca dell’IA in cui viene illustrato, sia in chiave verbale che figurata, come si stia progredendo verso la costruzione e creazione di immagini o elementi artistici attraverso la descrizione testuale inserita in un sistema di Intelligenza Artificiale. Nel dettaglio, scopriamo come tali programmi, attraverso la catalogazione di parole o frasi in campi semantici distinti, siano in grado di risalire a illustrazioni diverse per formarne una inedita. Tale processo viene espresso e ampiamente approfondito nel saggio del filosofo contemporaneo Pietro Montani, intitolato Immagini sincretiche ed edito Maltemi; l’autore spiega, in termini epigenetici,come l’uso del linguaggio sia finalizzato anche alla costruzione ideologica e consequenzialmente pratica di segni visivi. Risulta quindi immediato comprendere la modalità del processo avanguardista sopracitato e di come questo si avvalga della stretta connessione tra la parola e l’immagine presente, in modo innato, nella mente di ciascuno.

 

Celerità creativa: la reversibilità dell’errore

Il giornalista Vanni Santoni sottolinea la rapidità di tale processo creativo: dall’inserimento testuale alla produzione finale dell’illustrazione artistica passano pochi secondi e, di conseguenza, il tempo tra l’idea e il suo compimento è quasi immediato.

I vantaggi di questa celerità riguardano la flessibilità e la dinamicità delle creazioni stesse: un errore, un qualsiasi mutamento o persino un immediato cambio d’idea artistica sono completamente reversibili e non richiedono un elevato impegno economico o fisico; infatti, sarà necessario il solo inserimento di un nuovo testo rettificato per ottenere un nuovo prodotto creativo.

 

Oppressione tradizionalista o avanguardia artistica?

Sebbene i giovamenti siano lampanti, non sono trascurabili gli svantaggi di questo sistema; infatti, l’aumento di opere generate dall’Intelligenza Artificiale è direttamente proporzionale al fragoroso malcontento degli archivi istituzionali. 

Ne è esempio il caso della fumettista Sarah Andersen insieme all’artista Kelly McKernan e l’illustratrice Karla Ortiz, le quali accusarono Stability AI, Midjourney e DeviantArt di violazione di copyright. Tali aziende, sfruttando la ricezione immediata di diverse immagini, ricorsero anche a illustrazioni di matrice analogica e quindi appartenenti ad artisti o archivi esistenti che, senza aver dato alcuna autorizzazione, trovarono le loro opere mutate da terzi.

Oltre a ciò, i critici più conservatori si trovano in opposizione con i nuovi sistemi di sviluppo creativo ed artistico, considerandoli oppressori di processi d’arte tradizionale che, sebbene necessitino di tempistiche maggiori e di un impegno manuale costante, sono avvalorati proprio dalla dedizione analogica e dallo studio ricercato dell’artista stesso, diametralmente distante dalla fugace creazione dell’Intelligenza Artificiale.

 

Dall’azienda all’esposizione d’arte: il caso Lenovo

Si pone in una posizione di mediazione Massimo Chiaretti, manager di primo livello per Lenovo, il quale spiega come questi nuovi processi siano da considerare come “un’estensione pre-cognitiva: prima di noi. Per l’artista un “superpotere” lecito”. Sarà proprio Chiaretti, coadiuvato da Fondazione Cariplo, ad avviare una collaborazione con il MEET Digital Culture Center, crocevia tra arte e cultura digitale; figlia di questa unione è la mostra AI yoga per Intelligenze Artistiche, presentata nella sede MEET di Milano dal 19 al 29 settembre del 2024. In questo spazio espositivo, dieci artisti differenti hanno usufruito del prodotto tecnologico Lenovo Yoga Slim 7x per produrre vere e proprie opere d’arte di differenti stili e materiali.

 

L’idea nella Grande Mela e l’approccio britannico

Ampliando lo sguardo, si nota che il supporto delle nuove tecnologie nel campo artistico e culturale, è fruibile anche oltreoceano. Ne è esempio il progetto sviluppato dal MoMa di New York associato con Google Art & Culture Lab: Identifying art through machine learning; grazie ad un algoritmo generato da Google, si prende in esame ogni reperto fotografico dell’archivio museale innestando connessioni tra la documentazione online e quella analogica. Il risultato è la genesi di nuovi sistemi e chiavi di lettura indipendenti dalle logiche curatoriali o soggettivo-interpretative.

Con le stesse fondamenta, viene elaborato Recognition un programma di Intelligenza Artificiale di cui si avvale la Tate Gallery di Londra per associare le immagini di opere d’arte esposte o conservate nel museo a rappresentazioni giornalistiche che vengono pubblicate dalla redazione di Reuters scovando analogie o parallelismi volti ad attivare un conseguente controcircuito dell’immaginario visuale e illustrativo.

 

I sopracitati sono solo pochi ma efficaci esempi d’espressione del binomio arte e tecnologia; la prospettiva di molti è di un accrescimento e fusione costante di questi due mondi con l’augurio che possa essere una continua evoluzione senza trascurare i lati più storici e processuali degli sviluppi artistici.

 

Fonti: 

https://insideart.eu/2024/07/05/ia-larte-e-intelligente-e-artificiale-per-definizione/ 

https://www.artribune.com/progettazione/new-media/2023/02/intelligenza-artificiale-sofferenza/

https://www.agendadigitale.eu/cultura-digitale/intelligenza-artificiale-arte-e-cultura-elementi-per-una-vera-valutazione-estetica/  

https://www.carraro-lab.com/home/ 

https://www.corriere.it/tecnologia/24_settembre_20/l-intelligenza-artificiale-come-musa-per-l-arte-cosi-ha-ispirato-una-mostra-a0971cb7-a08d-45b2-850c-29d821893xlk.shtml

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Entertainment, videogame e contenuti

Esports e marketing: come i brand stanno sfruttando il gaming competitivo per raggiungere nuovi pubblici

Gli eSports (o electronic sports) sono una forma di competizione tra giocatori professionisti che si sfidano in videogiochi su piattaforme online e offline. Nonostante vengano ancora considerati perlopiù un passatempo divertente, i dati mostrano quanto negli ultimi anni l’industria degli e-sports abbia registrato una crescita esponenziale.

Da attività di nicchia a intrattenimento mainstream

Inizialmente nata come un’attività di nicchia, si configura ormai come intrattenimento mainstream, con tornei di gioco competitivi che attraggono una massiccia audience online e offrono fruttuosi montepremi. Questo, infatti, sta rapidamente diventando uno dei settori più redditizi e permette ai marchi nuove opportunità di marketing, entrando in contatto con un pubblico appassionato e coinvolto.

Gli attori principali e l’ecosistema degli eSports

Gli attori principali di questa realtà sono i streamers, singoli partecipanti che giocano per guadagnare denaro o unirsi a vere e proprie organizzazioni per competere per premi ancora maggiori. I giocatori possono interagire con i propri fan attraverso social media, piattaforme di live streaming e tornei. D’altra parte. Molte piattaforme tecnologiche, servizi, eventi, piattaforme di analisi e un notevole capitale di investitori circondano questo florido ecosistema.

eSport Marketing: una nuova frontiera per i brand

Imprese come BMW, Redbull, Louis Vuitton e Intel hanno iniziato ad investire in strategie di eSport Marketing come leva per il proprio sviluppo. Ma di cosa si tratta nello specifico? Il marketing sportivo, inteso come la promozione di prodotti e servizi attraverso lo sport, è un’attività consolidata che ha dimostrato di avere un impatto significativo sui consumatori. Tuttavia, la natura degli e-sports richiede un approccio diverso e l’impiego di specifiche strategie per poterne sfruttare appieno le opportunità offerte.

I vantaggi degli eSports rispetto agli sport tradizionali

Uno dei vantaggi degli e-sports rispetto agli sport tradizionali è la facilità con cui si possono creare e condividere contenuti online. I giochi elettronici possono essere trasmessi in streaming in tutto il mondo, consentendo ai fan di seguire i tornei in diretta e di interagire con altri spettatori. I marchi possono utilizzare questo canale per creare contenuti promozionali personalizzati e coinvolgenti, sfruttando la grande base di fan degli e-sports. Inoltre, caratteristiche quali la velocità e la scalabilità consentono di creare nuovi giochi con dinamiche, aggiornamenti e giocatori infinitamente scalabili.

Il coinvolgimento di Millennial e Gen Z

Inoltre la possibilità di raggiungere le tanto ambite fasce demografiche dei millennial e della Gen Z, li rende uno strumento assolutamente efficace. Queste generazioni, esperte di tecnologia, hanno una forte propensione al gioco e passano molto tempo a interagire con i contenuti, le piattaforme di streaming e gli eventi di esports. Allineandosi con gli sport e i giochi, i marchi possono stabilire un legame significativo con queste fasce demografiche e costruire una fedeltà al marchio a lungo termine. I dati mostrano un sempre più crescente interesse degli appartenenti alla Gen Z agli eSports rispetto ad altri sport tradizionali. Inoltre, quasi il 90% di loro conosce almeno uno sponsor di eSport che non ha legami con il gaming.

Interattività, bassa concorrenza e alto tasso di conversione

In aggiunta, l’eSport Marketing continua a crescere grazie all’elevata interattività e la bassa concorrenza. Di fatto, sulle principali piattaforme (quali Twitch, Hitbox, YoutìTube Gaming), si conta un basso volume di annunci pubblicitari ad altissimo tasso di conversione. Questo perché i fan sono completamente immersi nei contenuti di cui usufruiscono. L’espansione del settore degli eSports offre opportunità allettanti e redditizie per i brand. Essi, infatti, stanno cercando sempre più di diventarne parte attraverso diverse strategie di eSport Marketing. Tuttavia, il loro successo dipende da come interagiscono con il loro pubblico sulle piattaforme di gioco.

Le principali strategie di eSport Marketing

Tra le principali strategie utilizzabili da parte delle aziende troviamo l’influencer marketing. La collaborazione con un influencer di eSports può rivelarsi un supporto importante per i marchi nella creazione di esperienze di marketing uniche per il pubblico. Gli influencer degli e-sports, cioè i giocatori e i commentatori con un grande seguito online, possono essere utilizzati come ambassador per i brand. Le collaborazioni con gli influencer possono portare ad una maggiore esposizione dei marchi e ad una maggiore interazione con il pubblico. La chiave per una campagna di marketing di influencer di successo è trovare l’influencer giusto con cui lavorare. I marchi dovrebbero essere chiari sui loro goals e lavorare solo con creators che condividono i loro obiettivi e valori o che in passato hanno già citato il brand stesso o un suo prodotto/servizio.

Un’ulteriore strategia di marketing per i videogiochi è creare un team di eSport. Ciò permette all’impresa di entrare più facilmente in contatto con la comunità di gioco, al fine di commercializzare il marchio a un pubblico dedicato. Si può creare un team da zero oppure considerare anche l’affiliazione a team di eSport già alla ricerca di sponsorizzazioni. In tal modo, quando il team trasmette il gameplay, il brand acquisisce automaticamente visibilità nei video o nelle dirette live associate all’evento.

Proseguendo con le sponsorizzazioni, una delle leve principali del marketing sportivo. I brand possono essere creativi con le loro strategie di attivazione. Da esperienze di gioco e tornei virtuali brandizzati a live stream interattivi e contenuti di gioco personalizzati, le possibilità sono infinite. Queste strategie innovative catturano l’attenzione del pubblico creando esperienze memorabili. La sponsorizzazione di un evento eSport è sicuramente una strategia vincente per un’azienda, esposta così alla visibilità di una fanbase interessata all’evento in questione. Sponsorizzare un evento di portata inferiore è il primo passo per iniziare a familiarizzare con il pubblico, per poi proseguire con eventi di maggiore portata.

L’ultima strategia degna di rilievo è il content marketing, fondamentale per affermare un marchio nel mondo dei videogiochi. La condivisione di informazioni preziose aiuta l’azienda a fidelizzare un maggior numero di followers, grazie a contenuti esclusivi che gli influencers condivideranno sui loro canali. Nel frattempo, l’azienda può concentrarsi sulla promozione di contenuti attraverso i social media, il sito web e gli annunci in-stream, mediante l’aggiunta di CTA (Call to Action) per indurre gli spettatori a eseguire l’azione desiderata. Nel progettare contenuti per l’eSport Marketing, è necessario assicurarsi che essi siano pertinenti al contesto in cui dovranno essere condivisi. Il focus deve sempre essere rivolto al target finale. Se il contenuto è unico e progettato correttamente, infatti, le sue possibilità di diventare virale nelle comunità di gioco sono alte. I veri appassionati possono, così, condividere i post o i video dell’azienda con il loro network e accrescere l’awareness intorno alla campagna di marketing e al marchio stesso.

Case study: KFC

Tra i casi maggiormente degni di nota, possiamo menzionare la famosa catena di fast food KFC ha organizzato un torneo, offrendo un montepremi di oltre 60.000 dollari. Oltre all’ingente premio in denaro, KFC ha messo in palio per i concorrenti anche la possibilità di vincere una carta nera “KFC”, ovvero una tessera esclusiva che consente al titolare di mangiare gratuitamente. KFC si posiziona quindi come un brand sempre più attivo nell’eSport, attraverso numerose partnership ed iniziative.

Conclusioni e prospettive future

In conclusione, gli e-sports rappresentano una grande opportunità per il marketing sportivo. I marketer devono adattare le loro strategie per sfruttare al meglio le possibilità offerte da questo settore in rapida crescita. Dunque, affinché una strategia di eSport marketing abbia successo e faccia sì che l’azienda possa ottenere importanti risultati, è vitale avere ben chiari gli obiettivi della campagna sin dal principio. E’ necessario concentrarsi su alcuni elementi chiave: il target da raggiungere (e dove trovare tali utenti); come incuriosirli e gestire al meglio le risorse di cui l’impresa dispone.

Quello degli e-sports è un futuro promettente per le aziende in grado di cogliere le opportunità offerte da questo settore. Si tratta di un fenomeno tuttora in costante ed irrefrenabile crescita. Nonostante ciò, solo il futuro saprà svelarci se l’imprevedibilità di un mercato così giovane e la proliferazione di nuove tecnologie costituiranno un rischio per ulteriori sviluppi degli eSports.

 

FONTI:

eSport Marketing: strategie vincenti per i brand – Marketing Espresso

eSports: cosa cambia per il marketing sportivo – Sport Marketing News

Il Potere degli Esports e delle Sponsorizzazioni Gaming – Drive Sports Marketing

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Ambiente, società e tecnologia

Realtà aumentata e fitness: il futuro dell’allenamento digitale

Trovarsi a correre insieme ad un coach di alto livello, o a combattere sul ring della palestra sotto casa con un noto avversario, o ancora a calciare un tiro in porta, senza realmente colpire un pallone da calcio. Con l’avvento della Realtà Aumentata (AR) tutto questo non farebbe più parte del mondo immaginato. Con l’utilizzo di questa nuova tecnologia diventa possibile “trasferire” un campo da calcio, da tennis o una pista di atletica in un altro contesto, su un qualsiasi terreno, in salita, in discesa, sulla sabbia. Tutto questo permette di trasformare un allenamento “generale”, in un allenamento specifico.

La realtà aumentata sta facendo il suo ingresso anche nel settore del fitness, offrendo esperienze di allenamento interattive e stimolanti, destinate a ridefinire il modo in cui ci alleniamo. Diventa infatti possibile inserire elementi virtuali, all’interno del mondo reale, consentendo all’atleta di mantenere il contatto visivo con il mondo reale. Quando applicata al fitness, la AR trasforma la percezione dell’allenamento, rendendolo un’esperienza visivamente stimolante.

Questa nuova tecnologia non ha coinvolto solo gli atleti e gli sportivi, ma ha rivoluzionato anche l’esperienza dei fan, offrendo nuove opportunità di coinvolgimento e interazione durante gli eventi dal vivo e attraverso piattaforme digitali.

 

Quali prospettive per la Realtà Aumentata nello sport?

Rispetto ai primi rilasci, che consistevano in un browser specifico per mobile devices, si sono fatti passi da gigante. Negli ultimi anni, lo sviluppo di tecnologie avanzate applicate a smartphone e tablet hanno permesso di realizzare app specifiche per un uso sempre più comune della AR.

E tutto questo è stato adattato agli ambiti più disparati: dalla ricerca di informazioni, per raggiungere località specifiche o banalmente la propria auto in un parcheggio di grandi dimensioni, al gaming, giocando con personaggi inventati, alla medicina fino al mondo del fitness.

Quando si parla di realtà aumentata, i precursori, annoverati tra i prodotti maggiormente pubblicizzati e che hanno destato maggiore interesse, si trovano sicuramente i Google Glass, superati poco tempo dopo dagli occhiali messi in commercio da Meta e Apple. Questi dispositivi hanno rappresentato solo una delle tecnologie in grado di offrire esperienze di realtà aumentata al grande pubblico, da cui è nata una nuova “era” nel mondo high tech.

Non sorprende dunque che tutte le aziende più all’avanguardia dal punto di vista tecnologico e innovativo siano in prima linea in questa rivoluzione, anche in ambito fitness. Queste stanno sviluppando soluzioni che possano rappresentare un buon connubio tra tecnologia avanzata e facilità di utilizzo.

Se ci si focalizza sul mondo del fitness, l’implementazione dell’AR avviene principalmente attraverso dispositivi come smartphone, tablet e occhiali intelligenti. Questi strumenti utilizzano fotocamere e sensori per rilevare l’ambiente circostante e sovrapporre contenuti digitali pertinenti.

Ad esempio, durante una sessione di allenamento, un’applicazione AR può proiettare un istruttore virtuale che mostra come eseguire gli esercizi, fornendo indicazioni visive e correzioni in tempo reale.

L’obiettivo comune è quello di trasformare un allenamento in un’avventura interattiva, dove la maggior parte delle attività sono il più possibile vicine a quelle “reali”, ma allo stesso tempo prive di rischi. Questo consente al gesto atletico di essere pulito, lineare, facile da cogliere e analizzare.

Un esempio? Zwift, leader in questo campo, ha rivoluzionato il ciclismo indoor e la corsa, offrendo ambiti di allenamento in AR, dove i ciclisti e i runners possono competere o allenarsi insieme a persone da tutto il mondo.

 

Allenarsi meglio: i vantaggi della Realtà Aumentata nello sport

Si parla quindi di un passo in avanti per quanto riguarda gli allenamenti specifici: i visori di AR, combinando innovazione tecnologica e precisione analitica, consentono di migliorare le performance degli atleti. Non si tratta infatti solamente di un modo più interessante e interattivo di allenarsi, ma di un sistema più complesso che permette di ottimizzare ogni aspetto del movimento fisico, dall’analisi tecnica ai miglioramenti tattici.

Nel calcio, alcune squadre stanno integrando la realtà virtuale e aumentata per simulare situazioni di gioco realistiche, aiutando i giocatori a sviluppare la capacità di decisione sotto pressione.

Grazie all’AR, i calciatori possono analizzare e replicare movimenti specifici o posizionamenti tattici, senza dover scendere in campo. Questo permette di risparmiare tempo e ridurre i rischi di infortuni legati agli allenamenti intensivi. Ad esempio, un attaccante può simulare situazioni di tiro in porta con la pressione virtuale di un difensore, migliorando la velocità e la precisione delle sue azioni.

Realtà Aumentata al servizio dei fan

L’AR e le aziende che lavorano con essa non si sono limitate a rivoluzionare il mondo dell’allenamento, ma anche a trasferire l’esperienza dei fan nello sport, facendo sentire gli spettatori più vicini e partecipi agli atleti che scendono in campo e consentendogli di immergersi completamente nell’evento sportivo, anche a distanza.

Le squadre e le organizzazioni sportive hanno implementato (e continueranno a farlo) applicazioni per migliorare l’interazione con i fan: durante le partite, gli spettatori possono utilizzare i loro smartphone per accedere a contenuti esclusivi, come replay a 360 gradi, statistiche in tempo reale e grafiche che arricchiscono la visione della partita e quindi l’“experience” dello spettatore. Alcuni stati stanno perfino sperimentando, senza distrarlo dal gioco. occhiali AR che proiettano informazioni direttamente nel campo visivo dello spettatore

Inoltre, sarà sempre più facile ampliare l’accessibilità degli eventi sportivi: i tifosi che non possono partecipare fisicamente alle partite possono vivere esperienze immersive dal proprio salotto, come se fossero seduti sugli spalti. Questa fusione tra tecnologia e sport sta ridefinendo il concetto stesso di tifo, rendendolo più interattivo, personale e coinvolgente.

Dati e allenamento: un binomio vincente per il fitness

Un ultimo vantaggio dell’applicazione della realtà aumentata nel mondo del fitness è la sua capacità di raccogliere e analizzare dati real-time, offrendo informazioni preziose per il miglioramento della performance e la personalizzazione dell’allenamento.

La possibilità di raccogliere i dati sullo stato di salute e allenamento non è di certo una novità: questo avveniva già attraverso gli smartwatch, fasce con cardiofrequenzimetro integrato e app evolute attraverso cui è possibile monitorare l’allenamento e adattarlo alle esigenze/possibilità dell’utente. Ma adesso a  questo si aggiunge il monitoraggio specifico legato anche alla tipologia dei movimenti effettuata e alla potenza muscolare generata in ciascun esercizio. 

Nel fitness, questa capacità consente di creare programmi di allenamento su misura, adattati alle esigenze specifiche di ogni individuo. Ad esempio, un’app AR può rilevare errori nella postura durante uno squat, fornendo suggerimenti immediati per correggere il movimento e prevenire infortuni. Al contempo, i dati raccolti vengono archiviati per analisi a lungo termine, permettendo di monitorare i progressi nel tempo e identificare aree che necessitano di miglioramento.

Questa raccolta dati è particolarmente utile anche per gli sport professionistici. Nel calcio, ad esempio, l’analisi in tempo reale dei movimenti dei giocatori può essere utilizzata per ottimizzare le tattiche di gioco e prevenire sovraccarichi fisici. Nel tennis, tecnologie simili tracciano il posizionamento in campo e la velocità dei colpi, offrendo agli atleti e agli allenatori una panoramica dettagliata delle performance e spunti di miglioramento su cui intervenire per migliorare.

Questo approccio rende la realtà aumentata non solo uno strumento per migliorare le prestazioni, ma anche un potente alleato per il benessere globale.

È tutto oro quello che luccica?

Sicuramente, i dispositivi di realtà aumentata stanno riscrivendo le regole del fitness e dello sport, trasformando l’allenamento in un’esperienza dinamica, personalizzata e immersiva. Quello che un tempo era confinato alle palestre o ai campi di allenamento specifici ora è a portata di mano, nel salotto di casa o sul campo di gioco virtuale. Startup visionarie e tecnologie all’avanguardia stanno aprendo la strada a un futuro dove il confine tra reale e virtuale si dissolve, portandoci in un mondo dove migliorarsi non è solo possibile, ma anche incredibilmente divertente.

Ma lo sport, anche quello individuale, è sempre stato un momento di incontro e di scambio, di sacrificio e devozione: avere la possibilità di svolgere qualsiasi tipo di allenamento senza la necessità di entrare in contatto con “il reale” non potrebbe portare ad una sensazione di alienazione e allontanamento da quella che è l’esperienza autentica dello sportivo, fatta di contatto umano e interazioni sociali? Oltre al fatto che le tecnologie di AR, soprattutto in quanto non largamente diffuse, potrebbero non essere alla portata economica di tutti.

La chiave sta nel trovare il giusto equilibrio per riuscire a sfruttare al meglio le potenzialità che le innovazioni offrono senza distaccarsi troppo dalla realtà. Qui il nocciolo della rivoluzione digitale, indipendentemente dall’ambito di applicazione: scegliere come renderla parte integrante della vita senza perdere di vista l’essenza delle cose.

Fonti:

https://www.technogym.com/it/newsroom/realta-virtuale-allenamento-sport/

https://www.wired.it/article/realta-virtuale-calcio/

https://www.innovationpost.it/attualita/la-tecnologia-scende-in-campo-ecco-lo-sport-4-0/

https://arweb.it/realta-aumentata-ar-nello-sport/

https://www.gazzetta.it/attualita/26-09-2024/meta-svela-orion-caratteristiche-e-funzionalita-degli-occhiali-ar.shtml

https://www.intelligenzaartificiale.it/realta-aumentata/

 

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Marketing & Social Media

Come le aziende ti convincono a spendere con il tuo consenso

Hai mai acquistato un prodotto perché consigliato dai tuoi influencer preferiti? Hai mai iniziato una serie Netflix catturato dalla dicitura “Top 10 Italia”? Allora questa è la prova che tu, come ognuno di noi, sei influenzato dal social media marketing e che, senza saperlo, tutti i giorni aiuti le aziende a vendere grazie ai tuoi dati. Come? È molto semplice. Ogni volta che accediamo a Internet disseminiamo tracce. Le aziende mettono assieme queste informazioni come pezzi di un puzzle e ricavano una più chiara visione di noi, i potenziali acquirenti. Proprio perché siamo il principale target dei loro prodotti, i brand vogliono conoscerci, empatizzare con noi e proporci soluzioni ai problemi che affrontiamo quotidianamente. 

Come fanno le aziende a conoscerci così bene?

Si stima che un utente medio nel 2024 passi circa 143 minuti al giorno sui social, più di due ore. Per questo motivo, le aziende vogliono colonizzare gli spazi pubblicitari di cui i social dispongono e sfruttarne al meglio le potenzialità. Per raggiungere questo obiettivo le imprese dispongono di un piano editoriale, un documento strategico che prevede una programmazione dei contenuti social da realizzare con obiettivi prefissati, dalla brand awareness, cioè far conoscere il brand e i suoi valori agli utenti, fino alla crescita dei follower. Per realizzare un piano editoriale non basta annotare le caratteristiche demografiche degli utenti per individuare chi potrebbe usufruire di un dato prodotto, bisogna anche e soprattutto tenere conto di come una persona arriva a fare un certo acquisto, delle sue abitudini social, del tipo di contenuti che consuma quotidianamente, dei suoi desideri più inconfessabili e dei suoi comportamenti tipici. È solo grazie alla conoscenza profonda del pubblico che è possibile definire un piano editoriale convincente, con argomentazioni interessanti e spunti accattivanti per attirare la nostra attenzione. Se la strategia è efficace, quando siamo al supermercato e dobbiamo scegliere quali cereali comprare, ci verrà in mente quel video divertente in cui il creator ne mangia una specifica marca, e la acquisteremo. Questa tattica di vendita non è nuova. Creare un legame sentimentale con il target è la prima regola d’oro del marketing, già descritta da Vance Packard ne “I persuasori occulti”, volume di riferimento per gli studi di mercato. Già nel 1957, Packard suggeriva di non vendere il prodotto, ma un’ideale. Una donna non compra una borsa da migliaia di euro solo perché è di qualità, ma perché vuole sentirsi qualcuno che può permettersi un prodotto del genere, perché aspira a una vita agiata e poco accessibile ai più, perché desidera in cuor suo che ovunque vada i passanti vedano quella borsa e associno la proprietaria al gusto e alla raffinatezza. 

Siamo ciò che postiamo: i micro-dati

Per elaborare una strategia di contenuti è possibile utilizzare i micro-dati, ma cosa sono? I micro-dati sono tracce che ogni utente lascia online e che inevitabilmente raccontano qualcosa di sé e dei propri gusti: un like, un commento, una recensione, un profilo seguito racchiudono informazioni riguardo alle preferenze degli utenti, dati preziosissimi per le aziende che vogliono sfruttare i social come leva di mercato. Basandosi sulle ricerche online più frequenti è possibile identificare, o addirittura anticipare, nuove mode. Queste stesse ricerche informano gli analisti su quali siano le aree tematiche che alle persone interessano maggiormente, di cosa sono curiose, cosa vogliono imparare. Grazie alle recensioni degli acquisti, l’azienda può farsi un’idea di quali siano le caratteristiche che vengono gradite e quali disprezzate in un prodotto, i suoi punti di forza e debolezza, che possono essere utilizzati come spunto di partenza per migliorare. Anche le ricerche che facciamo su Google aiutano a capire cosa ci interessa, quali sono le nostre difficoltà e obiettivi, un nostro potenziale disagio risolvibile da nuovo prodotto: se tra le ricerche più frequenti compare “Migliori biscotti al caffè”, Mulino Bianco, dati alla mano, potrebbe cogliere l’occasione per realizzarne una propria versione. È proprio questo che i micro-dati possono fare, aiutare i reparti marketing delle aziende a capire su quali desideri fare leva. 

Un mercato in continua espansione

Nel 2023 il mercato dei Social Media Analytics è stato stimato 5,2 miliardi di dollari e la previsione di crescita tra il 2024 e il 2032 è di oltre il 25%. L’impennata del mercato è alimentata dall’aumento esponenziale di dispositivi mobili nel mondo. Più persone hanno accesso ai social e a Internet, più aumenta il volume di dati generati dai consumatori. L’adozione di smartphone passerà dal 76% del 2022 al 92% entro il 2030. L’immediatezza dei social favorisce la raccolta di dati in tempo reale. Le aziende che stanno al passo possono adeguare le proprie strategie di marketing alla stessa velocità con cui cambiano i trend. L’analisi dei dati dei social media sta diventando più efficiente grazie all’Intelligenza Artificiale e al Machine Learning. Queste tecnologie permettono un’analisi ancora più profonda e veloce, dando alle imprese l’opportunità di agire in tempo reale. Secondo le previsioni, il mercato software dei social media supererà 25 miliardi di dollari entro il 2032 e il suo segmento cloud supererà il 26% tra il 2024 e il 2032. Quest’ultimo permette l’analisi in tempo reale dei dati e la gestione dei cosiddetti big data, quantità di informazioni molto elevate. Le piattaforme di analisi basate su cloud richiedono solo una connessione internet per permettere ai dipendenti di lavorare contemporaneamente da ogni parte del mondo; per questo sono così popolari. Di questa fetta di mercato fanno parte le aziende che sviluppano strumenti analitici per monitorare i dati social e prendere decisioni basate su di essi. Il primo Paese a usufruire di questi servizi sono gli Stati Uniti. Le aziende statunitensi usano i social per influenzare gli acquisti degli utenti, per promuovere il proprio marchio e per coinvolgere i clienti. Un altro esempio interessante è quello della Cina, che deve l’esplosione delle vendite nel mercato e-commerce alle piattaforme social. 

I re dell’analisi dati

Le società che detengono la maggiore quota nell’analisi dei social media sono Sprout Social e Hootsuite, con oltre il 5%. Entrambe vantano come punti di forza la semplicità di interfaccia utente, l’analisi di più canali social contemporaneamente e l’innovazione continua. In Italia il tool analitico più utilizzato è Not Just Analytics, nato nel 2018. Previo abbonamento, si può accedere alle informazioni del profilo desiderato tramite username. Si possono controllare la media dei like e dei commenti su Instagram e le interazioni con i post, quali sono i post migliori e gli hashtag più utilizzati. La piattaforma è particolarmente utile per le grandi aziende e le agenzie di comunicazione, perché crea liste personalizzate di profili social da analizzare, genera report dei profili monitorati che possono essere scaricati, personalizzati e inviati direttamente ai clienti. Not Just Analytics stila anche una pagella social con le informazioni più rilevanti di ogni influencer. Ne ha Parlato recentemente la nota creator Giulia Valentina nelle storie Instagram, dicendo che può essere mostrata ai brand come portfolio per certificare le performance dei propri contenuti. La pagella digitale non è modificabile ed è accreditata dal sito, quindi nessuno può truccare i numeri a proprio vantaggio.

Il caso Barbie

Uno dei casi più eclatanti dell’importanza dei dati nel prendere decisioni di marketing è Barbie. Il film sulla celebre bambola Mattel, uscito nel 2023, è stato preceduto da una massiccia campagna pubblicitaria, trasversale a ogni piattaforma. Durante i mesi precedenti all’uscita del film il mondo si è colorato di rosa: i social, i cartelloni pubblicitari, gli eventi di moda, i negozi… tutto è stato travolto dalla barbie-mania. Ma come è stato possibile? La campagna pubblicitaria ha fatto leva sulla nostalgia, la cultura contemporanea e tante promozioni social e collaborazioni con altri brand, che hanno contribuito ad aumentare gli introiti nelle casse di Mattel e Warner Brothers. Oltre ai vari contenuti social realizzati in collaborazione con influencer e le interviste all’attrice protagonista Margot Robbie, è stata lanciata una collezione di abbigliamento in stile Barbie da Forever21 e un menu dedicato da Burger King Brasile. L’attesa della pellicola è andata in crescendo fino all’uscita nelle sale cinematografiche. Il film Barbie ha fatturato 1.45 miliardi di dollari al botteghino e ha vinto il record di incassi dell’anno. La strategia social basata sull’analisi dei dati è stata fondamentale per la riuscita dell’impresa: un sondaggio ha dimostrato che più della metà degli intervistati ha scoperto del film tramite i social. Ciò dimostra che i social media sono un mezzo potentissimo per portare un prodotto sotto agli occhi di tutti.

Il boom dell’influencer marketing

I dati provenienti dall’analisi dei social media servono per selezionare gli influencer più rilevanti, quelli che riescono a convertire, ovvero che riescono a influenzare l’acquisto dei prodotti mostrati sui loro canali online. Questa pratica è detta influencer marketing. La scelta del giusto influencer e della giusta collaborazione sono elementi chiave per la buona riuscita della campagna. In Italia circa un terzo dei follower di influencer compra prodotti da loro consigliati. Secondo lo studio condotto dalla società di consulenza digitale Sensemakers, tra gennaio e settembre 2024 le attività di influencer marketing in Italia si sono moltiplicate rispetto a quelle dello stesso periodo nel 2023. Sia su Instagram sia su Tiktok sono cresciuti notevolmente i post brandizzati (+47%) e gli influencer attivati (+12%), cioè pagati per mostrare specifici prodotti e parlarne sui social. A trainare il boom dell’influencer marketing è proprio Tiktok, con un aumento dell’82% sui post e del 106% sugli influencer. Il social con la copertura di utenti più alta in Italia (96%) è però YouTube, che raggiunge tutte le fasce d’età e riesce a far trascorrere agli utenti in media trenta minuti al giorno sulla piattaforma. 

Social Media Analytics: semplicemente indispensabili

Grazie ai social media, le aziende e-commerce capiscono il comportamento di acquisto dei clienti e riescono ad offrire raccomandazioni di acquisto personalizzate. Il prezzo dell’innovazione, però, è alto: sempre più utenti sono consapevoli dei rischi legati alla privacy e alla sicurezza dei dati e, quindi, cresce la loro preoccupazione per quanto ne riguarda la raccolta, la condivisione e il trattamento da parte delle società. Per non parlare del rischio di attacchi informatici che le piattaforme social fronteggiano quotidianamente. L’accesso non autorizzato ai dati e il loro sfruttamento sregolato da parte di alcuni fa perdere agli utenti fiducia nei fornitori di analisi di social media e, di conseguenza, intacca la voglia delle imprese di usufruire dei loro servizi. Nell’era digitale, però, sono le piattaforme a generare la maggior parte dei profitti, quindi le aziende sono obbligate a tenerle in considerazione e sfruttarne i dati per rimanere rilevanti e competitive. Da parte loro, i consumatori hanno la responsabilità di capire i meccanismi del social media marketing e segnalare i creator o le aziende con atteggiamenti scorretti. Compiere scelte informate e rimanere sé stessi è la più grande sfida dell’era social e non saranno di certo i meno attenti a vincerla.

 

FONTI

https://www.insidemarketing.it/not-just-analytics-social-media-management/

https://marketing-espresso.com/blog/come-utilizzare-i-micro-dati-per-definire-un-piano-editoriale-me-plus-con-massimo-giacchino/

https://www.gminsights.com/it/industry-analysis/social-media-analytics-market 

https://www.corriere.it/tecnologia/24_novembre_16/influencer-marketing-mercato-in-crescita-a-un-anno-dal-pandoro-gate-mentre-prosegue-il-boom-di-tiktok-8a5e1072-1544-41bb-a9ae-f1184fadbxlk.shtml

https://www.sprinklr.com/blog/social-media-case-study/ 

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Economia, StartUp e Fintech

La crescita delle app fintech: soluzioni innovative per la gestione delle finanze personali

Nel corso dell’ultimo secolo e in particolare modo dal secondo dopo guerra in poi, il mondo della finanza ha sperimentato un processo di crescita dell’importanza e dell’impatto che ha sulla vita di tutte le persone, influenzando non solo l’economia globale ma anche le decisioni politiche, sociali e culturali, grazie all’evoluzione di mercati sempre più complessi e interconnessi. Dagli anni Novanta in poi, a seguito dell’evoluzione digitale, la finanza ha subito una trasformazione radicale, che ha portato all’introduzione di strumenti e piattaforme innovative che hanno reso le operazioni più rapide, accessibili e personalizzabili. In particolar modo una tecnologia in particolare assume una forte rilevanza in questo contesto: la Blockchain.

La Blockchain

Il 3 gennaio 2009 viene introdotta una delle più recenti innovazioni tecnologiche: la Blockchain, la quale è stata resa nota al pubblico in concomitanza con la nuova e ormai popolarissima moneta digitale, ovvero il Bitcoin. L’innovazione principale che viene introdotta dalla Blockchain consiste nella possibilità di crittografare, tramite appositi algoritmi, qualsiasi operazione che venga registrata in un registro digitale distribuito, garantendo così trasparenza, sicurezza e immutabilità dei dati senza la necessità di un intermediario centrale. Nei successivi anni queste tecnologie non riscuotono l’effettivo successo che avrebbero potuto ottenere, in quanto venivano utilizzate solamente da nicchie di persone strettamente collegate ai mercati illegali della droga o del terrorismo. Ma dal 2014 in poi una quantità sempre più vasta di persone, prettamente addetti al settore, inizia a interessarsi a questo fenomeno e inizia a rendersi conto delle opportunità che questa tecnologia può avere. Fino ad arrivare al 2016 in cui la Blockchain diventa una vera e propria moda, arrivando al punto in cui The Economist le dedica una copertina e la classifica come una tecnologia in grado di rivoluzionare il nostro secolo. 

Aspetto finanziario e aspetto tecnologico di un’app fintech

L’introduzione di questa interessante tecnologia è strumentale alla comprensione delle app fintech e del loro funzionamento. Infatti un app fintech è un applicazione che accoppia due macro temi di fondamentale importanza nell’attuale contesto globale, ovvero finanza e tecnologia. In un’applicazione fintech l’aspetta finanziario è principalmente correlato al servizio che l’applicazione offre al consumatore, la quale permette di svolgere differenti operazioni finanziarie, come l’esecuzione di pagamenti online o l’acquisto di titoli e criptovalute, semplicemente tramite l’utilizzo del proprio dispositivo mobile. Mentre l’aspetto tecnologico dell’applicazione è collegato ai meccanismi che vengono sfruttati per porre in essere i servizi offerti. Infatti le applicazioni fintech si servono della Blockchain per consentire l’esecuzione delle transazioni finanziarie (come trasferimenti di denaro o acquisto di titoli) assicurando al consumatore una protezione dei suoi dati, garantendo quindi un servizio completo e strutturato in una serie di processi completamente sicuri. 

Diversi tipi e funzioni di app fintech

Attualmente esistono diverse tipologie di applicazioni finanziarie, ciascuna caratterizzata dall’obiettivo di risolvere una o più esigenze. Sebbene il servizio che offrono possa essere differente per ciascuna di queste applicazioni sono tutte caratterizzate da uno scopo comune, ovvero migliorare l’efficienza complessiva del settore finanziario, favorendo l’innovazione tecnologica e lo sviluppo economico.
L’enorme panorama di app fintech può essere suddiviso in una serie di categorie: app di criptovaluta, app bancarie digitali, app di pagamento, app di investimento, app assicurative e app per il bilancio.
Le app di criptovaluta permettono ai propri utenti di acquistare, detenere e trasferire (proprio come per i titoli azionari) le proprie monete digitali, in maniera semplice e sicura.
Le app bancarie digitali, sviluppate sia dalle banche che hanno sede fisica o che da quelle completamente digitali, servono ai clienti della banca per svolgere una serie di operazione in maniera semplice e veloce, come accedere ai propri dati del conto bancario, disporre del proprio patrimonio o visualizzare i relativi documenti. Permettono quindi una gestione smart del proprio denaro, eliminando la necessità di interagire in maniera fisica con gli sportelli delle banche.
Le app di pagamento permettono agli utenti delle applicazioni di scambiarsi denaro in qualsiasi momento della giornata, in maniera istantanea e senza l’obbligo di pagare alcuna commissione.
Le app di investimento, anche dette app di brokeraggio, permettono ai propri utenti di effettuare transazioni finanziarie, come comprare o vendere titoli azionari, titoli obbligazionari o opzioni. Queste applicazioni offrono anche la possibilità di informarsi sull’andamento dell’economia e dei mercati in modo che i propri utenti possano allocare le proprie risorse nella maniera più efficace.
Le app assicurative svolgono una funzione simile alle app bancarie digitali, infatti servono ai clienti degli istituti assicurativi per accedere e disporre dei propri piani assicurativi e delle relative informazioni in maniera rapida e trasparente.
Le app per il bilancio, anche dette app di budgeting, aiutano i propri utenti a progettare e schematizzare in maniera efficace e esplicativa le proprie risorse finanziarie. Queste applicazioni favoriscono quindi il corretto utilizzo del proprio denaro e incentivano il risparmio (fondamentale per lo sviluppo economico globale).
Nei prossimi paragrafi ci concentreremo su due applicazioni fintech che negli ultimi anno hanno riscontrato un successo globale grazie all’utilità che offrono ai consumatori: Revolut e Scalable Capital.

Revolut

Revolut è un’applicazione fintech che può essere considerata un’alternativa alle banche tradizionali, in quanto offre gli stessi servizi ma in maniera completamente digitale. Revolut è stata fondata nel 2015 in Inghilterra da Nikolay Storonsky e Vlad Yatsenko con l’obiettivo di “consentire a ogni persona e a ogni azienda di gestire tutti gli aspetti della propria sfera finanziaria con pochi tocchi, dalle spese agli investimenti, passando per le richieste di prestito”. Revolut è una piattaforma che combina un conto bancario virtuale con una carta di pagamento, offrendo soluzioni flessibili per utenti privati e aziende. Dal 2018 ha oltretutto ottenuto la licenza di Banca specializzata dalla Banca Centrale Europea (BCE), che gli ha quindi permesso di accettare depositi e offrire crediti ai propri utenti. Una delle introduzioni più rilevanti che ha reso questa applicazione così riconosciuta e tanto utilizzata è la tecnologia del Peer-to-Peer Payments, la quale permette agli utenti dell’applicazione di scambiarsi denaro in maniera istantanea senza la necessità di pagare alcuna commissione, proprio come le applicazioni di pagamento (es: PayPal). Nel settembre del 2019 oltretutto Revolut lancia una propria piattaforma di Trading a cui tutti gli utenti dell’applicazione possono accedere e che li permette di operare nei mercati finanziari.
Si può quindi dedurre che l’obiettivo di Revolut non sia ormai più solo quello di offrire servizi bancari digitalizzati, ma bensì di offrire la più vasta gamma di servizi fintech esistenti, e stando all’ultima valutazione pari a 45 miliardi di dollari si può affermare che sta riuscendo nella sua impresa.

Scalable Capital

Scalable Capital è un’applicazione fintech di investimento, o meglio di brokeraggio. Nasce nel 2014 in Germania dai fondatori Erik Podzuweit, Florian Prucker, Adam French e dal Professore Stefan Mittnik, i quali decidono di intraprendere questa iniziativa per raggiungere un obiettivo ben preciso “democratizzare gli investimenti rendendoli accessibili a tutti”. Per ottenere questo risultato i tre fondatori decidono di creare un’applicazione che permetta a tutti di accedere ai mercati e alle transazioni finanziarie, ma non solo. Dato che tramite l’utilizzo di tecnologie avanzate l’applicazione è in grado di offrire soluzioni automatizzate per la gestione del patrimonio, in modo che chiunque, anche chi non capisce niente di finanza, possa essere in grado sfruttare i propri risparmi senza che questi vengano lasciati “ammuffire” (metafora muffa – inflazione) in qualche conto bancario stazionario. Scalable risulta quindi essere una vera e propria innovazione in quanto favorisce la creazione di un nuovo sistema finanziario, in cui chiunque può accedere a qualsiasi cosa in qualsiasi momento. D’altronde le tendenze evolutive del sistema finanziario sono sempre state improntate all’aumento della velocità con cui le operazioni finanziarie potessero essere svolte e all’espansione della possibilità di accedervi a chiunque, possiamo quindi confermare che questa innovazione sia completamente in linea con i trend generali.
L’applicazione, una volta registrati, tramite un apposito questionario, comprende il profilo dell’utente, la tolleranza al rischio e gli obiettivi finanziari che questi possiede (breve, medio o lungo termine). Una volta compreso qual è il profilo dell’utente viene automaticamente creato un portafoglio diversificato composto principalmente da Exchange Trade Funds (ETF), ovvero fondi che riproducono l’andamento di un sottostante (come un indice, un’azione, una materia prima…). Sulla base dell’andamento del portafoglio le allocazioni del proprio patrimonio si aggiustano in maniera automatica, garantendo quindi la migliore strategia di investimento. L’applicazione offre anche l’opportunità di costruire in maniera autonoma un proprio piano di risparmio per accumulare denaro nel corso del tempo. 

Debolezze

Abbiamo finora trattato quali sono gli aspetti innovativi e rivoluzionari del panorama delle applicazioni fintech, ma per comprendere al meglio questo ecosistema è necessario conoscere anche quali siano i problemi e i limiti che lo caratterizzano.
Innanzitutto possiamo identificare una serie di problematiche legati alla natura tecnologica di questi strumenti, la quale comporta la necessità di avere la possibilità di accedere alle tecnologie che queste applicazioni sfruttano, ad esempio possedendo un dispositivo mobile e sapendolo usare, il che non è scontato per coloro che vivono in aree del mondo con infrastrutture scarse o assenti.
Un altro problema può essere legato alla mancanza di una regolamentazione uniforme (per ora) che regoli e disciplini l’operato di queste imprese. Infatti la mancanza di una regolamentazione adeguata, come si è visto già nel 2008 con la crisi dei mutui Subprime, potrebbe comportare rischi ben più elevati nel caso in cui una di queste realtà potesse fallire generando squilibri finanziari notevoli. Dal momento che queste realtà stanno acquisendo una rilevanza sempre più rilevante nel contesto macroeconomico globale è fondamentale che le più grandi istituzioni e organizzazioni si adoperino per trovare delle soluzioni.

Conclusioni

In conclusione, il panorama delle applicazioni fintech rappresenta un’evoluzione significativa nel settore finanziario, con un impatto rivoluzionario su accessibilità, personalizzazione e innovazione dei servizi. App come Revolut e Scalable Capital dimostrano come la combinazione di finanza e tecnologia possa democratizzare l’accesso a strumenti avanzati, rendendo più efficienti i processi e offrendo opportunità a una vasta platea di utenti.
Tuttavia, questa rapida evoluzione non è esente da sfide. Le questioni legate alla regolamentazione, alla sicurezza dei dati e all’esclusione digitale richiedono una particolare attenzione per garantire uno sviluppo equilibrato e sostenibile. È quindi fondamentale che le istituzioni e gli sviluppatori collaborino per affrontare questi limiti, mantenendo un equilibrio tra innovazione e responsabilità.

 

Fonti:

https://blog.osservatori.net/it_it/blockchain-spiegazione-significato-applicazioni

https://blog.osservatori.net/it_it/blockchain-storia-bitcoin-web3

https://www.yeeply.com/it/blog/sviluppo-app-mobile/le-5-migliori-app-fintech-e-come-svilupparle/#Fintech

https://richestsoft.com/it/blog/fintech-app-development/

https://www.revolut.com/it-IT/about/

https://it.wikipedia.org/wiki/Revolut

https://help.scalable.capital/it/trading-1541d52f/in-quali-strumenti-finanziari-posso-investire-998a9d5b

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Marketing & Social Media

Influencer marketing: strategie vincenti per startup e PMI nell’era dei social media

L’influencer marketing è una delle moderne tecniche di social media marketing più diffuse tra grandi e piccole imprese, che utilizza la collaborazione tra brand e influencer al fine di aumentare la visibilità, migliorare il branding e raggiungere nuovi segmenti di mercato dell’azienda. Si tratta di una delle tecniche più utilizzate ed efficaci nella contemporaneità, non solo grazie all’abbattimento dei costi – e all’efficientamento della spesa in marketing e pubblicità, l’aumento del Return on Ad Spend o ROAS – indice di redditività che misura l’efficienza degli investimenti pubblicitari – che questo tipo di social media marketing rappresenta, ma anche proprio per l’importanza che una rappresentazione organica e genuina del proprio prodotto o marchio rappresenta nel panorama commerciale contemporaneo. Non è infatti una novità che il marketing sui social media si stia spostando verso il contenuto organico e la rappresentazione del proprio brand attraverso la voce di altri consumatori, siano essi personalità del web, coloro che rappresentano appunto la risorsa principale nell’influencer marketing, o professionisti che si occupino proprio della realizzazione di contenuti organici – User Generated Content (UGC) – per conto delle aziende, alternativa o differenziamento della spesa marketing altrettanto gettonato nel marketing oggi. Sebbene i vantaggi siano numerosi, l’utilizzo di tecniche simili ha pari svantaggi e sfide legate all’identificazione degli influencer che siano affidabili nelle statistiche da questi riportate, di modo da non sovradimensionare l’investimento (che va proporzionato in funzione del seguito e dell’engagement dell’influencer), ma anche scegliere figure che siano adeguate e allineate ai propri valori e obiettivi come azienda, sperando infine che queste non siano successivamente oggetto di disastrose controversie che intaccherebbero l’immagine del brand in assenza di uno strutturato sistema di gestione del rischio.

 

Le radici e la crescita dell’influencer marketing

L’influencer marketing ha radici più antiche del Web 2.0, sebbene se ne parli solo da quando si è iniziata a strutturare la figura stessa dell’influencer nell’immaginario comune: “The People’s Choice”, uno studio di Lazarsfeld pubblicato negli anni Sessanta ormai affermato come cruciale nelle teorie della comunicazione, metteva già in luce come la maggior parte delle persone siano influenzate nelle scelte da dicerie e opinion leader, gli “influencer ante litteram”, nella caratterizzazione di quello che viene chiamato Multistep flow model. Si parla di un settore che è oggi in crescita vertiginosa, dagli 1,7 miliardi di dollari statunitensi del 2016 agli oltre 21,1 del 2023 e che ha già superato questo numero nel corso del 2024. La crescita non è casuale, la maggior parte delle fonti riporta risultati eccezionali, ROAS molto più elevati di altre tecniche di marketing digitale, con un ritorno di oltre 23 dollari per ognuno speso in questo settore, oltre che una capacità di consolidamento e diffusione dell’immagine di un’azienda mai visto prima. Sulla linea dello studio di Lazarsfeld, il 62% degli utenti sui social media afferma di fidarsi di più di un influencer rispetto alle celebrità di fama mondiale data l’autenticità che i primi dimostrano nella rappresentazione di prodotti sponsorizzati. Le startup, che affrontano l’ardua sfida della competizione agguerrita in determinati settori, non solo da parte delle altre startup ma anche dai player rilevanti e consolidati nel settore: queste piccole imprese devono allora, al fine di attrarre nuovi segmenti e attivarli, coinvolgere personalità che presentino un seguito nutrito e, cosa ancora più importante, attivo e interessato.

 

Engagament rate: un seguito attivo e presente

Quanto a quest’aspetto, infatti, non è il numero dei followers o comunque la dimensione del pubblico “nominale” ad essere cruciale, quanto l’engagement, l’attività e l’interesse effettivo che questo pubblico dimostra per l’influencer in questione. A parità di numero in termini di seguaci, l’impatto dell’influencer e dei prodotti da questi pubblicizzati varia notevolmente in funzione di quanti effettivamente si attivano e interagiscono con i contenuti prodotti: come vedremo, questo aspetto rappresenta forse la trappola più pericolosa dietro un approccio inconsapevole verso questa tecnica pubblicitaria e comunicativa. In tal senso esiste poi il principio per cui al crescere del pubblico verso numeri molto elevati, questo diventi progressivamente meno attivo in percentuale: basti pensare a come la maggior parte dei moderni social media proponga, all’apertura del profilo, di seguire personalità di spicco con milioni di followers. Mentre l’engagement rate (la percentuale di followers che interagiscono con i contenuti del creator) è considerato in un range positivo dall’1% in su (su Instagram) per gli influencer con un numero di seguaci pari a 100 mila o superiore, chi ne ha molti meno non può ritenersi soddisfatto di un tasso di engagement inferiore al 2,4%.

 

Micro-influencers: il futuro del social media marketing?

In questo contesto è diventato dunque ancor più rilevante il segmento del micro-influencer marketing, questo sia per le ragioni citate sopra, legate tendenzialmente alla maggiore attività (in percentuale) di un pubblico più piccolo – e di conseguenza per le ragioni economiche a livello di costo-efficienza che ne conseguono – ma anche per questioni legate alle nicchie di interesse ed ai piccoli segmenti di interesse, estremamente interattivi con i creator che operano nel loro settore. Uno studio scaturito dalla Terza Conferenza Internazionale sulla Gestione Economica e sulle Industrie Culturali riporta il micro-influencer marketing come “efficace” e “costo-efficiente”, identificando lo scarto tra i piccoli e grandi influencer, oltre che i risultati positivi ed i vantaggi che questi hanno portato in passato, anche alle sopracitate startup. Il micro-influencer marketing, dunque, si identifica come strumento sostenibile per ottenere awareness, dal lato dei nuovi brand, e consolidare la propria identità, dal lato dei marchi già affermati o addirittura storici. Non è facile, naturalmente, rendere redditizia questa tecnica: c’è bisogno di analisi, pianificazione, di una buona implementazione e di meccanismi di controllo solidi: il lancio dei prodotti deve individuare il canale migliore per il brand, le vie di comunicazione che siano più adatte al raggiungimento del target di riferimento.

 

Rischi e svantaggi

Perché dunque non utilizzare unicamente le collaborazioni con influencer per il proprio marketing, se questo strumento ha mostrato un alto fattore costo-efficacia e risultati eccellenti a livello di credibilità e reputazione? Lo svantaggio principale è rappresentato dalla difficoltà nella scelta del personaggio da porre a immagine del proprio prodotto: è necessario selezionare attentamente un influencer che abbia al contempo numeri convincenti e un’immagine correttamente rappresentativa del marchio. Quanto al primo aspetto e come citato precedentemente, sono fondamentali analisi che si spingano oltre la professionalità dell’influencer e la valutazione quantitativa del numero di followers: è necessario osservare attentamente il bacino di seguaci, capire che tipo di segmento rappresentano, quali sono i loro interessi e, soprattutto, quanto sono attivi, legati all’influencer, “influenzabili” appunto. Questo aspetto è fondamentale nel micro-influencer marketing e ancor più quando si collabora con creators dal seguito più nutrito. La cosa è poco evidente al di fuori del circolo di social media manager e marketers sui social media e non lo è per nulla fuori dal settore, ostacolo che risulta complesso da affrontare soprattutto per le piccole imprese e le startup; questo fatto è ulteriormente aggravato dal fenomeno dell’”Influencer Fraud”, creator che vendono la loro figura in maniera da apparire come un investimento più redditizio per le imprese, tutto quando però non ci sono i presupposti per dipingere questo quadro della situazione. Sul secondo aspetto è fondamentale osservare il rischio insito nell’affidamento o comunque nell’affiancamento dell’immagine del proprio marchio o prodotto a quello di un’influencer: le controversie che colpiranno eventualmente quest’ultimo saranno facilmente e di conseguenza accostate al brand, rischiandone l’immagine qualora le contromisure tipicamente adottate in questi casi non siano all’altezza, specialmente quando questo legame è rafforzato nel tempo o viene intrattenuto con una figura di grande spicco. Quest’ultimo aspetto rappresenta anche un altro dei vantaggi più cruciali del micro-influencer marketing, caso in cui spesso le controversie a danno del creator rappresentano più il rischio di perdere quanto investito che di intaccare effettivamente l’immagine del prodotto.

 

Strumenti fondamentali, ma a volte rischiosi

In definitiva, l’influencer marketing continua ad essere in grande crescita e continuerà realisticamente a rappresentare sempre più lo strumento ideale per il consolidamento di awareness e immagine del proprio marchio, portando innumerevoli vantaggi a livello di efficienza della spesa pubblicitaria, efficacia nella trasmissione del messaggio e della visione del brand e del prodotto, coadiuvando investimenti più contenuti nel marketing ad un maggiore impatto sul mercato, specialmente nelle nicchie o in segmenti più difficilmente raggiungibili dai mezzi pubblicitari tradizionali. Al contempo, mantenendo ferma l’importanza e la potenza di uno strumento simile, bisogna tenere sotto controllo i potenziali rischi, valutando attentamente la figura scelta sia nei risultati quantitativi ottenuti che nell’attinenza al marchio, alla sua mission, ai valori e alla vision che questo abbia bisogno di rappresentare, a livello di personaggio e di segmento di pubblico presente intorno ad esso. Bisogna, in ultimo, prepararsi ai possibili risultati negativi delle campagne pubblicitarie che prevedano la centralità della collaborazione con un influencer.

 

Fonti:

Lazarsfeld, P. F., (1965). The people’s choice. 2a ed. New York: Columbia Univ. Press.

https://localiq.co.uk/blog/organic-marketing-vs-paid-marketing-which-is-best-for-your-business

https://www.statista.com/statistics/1092819/global-influencer-market-size/

https://www.startupgeeks.it/influencer-marketing-per-startup/

https://izea.com/resources/influencer-marketing-statistics/

https://grin.co/blog/influencer-marketing-for-startups/

https://www.forbes.com/sites/abdoriani/2024/04/17/5-startup-opportunities-in-influencer-marketing/

https://www.researchgate.net/publication/357609500_Influencer_Marketing_for_Start-ups_The_Rise_of_Micro-influencers

https://www.molecole.com/social-network/social-media-marketing-perche-importante-per-startup/

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Entertainment, videogame e contenuti

Startup e turismo sostenibile: tecnologie per ridurre l’impatto ambientale dei viaggi

Quali sono i nuovi strumenti  che le startup portano nel mondo del turismo e a quali esigenze rispondono? Nell’epoca del climate change e dell’over-tourism, diamo uno sguardo alle innovazioni per un viaggiare più responsabile: dalle piattaforme di alloggio ecologico al trasporto a basse emissioni.

 

Il turista di oggi cosa cerca?

 

Seppur ancora oggetto di dibattito politico, il cambiamento climatico è sempre più accettato dall’opinione pubblica come una chiave di lettura fondamentale della realtà. Questo sta generando una nuova sensibilità ambientale e sociale. Tale tendenza si manifesta sia nelle scelte dei consumatori, che richiedono sempre maggiore trasparenza, sostenibilità ed eticità nelle strutture e nelle esperienze di cui usufruiscono, sia nell’offerta, che punta su innovazione e utilizzo creativo della tecnologia per soddisfare tali esigenze.

Secondo il Sustainable Tourism Forum 2024, i viaggiatori sono sempre più attenti all’impatto ambientale dei loro spostamenti, e questa tendenza è in continua crescita. Un’indagine di Ipsos e Altroconsumo (Gli italiani e il turismo sostenibile) ha rilevato che il 69% degli italiani considera l’overtourism un problema significativo.

Il quinto rapporto di Fondazione UniVerde e IPR Marketing sulle nuove abitudini di viaggio degli italiani evidenzia che il 47% degli intervistati considera la sostenibilità un fattore determinante nelle proprie scelte di viaggio, mentre il 54% valuta l’impatto ambientale prima di prenotare, oltre ad alloggio e prezzo.

Tuttavia, alcune barriere rallentano la diffusione del turismo sostenibile. Le principali sfide che le startup stanno cercando di superare sono:

  • Costo
  • Modalità di viaggio
  • Durata del soggiorno

Infatti, il 41% degli italiani si dichiara favorevole a un turismo sostenibile, purché sia economicamente accessibile.

 

Le soluzioni delle startup

La crescente attenzione alla sostenibilità ha portato numerose startup a sviluppare soluzioni innovative per un turismo più etico ed ecologico. Uno degli aspetti fondamentali è fornire informazioni trasparenti e dettagliate ai viaggiatori, affinché possano compiere scelte consapevoli.

  • Studiomapp ha creato Qirate, un progetto basato sull’intelligenza artificiale per analizzare e fornire dati dettagliati sulla qualità della vita nelle aree turistiche, aiutando così i viaggiatori a scegliere in modo informato.
  • Orma Guides propone un’app che suggerisce eventi, servizi e alloggi sostenibili, evitando le tipiche attività legate al turismo di massa.
  • Twiewy permette di trasformare le prenotazioni online in donazioni per progetti no-profit, senza costi aggiuntivi per gli utenti, che possono selezionare le associazioni beneficiarie.
  • Ruralis affronta il problema dello spopolamento dei piccoli borghi italiani, offrendo soluzioni per incrementare il turismo in queste località e renderlo sostenibile anche in zone prive di infrastrutture.
  • Friland, startup friulana, propone unità abitative mobili ed ecologiche, situate in luoghi suggestivi e autosufficienti dal punto di vista energetico, offrendo esperienze off-grid, lontane dal turismo di massa.

Un altro tema cruciale è quello dei trasporti sostenibili, dato che la loro accessibilità economica e logistica spesso determina le scelte dei viaggiatori. Diverse startup stanno lavorando per offrire soluzioni integrate e convenienti, tuttavia il treno – il mezzo più ecologico in termini di emissioni di CO2 – rimane meno competitivo rispetto ad altre opzioni in termini di tempi di viaggio.

 

 E ora come mi muovo?

La sostenibilità nei trasporti è strettamente legata all’innovazione tecnologica. Le startup svolgono un ruolo chiave nella decarbonizzazione della mobilità attraverso soluzioni basate su IA, software avanzati e nuovi modelli di mobilità condivisa.

  • In Italia ci sono oltre 800 startup attive nella mobilità sostenibile, pari al 6% del totale. Questo settore è cruciale, dato che il trasporto rappresenta il 25% delle emissioni di CO2 nel paese.
  • Hype ha lanciato i primi taxi a idrogeno nel 2015, contribuendo alla transizione verso combustibili alternativi.
  • Il settore aereo, responsabile del 2,4% delle emissioni globali di CO2, sta vivendo una rivoluzione con startup come ZeroAvia, che sviluppa aerei elettrici a idrogeno, e Walle Mobility, che progetta “taxi verticali” sostenibili per trasporti brevi.
  • Il boom della micromobilità urbana ha portato alla diffusione di monopattini, biciclette e scooter elettrici, spesso grazie a servizi offerti da startup.
  • L’intelligenza artificiale e la guida autonoma stanno trasformando i trasporti. Compagnie come Tesla, Waymo e Uber lavorano per applicare la guida autonoma non solo a auto e metropolitane, ma anche a camion e treni.
  • Il Mobility as a Service (MaaS) mira a integrare diverse modalità di trasporto in un’unica interfaccia, migliorando l’accessibilità e la sostenibilità. In Italia, sono stati avviati progetti pilota a Milano, Napoli e Roma, con il supporto del PNRR.

Un sistema di trasporti continuo e accessibile è essenziale non solo per l’esperienza turistica, ma anche per la qualità della vita dei cittadini. La sfida è quella di distribuire questi servizi in maniera equa, evitando che alcune aree del paese rimangano isolate e destinate allo spopolamento.

Il futuro della mobilità sostenibile è già in corso: innovazione, tecnologia e startup stanno ridisegnando il modo in cui ci muoviamo, rendendo i viaggi più green, efficienti e accessibili per tutti.

 

 Fonti:

–  https://www.lifegate.it/turismo-sostenibile-startupLifegate 

https://fysinews.com/turismo-e-sostenibilita-quattro-startup-per-il-turismo-sostenibile/, FYSI, the sustainable planet voice

– .https://www.trentinoinnovation.eu/tecnologie-per-un-futuro-sostenibile/, Hub innovazione Trentino

https://www.ministeroturismo.gov.it/innovation-network/, Ministero del Turismo

https://mce4x4.mobilityconference.it/tendenze-tecnologiche-per-la-mobilita-nel-2024/, MCE 4×4 2024

https://www.wired.it/article/startup-mobilita-sostenibile/, Wired

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Ambiente, società e tecnologia

L’idrogeno verde in Italia

In Africa diversi stati si mobilitano per diventare tra i primi fornitori al mondo, ma qual è la situazione in Italia?

L’Italia scommette sull’idrogeno verde: una rivoluzione energetica in corso

In un panorama energetico globale in rapida evoluzione, anche l’Italia si sta posizionando come un attore chiave nella corsa all’idrogeno verde – una fonte di energia pulita che promette di rivoluzionare diversi settori industriali e contribuire significativamente alla decarbonizzazione. Con investimenti mirati, progetti innovativi e una crescente consapevolezza del potenziale di questa tecnologia, il nostro Paese sta gettando le basi per un futuro energetico più sostenibile.

La strategia nazionale e gli investimenti

L’Italia ha elaborato una strategia ambiziosa per lo sviluppo dell’idrogeno verde, puntando a produrre 700.000 tonnellate di H2 entro il 2030, installare 5 GW di elettrolizzatori e generare 10 miliardi di investimenti. Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) ha stanziato 3,64 miliardi di euro per l’intera filiera dell’idrogeno rinnovabile, a cui si aggiungono i progetti IPCEI e la mission Innovation Clean Hydrogen.

Uno degli elementi chiave di questa strategia è la creazione delle cosiddette “Hydrogen Valleys“, veri e propri hub per la produzione di idrogeno verde. Attualmente, sono stati finanziati 52 progetti su tutto il territorio nazionale, da completare entro il 31 dicembre 2026, con un investimento totale che sfiora i 600 milioni di euro. Il 50% dei fondi è destinato al Mezzogiorno, dove si concentrano 28 dei 52 progetti.

Impatto economico

La distribuzione degli investimenti riflette un impegno significativo verso lo sviluppo equilibrato del settore in tutto il Paese. Il Mezzogiorno riceve la fetta più consistente, con 225 milioni di euro, seguito dal Nord con 162,5 milioni e dal Centro con 62,5 milioni. Le regioni che hanno ottenuto i finanziamenti più cospicui sono Campania, Puglia e Sicilia, ciascuna con 40 milioni di euro, seguite da Lombardia e Trentino-Alto Adige.

Questi investimenti non solo mirano a ridurre le emissioni di CO2, ma promettono anche di creare nuovi posti di lavoro – molti dei quali ad alta specializzazione – stimolando l’economia locale e posizionando l’Italia come leader nella produzione e nell’utilizzo dell’idrogeno verde.

Sfide e opportunità

Nonostante i progressi, restano diverse sfide da affrontare. Cristina Maggi, direttrice di H2IT, l’associazione italiana per l’idrogeno, sottolinea la necessità di recepire le direttive europee, integrare l’idrogeno nelle strategie nazionali di sviluppo e fornire supporto alle aziende per concretizzare i progetti e sviluppare competenze.

L’industria italiana sta già dimostrando la sua capacità di innovazione in questo settore. Un esempio significativo è il treno a idrogeno sviluppato da Alstom, gruppo industriale che opera nel settore della costruzione di treni e infrastrutture ferroviarie, che entrerà in servizio in Valcamonica, nell’ambito del progetto H2iseO. Questo progetto non solo sostituirà i treni diesel su una linea non elettrificata, ma contribuirà anche a creare una Hydrogen Valley nella regione.

Il primo impianto italiano di idrogeno verde

Un passo concreto verso la realizzazione di questa visione dell’Italia come pioniera dell’idrogeno è rappresentato dall’apertura del primo impianto italiano di idrogeno verde a Pizzighettone, in provincia di Cremona. Realizzato dalla startup H2 Energy, questo impianto, più piccolo di un autoarticolato, è uno dei rari esempi al mondo di soluzioni industrializzabili per la produzione di idrogeno verde, con una capacità di produzione di circa 18 kg di idrogeno l’ora.

L’impianto, che occupa uno spazio relativamente contenuto, utilizza la tecnologia PEM (Polymer Electrolyte Membrane), ovvero con membrana a scambio protonico, e rappresenta un importante banco di prova per lo sviluppo futuro del settore. Come sottolinea Claudio Mascialino, co-fondatore di H2 Energy, “un impianto da 1 megawatt oggi è una palestra per i 200 megawatt di domani”.

Una delle principali difficoltà per l’utilizzo su scala industriale di questa fonte di energia pulita, infatti, sono i costi di produzione ancora troppo alti. Lo sviluppo di nuove soluzioni per l’ottenimento di idrogeno da fonti sostenibili è quindi fondamentale per il futuro di questa energia verde, così promettente per l’obiettivo della decarbonizzazione e della lotta al riscaldamento globale.

Ricerca e sviluppo

Nel nostro paese il settore della ricerca gioca un ruolo cruciale nello sviluppo dell’idrogeno verde. ENEA, l’Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile, sta esplorando nuove frontiere in questo ambito: in particolare, indaga l’impiego dell’idrogeno come carburante alternativo per la mobilità sostenibile, ma anche come fonte di energia nei settori cosiddetti “hard-to-abate” (difficili da decarbonizzare) quali cementifici, acciaierie, cartiere, vetrerie, imprese siderurgiche e chimiche – industrie da cui arriva più o meno il 20% delle emissioni globali.

Parallelamente, si stanno studiando percorsi alternativi per la produzione di idrogeno rinnovabile, come ad esempio l’utilizzo di biomasse. Franco Cotana, amministratore delegato di RSE (Ricerca sul Sistema Energetico S.p.A.), evidenzia le potenzialità di questo filone, che può contare su diverse materie prime, dagli scarti agricoli alle colture marginali.

Abbiamo parlato dei vari metodi collaudati – più o meno “green” – per produrre l’idrogeno in questo articolo, che vi consigliamo di leggere per approfondire l’argomento e capire la differenza tra idrogeno verde, blu e grigio.

Prospettive future

Le previsioni per il futuro dell’idrogeno verde sono, insomma, promettenti. Deloitte – una delle Big Four, ossia delle quattro società di revisione contabile che si spartiscono il mercato mondiale – prevede che il mercato emergente dell’idrogeno verde ridisegnerà la mappa globale dell’energia e delle risorse già nel 2030, creando un Mercato da 1400 miliardi di dollari all’anno entro il 2050.

L’Italia, con la sua presenza industriale in tutti gli aspetti della filiera dell’idrogeno e le sue competenze di ricerca, è ben posizionata per giocare un ruolo di primo piano in questa rivoluzione energetica. Tuttavia, come sottolineano gli esperti, è fondamentale accelerare l’implementazione delle strategie, sostenere l’innovazione e creare un quadro normativo chiaro per sfruttare appieno il potenziale di questa tecnologia.

In conclusione, l’idrogeno verde rappresenta per l’Italia una straordinaria opportunità di guidare la transizione energetica, contribuendo agli obiettivi di decarbonizzazione e creando al contempo nuove opportunità economiche. La sfida ora è trasformare questa visione in realtà, attraverso un impegno continuo e collaborativo tra istituzioni, industria e ricerca.

 

Fonti:

https://www.wired.it/article/idrogeno-verde-h2-energy-primo-impianto-italia/

https://www.infobuildenergia.it/approfondimenti/idrogeno-verde-in-italia/

https://www.ilsole24ore.com/art/il-governo-punta-52-valli-dell-idrogeno-italia-ecco-cosa-sono-e-dove-si-trovano-AFbzvhtC?refresh_ce&nof

https://modofluido.hydac.it/idrogeno-italia

https://www.qualenergia.it/articoli/decarbonizzare-settori-hard-to-abate-concorso-molte-tecnologie/#:~:text=Si%20chiamano%20settori%20hard%20to,dall’altro%20%C3%A8%20anche%20difficile%2C

https://ibicocca.unimib.it/the-africa-green-hydrogen-alliance-investire-sullenergia-pulita/

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Ambiente, società e tecnologia

Le quote ambientali: il diritto ad inquinare

Cosa sono le quote ambientali e perché si parla di diritto ad inquinare? Ecco come funziona il meccanismo a tutela dell’ambiente ma anche del diritto a fare impresa.

 

Si sente spesso parlare delle quote ambientali, vendute e acquistate su appositi mercati da vari soggetti economici: ma di che cosa si tratta esattamente? Approfondiamo il funzionamento di questo sistema di scambio che mira a far coincidere opportunità commerciali e lotta al cambiamento climatico.

Cosa sono le quote ambientali?

Le “quote ambientali” o “carbon credit” sono emissioni di CO2 che le aziende sono autorizzate ad emettere. Queste quote a disposizione delle aziende sono parte di un grande Mercato nel quale le si possono vendere, cedere o acquistare. Entrando più nel tecnico, stiamo parlando del “Sistema Europeo di Scambio quote di gas a effetto serra” (nel suo nome originale “European Union Emissions Trading System” abbreviato EU ETS). Questo strumento è il principale mezzo utilizzato dall’Unione Europea per raggiungere l’obiettivo di abbattimento delle emissioni nei principali settori industriali e in quello dell’aviazione.

È stato introdotto con la Direttiva 2003/87/CE e poi modificato dalla Direttiva UE 2018/410 per adempiere agli impegni presi ratificando il Protocollo di Kyoto del 1997 (entrato in vigore nel 2005).

A cosa servono?

L’obiettivo che spinse all’introduzione delle quote di carbonio era quello di ridurre del 62% rispetto ai livelli del 2005 le emissioni di gas climalteranti da parte dei settori disciplinati dal sistema, entro il 2030.

Con queste pratiche i Paesi firmatari mirano, sfruttando gli stessi meccanismi di mercato, ad abbattere l’anidride carbonica (CO2) derivante da produzione di energia elettrica e di calore; dai settori industriali ad alta intensità energetica, comprese raffinerie di petrolio, acciaierie e produzione di ferro, metalli, alluminio, cemento, calce, vetro, ceramica, pasta di legno, carta, cartone, acidi e prodotti chimici organici su larga scala; dall’aviazione civile.

Inoltre, si vogliono contrastare le emissioni di ossido di diazoto (N2O) derivante dalla produzione di acido nitrico, adipico, gliossilico, gliossale, e di perfluorocarburi (PFC) derivanti dalla produzione di alluminio.

 

Come funziona questo meccanismo?

Il principale strumento utilizzato dall’UE per contrastare il cambiamento climatico sono per l’appunto le quote ambientali. Esso si basa su un meccanismo di tipocap&trade” : ovvero consiste nel fissare viene fissato un tetto massimo complessivo alle emissioni consentite sul territorio europeo (cap), a cui corrisponde un equivalente numero quote” (1 tonnellata di CO2 è uguale ad 1 quota) che possono essere acquistate e vendute su un apposito Mercato (trade). Ogni operatore industriale e aereo attivo nei settori coperti dallo schema deve compensare su base annua le proprie emissioni effettive (verificate da un soggetto terzo indipendente) con un corrispondente quantitativo di quote.

Per agevolare i controlli e la contabilità sono stati istituiti anche dei Registri: ovvero dei sistemi di banche dati elettroniche e standardizzate suddivise in conti per il rilevamento delle quote e delle transazioni effettuate. Uno di questi è “ITL” (International transaction log) che garantisce la conformità di tutte le transazioni con le regole stabilite dal Protocollo di Kyoto, gestendo controlli automatici in tempo reale per assicurare che ogni Unità di Emissione sia presente esclusivamente in un conto e che non sia già stata ritirata o cancellata.

Le transazioni che è possibile effettuare si dividono in 8 tipi:

  1. Issuance: creazione dell’Unità di Emissione (quota);
  2. Conversion: Trasformazione da una tipologia ad un’altra;
  3. External transfer: trasferimento esterno verso un altro registro;
  4. Cancellation: trasferimento interno al fine di non rendere la quota disponibile;
  5. Replacement: trasferimento interno per rimpiazzare una tipologia mancante;
  6. Retirement: trasferimento interno per poter essere utilizzata da un altro paese;
  7. Carry-Over: cambio del periodo di validità;
  8. Expiry date change: cambio della data di scadenza.

È bene precisare che il quantitativo complessivo di quote disponibili per gli operatori (cap) diminuisce nel tempo imponendo di fatto una riduzione delle emissioni di gas serra nei settori soggetti ad ETS: in particolare, al 2030, il meccanismo garantirà un calo del 43% rispetto ai livelli del 2005.

 

Il “carbon leakage”

Le quote possono essere allocate a titolo oneroso o gratuito. Nel primo caso vengono vendute attraverso aste pubbliche alle quali partecipano soggetti accreditati che acquistano principalmente per compensare le proprie emissioni. Le transazioni vengono poi registrate secondo le caratteristiche esposte sopra. Nel secondo caso, le quote vengono assegnate gratuitamente agli operatori a rischio di delocalizzazione delle produzioni in Paesi caratterizzati da standard ambientali meno stringenti rispetto a quelli europei (c.d. carbon leakage o fuga di carbonio). Le assegnazioni gratuite sono appannaggio dei settori manifatturieri e sono calcolate prendendo come riferimento le emissioni degli impianti più virtuosi, detti “benchmarks”, prevalentemente basati sulle produzioni più efficienti.

Tra i Paesi più famosi per le politiche poco virtuose sul carbonio, troviamo gli Stati Uniti d’America, la Russia, l’Australia e la quasi totalità dei paesi del continente africano.

Va detto che non in tutti i paesi del mondo si adotta il medesimo meccanismo europeo, molti applicano direttamente una tassa sull’emissione di carbonio

 

Ecotasse

Le tasse sul carbonio (note anche come “ecotasse”) sono applicate proporzionalmente alle emissioni e possono fornire un incentivo significativo alla decarbonizzazione, in quanto le aziende riducono le loro emissioni per evitare di pagare la tassa.

Ad oggi sono in vigore 68 Mercati del carbonio nazionali e subnazionali, che coprono circa il 30 per cento delle emissioni globali. Di questi circa un terzo è coperto dalla Cina; gli altri 44 sono in fase di studio. Dei meccanismi implementati, circa la metà sono sistemi di scambio di emissioni (come gli EU ETS) e l’altra metà sono tasse sul carbonio.

Il prezzo medio del carbonio, basandoci sui dati del 2021, è stato di 21,2 dollari/tonnellata di CO2e (CO2 equivalente, misura che esprime l’impatto sul riscaldamento globale di una certa quantità di gas serra, prendendo l’anidride carbonica come valore di riferimento), con variazioni significative tra i vari Paesi. Alcuni di questi prezzi sono molto alti; per esempio, il sistema ETS dell’Unione Europea ha raggiunto un picco di quasi 90 euro/tonnellata di CO2e nel dicembre 2021.

Il prezzo necessario per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione stabiliti nella COP21 di Parigi è nell’ordine di 150-200 dollari/tonnellata di CO2e entro il 2050 (con una certa differenziazione a seconda dei Paesi): è evidente che la strada da percorrere è ancora lunga.

 

Le opportunità del Mercato del carbonio

I Mercati del carbonio obbligatori incentivano le aziende a trovare soluzioni intelligenti per la decarbonizzazione, più di quanto farebbero se avessero una soglia di regolamentazione statica, come ad esempio le tasse sul carbonio. Con quest’ultima, come già descritto, le aziende ridurrebbero le loro emissioni fino a raggiungere lo standard regolamentato; con i Mercati del carbonio, invece, più le aziende decarbonizzano più possono creare valore. Sui Mercati del carbonio le aziende possono infatti vendere le proprie quote di emissione in eccesso ad altri operatori del Mercato. Possono anche sviluppare progetti di sviluppo ambientale e vendere le compensazioni che ne derivano, o acquistare da altre ditte compensazioni in eccesso rispetto alle loro esigenze di decarbonizzazione per poi commercializzarle, come se fossero un vero e proprio asset in borsa.

Ciò è un vantaggio anche per i governi e i cittadini in generale, poiché con il sistema del mercato del carbonio è probabile che la transizione energetica avvenga più velocemente. Purché, ovviamente, questo asset venga ben sfruttato e non se ne abusi ai danni dello Stato e di noi cittadini – il che purtroppo può accadere, si veda il caso di questi giorni che vede coinvolto Arcelor Mittal (conosciuto comunemente col nome di “Ilva” di Taranto), sul quale potete trovare un approfondimento qui.

In uno scenario mondiale dove il clima è in inesorabile peggioramento, ogni strumento per contrastare il declino ambientale è fondamentale. Forse, però, bisognerebbe avere il coraggio di stringere di più i parametri e prefiggersi obiettivi più elevati, per spingersi verso una sempre maggiore efficacia delle politiche intraprese.

 

Fonti:

https://www.mase.gov.it/pagina/emission-trading

https://www.mase.gov.it/pagina/il-mercato-delle-quote-di-co2

https://www.esg360.it/esg-world/ets-come-funziona-il-mercato-delle-emissioni-di-co2-in-europa/

https://www.isprambiente.gov.it/it/attivita/cambiamenti-climatici/politiche-sul-clima-e-scenari-emissivi

https://it.wikipedia.org/wiki/Carbon_tax

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2024/07/04/ilva-truffa-sulla-c02-lex-ad-ammetteva-i-dati-sono-finti/7610992/

https://www.ilsole24ore.com/art/ex-ilva-truffa-stato-quote-co2-10-indagati-vecchia-gestione-AFs4RJSC?refresh_ce=1

 

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Ambiente, società e tecnologia

Il fenomeno del “Washing”: quando il marketing diventa ingannevole

Il “washing” è un termine generico che descrive le pratiche di marketing e comunicazione ingannevoli messe in atto da aziende ed enti per farsi pubblicità e migliorare la loro immagine, fingendo di sostenere determinate cause o valori di cui in realtà non si fanno realmente promotori. Questo fenomeno assume diverse forme, come il greenwashing (ambientalismo), il pinkwashing (parità di genere), il rainbow-washing (diritti LGBTQ+), e così via adattando i neologismi. Sebbene queste campagne possano sembrare lodevoli a prima vista, in realtà rappresentano una forma di inganno nei confronti dei consumatori, che vengono fuorviati sul reale pensiero dell’azienda.

 

Che cos’è il greenwashing

Il greenwashing è probabilmente la forma più conosciuta di washing. Si tratta di una pratica attraverso la quale le aziende si presentano come più ecologiche e rispettose dell’ambiente di quanto non siano in realtà. Questo può avvenire attraverso pubblicità fuorvianti, etichette chimeriche sui prodotti o dichiarazioni di sostenibilità non supportate da azioni concrete.

Un esempio noto di greenwashing è stata la campagna pubblicitaria che BP “Beyond Petroleum” ha messo in pratica da inizio 2000. Essa promuoveva un’immagine verde nonostante l’azienda fosse ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili. L’azienda, a distanza di quasi un quarto di secolo, è ancora concretamente affezionata al petrolio. Internet, d’altro canto, è pieno di notizie su aziende criticate per aver esagerato i benefici ambientali dei loro prodotti o per aver utilizzato certificazioni ambientali discutibili.

Il greenwashing non solo inganna i consumatori, ma può anche rallentare gli sforzi per affrontare problemi ambientali reali, poiché le aziende possono utilizzarlo per cullarsi di prassi vetuste e ormai già entrate nelle consuetudini aziendali, evitando di apportare  cambiamenti reali.

 

Il rainbow-washing e lo sfruttamento dei diritti LGBTQ+

Il rainbow-washing è la forma di washing che coinvolge lo sfruttamento dei diritti e delle cause legate alla comunità LGBTQ+ a fini di marketing. Questo fenomeno si verifica quando le aziende promuovono prodotti o campagne pubblicitarie che sembrano supportare l’inclusione e l’uguaglianza LGBTQ+, ma in realtà non intraprendono azioni concrete per sostenere questa comunità, per contrastare la discriminazione intra-colleghi sul posto di lavoro, o addirittura l’azienda fa discriminazione in prima persona con le assunzioni, arrivando a finanziare organizzazioni o politici che ne ostacolano i diritti.

Vi sono casi che vedono coinvolte anche grandi aziende come Coca-Cola, McDonald’s e AT&T, che hanno lanciato campagne pubblicitarie pro-LGBTQ+ ma allo stesso tempo hanno sostenuto politici o organizzazioni contrarie ai diritti di questa comunità.

Un caso eclatante di questa pratica lo si può trovare proprio nel calcio e da ultimo nei Mondiali 2022. Potete approfondire l’argomento nell’articolo di Cecilia Palese che trovate qui.

 

Vegan-Washing e altri casi di appropriazione

Il vegan-washing, o veggie-washing, è una pratica simile al greenwashing, ma incentrata sul veganismo o i diritti degli animali. Si verifica quando le aziende pubblicizzano prodotti o servizi come vegetali o vegani. Ad esempio, quando un’azienda introduce alternative a base vegetale alla sua linea di prodotti non vegani per migliorare la propria immagine tra i consumatori più compassionevoli e competere per una quota del Mercato vegano/vegetariano senza mai effettivamente ridurre il loro contributo alla sofferenza degli animali.

Un’ipotesi eclatante di veggie-washing è stata il caso della catena di fast-food Burger King, che nel 2019 ha lanciato un veggie burger chiamato “Veggie Steakhouse” che in realtà veniva cotto sulla stessa griglia della carne, rendendolo non vegetariano.

Altre forme di washing includono il pinkwashing femminista, in cui le aziende fingono di sostenere l’empowerment delle donne a scopo di marketing, e il washing culturale, il fenomeno per cui aziende socialmente e ambientalmente irresponsabili puntano a migliorare la loro immagine promuovendo iniziative artistiche e culturali, senza per questo cambiare le loro politiche aziendali. Famoso è il caso di alcune grandi industrie petrolifere: potete trovare un approfondimento qui.

 

Le conseguenze del Washing sulle aziende

Il washing può avere gravi conseguenze per le aziende che lo praticano. In primo luogo, queste pratiche fasulle possono portare a una perdita di credibilità e fiducia da parte dei consumatori, che si sentiranno traditi e ingannati. Questo può danneggiare gravemente la reputazione e l’immagine del marchio, portando a boicottaggi e campagne di sensibilizzazione da parte di attivisti e associazioni di consumatori.

Inoltre, il washing può esporre le aziende a rischi legali per pubblicità ingannevole o false dichiarazioni. Diverse autorità di regolamentazione e organizzazioni di tutela dei consumatori hanno intrapreso azioni legali contro aziende colpevoli di greenwashing o di altre forme di washing.

 

L’UE in campo contro il greenwashing

Il 17 gennaio 2024, il Parlamento Europeo ha approvato in definitiva la Direttiva UE che mira a migliorare l’etichettatura e mette al bando l’uso di dichiarazioni ambientali fuorvianti. Questa Direttiva ha trovato il favore di tutti gli stati membri che l’hanno approvata e pubblicata in Gazzetta Ufficiale UE.

Le nuove regole vietano l’uso di indicazioni ambientali generiche come “rispettoso dell’ambiente“, “rispettoso degli animali”, “verde”, “naturale“, “biodegradabile“, “a impatto climatico zero” o “eco” se non supportate da prove.

La Direttiva bandisce anche l’uso dei marchi di sostenibilità, data la confusione causata dalla loro proliferazione e dal mancato utilizzo di dati comparativi. In futuro nell’UE saranno autorizzati solo marchi di sostenibilità basati su sistemi di certificazione approvati o creati da autorità pubbliche.

Inoltre, vieterà le dichiarazioni che suggeriscono un impatto sull’ambiente neutro, ridotto o positivo in virtù della partecipazione a sistemi di compensazione delle emissioni. Ovvero quel meccanismo che permette alle aziende di vendere o acquistare quote ambientali per poter rientrare in determinati standard di inquinamento.

 

Come riconoscere il Washing

Per evitare di cadere vittime del washing, è importante che i consumatori siano in grado di riconoscere i segnali di allarme nelle comunicazioni aziendali. Ecco alcuni aspetti da tenere d’occhio:

  1. Dichiarazioni vaghe o esagerate: Le affermazioni ambientali, etiche o sociali dovrebbero essere specifiche e supportate da prove concrete.
  2. Mancanza di trasparenza: Le aziende autenticamente impegnate in una causa saranno aperte e trasparenti sulle loro pratiche e sui loro sforzi. Le informazioni dovrebbero essere facilmente reperibili dal sito.
  3. Pubblicità contraddittoria: Se un’azienda promuove una causa con una mano ma la contraddice con le sue azioni o altri messaggi pubblicitari, è un potenziale segnale di washing.

 

È fondamentale che i consumatori non si fidino ciecamente delle affermazioni di marketing, ma verifichino le reali azioni e politiche dell’azienda prima di supportarla. Allo stesso modo, le aziende dovrebbero adottare una comunicazione autentica e trasparente, evitando di sfruttare indebitamente cause nobili per scopi pubblicitari.

 

 

Fonti:

https://www.greenpeace.org/usa/recapping-on-bps-long-history-of-greenwashing/

 

https://www.corriere.it/economia/22_dicembre_28/greenwashing-bp-investe-piu-petrolio-che-fonti-rinnovabili-6039d3f0-867c-11ed-95ee-af8dc55ce986.shtml

 

https://thevision.com/attualita/pride-sponsor/

 

https://www.lettera43.it/gabbana-post-gay-grillini-coming-out-lgbt/

 

https://www.today.it/donna/dolce-gabbana-boicottati-vip-omosessuali.html

 

https://jacobinitalia.it/il-cultural-washing-delle-aziende-petrolifere/

 

https://www.europarl.europa.eu/news/it/press-room/20240112IPR16772/il-pe-adotta-una-nuova-legge-contro-greenwashing-e-informazioni-ingannevoli

 

http://www.collectivelyfree.org/veganwashing-the-lie-of-vegan-unity/#:~:text=“Veganwashing”%20refers%20to%20a%20form,with%20veganism%20or%20animal%20rights.

 

https://ibicocca.unimib.it/latomizzazione-nel-calcio-la-fifa/

 

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Ambiente, società e tecnologia

Scamcoins come casinò: com’è cambiata la percezione del denaro nell’era dell’economia digitale e delle criptovalute

Era il mese di gennaio del 2009 quando un gruppo di visionari, celati sotto lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto, gettò le fondamenta di una rivoluzione finanziaria senza precedenti: il Bitcoin, la prima valuta digitale (o criptovaluta).

 

Nel corso del suo primo anno di esistenza, il Bitcoin si misurava in mere frazioni di centesimi di dollaro statunitense o, addirittura, con un valore vicino allo zero. Nessuno, all’epoca, avrebbe potuto prevedere che la modesta (e apparentemente trascurabile) nascita di una valuta virtuale avrebbe rappresentato il nucleo di un fenomeno globale, destinato a rivoluzionare irrimediabilmente il panorama economico mondiale.

 

Bitcoin: l’avventura nell’incognita finanziaria

 

È inevitabile che, nel tempo, il modo di gestire e concepire il denaro cambi in base alle implicazioni culturali, economiche e sociali di riferimento. A differenza del mondo reale, il settore dell’informatica e della tecnologia concepisce 15 anni come un periodo di tempo molto lungo. Sarebbe stato impensabile, all’epoca, pensare di affidarsi quotidianamente alle piattaforme digitali per effettuare pagamenti, investimenti e transazioni finanziarie, come accade oggi.

 

Acquistare un Bitcoin significava, nel 2009, investire in qualcosa di estremamente incerto: l’esposizione al rischio di hackeraggio, la mancanza di regolamentazioni chiare e le fluttuazioni estreme del valore erano solo alcune delle preoccupazioni di quei pochi interessati a scommettere su questo nuovo software.

 

Seppur sia difficile fornire una cifra precisa sul numero di persone che decisero di investire in Bitcoin, è invece chiaro che i primi a gettarsi nella mischia furono solo degli “avventurieri digitali”: informatici, programmatori e appassionati di tecnologia che, spinti dalla determinazione e dalla voglia di esplorare il promettente mondo delle criptovalute, sfidarono il rischio e si lanciarono in questa nuova frontiera finanziaria. Acquistarono alcuni Bitcoin per cifre irrisorie e questi vennero trasferiti all’interno di un primo embrione di portafoglio digitale, custodito da password private.

 

L’investitore più famoso è sicuramente Lazlo Hanyecz, un programmatore di Jacksonville (Florida) che il 22 maggio 2010 utilizzò, per la prima volta nel mondo reale, i propri Bitcoin come valuta di scambio: 10.000 Bitcoin per due pizze. Scelta abbastanza discutibile, considerando il fatto che di lì a poco (per l’esattezza il 6 novembre dello stesso anno) la capitalizzazione del Bitcoin avrebbe raggiunto il milione di dollari, con un tasso di cambio pari a mezzo dollaro per Bitcoin. Ad ogni modo, era solo l’inizio di un cammino che, seppur tortuoso, portò il Bitcoin a raggiungere cifre inimmaginabili.

 

Nessuna valuta al mondo ha raggiunto, in 10 anni, una quotazione pari a quella del Bitcoin. Al momento in cui si scrive, un Bitcoin vale ben 47.888,06 dollari; il prezzo viene aggiornato ogni 5 minuti dal sito Soldionline.it.

 

Perdita di accesso, perdita di fortuna: i Bitcoin persi nelle profondità digitali

 

Ciò che viene simpaticamente mostrato nel nono episodio dell’undicesima stagione di The Big Bang Theory, “La complicazione dei Bitcoin” (o The Bitcoin Entanglement), rispecchia la realtà: come il protagonista Leonard Hofstadter, molte persone che investirono anche pochi centesimi in questa valuta nel 2009 lo fecero in maniera del tutto informale o per mera curiosità. Ironicamente (o meglio, drammaticamente) questi ultimi si sono ritrovati ad affrontare, più che un possibile rischio, un problema reale: quello di aver perso le password dei propri portafogli digitali e di aver reso impossibile l’accesso ai propri fondi, inevitabilmente maturati nel corso degli anni.

 

Si tratta di un evento esemplare, che dovrebbe servire da ammonimento sulla necessità di trattare con serietà i propri investimenti finanziari, anche quando sembrano solo un gioco. Tuttavia, ciò non accade: anzi, oggi il mondo delle criptovalute, oltre a essersi consolidato in maniera massiccia, ha visto emergere sfide ben più significative e complesse.

 

La proliferazione delle scamcoins

 

Le scamcoins (o criptovalute truffa) sono criptovalute create con l’intento di ingannare gli investitori e ottenere denaro o informazioni personali in modo fraudolento.

 

I creatori delle scamcoins sono tutt’altro che sprovveduti e, tramite campagne marketing ingannevoli, profili falsi sui social e cloni di criptovalute legittime riescono a far diventare virali i propri progetti, seppur vuoti o addirittura fasulli. Tutto ciò non ha a che fare e non dev’essere confuso con il termine cryptoscam, che si riferisce, invece, a qualsiasi truffa o frode che coinvolga le criptovalute.

 

I principali canali di diffusione delle scamcoins sono l’app di messaggistica Telegram e diverse piattaforme online. Poocoin, ad esempio, è un sito web che si occupa di aggregare i dati (come il prezzo in tempo reale) e fornire grafici dettagliati sull’andamento delle diverse criptovalute; in aggiunta, permette agli investitori di monitorare i propri wallets (portafogli digitali) e di interagire tra loro, promuovendo alcune crypto e creando avvisi personalizzati. Premettendo che questo sito non è direttamente coinvolto nella creazione e nella promozione delle scamcoins, queste ultime possono essere in esso pubblicizzate dagli utenti stessi, i quali sono esenti da controlli di sicurezza mirati e, conseguentemente, sono esposti a vari tipi di minacce online.

 

“Squid Game” e “Rug Pull”: tra finzione e realtà

 

Un esempio di scamcoin ormai famoso è il token non ufficiale (ma omonimo) legato alla serie Netflix sudcoreana Squid Game, reso disponibile agli investitori il 20 ottobre 2021 sottoforma di un pay-to-play: acquistando queste criptovalute, gli utenti avrebbero potuto giocare a un gioco ispirato alla serie tv e sarebbero stati premiati, all’interno di esso, con “token $SQUID”.

O almeno, questo è ciò che gli fecero credere i promotori.

 

 

In sole due settimane, Squid Game arrivò a valere ben 2.861 dollari e il market cap (cioè il valore totale in dollari) arrivò a 2,1 milioni di dollari (il picco più alto fu, addirittura, di 7 milioni). Crescita piuttosto irregolare; affiancata al fatto che gli utenti stavano riscontrando alcune difficoltà nel ritirare i propri soldi (che nel frattempo continuavano ad aumentare), ciò spinse l’ex Twitter (ora X) a limitare temporaneamente l’account della criptovaluta, con l’accusa di attività sospette.

 

Tutto ciò non ha impedito ai creatori di prelevare l’intera liquidità (pari, in quel momento, a poco meno di 3,4 milioni di dollari) e riscontrare che, come previsto, si trattava di una scamcoin.

 

Quest’operazione è stata un gigantesco rug pull: questo termine si riferisce a una manovra dannosa che si verifica quando gli sviluppatori di una criptovaluta abbandonano improvvisamente il progetto, fuggendo con i fondi degli investitori e facendo precipitare il valore della criptovaluta (nel caso di $SQUID si era giunti a quasi una frazione di centesimo). In poche parole, è una truffa con la quale si “tira il tappeto” dai piedi degli investitori, lasciandoli senza alcuna possibilità di recupero dei loro fondi.

 

La riduzione delle truffe online

 

Squid Game è stata solo una delle molteplici scamcoins ad aver truffato gli investitori; si tratta di un fenomeno che persiste e continuerà a farlo, seppur (forse) con un impatto minore. Le truffe facilitate sono diminuite da 55,4 milioni di dollari nel secondo trimestre del 2023 a 13,6 milioni nel terzo trimestre dello stesso anno, con una diminuzione del 75% dell’importo perso dagli investitori a causa delle truffe.

 

Secondo le analisi, questa diminuzione può essere attribuita a vari fattori: un aumento della consapevolezza complessiva tra i membri della comunità, un’impennata nei prodotti di sicurezza che segnalano siti web e attività dannose e la numerosità di utenti che individuano le truffe in anticipo e forniscono avvisi prima che i truffatori possano avere successo.

 

Scamcoins come casinò

 

Perché, allora, le persone continuano a investire nelle scamcoins, pur conoscendone i rischi?

 

Le scamcoins, a differenza delle critpovalute tradizionali, raggiungono picchi di valore molto alti in poco tempo, arrivando a market cap davvero elevati. Gli utenti sanno riconoscere una criptovaluta legale da una seconda truffaldina, ma decidono consapevolmente di rischiare e provare a far maturare molti soldi in poco tempo per poi battere sul tempo gli sviluppatori, ritirando per primi la propria liquidità.

 

Verrebbe da chiedersi: davvero le persone tengono così poco alle proprie risorse finanziarie?

 

Ci sono molti modi di investire i propri soldi e le criptovalute sono, ormai, largamente diffuse. La scelta di fidarsi delle scamcoins sembra essere quella che, in questo campo, richiede il minimo sforzo e fa ottenere il massimo risultato ed è per questo che potrebbe essere paragonata al gioco d’azzardo.

È un po’ come scommettere su un mazzo di carte truccato: si potrebbe vincere qualche volta, ma alla fine il banco (o, in questo caso, lo sviluppatore truffaldino) ha sempre la meglio, perché lascia l’investitore senza speranze e con un portafoglio più leggero.

 

 

Fonti:

Wired, Storia breve del Bitcoin

“The Bitcoin Entanglement”, The Big Bang Theory

PooCoin

Soldionline.it

Cosa sono le scamcoins?

Squid Game, la criptovaluta truffaldina

Rug Pull

La riduzione delle truffe online

 

Immagini:

Il pump and dump del prezzo di SQUID, fonte CoinMarketCap