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Che cosa ci viene in mente quando pensiamo al digitale? Dopo quasi due anni di pandemia, sicuramente il lavoro e la didattica a distanza, poi il mondo dei social media, la finanza high-tech e molto altro. Penseremmo mai alla mela che sgranocchiamo come spuntino come ad un esempio di innovazione digitale? Se la risposta è no, continuando a leggere cambierete idea: nella sala tematica dedicata al FoodTech durante i Digital Innovation Days si è parlato di come l’intelligenza artificiale (AI), l’automazione, la tecnologia blockchain e le piattaforme social possano essere messe a servizio della produzione del cibo. Queste tecnologie permetteranno sempre di più sia di assicurare qualità e sicurezza dei prodotti, sia di ottimizzare operazioni e processi per evitare gli sprechi e ridurre i consumi.

Si parte allora per un viaggio che inizia in campo aperto, per arrivare all’esperienza che i clienti ricercano nella relazione con i brand.

 

Parola d’ordine? “Dati”: dalle serre verticali ai biosensori per il latte vaccino

 

Le esigenze del settore sono chiare quanto urgenti. La popolazione mondiale aumenterà ed è auspicabile che sempre più persone possano richiedere sicurezza e qualità del cibo; tuttavia gli eventi climatici estremi sempre più frequenti e la scarsità di suolo e acqua sono ostacoli importanti posti di fronte a questo obiettivo. Una tra le soluzioni possibili è “l’agricoltura in ambienti controllati”, così come la definisce Daniele Benatoff, CEO di Planet Farms. Le piante vengono coltivate su più livelli, in un sistema caratterizzato da due elementi fondamentali: l’automazione e il controllo e il monitoraggio costante di tutte le variabili ambientali. Il digitale permette così di avere accesso a una vasta gamma di informazioni collegate alle migliori condizioni possibili di crescita (che altrimenti non potrebbero essere reperite) e di modificare di conseguenza temperatura, intensità della luce e non solo.

 

Non tutte le specie vegetali però possono essere coltivate in ambienti controllati: l’agricoltura in campo aperto rimane imprescindibile e può essere resa più produttiva e sostenibile grazie a soluzioni digitali integrabili su macchine agricole e trattrici, anche non di ultima generazione, come ha spiegato Paolo Cesana, responsabile Smart Farming e Automazione presso SDF. Queste permettono tra l’altro a chi dirige le macchine di poter fare affidamento su sistemi di guida smart che aumentano la precisione di tutte le operazioni che svolge, evitando sprechi e costi aggiuntivi.

 

Invece, come si rende digitale il settore dell’allevamento? Durante il panel Paolo Bulgarelli, responsabile qualità di Parmalat Italia, ha illustrato in cosa consiste il progetto europeo MOLOKO: alla base c’è un sensore miniaturizzato in grado di rilevare piccole concentrazioni di sostanze indicatrici della qualità del latte; grazie ai dati raccolti è possibile scartarne solamente la parte che non soddisfa i requisiti quando ancora si è in fase di mungitura, evitando così contaminazioni nel resto della produzione giornaliera.

 

Come si ottimizzano i processi e si controlla la filiera, grazie ai prodotti digitali delle startup

 

Il cibo sta per entrare in fabbrica: come prevedere i costi energetici dei processi trasformativi e così ottimizzarli? Rebecca, l’AI sviluppata dalla startup MIPU, permette di raggiungere il modello di fabbrica predittiva, unendo l’esperienza e la conoscenza di chi opera in fabbrica, i dati sui consumi energetici e la possibilità utilizzare una piattaforma di programmazione codeless. Rebecca è in grado di elaborare modelli di funzionamento delle macchine e di confrontarli con quelli costruiti sulla base dei dati raccolti in produzione: se si osserva una discrepanza, può identificarne la causa e rivelare malfunzionamenti o persino predire guasti. È proprio il caso in cui, come vuole il proverbio, “prevenire è meglio che curare”, perché la capacità predittiva concessa dal digitale è una valida alleata della sostenibilità, sia ambientale sia economica, delle aziende che su di essa fanno affidamento.

 

Il viaggio del cibo prosegue, ma chi può assicurare un controllo qualità lungo tutta la filiera? Come si può mettere in comunicazione ogni suo punto e al contempo dare certezza al consumatore? La startup ConnectingFood ha sviluppato una piattaforma condivisa basata sulla tecnologia blockchain (di cui abbiamo parlato qui) e una web app che permette alle persone che acquistano un prodotto di scannerizzare uno specifico QR presente sulla sua confezione: i dati coinvolti in tutto il processo permettono da un lato di garantire la tracciabilità dei lotti e di accorgersi rapidamente di un errore, dall’altro danno sicurezza al consumatore grazie a informazioni accessibili e trasparenti.

 

Come coinvolgere i clienti nell’era del digitale

 

Siamo arrivati finalmente ad un prodotto pronto a essere lanciato sul mercato: quali strumenti hanno i brand per comunicare la qualità e i valori nascosti nel cibo? Una strategia che integri l’interazione social e gli user generated content assieme al il desiderio di vivere esperienze fisiche, oggi urgentepiù che mai, sembra vincente a tutti i rappresentanti dei brand che hanno partecipato alla sala “FoodTech”. Aperol ha scelto di lanciare l’iniziativa “Together we can cheer”, una catena di brindisi virtuali per coinvolgere i clienti in tempo di restrizioni, per poi trasformarla in eventi in cui i visitatori potessero interagire sia fisicamente sia digitalmente con le diverse attrazioni: tutto questo ha permesso di generare più di 10000 contenuti social da parte degli utenti.

 

Il gruppo Sabelli, operante nel settore lattiero caseario, era invece consapevole di dover creare una campagna che permettesse ai clienti di potersi identificare in valori spesso difficili da ritrovare intrinsecamente in un prodotto come una mozzarella: ha quindi deciso di lanciare una nuova marca, “Natura Sincera”. Il target di questo test di mercato sono i giovani che per le prime volte si trovano ad essere indipendenti dalla famiglia e che per questo devono occuparsi della spesa e della cucina, pur essendo alle prime armi: per ingaggiarli hanno deciso di sfruttare post su Instagram molto simili ai meme.

 

La “rivoluzione culturale” e il valore delle soluzioni tradizionali

 

Il cibo è ormai pronto per essere comprato e gustato, ma occorre fare molti passi indietro per riflettere sui presupposti che dovrebbero esserci alla base di un’efficace integrazione del digitale nel settore. Come ha affermato Paolo Cesana durante il panel “AgriTech”, è necessaria una “rivoluzione culturale”, in parte già in atto. La filiera agroalimentare dovrà infatti essere sempre più supportata e guidata da grandi quantità di dati puri, affidabili e ben organizzati, perché saranno indispensabili per prendere decisioni dall’impatto positivo, più di quanto potrebbero esserlo se l’unico metro di giudizio fossero le sensazioni e le impressioni dei singoli produttori. Per far sì che ciò accada saranno proprio questi ultimi a dover comprendere il valore dell’innovazione digitale e investire nella loro implementazione. Parallelamente dovranno essere valorizzate nuove figure professionali, come quella del data scientist e dello sviluppatore blockchain.

 

Non bisogna dimenticare però, travolti dal giusto entusiasmo per il digitale, il valore dei prodotti che già esistono e che potrebbero entrare a far parte della rivoluzione produttiva: l’intervento di Alessandro Nasini, cofondatore di FOODENDI, ha fatto riflettere su come la maggior parte delle startup italiane nel settore FoodTech non sia basata sul prodotto e su come il riconoscimento e lo sfruttamento di varietà vegetali dalle particolari caratteristiche (per esempio, la resistenza a un clima molto caldo) possano essere una delle soluzioni applicabili, assieme a una migliore gestione del territorio.

 

Il digitale rappresenta lo strumento per la rivoluzione del settore agroalimentare, mentre i suoi obiettivi devono continuare a essere le persone e la loro relazione con il cibo.