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In atmosfera, mentre scriviamo queste righe, si trovano all’incirca 419ppm(parti per milione) di CO2.
Il diossido di carbonio (CO2) (come il metano(CH4), l’ozono e l’ossido di azoto(N2O) ) è uno tra i gas a effetto serra presente in natura che contribuisce, trattenendo il calore, all’equilibrio del clima terrestre. Le concentrazioni di questo gas prodotte in larga parte dalle attività umane (estrazione e consumo di combustibili fossili) continuano ad aumentare. Ma perché questo sta diventando un problema? Sebbene questo gas sia fondamentale, per esempio, nella fotosintesi delle piante, la sua azione quando è in concentrazioni elevate è quella di accumularsi negli strati dell’atmosfera e di riscaldare come una coperta molto calda provocando l’innalzamento delle temperature globali.

Questa molecola non è poi così male e non ha solo aspetti negativi. Ad oggi, la CO2 la usiamo industrialmente nel trattamento delle acque, nella produzione di refrigeranti e in una tecnica di recupero del petrolio. Quindi perché non provare a prelevare e riutilizzare le grandi quantità che abbiamo a disposizione in atmosfera, cercando così di controllare il problema?
È nata così la tecnica nota come Carbon Capture and Storage -CCS, letteralmente Cattura e Stoccaggio del Carbonio. Un processo tecnologico che prevede diversi step:  la cattura, il trasporto e la conservazione ed eventualmente il suo riutilizzo. Vediamoli nel dettaglio.

 

1) La CO2 può essere catturata in diversi modi. In grandi impianti industriali si cerca di far assorbire la molecola prodotta da fumi di combustione in forma gassosa tramite solventi chimici (post-combustione) oppure separando l’anidride carbonica presente prima della reazione (pre-combustione). A questi poi si affiancano i naturali metodi di sequestro della CO2 come il rimboschimento, introduzione di tecniche agronomiche per aumentare l’assorbimento della stessa da parte delle colture agricole e infine la cattura per semplice filtrazione dell’aria (Direct Air Carbon Capture and Storage – DACCS) che ad oggi è tra le più complesse.

2) Il trasporto è la fase in cui, una volta che il gas viene compresso e trasformato in fase liquida può essere direzionato tramite appositi mezzi di trasporto alla sede dove sarà infine conservata.

3) Infine, lo stoccaggio è lo step in cui la CO2 in forma liquida viene poi iniettata e depositata in un sito di confinamento. Questi luoghi sono a tutti gli effetti trappole geologiche e tipicamente possono essere un vecchio giacimento di idrocarburi, falde acquifere saline ma anche sul fondo degli oceani. La CO2 in forma liquida, una volta iniettata in profondità rocciose andrà a formare con gli elementi presenti nelle strutture minerali, composti stabili come il carbonato di calcio utile per la produzione dei vetri. Mentre, ancora più interessante, può essere lo stoccaggio in depositi di carbone perché la reazione controllata di anidride carbonica, assommata al materiale, produce gas metano che potrebbe essere venduto per compensare i costi dell’operazione. L’alternativa al semplice conservare il carbonio è il suo riutilizzo: per esempio, introducendo la CO2 intrappolata nelle serre per incrementare la crescita delle piante.

 

Contributo delle attività umane alla CO2 in atmosfera e il suo sequestro.
Contributo delle attività umane alla CO2 in atmosfera e il suo sequestro.
Fonte: https://www.usgs.gov/science/science-explorer/climate/greenhouse-gases-and-carbon-storage

 

Ogni passaggio del processo di sequestro ha delle sfide e criticità a livello infrastrutturale oltre che tecnologico. A questi si aggiungono problemi di natura politica, con la difficoltà a legiferare sulla materia.

Le strutture sviluppate finora sono nella maggior parte dei casi in fase prototipale e nulla è disponibile su larga scala. Al 2021 gli impianti attivi o in costruzione erano circa 31 con una capacità di 40 milioni di tonnellate di CO2 all’anno catturate. Due anni dopo, diverse aziende come Microsoft investono in tecnologia CCS per raggiungere i propri obiettivi climatici. Non solo le aziende: i governi la vedono come un’alternativa da inserire nei programmi di mitigazione climatica. Per esempio, a Copenaghen il governo ha pensato di affiancare le tecniche di Carbon Capture & Storage nella sua strategia contro il cambiamento climatico, realizzando un impianto di cattura nei suoi sistemi di smaltimento rifiuti per cercare di abbattere le emissioni di quel comparto. Nel mondo emergono comunque progetti di più ampio respiro come quello in Norvegia, dove lo Sleipner CO2 Storage Site riesce a raggiungere una capacità di 10 tonnellate di CO2 iniettata in acquiferi salini e che viene monitorato da particolari metodi geofisici.

Alla luce di questi progressi, le infrastrutture CCS possono essere la soluzione? Dal rapporto del Global CCS institute, emerge che per arrivare agli obiettivi dell’Accordo di Parigi(2015) in merito al clima entro il 2050 dovremmo dare un’accelerata alla costruzione di questi impianti (dovremmo costruirne circa 100 ogni dodici mesi) e ottenere una capacità di cattura di circa 1.7 miliardi di tonnellate/anno.

Tuttavia, c’è molto scetticismo sulla potenziale efficacia di questo metodo, per via di una serie di questioni ancora aperte: costi elevati di costruzione degli impianti, ricerca e sviluppo sull’accessibilità e sicurezza dei siti per l’iniezione, rischi di fuoriuscite accidentali dai giacimenti oltre che la possibile alterazione della struttura del sottosuolo e possibilità di conseguenze sismiche vicino ai luoghi di stoccaggio. A questo si aggiunge una questione ancora molto dibattuta e non sviscerata adeguatamente ovvero la reale sostenibilità economica e ambientale di questa tecnologia. Questi impianti andrebbero in molti casi a produrre più emissioni della loro stessa capacità di cattura (considerando tutto il processo di costruzione e gestione) e rendere vani investimenti pubblici e privati.

Insomma, a oggi per combattere il Global Warming la cosa più efficace da fare rimane consumare meno.