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Quando parliamo del riscaldamento globale siamo abituati a pensare secondo un’associazione quasi automatica alle energie rinnovabili e alle tecnologie che possano sostituire i combustili fossili.

Un buon proposito, indispensabile da perseguire, ma con un “ma”: le energie rinnovabili sono intermittenti e abbiamo bisogno di un modo per conservare quella in eccesso quando non serve.

Qual è la soluzione? Si potrebbe pensare alla cosa più ovvia: le batterie, e in particolare quelle al litio, essendo le più utilizzate.

Purtroppo, andremmo a risolvere un problema creandone uno di pari entità. Seppur non ci siano problemi di scarsità di litio, la sua estrazione è particolarmente inquinante. Inoltre, la richiesta delle batterie sta crescendo a dismisura sia in termini di prezzo che in termini di consumo. Secondo un report della Roland Berger , il costo del litio nel mercato cinese è aumentato del 743% in un solo anno ( gennaio 2021/2022) e secondo la Benchmark Minerals, la domanda nei prossimi anni sarà così grande che la sua estrazione non potrà tenere il passo della domanda.

Fonte immagine: https://www.rolandberger.com/en/

 

Fonte immagine: https://www.benchmarkminerals.com/wp-content/uploads/20200608-Vivas-Kumar-Carnegie-Mellon-Battery-Seminar-V1.pdf

 

Anche in questo caso, fortunatamente, la scienza è sempre un passo avanti. Sono tanti gli studi per ovviare a questo problema: quello che pare garantire più successo è l’impiego dei TES, ossia Thermal Energy Storage (accumulatori di energia termica).

Voi direte: “Non saranno mica dei termosifoni?” e per citare un famoso meme “Well yes, but actually no”

In effetti i TES lo sono, ma non lo sono: ora vi spieghiamo il perché.

Secondo gli scienziati Gang Li e Xuefei Zhengc, i Thermal Energy Storage sono sistemi che riescono a trattenere una grande quantità di calore al loro interno per diversi giorni/settimane/mesi, per poi rilasciarla quando necessario.

Il calore viene prodotto trasformando l’elettricità in eccesso delle fonti rinnovabili, che viene convertita in energia termica tramite ad esempio delle resistenze, o sfruttando dei processi chimici e accumulata da alcuni materiali.

Questi dispositivi possono successivamente riscaldare gli ambienti come case e uffici, o alimentare i forni ad alta temperatura usati in negli impianti produttivi.

Lo stesso principio può essere usato per raffreddare, usando l’elettricità delle fonti rinnovabili per abbassare la temperatura dei materiali invece che alzarla.

L’energia al loro interno può essere accumulata in tre modi diversi:

  • Sensible heat storage: si scalda/raffredda un liquido o un solido.
  • Latent heat storage: si sfrutta il cambiamento di fase di un materiale.
  • Thermo-chemical storage: si usano delle reazioni chimiche per trattenere o rilasciare calore.

Il metodo più adottato è il primo, e il funzionamento è abbastanza semplice: si prende un materiale (ad esempio acqua, o come vedremo anche sabbia), e lo si scalda usando delle resistenze: proprio come fa ad esempio un tostapane. Il materiale viene conservato in un contenitore molto isolato cosicché il calore non possa disperdersi.

Prendiamo quello che si sta facendo in Germania, dove si sta già costruendo un TES che potrà contenere 56 milioni di litri di acqua (l’equivalente di 350 mila vasche da bagno) da scaldare a 98 gradi e che svilupperà una potenza massima di 200MW, con un’energia massima rilasciata di 2600 MWh.

Non male, no?

Eppure, rimane un problema: l’acqua può essere scaldata al massimo a 100 gradi. È a questo punto che entra in gioco la sabbia. Un gruppo di ragazzi finlandesi, grazie alla loro start-up “Polar Night Energy”, hanno messo in pratica lo stesso principio che sta alla base dei TES ma usando la sabbia di scarto impiegata nelle costruzioni. Dopo aver costruito il primo prototipo funzionante che ha liberato un’energia di 3MWh, si sono concentrati sulla costruzione di una vera e propria “batteria” di sabbia, riuscendo ad ottenere fino ad 8MWh di energia.

Il vantaggio di questo materiale sta nella possibilità di accumulare molto più calore, e quindi avere una densità di energia molto più alta di quella dell’acqua. Le temperature che possono essere raggiunte si aggirano intorno ai 600 gradi (ma potenzialmente si potrebbe andare anche oltre): a parità di volumi quindi si potrebbe avere tre volte la stessa energia. I vantaggi però non si fermano qua: la struttura esterna del TES “a sabbia” è completamente in acciaio, e secondo gli ideatori potrebbe essere costruita in qualsiasi officina. Inoltre, la sabbia non è particolarmente raffinata o trattata e si potrebbero usare altri tipi di sabbie, riducendo il costo sia di trasporto che di trattamento.

L’energia può quindi essere utilizzata così com’è sotto forma di calore, immettendo nei tubi di uscita dell’aria fredda e controllando così la temperatura finale. Ci sarebbe anche la possibilità di produrre dell’energia elettrica anche per alimentare delle turbine. Queste di solito vengono alimentate a metano, ma usando l’energia accumulata potremmo potenzialmente erogare calore ed elettricità tutto il giorno anche durante i picchi. Il problema in questo caso sarebbe la drastica diminuzione dell’efficienza, che andrebbe dal 95% al 25%.

Un’iniziativa che sembra risolvere almeno parzialmente molto dei problemi d’accumulo, anche se rimane una domanda da porci: possono queste “batterie” sostituire le batterie? Sì e no, tutto dipende dall’applicazione. Data la loro grandezza e al costo iniziale di costruzione è impossibile pensare ad un uso domestico. Data però la loro capacità di accumulare grandi quantità di energia, questi sistemi sembrano in grado di prestarsi ad un uso in larga scala per fornire energia ad un vasto numero di edifici.

Sfortunatamente, per poter impiegare a questo scopo la tecnologia dei TES c’è bisogno di una rete di teleriscaldamento, cosa che in Italia non è così diffusa. Ma questa è un’altra storia.