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Se si interrogasse il dizionario online dei sinonimi e dei contrari, i primissimi termini suggeriti al posto di “sostenibilità” sono tollerabilità e sopportabilità.  Non è un caso che il concetto di sviluppo sostenibile sia stato anticipato di qualche anno dal “Rapporto sui limiti dello sviluppo”.  All’interno di questo libro veniva descritto, per la prima volta, l’esito di una simulazione al computer che aveva lo scopo di valutare le interazioni fra popolazione mondiale, industrializzazione, inquinamento, produzione alimentare e consumo di risorse. In particolare, veniva messo in evidenza che la crescita produttiva illimitata avrebbe portato allo smodato consumo delle risorse energetiche e ambientali con un irreversibile deterioramento del pianeta.

Quindi, il concetto di sostenibilità nasce dall’esigenza di individuare un prima, caratterizzato da un modello di sviluppo che se perpetuato avrebbe reso la nostra presenza nel mondo intollerabile, e delineare un dopo che, auspicabilmente, doveva essere basato su di un nuovo paradigma di sviluppo non solo diverso ma, per certi versi, opposto a quello antecedente.

 

La rivoluzione dal basso

Consumate quasi tutte le risorse a disposizione del genere umano e giunti al punto di pagarne le drammatiche conseguenze, lo sviluppo sostenibile, inteso come processo in grado di assicurare «il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri», è diventato una necessità. Oggi tutte le aziende sono chiamate a muoversi in tale direzione. Proprio in quest’ottica, nel 2015, le Nazioni Unite hanno pubblicato l’Agenda 2030, “un piano d’azione per le persone, il Pianeta e la prosperità”, che possa fungere da faro per le persone, per le aziende e per le nazioni.

La pandemia ha modificato la sensibilità dei primi anelli di questa catena. I consumatori, ora più attenti verso le tematiche ambientali e sociali, vogliono essere sempre più protagonisti del cambiamento. La conferma arriva anche dai dati citati da Americo Bazzoffia durante il suo intervento al WMF: in Italia, 7 consumatori su 10 hanno rivalutato il proprio modo di fare acquisti e addirittura il 39% dei consumatori è disposto a pagare fino a un 10% di più per prodotti sostenibili. Questo nuovo interesse spinge le aziende non solo a intraprendere una strada sempre più “green” ma anche a comunicare sempre meglio la loro sostenibilità.

 

Attenzione al greenwashing

Diversi studi dimostrano che il consumatore odierno è più sensibile, più competente e quindi più attento. Questo significa che la comunicazione della sostenibilità deve essere corretta, veritiera, attendibile, chiara, rilevante e coerente. Nasce per questo l’esigenza dell’affermazione del “claim etico” che si discosta dal playoff emozionale che negli anni scorsi tanto è stato utilizzato e che per lungo tempo ha generato grandi fenomeni di greenwashing.

Ad oggi, anche se non è presente ancora una normativa puntuale sull’argomento, è richiesto che i messaggi contenuti nella comunicazione siano sostenuti da evidenze e il produttore deve sempre consentire al consumatore di effettuare la verifica delle asserzioni con cui presenta il prodotto, per evitare di essere chiamato a rispondere davanti all’autorità nazionale a ciò designata di essere protagonista di una pratica commerciale sleale, con tutte le conseguenze negative sull’immagine aziendale che ciò può comportare. Qualora si ritenga di essere dinanzi a un sospetto caso di greenwashing, in Italia, è possibile rivolgersi all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, successivamente instaurare un giudizio civile e segnalare il caso all’Istituto dell’autodisciplina pubblicitaria. Almeno questo è l’iter perseguito lo scorso novembre nella prima sentenza per greenwashing in Italia.

 

Costruire la sostenibilità

Come visto in precedenza, il principio di sostenibilità si basa non solo sul rispetto intragenerazionale ma anche su quello intergenerazionale. Dunque ciascuno è chiamato ad agire secondo le proprie possibilità. L’aumento del fenomeno consumo-sostenibile sprona le aziende a una maggiore attenzione verso determinati temi e le spinge a competere non solo attraverso il prodotto o servizio fornito ma anche sulla capacità di comunicare e rendere verificabile il loro operato.

Proprio a questo punto entrano in azione gli enti di certificazione e le agenzie comunicative. Ai primi viene chiesto di controllare che i beni e i servizi siano prodotti o distribuiti secondo norma di legge mentre ai secondi viene chiesto di generare claim etici che non solo muovano il consumatore all’azione ma che siano in grado di informare correttamente e di comunicare la correlazione positiva che intercorre tra l’acquisto di un determinato bene o servizio e il suo impatto all’interno dell’ecosistema economico, sociale e ambientale.