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Oggi come non mai in molti contesti vengono utilizzati termini come brand strategy, brand identity, personal brand e altre espressioni simili. Confusione? È comprensibile, motivo per il quale se oggi si vuole lavorare nel mondo del marketing, dell’economia e del commercio (ma non solo) è necessario fare chiarezza su cosa si intende quando si parla di brand.

 

Giuseppe Mayer, partner di Antifragile, ha alle spalle moltissimi anni di esperienza nel mondo delle agenzie pubblicitarie: tra le aziende con cui ha collaborato in passato possiamo citare Wpp, Publicis, Dentsu e Gruppo Armando Testa.

Oggi è imprenditore, digital advisor, autore e investitore con 20 anni di esperienza nel mondo delle strategie di brand e marketing digitale.

Ha scritto dei libri, tra cui l’ultimo intitolato “Branding by Design” – gli otto caratteri della marca nel mondo post digitale” di cui potrete scoprire qualche dettaglio nel corso dell’articolo.

Lo abbiamo intervistato e abbiamo parlato di marca, transizione e trasformazione nel mondo digitale, tendenze del mondo digitale e molto altro.

 

Giuseppe, per iniziare, perché oggi più che mai il brand è tornato a essere così importante?

“Questa è già una domanda che ne contiene altre ventimila! La premessa che va sempre fatta non è per quale motivo oggi il brand è importante, ma per quale motivo il brand esiste: le marche esistono nella vita delle persone per ridurre il loro livello di incertezza. Il motivo per cui per gli esseri umani è fondamentale avere a che fare con gli elementi che noi chiamiamo marca è perché viviamo in un mondo estremamente complesso, ricco di alternative e di scelte.

Ci sono infatti delle statistiche molto interessanti degli Stati Uniti che indicano quanto la capacità di scelta delle persone durante il giorno sia limitata; ecco che la marca ha una funzione incredibile da questo punto di vista perché permette alle persone di navigare in un contesto di grande incertezza e in un mare dove ci sono infinite alternative e di orientare le proprie scelte.

Nel mondo in cui viviamo oggi i segnali esterni sono estremamente ricchi perché abbiamo tantissime opportunità di scelta: si dice che siamo passati da ricevere e visionare 4.000 messaggi al giorno a visionarne almeno 40.000, per cui è chiaro che la quantità di stimoli sia diventata ancora più alta e quindi il ruolo della marca, di conseguenza, sia diventato ancora più importante

Il motivo per cui oggi è più importante che in passato è dovuto al cambiamento degli strumenti che servono per creare una marca di valore.

Se la marca è il sistema che permette alle persone di ridurre il loro livello di incertezza, qual è il ruolo delle persone? Il ruolo è riuscire a creare quelle associazioni intangibili che permettono di dire “riconosco quella particolare offerta, mi piace e quindi la preferisco rispetto a un’altra”.

Prima del digitale, per costruire queste associazioni bastava guardare la televisione, ascoltare la radio o leggere il giornale, e quindi le aziende dovevano creare messaggi di comunicazione che fossero il più possibile efficaci e impattanti e veicolare quei messaggi e storie su questi canali. Oggi invece le persone utilizzano maggiormente lo smartphone, oggetto che permette di fare molto di più, come commentare, interagire e partecipare al messaggio di marca delle aziende.

Non basta più creare delle storie e metterle a disposizione delle persone, ma bisogna trovare dei modi intelligenti per far parte della vita delle persone.

Quello che infatti fanno le aziende non è più solo raccontare storie ma anche permettere alle persone e abilitare le persone a vivere la promessa di marca, non soltanto trasmettendo un racconto generico ma diffondendo qualcosa di molto più concreto.

Nonostante il fatto che negli ultimi 20 anni ci siano state delle realtà che molto di più delle marche tradizionali hanno aiutato a ridurre i livelli di certezza, come per esempio il motore d ricerca di Google o i social network, c’è ancora un enorme spazio per le marche per avere un ruolo impattante nella vita delle persone, ma solo se riusciranno a capire che ormai il loro ruolo non è più solo quello di raccontare delle storie ma far partecipare attivamente le persone”.

 

 

Quali sono gli otto caratteri della marca post digitale di cui ha parlato nel suo ultimo libro?

“L’idea segue il ragionamento di prima: le marche oggi sono ancora importanti, anche in un contesto dove c’è un utilizzo maggiore del digitale e in cui ci sono Facebook e Google che semplificano notevolmente molte attività, ma per esserlo devono trovare il loro modo per diventare parte integrante della vita delle persone.

La differenza tra il mondo che precede il digitale e quello che lo succede è che mentre prima bastava creare e raccontare una storia che impattasse la vita delle persone, adesso l’obiettivo è creare una relazione con le persone, cosa che gli strumenti digitali permettono di fare.

Un altro aspetto interessante che oggi dà un’enorme opportunità dal punto di vista della marca è puntare non più allo share of voice ma allo share of time, cioè trovare gli strumenti digitali che permettono di aumentare la quantità di tempo che le persone passano con la marca anche indipendentemente dal momento del consumo.

Prima del digitale il mondo era fatto in modo tale per cui il ruolo della marca nella vita del cliente era quello di vederlo come un consumatore e nulla di più; quindi, il motivo per cui si comunicava con esso era quello di convincerlo a consumare il prodotto, ma questo perché prima del digitale non c’erano altre opportunità per entrare io relazione con lui. Oggi invece è possibile, anche prima di cominciare a pensare il prodotto, chiedere al consumatore di che cosa ha bisogno, accompagnarlo durante l’esperienza d’acquisto e infine rafforzare la convinzione che l’offerta sia la migliore del mondo con dei i servizi post-vendita.

Il punto è che ormai non ci si focalizza soltanto sulla creazione di esperienze di valore nella fase precedente alla pubblicità, ma si cerca attraverso il digitale di creare delle relazioni di lungo periodo.

È lì che entrano in gioco i caratteri della marca.

Gli 8 caratteri della marca, quattro razionali e quattro emozionali, servono a identificare quel carattere unico, distintivo, speciale che la marca ha, per cui crea un rapporto quasi umano con le persone mediato dal digitale.

Il paradosso è che il digitale con i suoi strumenti, con la sua possibilità di tracciare le informazioni, e con la possibilità di creare delle narrazioni One to One che sembrano veramente dei dialoghi, permette di creare un rapporto più umano con i clienti.

Ci sono tanti esempi che vengono fatti con gli otto caratteri, che non vanno visti come uno alternativo all’altro, ma di fatto è come se fossero in un grande mixer in cui bisogna capire qual è la miscela unica, speciale e particolare che la marca vuole mettere in funzione.

Per esempio, uno dei caratteri è l’empatia: essere empatici vuol dire saper ascoltare e condividere la propria visione del mondo. Il digitale con l’ascolto delle conversazioni permette in tempo reale di ascoltare quello che le persone dicono della marca, di percepire quali sono i loro bisogni e sulla base di questo chiaramente di entrare nella conversazione

Un altro carattere che c’è nel libro, uno dei primi che poteva essere realizzato con il mondo del digitale, è quello personale, perché, per esempio, con il digitale si possono inviare 10 milioni di mail a tutti i clienti ma ognuna potrebbe iniziare con un “ciao” seguito dal nome della persona. Oggi è possibile personalizzare ancora di più il messaggio ma anche il prodotto, per esempio mostrando un prodotto diverso a seconda del cliente.

Un altro carattere fondamentale è l’empowering: un esempio è Nike, il quale non vende solo prodotti, abbigliamento e scarpe sportive ma per esempio ha creato un’applicazione all’interno della quale inserisce contenuti e informazioni per migliorare le proprie performance, e per scaricarla non serve una prova d’acquisto, questo perché quello che Nike vuole è una relazione di lungo periodo e il tempo che la persona condividerà con lui.

Gli otto gli 8 caratteri servono quindi proprio a capire come è possibile creare una personalità distintiva, unica e riconoscibile per la marca attraverso il digitale. Una personalità riconoscibile con cui le persone hanno voglia di passare del tempo al di là del momento del consumo”.

 

In questo periodo di continua trasformazione digitale, i brand stanno cercando di sviluppare diverse strategie di comunicazione innovative, come crede che ci si debba muovere in un contesto del genere per potersi distinguere dai competitor? Conosce qualche azienda che secondo lei sta facendo un buon lavoro?

Il digitale è diventato ormai parte integrante del nostro modo di pensare, non si può più pensare che ci siano ambiti in cui non esista il digitale.

Una delle caratteristiche del mondo post digitale è che le aziende si mischiano sempre di più, non ci sono più categorie fisse.

Questo è possibile in tutti i settori, per esempio, nel mondo dell’agenzia di comunicazione, dato che una volta c’erano le agenzie di pubblicità e le società di consulenza, oggi invece le agenzie di pubblicità fanno anche consulenza.

Anche nel mondo dello sport: Nike dovrebbe vendere scarpe, ma in realtà fa molto di più perché accompagna le persone anche in un percorso di miglioramento delle performance. Stessa cosa per quanto riguarda Apple che dovrebbe vendere semplicemente computer, strumenti che ci monitorano e ci offrono altri servizi, ma invece per i suoi messaggi di marca fa leva sulle emozioni.

In un mondo post digitale i confini tra le aziende si ridefiniscono.

Un esempio è il mondo dei social media, all’interno del quale tutti competono con tutti.

Le aziende che vogliono essere su un social devono competere non solo con i competitor diretti all’interno della propria area di riferimento, come potrebbe essere una banca con un’altra banca, ma competono con i contenuti creati da altre persone per guadagnare l’attenzione degli utenti.

Dobbiamo renderci conto che la voce delle aziende non viene più ascoltata in quanto brand, di conseguenza più interessante rispetto alle persone. Anzi, su Tik Tok, ma ormai su tutti i social, la voce delle persone è più importante rispetto alla voce dei brand.

Molte aziende, infatti, oggi fanno partecipare le persone nel loro messaggio di marca, un esempio è WeRoad: questa realtà si occupa di realizzare viaggi, ha un prodotto che di per sé piace molto, ma soprattutto ha scelto di mettere al centro del proprio messaggio di comunicazione e attività di branding non solo contenuti creati da loro, ma quelli creati dai loro clienti. Le foto che fanno gli utenti diventano gli oggetti della campagna di comunicazione fatta da WeRoad.

Il digitale può essere anche utilizzato per allargare la propria sfera di competenza, dato che secondo me nei prossimi anni avremo due tipologie di aziende: le data managed company o le data company.

Le data managed company sono le aziende che usano i dati per migliorare il proprio lavoro, quindi, tutte le aziende che riescono a recuperare i dati dei loro clienti per poi migliorare il proprio modo di lavorare e i processi operativi.

Le data company sono invece le aziende che riuscendo a capire il valore della trasformazione digitale mettono i dati al centro del proprio business.

Un esempio è Deliveroo, che non è semplicemente un’azienda che vende servizi di trasporto portando i beni e i prodotti da un punto A a un punto B, ma è un’azienda che è in grado di “vendere” ai propri clienti finali il servizio di consegna a domicilio nel modo più efficace ed efficiente possibile, cioè facendo in modo che il cliente non ordini da ristoranti troppo lontani e che il prodotto arrivi a casa in buono stato e pronto da mangiare. È una data company anche a lato ristorante perché fornisce ai ristoranti informazioni, dati e intelligence che servono ad essi per migliorare le proprie performance.

Quindi, credo che in questo momento di transizione del digitale i dati saranno al centro di ogni attività e nel futuro avremo due tipologie di aziende: le aziende che saranno in grado di ottimizzare il proprio business attraverso i dati e quelle che metteranno il dato al centro del proprio modello di business”.

 

Quali sono i trend che secondo lei stanno funzionando oggi? E quelli che vedremo in futuro?

“Ce ne sarebbero decine ma secondo me i più importanti sono due.

Una prima tendenza molto interessante è quella della transizione dai social media a social commerce.

In passato era necessario coinvolgere interessare gli utenti attraverso i social media ma oggi con essi è possibile fare molto di più: gli strumenti che social network come Facebook e Instagram mettono a disposizione sono delle vere e proprie piazze virtuali in cui oggi si può anche acquistare dei prodotti. Si parla infatti di passaggio dalla conversazione alla conversione. Questo trend è molto interessante soprattutto in Italia perché riguarda le PMI e le realtà che hanno bisogno di provare nuovi strumenti per riuscire a convertire.

Un domani si potrebbe iniziare a conversare e contattare influencer in base alla loro capacità di vendere un prodotto.

Un’altra tendenza molto importante su cui secondo me in Italia si è un po’ in ritardo è il trend del gaming; il mondo di Twitch ma soprattutto il mondo di Roblox che è secondo me un esempio molto interessante, perché per certi versi ricorda Instagram qualche anno fa, dato che anche Roblox è in grado di raccogliere una quantità molto grande di ricchezza informativa.

 

Io ho approcciato il mondo della pubblicità ormai vent’anni fa e all’epoca le persone potevano essere trovate principalmente attraverso la televisione; oggi invece le persone sono su queste piattaforme, per cui per raggiungerle è fondamentale per le aziende esservi presenti”.

Quali sono le figure professionali che oggi non possono mancare in un’azienda per poter sviluppare una brand strategy efficace?

“Riprendendo il discorso di prima, sicuramente un data manager o un data insightuna persona che si occupi di dati, capace non soltanto di raccogliere quelli che arrivano tramite il digitale ma anche tutti quelli che arrivano attraverso altri possibili touch point.

Fare branding significa occuparsi delle esperienze, e le esperienze sono la somma delle interazioni delle relazioni che hanno con le tecnologie delle marche.

Per tracciare nel modo corretto queste interazioni, c’è bisogno di qualcuno che sappia analizzare i dati e ascoltare ogni singola interazione.

Un’altra persona fondamentale è il social media manager che è una figura in evoluzione, una persona capace di utilizzare i social, fare contenuto e molto di più.

Anni fa, inoltre, in una mia agenzia avevo dato spazio a un antropologo; secondo me oggi c’è spazio per essere più creativi nei profili che inseriamo all’interno delle aziende; prima abbiamo parlato del fatto che oggi bisogna raggiungere le persone sulle piattaforme di gaming e che il loro modo di interagire con i contenuti è cambiato, credo quindi che sia fondamentale cercare di capire i loro comportamenti da un punto di vista antropologico, e per farlo abbiamo bisogno di una figura in grado di capire questi comportamenti.

Tante figure che in passato abbiamo visto poco interessanti poco rilevanti potrebbero tornare molto di moda ed essere estremamente utili, tra questi sicuramente anche l’antropologo.

Per concludere, anche il mondo delle STEM è importante.

Io faccio sempre l’esempio del dolore provocato da un dente e del medico che può fare due cose: far passare il dolore e sistemare il dente attraverso un metodo e degli strumenti oppure con un pugno in faccia.

Ecco che anche i programmatori devono avere una strategia chiara del brand e dell’azienda, per non fare solo succedere le cose ma fare in modo che le situazioni vengano risolte nel modo più sano e possibilmente indolore possibile”.