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“Fonti proteiche alternative alla carne cercasi”: negli ultimi anni le risposte a questo ipotetico annuncio sono aumentate, supportate da istanze sia etiche sia ambientali. Tra le alternative plant-based e gli alimenti a base di insetti, emerge un’altra opzione: la carne “coltivata” in laboratorio a partire da cellule animali. Soprattutto alcuni tipi di carne, come quelle di bovino e di agnello, hanno un’impronta di carbonio significativamente più alta rispetto ad altri alimenti considerati come fonti proteiche: l’indicazione condivisa è quella di ridurne, anche drasticamente, il consumo. È possibile però trovare delle soluzioni affiancabili a quest’ultima? Soprattutto, la carne coltivata potrebbe essere una delle opzioni future per consumare carne senza un forte impatto sull’ambiente e sul benessere animale?

Come può essere coltivata la carne in laboratorio?

I tessuti animali che compongono la carne che normalmente mangiamo sono formati da più tipi di cellule, come quelle muscolari e adipose: per la produzione di carne coltivata si parte da cellule staminali, che hanno la caratteristica di potersi differenziare in fase di crescita. Queste si ottengono ad oggi tramite una biopsia, cioè un piccolo prelievo di tessuto da un animale in vivo, oppure tramite macellazione. Le cellule staminali possono in seguito moltiplicarsi e differenziarsi all’interno di bioreattori che possano contenere migliaia di litri di materiale (che potete vedere qui) e al cui interno deve essere mantenuto un ambiente ottimale: temperatura, pH, flusso di gas e agitazione meccanica devono essere strettamente controllati. Per dare forma a un prodotto simile a un taglio di carne, le cellule hanno bisogno di una struttura tridimensionale porosa su cui potersi organizzare per riprodurlo: una tra quelle utilizzate attualmente è fatta di proteine vegetali (ed è quindi edibile).

Le cellule non crescono da sole, ma hanno bisogno di un terreno di coltura ricco di nutrienti e sostanze che ne favoriscano lo sviluppo. Una delle criticità maggiori risiede proprio in uno dei componenti del terreno di coltura ad oggi ritenuto ottimale: si tratta del siero fetale bovino (generalmente abbreviato con “FBS”), ricavato dal sangue del feto bovino ed estremamente difficile e costoso da replicare in laboratorio. Attualmente sono in studio o in fase pilota soluzioni alternative, per far sì che la futura industria della carne coltivata possa dipendere sempre meno dall’allevamento tradizionale e dalla macellazione del bestiame.

Ma è possibile ricreare in questo modo il gusto della carne tradizionale? Sicuramente sì, almeno per alcuni tipi di preparazione, come nuggets di pollo o hamburger. Risulta più complesso, anche se possibile, riprodurre fedelmente la consistenza e la struttura di una bistecca.

La carne coltivata è (o diventerà) un prodotto sostenibile?

Sappiamo che il concetto di sostenibilità non è univoco, ma deve essere declinato dal punto di vista ambientale, economico e sociale. Perciò, per comprendere se la carne coltivata sia o possa diventare in futuro un prodotto sostenibile, è necessario considerare sia gli studi sul suo LCA (cioè “l’analisi del ciclo di vita”) sia analisi tecnico-economiche.

Partiamo da uno studio di LCA recente, pubblicato a inizio 2023 sul “International Journal of Life Cycle Assessment” e condotto secondo la metodologia “ex ante”. Siccome la carne coltivata non è ancora prodotta e consumata su larga scala, non possiamo paragonare il suo impatto attuale a quello della carne proveniente da allevamento: si possono però costruire degli scenari, più o meno conservativi o ottimistici, per immaginare il suo impatto quando sarà presente in modo significativo sul mercato (in questo studio, gli scenari descritti dagli autori si riferiscono al 2030).

La criticità più evidente della sua produzione è il suo essere particolarmente energivora: i principali costi energetici sono dovuti al mantenimento dei bioreattori a una temperatura di 37 °C e alla produzione delle proteine e dei fattori di crescita presenti nel terreno di coltura. Entrambi sono necessari alla crescita delle cellule e sono rispettivamente responsabili del 70% e del 25% circa dell’energia totale richiesta per ottenere la carne coltivata, che aumenta del 60% rispetto al manzo e del 700% rispetto al pollo (se consideriamo tutti i tipi di carne prodotti nel modo più efficiente possibile). Per far sì che la carne coltivata possa essere sostenibile, l’energia dovrà provenire da fonti a basse emissioni di CO2.

Se questa criticità dovesse essere risolta, i benefici dal punto di vista ambientale potrebbero diventare rilevanti. Alla carne coltivata è associato un consumo di suolo più basso: gli animali, in particolare i bovini, convertono le calorie assunte grazie al mangime in massa edibile per l’essere umano in modo molto più inefficiente rispetto alle cellule in crescita nei bioreattori; hanno bisogno perciò di più cibo, che necessariamente occupa più terreno. La soluzione ottimale consisterebbe nell’ottenere le sostanze nutritive per le cellule senza provocare deforestazione, o potendo sfruttare scarti e prodotti secondari dell’industria alimentare. Anche l’inquinamento dell’aria causato dalla produzione di carne potrebbe essere ridotto, così come il consumo di acqua, nel caso in cui le linee produttive venissero efficientate per riciclarla.

Dal punto di vista economico, i costi sono per ora molto elevati, sebbene siano costantemente in calo: in questo report tecnico-economico pubblicato nel 2021 si legge che “i costi attuali per la produzione di carne coltivata sono tra le 100 e le 10’000 volte maggiori rispetto a quelli della carne da allevamento tradizionale”. Processi produttivi di questo tipo sono ad alta intensità di capitale a causa delle strutture necessarie, dell’elevata richiesta di energia dell’assenza di una produzione su scala industriale delle proteine e dei fattori di crescita per la coltivazione delle cellule.

Lo sviluppo di questa tecnologia non ha ancora raggiunto la grande scala: se questa produzione verrà realizzata in futuro seguendo le indicazioni dei migliori scenari possibili, potrebbe però diventare un’alternativa vantaggiosa rispetto ai tipi di carne più impattanti.