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Il marketing per essere efficace in un mondo dove la migrazione è ormai un fenomeno in forte crescita, deve tener conto della cultura delle “nuove comunità”. Tale argomento è stato trattato al Web Marketing Festival durante l’intervento “Il marketing oggi è marketing interculturale?”, per mostrare come enti privati e pubblici possano creare strategie per il bene comune, per l’integrazione e il soddisfacimento personale di ogni membro della comunità.

 

La speaker è stata Ilaria MundulaSinologa ed esperta di marketing interculturale e di comunicazione strategica, con esperienza diretta in Cina e con le comunità locali cinesi in Italia (prima come insegnante di italiano per studenti cinesi e poi come consulente marketing); assieme a Danio BertiCEO di WeM_Park, è riuscita ad approfondire le dinamiche interne ed esterne di questa innovazione interculturale.

 

 

Dove e con chi tutto ebbe inizio…

 

Il WeM_Park, Laboratorio Universitario per il Marketing e le tecnologie IC” dell’Università degli Studi di Firenze, spiega Berti, nasce 6 anni fa all’interno di PIN. L’intuizione dietro alla nascita del laboratorio, deriva dalla necessità di offrire una conoscenza parallela all’Università e una consulenza applicata, per rafforzare la parte di Digital marketing degli studenti del corso di laurea in Economia aziendale. Negli ultimi anni siamo riusciti  ad adeguare il laboratorio a quello che è il sistema di base di PIN:  è stato introdotto, infatti, un osservatorio per la ricerca scientifica e di mercato chiamato Chinese Digital Scenario, così da poter offrire soluzioni empiriche e strategie di marketing alle imprese e agli Enti Pubblici; e, infine, è stata migliorata la parte di Education per fungere da supporto all’osservatorio e per permettere la divulgazione della conoscenza digitale verso gli studenti e verso l’esterno con corsi di specializzazione extracurricolari.

 

Nel contesto della ricerca e dell’attività strategica opera Ilaria Mundula, insieme ad un team multietnico e multiculturale (cinesi o di origine cinese laureati in economia o in scienze della comunicazione). E ci spiega così il progetto:

 

 

Nel titolo del tuo intervento parli di marketing interculturale, cosa intendi davvero con questa espressione? Quali caratteristiche deve avere il marketing per essere tale?

 

Il marketing interculturale è una variante del marketing che tiene conto delle diversità culturali cioè del fatto che ogni persona, quindi ogni consumatore o utente, sia portatore di valori. Di valori che fanno appello alla cultura.

La globalizzazione ci ha portato a credere che non ci fosse fluidità culturale al punto che i valori di ciascuna cultura avessero perso identità e si fossero uniformati tra loro; in realtà, i dati provenienti da diversi Istituti di Ricerca Internazionali dimostrano il contrario e, non solo, mostrano quanto ciascuna cultura abbia preservato la sua natura lasciando segni indelebili in ciascuno dei suoi membri, sia nelle scelte più personali che in quelle d’acquisto.

 

Di conseguenza, il marketing per essere definito interculturaledeve tener conto delle differenti culture di riferimento e deve saper cogliere il flusso storico di una cultura; così agendo, sarà possibile creare delle strategie che si adattino alla versione linguistica e visiva di una data comunità. Con la classica traduzione letterale, infatti, non si faceva altro che riportare i propri schemi mentali in un’altra cultura.

 

Questo a livello generale e teorico; per vedere come si concretizza tutto ciò, ti porto l’esempio dello studio e dei risultati ottenuti guardando l’Italia e, in particolare, la comunità cinese di Prato. Partiamo dal fatto, non trascurabile, che l’Italia sta misurando una sempre più crescente interazione e commistione con nuove culture e nuove identità per via dell’alta immigrazione. Questo aspetto, infatti, condiziona il ruolo della scuola, il rapporto con le istituzioni e con la religione, fino ad interessare i rapporti sociali, lavorativi e familiari.

La concentrazione di immigrati in determinate aree, secondo quanto affermato dalla Idos, è poi dovuta alla necessità di stare vicino a parenti e compatrioti, per trovare appoggio e opportunità di socializzazione e per ottenere impieghi lavorativi.

 

Arrivo dunque alla comunità cinese di Prato, su cui si basa il mio focus; in tale luogo risiede una delle comunità cinesi più dense d’Europa26.300 cittadini cinesi su 195.000 residenti totali; non solo, si tratta anche di una comunità molto giovane dove appunto il 30% ha un’età compresa tra 0-17 anni.

 

Osservando e interagendo con i suoi membri, poi, si scopre che, nonostante siano giovani, i valori della cultura cinese permangono molto forti in loro, quindi significa che le persone sono influenzate dalla cultura cinese anche quando non vivono in Cina (ma all’estero).

 

 

Le strategie di ricerche che utilizzate? Le best practice? Come si struttura il vostro piano d’azione.

 

Partiamo dalla teoria: le best practice non sono altro che linee guida a cui attenersi per formulare delle strategie. In senso più lato, bisogna attenersi al concetto di multidimensionalità ovvero di strutturare una campagna marketing aziendale su due livelli: offline e online. In senso stretto, invece, è necessario condurre un’osservazione più diretta attraverso ricerche quali/quantitative e strumenti di survey online cinese. Grazie ad esse, abbiamo scoperto che i cinesi hanno un comportamento digitale diverso dal nostro in quanto il loro ecosistema digitale è molto più evoluto, hanno una forte vocazione imprenditorialesono mediamente disposti a spendere di più su certe categorie merceologiche e sono anche attratti dal settore del lusso (importanti sono le ricerche di mercato prodotte in tal senso da Silvia Ranfagni), sono portati ad acquistare tramite live streaming (come avviene in Cina), si tratta di persone che tengono alla loro immagine pubblica (quindi evitano situazioni che facciano perdere loro la faccia), sono curiosi, attenti e precisi. Riguardo a questi tre aspetti in particolare, risulta rilevante una ricerca che avevamo fatto sui prodotti di skincare venduti online: sull’e-commerce cinese Taobao vi erano tantissime informazioni tra foto, lunghe descrizioni e tutorial, mentre su Amazon, lo stesso prodotto, era accompagnato da una sola foto con una riga di descrizione:

 

 

Le strategie si muovono attorno a domande come: Quali app usano i cinesi in Italia? Quali sono le loro preferite? Per quanto tempo le usano? Quali sono le app indispensabili? Se devono fare x azioni, ad esempio cercare un prodotto, cercare un indirizzo, chattare, comprare online, lo fanno con le app occidentali, con quelle italiane o con quelle cinesi?

 

Per rispondere a questa domanda si è scoperto che le App considerate indispensabili per i cinesi in Italia siano le app di comunicazione e marketing Weibo e WeChat (il 40% degli intervistati lo usa per 4 ore al giorno), la Xiaohangshu (Little Red Book) che è un mix tra Pinterest e Instagram e la gemella di Titk Tok ovvero Douyin.

 

Tra le app occidentali più usate, invece, ci sono YouTube Instagram; di contro, il 30% non usa mai Whatsapp e il 50% non usa mai Facebook.

 

Ora, all’atto pratico ti indico quali strategie sono state svolte e che hanno avuto successo:

 

  • il comune di Prato ha aperto un canale WeChat dedicato alla comunicazione di notizie di interesse pubblico in lingua cinese ed italiana (ad esempio campagne sulle iscrizioni scolastiche). Tale azione a livello locale, ha permesso una maggiore integrazione della comunità cinese;
  • in una farmacia di Prato è stato attivato, all’esterno, un display in cui venivano mostrati, in lingua cinese, i prodotti che potevano interessare quel target ed, inoltre, è stato inserito personale cinese tra i farmacisti. Tutto questo ha permesso di attrarre un consistente numero di clienti cinesi (una consistente fetta di popolazione della città).

 

 

Abbiamo visto in quale ottica le aziende e le istituzioni pubbliche agiscono; adesso è necessario capire come noi possiamo agire per permettere un inserimento ovunque, grazie all’interazione tra autoctoni e migranti:

 

Come afferma lo stesso Niklas Luhmann nella teoria dei sistemi sociali e come si è compreso con quanto appena detto, i sistemi sociali non sono altro che processi di comunicazione intrecciati fra loro e che spesso entrano in conflitto per due ragioni:

 

  • la prima consiste nell’errata interpretazione dell’atto comunicativo o, addirittura, nella mancata interpretazione di tale atto (bisogna essere in possesso di determinate capacità derivanti dalla conoscenza pregressa e diretta di quei rapporti);
  • la seconda consiste nella mancata osservazione di quell’atto da parte di chi dovrebbe riceverlo. Questo è un problema che potrebbe essere risolto dalla «compresenza fisica» del soggetto con cui stiamo comunicando (attualmente resa possibile dalla tecnologia).

 

Infatti, io stessa, una volta entrata in contatto con le persone, ho capito quali fossero i problemi e le necessità della comunità. Il modo migliore per aiutarli è, quindi, condividere la nostra esperienza e la nostra conoscenza della cultura e della lingua cinese, oltre che tutte le informazioni che si conoscono (fungendo da mediatori nell’incontro con l’altro).

 

Ho così deciso di affiancare il mio lavoro nel privato e nel pubblico, con uno più personale aprendo un profilo Instagram “ilaria_mundula”, in cui tratto di ogni aspetto della loro cultura: dalle loro superstizioni, ai valori legati alla famiglia, fino alla loro cucina, ai flop di mercato; il tutto accompagnato da fonti autorevoli, articoli e menzione dei luoghi e delle strutture ove è possibile incontrarsi ma fare anche formazione (cinese) su più punti di vista.

 

 

Un viaggio che spiega i retroscena di una comunità che è riuscita ad influenzare il mercato italiano ed inserirsi nel panorama pubblico e privato con modalità distanti dai nostri modi di agire e dalla nostra comprensione. E’ proprio questo che vuole insegnarci il talk: allargare la nostra mente e aprirla a nuovi schemi mentali, per una migliore convivenza tra culture diverse, pur mantenendo intatte le nostri origini.