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Il tema del nucleare in Italia potrebbe essere assimilato all’immagine di un fuoco che continua a bruciare sotto le ceneri. Sono due i referendum che nella storia del nostro paese hanno bocciato sonoramente l’energia dell’atomo eppure, di tanto in tanto, questa tematica torna a conquistare le luci della ribalta spaccando in due fazioni nette l’opinione pubblica.

 

Da qualche mese l’argomento è tornato ad essere particolarmente caldo soprattutto a seguito di una serie di dichiarazioni, poi in parte ritrattate, fatte dal Ministro della Transizione Ecologica Roberto Cingolani. In particolare, l’invito del Ministro è stato quello di accantonare le vecchie ideologie e di guardare alle nuove tecnologie nucleari come al mezzo per raggiungere gli obiettivi europei di neutralità climatica. Per fare chiarezza sull’argomento abbiamo invitato nella nostra redazione Gian Piero Godio di Legambiente e Pro Natura del Vercellese, la zona più nuclearizzata di tutta Italia.

 

Gian Piero Godio, benvenuto nella nostra redazione, la prima domanda che le faccio arriva direttamente dal discorso del Ministro Cingolani. Può il nucleare essere la chiave di volta per il raggiungimento degli obiettivi internazionali di azzeramento delle emissioni?

 

Innanzitutto oggi in Italia non abbiamo certo bisogno di cercare i pro e i contro del nucleare sull’enciclopedia.

 

Infatti è di dominio pubblico che le quattro centrali nucleari italiane di Trino (VC), Caorso (PC), Latina, e Sessa Aurunca (CS), in tutta la loro esistenza, hanno complessivamente prodotto energia elettrica per 91 miliardi di chilowattora. Sembrano tanti, ma occorre tenere presente che gli impianti fotovoltaici esistenti in Italia, solo negli ultimi quattro anni, ne hanno prodotti oltre 95 miliardi.

 

In compenso queste quattro centrali nucleari hanno lasciato rifiuti radioattivi che resteranno tali per migliaia di anni e che ad oggi nessuno sa ancora dove collocare in condizioni di relativa sicurezza: anche le prime risultanze del seminario organizzato da Sogin attualmente in corso per l’individuazione del Deposito nazionale per le scorie testimoniano che nessuno, in Italia, vuole avere materiale radioattivo sul proprio territorio.

 

Per non parlare delle emissioni climalteranti e dei costi dovuti a quei pochi chilowattora di origine nucleare, perché, per ogni chilowattora, vanno calcolati il costo e l’inquinamento dovuti all’estrazione del minerale contenente uranio, quelli dovuti alla sua raffinazione, all’arricchimento, alla costruzione e gestione della centrale, al suo smantellamento, e infine, alla conservazione delle scorie radioattive per migliaia di anni.

 

Insomma, il nucleare, di qualsiasi tipo, è l’alternativa peggiore!

 

Introdurre oggi il nucleare in Italia sarebbe una scelta economicamente sostenibile?

 

Non è questo l’aspetto che più mi interessa, ma in ogni caso l’esigenza di dotare il nucleare di un numero sempre maggiore di dispositivi al fine di cercare di contenere almeno in parte i rischi che ne derivano ha fatto sì che i costi siano saliti a livelli tali da rendere il nucleare insoddisfacente persino dal punto di vista economico, come dimostra la scarsa penetrazione di questa tecnologia il cui contributo in termini di energia primaria a livello mondiale nel 2020 è stato del solo 4,31%, come si rileva dalla prestigiosa pubblicazione, non certo di fonte ambientalista.

 

 

Partendo dal presupposto reale che il “rischio zero” non esiste. C’è davvero un problema di sicurezza legato alle centrali nucleari? E qual è il rischio legato al conferimento delle scorie?

 

Non è solo questione del pessimo rapporto tra i benefici (pochi) e i rischi e i costi (tanti, in proporzione). Infatti, come scriveva Giuliano Martignetti nel suo Dizionario dell’Ambiente (ISEDI 1995), “il “nucleare”, al di là della sua realtà concreta, è venuto assumendo nel corso degli anni un valore fortemente simbolico, discriminante fra due idee antitetiche dell’uomo e del suo futuro nel mondo: da un lato l’uomo faustiano, teso al dominio dell’ambiente naturale, convinto di potere, con la sua tecnica e la sua industria, forzare indefinitamente i limiti dello sviluppo, dall’altra l’“uomo nuovo” ecologico che prende atto della sua appartenenza alla natura e della necessità di ristrutturare in armonia con essa la propria società e la propria economia”.

 

Specificamente poi per quanto riguarda i problemi di sicurezza delle centrali e dei depositi nucleari basterebbe pensare che il territorio italiano è stato recentemente esaminato sulla base dei criteri di esclusione fissati da ISPRA, per ragioni appunto di sicurezza, sulla base della esperienza internazionale, e dall’esame è risultato già escluso da subito oltre il 99% dei Comuni.

 

Poiché l’uranio presente in Italia sarebbe insufficiente per sostenere un apparato nucleare. Ha senso parlare di fine della dipendenza dai paesi esteri?

 

Forse chi parla di “fine della dipendenza dai paesi esteri” si riferisce alla fusione nucleare, cosa fisicamente completamente diversa dalla “fissione nucleare” utilizzata fino ad ora, ma non per questo tanto migliore per quanto riguarda il problema dei costi, dei rischi e del potenziale utilizzo militare.

 

Effettivamente questa tecnologia non utilizza l’uranio, ma non è per nulla esente da problemi di radioattività, in quanto i neutroni generati dalla fusione renderebbero radioattive le strutture e genererebbero quindi scorie radioattive, certamente diverse da quelle derivanti dalla fissione, ma pur sempre radioattive per tempi dell’ordine di “solo” trecento anni, e che dentro la centrale nucleare  a fusione si riformerebbero giorno per giorno mettendo quindi in continuazione a rischio i trecento anni successivi.

 

C’è davvero la possibilità, secondo lei, di aprire nuovamente un referendum per il nucleare? E qualora avvenisse quali sono i suoi motivi per ribadire il no?

 

In Italia la contrarietà all’utilizzo del nucleare è stata democraticamente e ufficialmente stabilita in ben due referendum, che si sono svolti nel 1987 e nel 2011, in occasione dei quali, proprio nei luoghi dove il nucleare era ben conosciuto e rappresentava anche una rilevante fonte di occupazione, quali Saluggia e Trino, in Piemonte, la maggioranza assoluta dei cittadini aventi diritto al voto si è pronunciata contro questa tecnologia.

 

In risposta a chi – anche allora – proponeva il nucleare per contrastare l’alterazione del clima, l’inquinamento dell’aria ed i conflitti dovuti al controllo sul petrolio in esaurimento, i volantini di Pro Natura e di Legambiente dicevano testualmente: “Diciamo SÌ all’efficienza, SÌ all’energia solare, ma diciamo NO al nucleare, perché le centrali nucleari:

 

  • rappresentano la soluzione più pericolosa ai problemi creati dai combustibili fossili, sia in termini di sostanze tossiche che vengono create per ogni chilowattora di energia elettrica prodotta, sia ancor più in termini di sostanze tossiche che vengono create per ogni chilogrammo di CO2 evitata;
  • nell’azione di rallentamento dei cambiamenti climatici sono poco tempestive e scarsamente efficaci, a causa dei lunghi tempi di realizzazione e delle notevoli emissioni prodotte nella costruzione, nello smantellamento ed anche nell’approvvigionamento dell’uranio, specie se si dovrà utilizzare minerale povero;
  • le riserve di uranio vantaggiose sono limitate, mentre l’utilizzo del minerale povero comporta alte emissioni e alti costi; il riciclo dell’uranio comporta il riprocessamento con alti rischi ambientali e pericolo di proliferazione del plutonio per le bombe; l’autofertilizzazione comporta un ulteriore aumento dei rischi ambientali e di proliferazione;
  • durante il funzionamento producono al loro interno rifiuti altamente radioattivi che in caso di incidenti possono essere proiettati all’esterno e che, in ogni caso, rimangono pericolosi per migliaia di anni;
  • emettono, durante il loro normale funzionamento, rifiuti radioattivi liquidi e gassosi che sottopongono i cittadini ad esposizioni ufficialmente definite “basse”, ma non per questo meno pericolose in termini collettivi;
  • possono, insieme ai depositi nucleari e agli impianti di riprocessamento, essere un tragico bersaglio per atti terroristici devastanti;
  • comportano la produzione di plutonio e uranio impoverito, che possono avere impiego nel settore militare;
  • non hanno un costo competitivo, specie se il minerale da cui si ricaverà l’uranio sarà sempre più povero, se si dovranno costruire gli impianti di riprocessamento e di autofertilizzazione, e se si considera anche il costo dello smantellamento e della custodia millenaria delle scorie radioattive;
  • sottraggono ai cittadini la possibilità di essere essi stessi produttori di energia, relegandoli ad essere solo consumatori passivi di energia prodotta centralmente;
  • subordinano la sicurezza di approvvigionamento elettrico alle disponibilità di Uranio e, anche in caso di riprocessamento e/o di autofertilizzazione, a tecnologie complesse di difficile controllo democratico e di difficile mantenimento in situazioni di difficoltà sociali o belliche;
  • costringono ad una militarizzazione del territorio, per prevenire i terribili effetti di eventuali atti terroristici;
  • richiedono investimenti ingentissimi, che vengono così sottratti alle fonti energetiche rinnovabili e pulite, quali l’efficienza e il solare”.

Continuiamo a pensarla così anche oggi!

 

Uno slogan molto in voga è “se non sei a favore del nucleare non sei davvero ambientalista”, come replicherebbe?

 

Per prima cosa chiederei al mio interlocutore di qualificarsi e di spiegare la ragione per la quale si sente abilitato a conferire patenti di ambientalismo!

 

Oggi si vede bene che, come ricorda il professor Angelo Tartaglia, fisico e ingegnere, già docente del Politecnico di Torino, “dietro questi ritorni di fiamma verso il nucleare c’è la mitica aspirazione a una fonte d’energia a buon mercato e soprattutto “inesauribile”, cioè il sogno di chi preferisce inseguire le favole, travestite da miracolo tecnologico, piuttosto che dismettere il dogma dell’assoluta priorità dell’egoismo individuale come motore di un mitico progresso fondato sulla infinita crescita di qualsiasi cosa”.

 

E pur di non rinunciare a questo mito, ecco comparire nuovi tipi di nucleare, a partire da quello originale, detto di prima generazione, per passare a quello di seconda generazione, poi di terza, e oggi di quarta generazione, in una sorta di accanimento terapeutico che tenta di tenere in vita una tecnologia che è ormai deceduta a causa dei suoi problemi di sicurezza, di costi e di possibile utilizzo in campo militare.

 

Così vengono via via proposti vari reattori che sono, ad esempio:

 

  • di taglia più piccola (così però ne sarebbero necessari più tanti, con un rischio complessivo maggiore);
  • raffreddati con una miscela di bismuto e piombo fusi (che vedrebbe inevitabilmente il bismuto trasformarsi nel pericolosissimo polonio radioattivo);
  • a fusione, anziché a fissione (ma i neutroni generati dalla fusione renderebbero radioattive le strutture e genererebbero quindi scorie radioattive, certamente diverse da quelle derivanti dalla fissione, ma pur sempre radioattive per tempi dell’ordine di “solo” trecento anni, e che dentro la centrale si riformerebbero giorno per giorno mettendo quindi in continuazione a rischio i trecento anni successivi);
  • oppure quelli le cui scorie radioattive verrebbero trasmutate in prodotti a rapido decadimento (con processi però molto complessi che aumenterebbero rischi e costi).

 

Insomma, il nucleare sicuro, pulito, pacifico ed economico è un vero e proprio ossimoro, ossia una contraddizione in termini, come il SUV ecologico, l’inceneritore pulito, la caccia sostenibile, eccetera.

 

In questo ci conforta anche il parere del professor Giorgio Parisi, proclamato Premio Nobel per la fisica pochi giorni fa, il quale da sempre ha fatto rilevare l’inadeguatezza e la pericolosità del nucleare, come possiamo vedere nelle interviste da lui rilasciate ad esempio in occasione del referendum sul nucleare del 2011.

 

Infine gli farei notare che forse è meglio lasciare il nucleare sul Sole, dove la fusione avviene naturalmente e senza rischi per gli abitanti della Terra, e utilizzare invece l’energia solare nelle sue varie forme, dirette e indirette, che da qualche anno sono diventate convenienti anche dal punto di vista economico.