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Da qualche anno è diventato sempre più diffuso nella nostra vita l’uso di tecnologie che rientrano nella Digital Health. Smartwatch che promettono di monitorare il nostro battito cardiaco, la cosiddetta “ricetta dematerializzata” per acquistare i farmaci, video consulti con il medico oppure la possibilità di visualizzare in pochi minuti una radiografia di cinque anni fa: la tecnologia permea sempre più il settore sanitario.

Queste tecnologie non sono però fra loro sovrapponibili: sono nati nuovi settori, ognuno con la propria specificità e con nuove necessità di regolamentazione.

Secondo Eugenio Santoro, responsabile del Laboratorio di Informatica Medica all’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri IRCCS: “Le terapie digitali fanno parte della medicina digitale, un settore particolarmente specifico della digital health. Si tratta di software (applicazioni, giochi, realtà virtuale) che costituiscono essi stessi la terapia.” È questo il caso, per esempio, di applicazioni progettate per aiutare il paziente a modificare le abitudini e lo stile di vita: studi clinici randomizzati che hanno studiato una particolare applicazione “hanno dimostrato che i pazienti affetti da diabete che la utilizzano riportano una maggiore diminuzione dei valori di emoglobina glicata (un parametro che permette di valutare l’andamento della glicemia negli ultimi tre mesi, ndr) rispetto a chi segue una guida tradizionale”.

Durante l’ultimo Web Marketing Festival, Santoro ha fatto un intervento proprio su questi temi. Lo abbiamo intervistato cercando di scoprire qualcosa in più.

 

Buongiorno, Eugenio Santoro, e benvenuto su iWrite. Di cosa parliamo quando parliamo di “medicina digitale”?

La medicina digitale è un supporto alla cura: è costituita, per esempio, da reminder e da strumenti che permettono al paziente di segnalare le reazioni avverse da casa. È relativamente comune per i pazienti oncologici l’uso di un’applicazione che segnala se la reazione avversa deve essere risolta immediatamente o può aspettare l’intervento del medico. Oppure da strumenti digitali o sensori che raccolgono dati fisiologici dei pazienti sui quali il medico prende delle decisioni. Tutti questi strumenti devono essere validati da studi clinici, spesso randomizzati.”.

 

A che punto è lo sviluppo del mondo dietro la digital Health e quali sono le prospettive?

Per quanto riguarda il panorama attuale, in alcuni stati (come USA, Germania, UK e Giappone) le terapie digitali sviluppate e sperimentate con studi clinici randomizzati possono essere prescritte e spesso rimborsate dallo stato o dalle assicurazioni.

L’istituto Mario Negri ha svolto una revisione degli studi sulle terapie digitali, identificando le aree mediche dove sono più presenti: al primo posto abbiamo il campo della salute mentale (ansia, depressione…) con il 40%, segue poi quello delle malattie croniche (come il diabete) e da dipendenze (come quella da fumo di sigarette).

Per il futuro c’è ottimismo: soprattutto in alcuni ambiti, sono strumenti che possono competere con i farmaci. Potrebbero costituire un primo tentativo prima di ricorrere alla terapia farmacologica e saranno sempre più utilizzati anche in associazione ai farmaci. La speranza è che la loro regolamentazione consenta di muoverci velocemente.

 

Dottor Santoro, nel suo intervento ha parlato del fatto che i pazienti sono pronti all’utilizzo di questi nuovi strumenti, forse più dei medici. Quale può essere il ruolo delle università?

In questo momento numerose indagini, anche fatte da noi tra pazienti oncologici, indicano che stanno utilizzando gli strumenti digitali per informarsi o raccogliere dati. Si osserva invece un uso limitato da parte dei medici, per diverse ragioni:

  1. Formazione: i medici sono ancora a digiuno di quanto il digitale possa cambiare il loro modo di lavorare, forse non spaventati, ma proprio non consapevoli. Con il Covid c’è stato un avvicinamento, come per esempio nel monitoraggio dei pazienti. Strumenti più avanzati come le applicazioni sono ancora poco diffuse perché poco conosciute, inoltre i medici non sono sufficientemente digitalizzati. All’università bisogna rinnovare i corsi inserendo la digital health. Possono avere un ruolo anche le società scientifiche, informando i loro associati riguardo le nuove tecnologie.
  2. Regolamentazione: i medici consigliano più facilmente queste “nuove tecnologie” se regolamentate e se possono essere inserite in un contesto assistenziale approvato.

 

Quali competenze dovrà avere il medico del futuro per governare l’evoluzione tecnologica, come da lei auspicato?

Sicuramente competenze tecnologiche, in modo da saperle valutare: essere in grado di capire quali strumenti utilizzare, seguendo le evidenze scientifiche, e quali no, diffidando di quelli che non hanno superato il vaglio scientifico. C’è un problema organizzativo evidente, non solo nell’inserimento di questi strumenti, ma anche nella loro integrazione nell’aspetto curativo della pratica clinica. Inoltre, i medici devono mantenere un livello di empatia sufficientemente elevato anche quando usano strumenti digitali. Diversi studi dimostrano che l’utilizzo di strumenti digitali porta a una diminuzione dell’empatia. Non si tratta di diventare dei tecnici, ma utilizzatori esperti e di inserirle nel contesto clinico in cui si lavora.

 

Ha accennato nel suo intervento dell’impatto dei social media, può raccontarci di più?

È un impatto importante, per esempio esistono evidenze che le community di pazienti costruite sui social media e gestite da medici sono efficaci per favorire la cessazione del fumo. Il moderatore lancia post che hanno lo scopo di modificare lo stile di vita dei membri e invita a pubblicare i miglioramenti o pubblica delle pillole informative, in particolare c’è un’ampia esperienza in ambito diabetologico. Gli studi hanno dimostrato che i partecipanti maggiormente attivi hanno migliori possibilità di smettere di fumare e ci sono molte esperienze anche sull’aumento del tempo dedicato all’attività fisica e conseguente riduzione del peso.