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È di pochi giorni fa la notizia dell’annullamento di alcune gare di Coppa del Mondo di sci programmate in Austria ed in Italia a causa della pressocchè totale assenza di manto nevoso e delle alte temperature che non permetterebbero agli atleti di gareggiare in sicurezza. Questa circostanza porta a chiederci che futuro possa esistere per gli sport invernali, caratteristicamente influenzati dalle condizioni climatiche che, se non ottimali, necessitano di essere fronteggiate con ingenti investimenti.

Vediamo più da vicino il problema esaminando qualche concetto base.

I calendari degli eventi sportivi su neve negli ultimi anni sono stati stilati intorno alla fine del mese di ottobre e come da tradizione la prima meta prescelta è Sölden, una località situata nel Tirolo austriaco, di cui fa parte il ghiacciaio Rettembach che ospita proprio la Coppa del Mondo. Eppure, da una veloce ricerca sul web, possiamo ricordare che nel 2020 le competizioni di Sölden si erano regolarmente svolte e con condizioni metereologiche eccellenti. Da quanto detto fino ad ora evinciamo due fatti: 1) ogni annata è diversa dall’altra; 2) il Climate Change rimane comunque una realtà. Tant’è che anche altre località sciistiche come Zermatt e Cervinia hanno visto cancellare le gare del 29-31 ottobre scorso per gli stessi motivi.

Nel domandarsi quale futuro possa esistere per questo tipo di attività sportive alcuni ex campioni di discipline invernali si sono espressi a favore di una organizzazione più sostenibile, fondata cioè su gare più ravvicinate e concentrate nella stagione invernale ed effettuate solo quando le condizioni naturali lo permettono. Basti pensare che secondo dati EURAC tra qualche anno potrebbe non essere più soddisfatta la copertura nevosa minima per l’attivazione di una stagione invernale nelle più comuni località sciistiche a bassa e media quota (<1800 m sul livello del mare) e per questo motivo sarà necessario spostarsi sempre più in vetta.

Più in grande, anche la OMM (Organizzazione Metereologica Mondiale) ha presentato il suo rapporto sullo  “Stato dei servizi climatici 2022” ponendo l’accento sulla questione “sport invernali” e rilevando che una delle nostre più famose e patinate località sciistiche dolomitiche, Cortina (BL), è seriamente a rischio per la possibilità di avere neve bagnata non idonea alle attività sciistiche, e ciò in conseguenza del fatto che in questa area vi è un consumo energetico elevato derivante (in parte ma non solo) dalla necessità già presente di utilizzare sistemi di innevazione artificiale, anch’essi particolarmente energivori.

Del resto, anche il rapporto Nevediversa 2022 redatto da Legambiente sottolinea come proteggere il territorio sia indispensabile per cercare di arrestare la deriva climatica e sponsorizza per questo motivo un nuovo tipo di turismo invernale sostenibile, che promuova attività che si possono praticare anche in condizioni climatiche variabili e che non necessitano di importanti infrastrutture come ad esempio il tutto nell’ottica di creare alternative meno inquinanti per vaste zone montane che vedono nello sci e in tutto ciò che gli gira intorno l’unica o la principale fonte di reddito. Inoltre, lo stesso rapporto, si esprime in maniera sfavorevole su alcuni progetti che riguardano l’ampliamento di comprensori sciistici esistenti o la costruzione di impianti sportivi altamente impattanti sul territorio, come la pista di BOB che dovrebbe essere creata in occasione delle olimpiadi invernali 2026.

Insomma, se da un lato molte implicazioni economiche portano gli stakeholder dell’economia montana a criticare posizioni dure in merito alla sostenibilità dello sci alpino, dall’altro il ritiro dei ghiacciai e tragedie come quella del distacco di parte della Marmolada lo scorso luglio sono sotto gli occhi di tutti e non possono essere ignorate. E ad ulteriore riprova di quanto già detto arriva anche il recentissimo rapporto UNESCO “World Heritage Glaciers” che, oltre a confermare la scomparsa dei ghiacciai dolomitici entro il 2050, aggiunge alla lista anche altri importanti siti a quote elevate, come quelli nel parco di Yellowstone o sulla vetta del Kilimanjaro.

La permacrisis che sta vivendo il nostro pianeta è evidente al punto da aver generato un nuovo disturbo d’ansia chiamato appunto “ecoansia”, diffuso principalmente nei giovani tra i 15 ed i 25 anni d’età, cioè quelle generazioni che hanno più coscienza del problema e che guarda caso sono protagoniste di eclatanti atti di dissenso (vedi i recenti tentativi di imbrattamento di alcune opere d’arte per richiamare l’attenzione sul problema). Alla vigilia dei mondiali in Qatar, evento che proprio dal punto di vista della gestione energetica e dell’impatto ambientale è stato ed è molto criticato, c’è da chiedersi quindi se siamo disposti a sacrificare l’intrattenimento invernale o più in generale sportivo per proteggere il nostro fragile pianeta.