Se si volesse pensare a una disciplina i cui organi istituzionali fossero esplicitamente volti a disconoscere lo status legittimo degli studiosi del colore, non si potrebbe fare di meglio di ciò che hanno fatto i classici” (Dan-el Padilla Peralta professore associato di classici, a Princeton) e ancora “Film che, quando non ignora gli orrori della schiavitù, si ferma solo per perpetuare alcuni dei più dolorosi stereotipi sulle persone di colore” (lo sceneggiatore e regista John Ridley parlando di Via Col Vento).

Queste sono solo due delle numerose frasi che puntano il dito contro qualcosa o qualcuno che ha perpetuato discriminazione (a volte anche in modo non così evidente) contro i più deboli; affermazioni poi seguite dall’esplicita richiesta di cancellare materialmente le opere in oggetto, opere che hanno “plasmato” la cultura mondiale.

Si parla, appunto, di Cancel Culture ovvero di quell’“atteggiamento di colpevolizzazione, di solito espresso tramite i social media, nei confronti di personaggi pubblici o aziende che avrebbero detto o fatto qualche cosa di offensivo o politicamente scorretto e ai quali vengono pertanto tolti sostegno e gradimento” (come spiega la Treccani).

Eppure questo nuovo modo di porsi è il risultato di azioni passate, che lo hanno visto in vesti “diverse” e sotto altri appellativi (che renderò noti più avanti).

Quindi, sono lecite perplessità del tipo: come si è arrivati a ciò e perché proprio in questi ultimi anni? E come mai si fanno promotori del cambiamento, persone, anche del settore, che fino a poco tempo fa non si erano mai espresse a gran voce (o, almeno, così pare)?

E’ possibile dare delle risposte ma solo attraverso la “controversa” cultura

Tale contributo arriva da tre studiosi in particolare, ovvero da Max Weber noto sociologo, filosofo, economista e storico tedesco (18641920), dal sociologo statunitense Charles Wright Mills (19161962) e, infine, da Jane H. Hill, un’antropologa e linguista americana (19392018).

Il primo autore citato fa chiarezza sulle cause grazie alla creazione di un modello storico-culturale di riferimento, mentre gli ultimi due autori interpretano i contenuti del modello stesso per adattarli alla realtà che andava dagli anni ‘60 agli anni ’80 circa.

Partiamo quindi dal lavoro di Weber. La teoria oggetto di analisi porta il nome di “idealtipo” o “tipo ideale” e spiegato con le parole dello studioso (come si poteva dedurre dalla spiegazione poc’anzi) esso “rappresenta un quadro concettuale il quale non è la realtà storica, e neppure la realtà vera e propria, ma tuttavia serve né più né meno come schema in cui la realtà deve essere sussunta come esempio; esso ha il significato di un puro concetto-limite ideale, a cui la realtà deve essere misurata e comparata, al fine di illustrare determinati elementi significativi del suo contenuto empirico”; per meglio intenderci, si tratta di un modello di interpretazione dei fenomeni costruito attraverso i dati storici e basilari degli stessi raccolti attraverso l’analisi di differenti realtà (tutto finalizzato ad una migliore comprensione della realtà storico-culturale).

In relazione al tema oggetto dell’articolo e quindi alla conseguente violenza di genere, torna utile analizzare l’idealtipo “potere”.

Il modello creato da Weber mostra come il concetto di “potere” sia strettamente collegato alla legittimazione (ma in ambito strettamente politico) e alla religione (relativamente alla sua influenza nello sviluppo economico).

Nel primo caso, Weber elenca tre forme di legittimazione del potere, ovvero “l’autorità della legalità” (basata sull’etica della responsabilità, ovvero sull’osservanza delle leggi e della moralità), “l’autorità tradizionale” (basata sull’etica dell’intenzione e il più delle volte su dogmi religiosi, ove il potere è nelle mani dei discendenti di una dinastia) e “l’autorità del carisma” (basata sulla capacità di agire in modo non razionale).

Risulta evidente come le prime due rappresentino i poteri forti, quelli decisionali, mentre l’ultima sia quella capace di cogliere i problemi delle minoranze e darne voce facendosi strada nella cultura dominante per cercare di influenzare la politica e lasciare il segno (arrivando o meno ad ottenere il vero potere).

Per quanto riguarda l’aspetto religioso ed economico, invece, Weber rintraccia il tema dello “spirito del capitalismo” ovvero di quell’agire umano volto a raggiungere risultati economici sulla base dei principi sanciti dalla propria religione.

Sulla base della teoria di Weber appena illustrata, è possibile comprendere le cause che hanno avuto come effetto la Cancel Culture attraverso due differenti interpretazioni.

Prima interpretazione: boicottaggio culturale a vantaggio dei più forti

Tale interpretazione si fonda sui dati storici legati alla sfera socio-linguistica: la cultura dominante, ovvero quella che detiene il potere, legittima la sua posizione attuando un boicottaggio linguistico per primeggiare sugli altri.

Dati che è stato possibile trovare e comprendere grazie all’antropologia linguistica e, in particolare, al terzo paradigma nato proprio alla fine degli anni ‘80 e che si basa “sulle indagini delle identità personali e sociali, sulle ideologie condivise e sulla costruzione di interazioni narrative tra individui”.

Ed è così che entra in gioco la linguista Jane H. Hill che parla di una forma di Cancel Culture chiamata “appropriazione linguistica”: essa viene condotta dal gruppo dominante per dimostrare di poter avere il controllo su qualsiasi idioma e di poter creare pregiudizi, indicizzare un’etnia e fomentare l’odio verso e per marginalizzare i gruppi etnici minoritari (e, così, affermare l’identità bianca). “I gruppi dominanti decidono, infatti, quando e se certe parole valgono l’appropriazione, quando e come le parole dovrebbero essere usate, e poi quando la parola diventa cliché, abusata e quindi passé”. Un agire che ha evidenziato come molte lingue siano a rischio di “estinzione”, ma senza toccare particolarmente gli animi dei “bianchi”. Solo un cambio di rotta avvenuto negli anni 2000 (grazie ai continui effetti della globalizzazione sulle culture) ha fatto sì che venisse posto un freno e venisse creata una legislazione specifica come forma di tutela.

Seconda interpretazione: call-out a vantaggio dei più’ deboli

La seconda interpretazione è più di carattere sociale, questo perché Mills rivede, nella società statunitense in particolare, quanto affermato da Weber: la politica è sempre luogo di scontro e non di moralità, ogni azione è volta a contrastare l’avversario; si punta, così, ad aumentare il potere economico, politico e militare delle élite istituzionali e a fomentare la politica reazionaria (ma non a beneficio delle minoranze).

Quindi, la Cancel Culture pensata da Mills prevedeva che gli intellettuali costruissero un “apparato di comprensione pubblica” e di “coscienza collettiva” per contrastare l’influenza della politica sul popolo (se i dominati scelgono i dominanti, è giusto che lo si faccia con rigore logico).

Mills dà così inizio ad una nuova ideologia di sinistra, la “New Left”, focalizzata su problematiche maggiormente personali come “l’alienazione, il disagio, l’autoritarismo e altri mali della società moderna”.

Tra le controculture che la caratterizzarono ci fu lo Students for a Democratic Society (SDS, Studenti per una Società Democratica) che chiedeva una democrazia molto più partecipata all’interno delle università stesse; ancora, il baby boomer, nato alla fine della seconda guerra mondiale, che generò un numero sempre più crescente di giovani insoddisfatti della propria situazione di “quieto benessere” e quindi desiderosi di modificare la direzione delle società. Infine, il Free Speech Movement (FSM, Movimento per la Libertà di Parola) nato nel 1964 nei campus dell’Università della California, a Berkeley. Movimento sorto in risposta alle restrizioni sulle attività politiche imposte nei campus universitari.

Ciascuno di questi movimenti (e altri non citati) ebbe vita breve proprio perché frutto di un potere carismatico: quando la persona carismatica perde credibilità o autorevolezza, viene abbandonata e sostituita; di conseguenza l’attivismo (l’unica arma in possesso di chi detiene il potere carismatico) perpetrato da quella persona, non diventato legge, finisce nel dimenticatoio assieme al perché della sua creazione.

Dimenticare non è mai stato così semplice

Guardando ai fallimenti e ai conflitti generati da chi adottava la vecchia versione della Cancel Culture, si capisce perché ad ora si sia arrivati a compiere atti ancora più estremi: nessun confronto con l’altro, nessuna possibilità, da parte dell’incriminato, di comprendere l’errore commesso e magari di scusarsi e di cambiare idea.

Si guarda all’errore anche per buttare fuori il rancore verso noi stessi, un rancore generato dall’aver commesso lo stesso errore oggetto di denuncia (ma che ci siamo perdonati per n motivi validi): riconoscere pubblicamente l’imperfezione e l’ipocrisia umana permetterebbe al potere forte di avere una chance di rivalsa, di sfruttare l’imperfezione umana a proprio vantaggio.

Quindi, la persona influente (solo se tale perché detiene l’autorità carismatica) e non in grado a priori di imparare dai suoi errori, è giusto che venga “distrutta” psicologicamente per essere certi che non ve ne sia più traccia (anche del suo passato) e affinché nessuno possa, un giorno, trarne ispirazione: i nuovi pensieri devono essere la base univoca di ogni cittadino.

Inoltre, per coloro che vorrebbero ma non sono ancora in grado di esercitare il potere carismatico, devono perseguire una correttezza politica (sia nella sfera privata che pubblica) anche a costo di non crederci veramente.

Vivere nell’utopia della perfezione ti fa sentire al sicuro, al sicuro dalla cattiveria umana.