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Ambiente, società e tecnologia

Disney censura i suoi capolavori: una scelta giusta?

Negli ultimi giorni si è fatto un gran parlare di una scelta che Disney ha deciso di operare sulla sua piattaforma di streaming Disney+, ovverosia quella di “vietare” alcuni classici – Dumbo, Peter Pan e gli Aristogatti – agli spettatori con meno di 7 anni di età.

Una scelta, senza dubbio discutibile ma che pone le sue radici, per quanto possa sembrare un controsenso, nell’identità stessa della compagnia.

È stata una scelta giusta? Perchè Disney ha deciso di agire in questo modo?

La Storia

Prima di affrontare l’approccio del colosso americano alle tematiche sociali è necessario, però, ripercorre brevemente la sua storia.

Come ogni storia americana che si rispetti, tutto ebbe inizio a seguito di diversi fallimenti di Walter Elias Disney (1901- 1966). Così, in serie difficoltà economiche, Walt iniziò a fare degli esperimenti con una cinepresa in un garage.

Esperimenti di successo che, nel 1923, portarono il fratello Roy a invitarlo in California per fondare insieme la “Disney Brothers Cartoon Studio”.

Fra alti e bassi i due contribuirono alla creazione di vari cortometraggi animati fino a quando, grazie al personaggio di Topolino, nel 1928, i problemi economici si attenuarono (nonostante la casa di produzione non riuscì, ancora, a rendersi indipendente dalle altre società di Hollywood).

Nel 1932, l’uso del colore diede un ulteriore slancio in avanti ed è in quegli anni che vediamo la prima apparizione di Paperini ne “La Gallinella saggia”.

L’uscita nelle sale, poi, del lungometraggio d’animazione “Biancaneve e i sette nani” fece fare il vero balzo in avanti all’azienda, generando incassi per 4,2 milioni di dollari, che portarono alla quotazione in borsa nel 1940.

E’ in questi anni che vediamo l’uso della camera multipiano, tecnica con la quale si riuscì a dare profondità alle riprese nonostante l’utilizzo di immagini a due dimensioni. Tale strumento rinnovò profondamente il settore e fu una tecnica chiave utilizzata poi per i i film d’animazione più riusciti come Pinocchio, Bambi e Peter Pan.

Scoppiata la guerra, e non più accessibile il redditizio mercato europeo, l’esercito requisì l’esercizio trasformando i Walt Disney Studios in una base militare e, così, i disegnatori dovettero realizzare volantini di propaganda e di educazione militare.

Nel 1950, su richiesta dell’azienda radiotelevisiva NBC, Disney iniziò a distribuire dei corti d’animazione con protagonisti i personaggi di Topolino, Pippo e Paperino. Nello stesso anno vediamo la produzione dei primi film di cui il primo in assoluto fu “L’isola del tesoro”.

Successivamente Walt iniziò a concepire l’idea del parco a tema Disneyland. Il primo fu inaugurato a Los Angeles ne 1955 rivelandosi poi un successo, tanto che, ad oggi, ne esistono 5 nel mondo: in Florida, in Giappone, in Francia e in Cina.

Nel 1961 fu aperta l’azienda di distribuzione, Walt Disney Studios Motion Pictures, per gestire i diritti delle licenze dei vari personaggi.  Nel 1966 Walt Disney morì di cancro ai polmoni e così l’azienda, ormai con un grande capitale finanziario, passò al fratello Roy il quale cercò di perseguire la rotta che il fratello aveva dato.

Varie aziende e film uscirono negli anni successivi fra questi ricordiamo Un maggiolino tutto matto e la creazione della Walt Disney Educational Productions per la produzione di materiali didattici.

Alla morte di Roy Disney, nel 1970, il nuovo CEO, Card Walker, promosse vari progetti di Walt ma la sua spinta presto iniziò ad esaurirsi e così vediamo l’apertura di una filiale in Giappone (conseguente all’inaugurazione del parco di DisneyLand a Tokyo), il rilascio del film Tron, e il lancio del canale Disney Channel.

Nel 1984, la creazione del marchio Touchstone Pictures ampliò il mercato Disney ad un pubblico più adulto.

Gli anni ’90 per Disney furono denominati “l’era del rinascimento” in cui nella stragrande maggioranza di aree ottenne grandi successi con film quali: La Bella e la Bestia, Aladdin e Il Re leone. L’azienda ampliò il proprio raggio d’azione con la compagnia di navigazione Disney Cruise Line, la catena alberghiera dei DisneyLand Hotels o i complessi commerciali dei Disney Springs.

Agli inizi degli anni duemila la Disney subì un rallentamento causato da vari fattori e che costrinse l’azienda a dover cedere la partecipazione dell’azienda di canali sportivi quali Eurosport e delle squadre Los Angeles Angels e Anaheim Ducks rispettivamente di football americano e hockey sul ghiaccio.

Nonostante ciò la ripresa fu molto veloce grazie anche all’espansione in paesi quali Cina e Russia.
L’acquisizione prima di Pixar e poi di Marvel e LucasFilm diedero nuovo slancio e il successo a livello globale di Disney gli permise di espandersi nel campo on demand, con l’acqusizione di Hulue di BAMTech i quali permisero di acqusire il know how necessario per la creazione di un servizio streaming lanciato poi nel 2019 con il nome di Disney+.

E’ relativo al 2017, invece, l’accordo con cui l’azienda acquista molte divisioni della Fox quali gli studi cinematografici 20th Century Fox, Fox Searchlight Pictures e Fox 2000 e gli studi televisivi fra cui ricordiamo: 20th Century Fox Television, Fx Networks, National Geographic Partners, Fox Sports Regional Networks e Sky.

La mission: essere d’ispirazione

Per capire la scelta di Disney, tuttavia, è necessario indagare, innanzitutto, la parte istituzionale del sito ufficiale.

Come ogni grande compagnia, infatti, anche The Walt Disney Company dedica una pagina del suo sito a raccontare sè stessa, e quindi alla sua identità e ai suoi obiettivi.

Il primo contenuto che è possibile visionare visitandola è anche il più interessante: la mission, ovverosia il fine ultimo dell’impresa e ciò che la contraddistingue dalla concorrenza, una sorta di dichiarazione di intenti.

Nella poche righe che la compongono Disney enuncia le tre parole chiave del suo operato: “informare, intrattenere e ispirare”. In questo modo, viene messa in luce fin da subito la responsabilità sociale e morale di cui Disney si fa carico – quella di ispirare le future generazioni – chiarendo, subito dopo, di rivolgersi a “tutte le persone del mondo”.

Non stupisce, quindi, la recente attenzione della compagnia sulle tematiche sociali e la sensibilità sul razzismo.

La domanda che, una volta letta la mission, ci si potrebbe porre è: The Walt Disney Company è stata sempre coerente?

Sarebbe impensabile credere che in un lasso di tempo così ampio i valori e le tradizioni restino invariati, da ciò è derivata una continua necessità di rinnovamento strategico.

Ciò nonostante, la multinazionale è stata capace di adattare la sua strategia d’impresa in maniera coerente, ricercando elementi di innovazione ma mantenendo sempre salda la sua fede nel volontariato e nella dedizione alla responsabilità sociale, vista come un vantaggio competitivo e non solo come metodo promozionale.

I fatti concreti

Ma in quali campi Disney ha effettivamente lavorato per il bene comune? Alcuni di questi sono i seguenti:

  • Volontariato: nel 2018 l’azienda firma un piano quinquennale del valore di cento milioni di dollari per creare dei programmi che alleviano ai bambini la degenza in ospedale, con l’aiuto dei Disney Imagineers. Il programma è stato avviato presso il Children’s Hospital di Houston. Disney ha, inoltre, fondato l’organizzazione “Disney Voluntears” con la quale si occupa di assistere e aiutare le altre associazioni benefiche con cui collabora in tutto il mondo.
  • Sostenibilità ambientale: “conservation isn’t just the business of a few people. It’s a matter that concerns all of us” questa è l’opinione di Walt Disney riguardo la tematica. L’azienda ha dato il suo contributo mettendo a disposizione un impianto ad energia solare nel suo parco a tema di Orlando, riuscendo ad alimentare i vari parchi tematici con l’energia generata in questo modo. Altri esempi possono essere l’utilizzo di generatori elettrici sui set televisivi, le politiche aziendali volte a ridurre gli sprechi, cercare di evitare lo spreco d’acqua, la creazione di aree protette per le specie in via d’estinzione.
  • Welfare aziendale: Disney ha lanciato il suo “programma ILS” per garantire a tutti i dipendenti della multinazionale condizioni lavorative dignitose e migliorarle ove possibile

L’attenzione alla diversità

Più di recente, la multinazionale si è posta come obiettivo principale permettere agli spettatori di potersi rispecchiare nelle sue produzioni, di massimizzare il coinvolgimento personale di ognuno di loro nei contenuti che crea. Per fare ciò è emersa la necessità di disporre di team il più possibile variegati a livello culturale ed etnico.

Gli storytellers hanno, così, piena libertà creativa e la maggior multiculturalità dei team pone le basi per lavori più vicini al mondo “reale”. A tal proposito, l’azienda vanta settanta Business Employee Resource Groups in tutto il mondo che, insieme a lei, hanno il compito di plasmare un ambiente lavorativo che consenta ai dipendenti di accrescere ed esprimere appieno le loro potenzialità.

Un’ambiente che sia, quindi, un contesto aperto, dove vi sia un clima di fiducia e positività e in cui tutti si sentano rispettati senza alcuna discriminazione. Secondo Disney, tutto ciò stimola la creatività e consente di creare un’ampia proposta di potenziali nuovi prodotti innovativi.

Disney, inoltre, pone un’attenzione a 360° sulle tematiche sociali e, di conseguenza, è anche sostenitrice della comunità LGBTQ, impegnandosi per porre eliminare ogni possibile discriminazione riguardante l’identità di genere e sessuale tra i suoi dipendenti. L’impegno sociale su questi temi si è tradotto in azione più volte.

Di recente, Bob Chapec, il CEO di Disney, ha annunciato in una intervista del 3 giugno 2020, a seguito dell’episodio della morte di George Floyd, la donazione di cinque milioni di dollari a supporto delle organizzazioni no profit come la NAACP che promuovono il tema della giustizia sociale cercando di eliminare le disparità e le discriminazioni razziali e attuando programmi di difesa ed istruzione.

Negli anni Disney ha mostrato solidarietà lavorando a stretto contatto con gruppi cherafforzano le comunità di colore negli Stati Uniti, dando vita a sovvenzioni volte ad aiutare gli studenti ad accedere all’istruzione superiore e politiche aziendali attraverso cui i dipendenti possono donare prodotti direttamente alle comunità locali.

La corporate utilizza tutte le risorse di cui dispone, non solo in termini monetari ma anche creativi per produrre contenuti che sensibilizzino gli spettatori affrontando le tematiche a lei care.

Revisione della libreria di contenuti

Ad oggi Disney sta portando avanti un meticoloso processo di revisione della sua intera libreria di contenuti, avvertendo gli spettatori qualora rischiassero di trovarsi davanti a tematiche che si allontanano dal suo orientamento strategico di fondo come la violenza o la discriminazione.

Importante specificare che non si sta parlando di eliminazione di questi contenuti, ma di un’azione fatta per salvaguardare la sensibilità della propria audience, inserendo i contenuti non ritenuti in linea coi valori semplicemente in categorie separate, in modo che i bambini non possano venire a contatto con quelli ritenuti non idonei dall’azienda.

Ciò spiega la scelta dietro il cambio di categoria di film come Dumbo, Peter Pan e gli Aristogatti che, come abbiamo detto, non sono più suggeriti ai bambini sotto i 7 anni.

Per quanto, lo ammettiamo, parlare di razzismo all’interno di contenuti destinati ai bambini di decenni fa possa sembrare ridicolo, bisogna sforzarsi di capire che Disney è un’azienda americana. Gli Stati Uniti sono, infatti, la nazione multietnica per eccellenza, dove il tema dell’identità è centrale e cruciale non solo nel dibattito pubblico ma anche nella vita di tutti i giorni.

Ciò che qui in Europa, e specialmente in Italia dove l’omogeneità etnica è particolarmente calcata, può sembrare assurdo, negli Stati Uniti è all’ordine del giorno ed è perfettamente normale. Se, poi, tutto ciò sia giusto o sbagliato, semplicemente, non sta noi a deciderlo. Sicuramente dietro a queste operazioni ci sono ragioni economiche e comunicative, come abbiamo visto Disney vede la responsabilità sociale come un asset strategico, tuttavia è innegabile che per il gigante americano sia pratica comune farsi porta bandiera del pensiero dei suoi connazionali.

Disney ha, da sempre, esercitato il suo soft-power in tutto il mondo per veicolare e diffondere gli ideali e i valori in cui credeva e, di riflesso, in cui credevano e che più premevano agli americani. Ieri era la libertà, oggi è l’anti-razzismo e la parità.

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Marketing & Social Media

Tumblr e censura: andiamo a fondo della questione

Nel Novembre del 2018 la Apple si è trovata costretta a rimuovere Tumblr dal proprio store in seguito alla scoperta di materiale pedopornografico su tale piattaforma.

Questo è quanto si legge sui diversi siti che affrontano il tema in oggetto, affermazioni mai confermate ma neanche smentite dallo staff e dallo stesso CEO di Tumblr Jeff D’Onofrio: nei post ufficiali si legge, infatti, che per il 17 Dicembre dello stesso anno sarebbero entrate in vigore delle Linee guida più restrittive al fine di adeguare il social alle direttive imposte da ciascun paese per il rispetto degli utenti a seconda dell’età, del genere e della provenienza e, così, mantenere attivo Tumblr, farlo evolvere e, infine, avere un impatto positivo nel mondo.

Una censura che avrebbe posto delle limitazioni anche nella pubblicazione di materiali pornografici che non recavano alcun danno ai minori di 18 anni, materiali che rappresentavano i fondamentali della piattaforma.

Le origini

Tumblr nasce nel 2007 per mano di David Karp e Marco Arment (che lascerà la compagnia nel 2010) con lo scopo di creare una versione innovativa del classico social network; la piattaforma si basa, infatti, sulla creazione di brevi blog personali (tumblelog) personalizzabili con immagini, video o GIF e anche grazie a semplici tips grafiche fornite dalla piattaforma stessa. Gli sviluppatori, però, non imposero significative restrizioni a livello di libertà di espressione e, così, i loro seguaci videro la possibilità di sfruttare la piattaforma per parlare di porno in chiave creativa e nel formato di un diario personale, possibilità negata su moltissimi altri siti.

Con l’acquisizione della compagnia da parte di Yahoo! prima e di Verizon Communications dopo, i proprietari della piattaforma hanno cercato di pulirla solo con bot e Safe Mode, per evitare significativi stravolgimenti all’”orientamento” della stessa; ma da come si è potuto leggere nell’incipit, le azioni intraprese sono state vane.

Tutta l’attenzione al porno… buono

Nelle nuove linee guida si legge, infatti, del divieto di pubblicare <<contenuti per adulti che includono principalmente foto, video o GIF che rappresentano organi genitali esposti o capezzoli femminili, nonché tutti i contenuti, tra cui foto, video, GIF e illustrazioni, che rappresentano atti sessuali (comprese le immagini ingannevoli ovvero quelle che richiamano tale contenuto ma sotto mentite spoglie)>>; le uniche azioni permesse riguardano <<l’esposizione di capezzoli femminili per l’allattamento, momenti prima o dopo il parto e situazioni legate alla salute, come ad esempio immagini successive a mastectomia o interventi chirurgici relativi al cambiamento di sesso. Contenuti scritti come erotismo, nudità impiegata per temi politici o di attualità e immagini di nudi in ambito artistico, come sculture e illustrazioni, possono essere liberamente postati>>.

Una sostanziale differenza rispetto alle sue origini e una differenza che ha fatto storcere il naso a molti seguaci, che si sono visti limitare anche la possibilità di esprimere la loro creatività in campo artistico e scientifico; una scelta che ha portato ad un significativo calo dei nuovi iscritti e ad un’altrettanta migrazione su altri siti più permissivi in termini di pornografia. Un risultato alquanto negativo nonostante il tentativo del CEO di Tumblr di rimediare a questa restrizione facendo leva sul buon senso degli iscritti: i contenuti espliciti rimangono visibili solo al suo proprietario, con l’auspicio che lo stesso adotterà un comportamento diverso in futuro. Una sorta di escamotage che richiama quel senso di “permissività” e di comunità tipici di Tumblr.

Alla fin fine, se si entra nell’applicazione, si vede come non tutti i contenuti pornografici siano stati oscurati: permangono le immagini che lasciano poco spazio all’immaginazione, come accade su Instagram.

L’iniziativa degli utenti più affezionati

Di tutta risposta, coloro che volevano salvare il materiale pornografico di Tumblr e mantenere viva la sua tradizione, hanno fondato un gruppo di volontari chiamati Archive Team che hanno provveduto a fare un backup di tutto il materiale prima della fatidica data, aiutati anche dall’Internet Archive, un’organizzazione no profit americana che ha messo a disposizione il suo Wayback Machine, ovvero il suo archivio digitale.

Ad affiancare questa corsa contro il tempo, è stata creata la piattaforma Tapblr che ha permesso di ripristinare il proprio blog di Tumblr inserendo le credenziali di accesso dello stesso nella nuova piattaforma: indagando più a fondo, però, poco si sa di chi ha creato tale social e di come riesca a “sfuggire” al controllo delle autorità competenti.

Ma di tutta questa storia una cosa è certa: di fronte ad una limitazione della libertà di espressione, non ci sarà mai un punto di incontro tra le parti interessate e neanche una possibilità di ascolto reciproco, ma solo una continua lotta legale e personale.