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Entertainment, videogame e contenuti

Discord: non solo gamers

Discord è un’applicazione nata nel 2015 come piattaforma di comunicazione per gamers. Nel corso degli anni ha visto la nascita di vere e proprie community di persone che hanno realizzato i loro server per parlare dei loro più svariati interessi ed ospita ad oggi oltre 100 milioni di utenti in tutto il mondo.

Storia, evoluzione e funzionalità

Discord è stata lanciata da Jason Citron (CEO) e Stan Vishnevskiy (CTO) per facilitare la comunicazione tra i gamers. Come spiegato negli articoli de La Stampa e Protocol, la maggior parte dei giochi collaborativi online offre un sistema di comunicazione mal organizzato, per cui spesso i gamers si riducevano a cercare giocatori su piattaforme esterne, ad esempio nei forum di Reddit. L’idea di Discord è proprio quella di offrire dei server dedicati, specifici per i diversi giochi, dove i giocatori possono incontrarsi, discutere e condividere contenuti. La piattaforma offre un’interfaccia semplice ed intuitiva con overlay di gioco e diverse funzionalità per gestire le tattiche di squadra in tempo reale. Con questi accorgimenti riesce a distinguersi dalle principali alternative: Skype e TeamSpeak, considerate di difficile utilizzo in-game, a causa delle loro interfacce poco user-friendly.

Discord viene definita dagli sviluppatori come una piattaforma che “rende più facile chiacchierare ogni giorno e ritrovarsi più spesso”. Probabilmente questa definizione risulta un po’ limitante viste le numerose opportunità offerte. Se vogliamo darne una definizione più tecnica, Discord è una piattaforma di VoIP (tecnologia che permette di sostenere una conversazione sfruttando una rete internet), messaggistica istantanea e distribuzione digitale.

Da queste definizioni non sembra diversa da tante altre piattaforme ed applicazioni. Una caratteristica che, invece, la differenzia dalla concorrenza è la possibilità di creare un tuo server da organizzare secondo le tue esigenze e da condividere con amici o colleghi. All’interno dei server potrai trovare canali testuali e chat vocali, organizzate per argomenti. Potrai entrare ed uscire dai canali in qualsiasi momento della giornata, unirti alle conversazioni ed accedere alle chat in ogni istante. L’innovazione portata da questa modalità è che, a differenza delle concorrenti Google Meet e Zoom, l’accesso ai server non necessita un link di invito, ma è possibile saltare da una stanza all’altra con un semplice click.

Discord non si dimentica nemmeno di chi si trova da solo nel canale, offrendo una serie di bot che permettono le più svariate attività: è possibile ascoltare le canzoni preferite o divertirsi con giochini di intrattenimento. I bot permettono infatti di personalizzare un server, non solo con contenuti di intrattenimento, ma anche con funzioni davvero utili, ne sono un esempio i traduttori in tempo reale ed i bot moderatori del server. La figura del moderatore ricopre infatti un ruolo fondamentale. Discord fornisce tutti gli strumenti per rendere il proprio server un luogo sicuro, mettendo a disposizione degli utenti la Moderator Academy: una vera e propria guida ad una gestione sicura ed efficace del server.

Com’è possibile intuire da queste funzionalità, sebbene Discord sia nato per soddisfare le esigenze dei gamers e sia ad oggi utilizzato da diversi streamer Twitch (di cui parliamo nel nostro articolo), si è diffuso tra persone di tutte le età e professioni.  Come riporta il sole24ore, sul loro sito vengono vantati più di 100 milioni di utenti attivi al mese con 13,5 milioni di server attivi che hanno registrato un totale di 4 miliardi di minuti di conversazione. Tra questi possiamo trovare club sportivi, comunità artistiche, gruppi studio e persino aziende.

Discord vs Slack per le aziende

Diverse aziende hanno infatti deciso di adottare Discord per gestire la comunicazione aziendale, considerandolo una valida alternativa all’applicazione concorrente: Slack. Entrambe rispondono infatti all’esigenza di un metodo di comunicazione efficace, rapido e strutturato. Come evidenziato nel confronto proposto da Bitboss, rispetto a Slack, Discord offre un sistema di gestione dei ruoli più potente e personalizzabile ed una semplice procedura di creazione di stanze e canali per riadattare il server ad una miglior gestione dei diversi progetti, senza dimenticare uno spazio realax, dedicato al piacere di una buona chiacchierata. Le attenzioni di Discord per fornire server sempre più personalizzabili e non più dedicati al solo ambito del gaming sono all’ordine del giorno, tanto che a marzo Discord ha cambiato il suo motto da “Chat for Gamers” a “Chat for Communities and Friends”.

La sua versione di Clubhouse

Negli ultimi mesi Discord ha acquistato maggiore visibilità, complice la quarantena e i diversi post che lo citano confrontandolo a Clubhouse (presentato nel nostro articolo e considerato il social del momento), nonostante risulti evidente come l’offerta di Discord sia decisamente più ampia. Qual è stata la risposta a questo paragone? Lo Stage Channel: una nuova tipologia di canale lanciato in beta, strutturato in modo da permettere ad una serie di “eletti” di parlare e concedere la parola a chi del pubblico chiede di intervenire. Queste premesse suggeriscono un format molto simile a Clubhouse, che tuttavia, come suggeriscono su HT Tech, non sarà disponibile tanto presto, ma è attualmente accessibile scaricando la Public Test Builds che propone una versione iniziale della funzione.

Discord in numeri

Non è difficile intuire come gli effetti del lockdown si siano fatti sentire nel numero di utenze, Discord vanta oggi 100 milioni MAUs (dall’ingese monthly active users: utenti attivi al mese) ed ha raggiunto un picco di 10,6 milioni di utenti attivi contemporaneamente. Come riportano le analisi di Businessofapps, la piattaforma vanta 130 milioni di dollari in entrata nel 2020, con una crescita del 118% annuo. La maggior parte dei ricavi provengono da Nitro: un abbonamento che permette maggiori opzioni di personalizzazione del profilo, maggior qualità in streaming e screen-sharing ed altri vantaggi per il miglioramento del proprio server.

Discord può vantare oggi 300 milioni di account, 850 milioni di messaggi e 4 bilioni di minuti di conversazione ogni giorno. Come abbiamo visto, i tentativi di Discord nell’allargare i propri orizzonti stanno ottenendo i primi risultati, con un’ottima risposta da parte della community. Ad oggi il server più popolato è quello di Fortnite, un videogioco sviluppato da EpicGames di cui abbiamo parlato nel nostro articolo, con 571 mila utenti, seguito da Minecraft con 569 mila utenti. Riuscirà Discord a scrollarsi di dosso l’etichetta di “chat per gamers”? Non ci resta che aspettare e vedere la risposta della community.

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Marketing & Social Media

Il successo di Clubhouse e dei formati audio: intervista a Mario Moroni

© Max Bertoli | Source: www.mariomoroni.it

In queste ultime settimane tra i dispositivi provvisti di sistemi iOS c’è stata l’esplosione di un nuovo social network: si chiama Clubhouse e si basa sulla creazione di stanze virtuali nelle quali si può comunicare con gli altri utenti solamente attraverso l’audio.

Si tratta di un’applicazione che ha suscitato molta curiosità e di cui in effetti si conosce ancora poco, motivo principale per cui spesso all’interno delle “room” l’argomento centrale di cui si discute è proprio Clubhouse!

Molte personalità del web vi partecipano quotidianamente in maniera molto attiva, in modo tale da sfruttare al massimo questo nuovo social e con l’intento di crearvi una community.

Per approfondire questo tema e scoprire le potenzialità legate alla piattaforma abbiamo fatto affidamento sul parere di chi della sua voce ne ha fatto uno strumento di lavoro: Mario Moroni, creatore del podcast quotidiano “Il caffettino” e autore del libro “Startup di merda”, il quale spesso organizza interessanti room a tema su Clubhouse.

Mario, in Italia i podcast vengono ascoltati sempre di più, mentre in queste ultime settimane c’è stato il boom di Clubhouse. Secondo te, a cosa è dovuto questo enorme successo dei formati audio?

“Il mondo dei podcast sta funzionando già da diversi anni perché i contenuti letti oppure visti attraverso i video hanno una fruizione che viene lasciata allo smartphone e al computer, quali i video di Tik Tok e i reels, contenuti ai quali però non si riesce a prestare molta attenzione se si sta facendo altro.

I contenuti audio stanno funzionando da diverso tempo perché le persone hanno la possibilità di svolgere altre attività nello stesso momento come, per esempio, correre, fare commissioni, magari viaggiare (quando si poteva viaggiare).

Nell’ultimo periodo, Clubhouse ha avuto una vera e propria esplosione, a differenza di altri social del mondo audio che abbiamo avuto modo di conoscere in passato, anche durante la pandemia, i quali non hanno riscontrato lo stesso successo.

I creatori di Clubhouse hanno fatto leva su due argomenti principali: il primo l’esclusività, il fulcro fondamentale del social è infatti il fatto di potervi accedere grazie a un invito e che all’interno del social ci siano determinate persone. Lo stesso vale per l’esclusività tecnica, dato che per il momento è disponibile solamente per sistemi iOS.

Il secondo riguarda il fatto che Clubhouse sia stato in grado di rimettere una netiquette, parola che nel mondo del digital si è sentita all’epoca dell’inizio web. Essa consiste in una sorta di regolamento non scritto, la buona educazione che noi professionisti, imprenditori o anche utenti utilizziamo come early adopter, ovvero come utilizzatori iniziali di qualsiasi piattaforma.

Questo sui social non c’è più da un po’ di tempo: su Tik Tok si viene invasi dai video mentre si scorre la home, e lo stesso accade anche sui vecchi Facebook e Instagram dove tutto è ormai un po’ alla mercé di tutti.

Dunque, il fatto che ci sia una sorta di esclusività e ordine delle cose ha attirato molto l’attenzione dei più grandi e dei più importanti.

Anche se ad ora iniziano già a vedersi le prime crepe…”

Sia Clubhouse che i podcast lavorano attraverso l’audio, ma, nonostante ciò, presentano delle importanti differenze. Quali sono le potenzialità di Clubhouse che i podcast non hanno, o viceversa?

“Innanzitutto, Clubhouse è un mondo social, avrà e ha quindi le stesse dinamiche di tutti i social network. Le piattaforme social di norma funzionano sempre tutte così e Clubhouse è identica a tutte le altre: fa arrivare gli early adopter, i più scaltri diciamo, che vedono tutto gratis e con una portata organica altissima. Su un nuovo social quando si fa qualcosa si viene ascoltati da moltissime persone, il che incentiva a farci rimanere di più sulla piattaforma, più si rimane sulla piattaforma più si è premiati dai likes, dai followers, e dai contenuti, e infine piano piano tutta l’esaltazione iniziale diminuisce, come una droga. Come la classica regola metaforica della rana bollita, la quale si trova in una pentola d’acqua che si riscalda gradualmente, per cui nel momento in cui la temperatura diventa troppo alta la rana muore senza accorgersene.

Questa è la stessa situazione, in qualche maniera siamo inconsapevolmente presenti a questo cambio di paradigma.

Il livello successivo sarà la monetizzazione di Clubhouse, che ad oggi è un po’ un mistero, però accadrà, dato che i creatori del social sono attualmente in perdita.

I podcast invece non sono dei social, sono contenuti che non si devono usufruire necessariamente in diretta, come accade invece per Clubhouse, dove se non si arriva al momento giusto si perde la live e il contenuto perché non lo si può rivedere in un momento successivo. Il contenuto di Clubhouse arriva infatti a un limitato numero di persone alla volta, non è determinato da una scalabilità.

Per il momento i podcast sono one to many, mentre Clubhouse è composto da piccole-micro community, com’è oggi il trend dei social.

Nei podcast c’è anche una qualità sonora superiore, a differenza di Clubhouse sul quale si utilizzano microfono e cuffie del cellulare.

I podcast hanno fatto la loro fortuna sulla lentezza, sui contenuti medio-lunghi, sugli approfondimenti e su una qualità alta.

Essendo poi contenuti e non social, possono stare su diverse piattaforme, come Spotify, Apple Podcasts, Google Podcasts o altre app di podcasting senza curarsi di algoritmi o fattori che invece determinano il successo delle singole piattaforme.

Chiaramente la similitudine sta nel fatto che entrambi siano contenuti audio e che in qualche maniera siano frutto del lavoro dei content creator; dietro non c’è un’intelligenza artificiale, ma ci sono degli esseri umani che comunicano sempre con altri esseri umani.”

Per chi è adatta una piattaforma come Clubhouse?

“Clubhouse è adatta a qualsiasi persona o azienda.

Abbiamo già visto delle aziende fare delle room per i propri clienti, aziende che vogliono avere un contatto diretto e in questo momento molto naturale con gli eventuali ascoltatori.

Questo social differisce dai podcast in quanto vi è la possibilità di aprire un dialogo con gli altri utenti, che salendo sul palco virtuale delle room di Clubhouse hanno l’occasione di esprimersi e confrontarsi tra di loro. Questo è il lato bello del social.

Inoltre, si possono creare stanze differenti in base alle esigenze e agli obiettivi che si vogliono raggiungere: si può creare una room aperta al pubblico, una room social solo per le persone che mi seguono o una room chiusa, accessibile solo tramite un invito.

C’è differenza anche tra room e club: la room è una sorta di evento che c’è in quel momento mentre il club è una sorta di pagina Facebook. Ad oggi le room sono aperte a tutti mentre i club non lo sono, bisogna fare richiesta ed essere accettati.

I test che ho visto svolgere dalle aziende in queste settimane sono stati sia positivi che negativi: positivi per quelle aziende dinamiche e al passo con i tempi che sperimentano tantissimo e che non hanno necessità di monetizzare subito, negativi per coloro che vorrebbero ricavare un guadagno immediato, dato che per il momento le persone sono su Clubhouse solo per comunicare.”

In questi ultimi giorni sono state create delle stanze virtuali con il solo scopo di aumentare i propri follower. Secondo te, si sta perdendo l’interesse verso la creazione delle conversazioni?

“Questo è un “escamotage” che viene utilizzato su tantissimi social e che è mutuato da altri social, come i gruppi di scambio like o la classica pratica del “follow unfollow”.

È un’ottica di scorciatoia tra chi nel 2021 non ha ancora capito come funzionano i social: il numero dei follower non è importante, questa è solamente un’ottica di vanità, una vanity metric, perché non ha nessun effetto che io abbia 10.000 follower o 1.000 follower.

L’ottica consiste nel capire chi sono quei follower e perché ti seguono!

Se arrivano notifiche che ci riguardano a profili che non interagiscono con noi, non facciamo altro che dare una comunicazione negativa al social, che pensa che i nostri contenuti non interessino a nessuno.

La verità è che la maggior parte delle persone che seguo stanno andando nella direzione completamente opposta, impegnandosi nella creazione di contenuti utili e di qualità.

In questo modo le persone sono più attratte da quello che diffondiamo e ricordano il nostro obiettivo, che da professionisti e utenti è quello di stare sui social spendendo del tempo per ottenere o dare qualcosa che ci è utile.

Può darsi che per la maggior parte delle persone che seguono il social ci sia una “decadenza del contenuto”, ma in realtà non è così, dato che vediamo benissimo che quando le cose vengono fatte bene le persone rispondono e ci sono.

Non dobbiamo mai avere l’ottica di creare il contenuto perfetto, perché quello non c’è mai, e soprattutto su un social nuovo si fa fatica a misurare i risultati, dato che è ancora sperimentale e le statistiche per il momento non ci sono. È tutto ancora molto all’inizio.

Chiudo dicendo che effettivamente il modo in cui noi stiamo vivendo questo social è molto più veloce rispetto a quello che abbiamo visto in passato per app come Snapchat, Tik Tok o prima ancora anche per Instagram e Facebook; tutto quello che sta accadendo adesso in soli tre mesi in molti social del passato l’abbiamo visto accadere in sei mesi, in un anno o in cinque anni. È solo cambiata la velocità di trasformazione, però non è cambiato nient’altro.”

In futuro le persone continueranno ad utilizzare Clubhouse o si tratta semplicemente del trend del momento?

“Se lo sapessi investirei o non investirei in azioni!

Quello che posso fare è prevedere due strade: la prima, che è quella più interessante secondo me, è che Facebook stia creando il clone di Clubhouse. Bisogna quindi capire se lo strumento Clubhouse funziona perché funziona bene Clubhouse o solo perché funziona la sua funzionalità. E se fosse così, quale sarà il suo futuro?  Si trasformerà in Snapchat, che in seguito all’introduzione delle storie da parte di Instagram è stato dimenticato, quindi la copia di Facebook andrà a buon fine, oppure accadrà come nel caso di TikTok in cui Instagram ha replicato la funzionalità di creazione dei video attraverso i reels ma nessuno la utilizza?

Una seconda ipotesi da tenere in considerazione potrebbe essere il fatto che in qualsiasi caso Clubhouse diventi una sorta di LinkedIn, ovvero una piattaforma per poche persone che si rivolge soprattutto a un target over 25.

Bisogna vedere come sarà l’evoluzione.

Dubito che la funzionalità di Clubhouse sia l’unico punto a favore di Clubhouse, perché in passato altri social audio hanno fatto anche meglio, ma sono finiti in tragedia in pochi mesi.

Per il momento non c’è nessuna novità nel modello di business, per cui quando il progetto verrà totalmente reso pubblico bisognerà capire quali saranno le reazioni delle persone.

Se a inizio marzo Clubhouse sarà disponibile anche per i dispositivi Android scopriremo in pochissimi giorni quali saranno i risultati.

Ciò che è certo è che una sfida come questa mancava da tempo.

L’importante è continuare a creare contenuti, in modo tale da capire come funziona il gioco e se ha senso portarlo avanti!”

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Marketing & Social Media

Clubhouse potrebbe cambiare la nostra società? Tutto quello che avreste voluto sapere sul social audio del momento

È il social del momento, funziona solo via audio ed è estremamente esclusivo, dato che ci si può accedere solo per invito. Di cosa stiamo parlando? Di Clubhouse, ovviamente.

Fondato a marzo 2020 dalla startup Alpha Exploration, Clubhouse è guidato dall’imprenditore Paul Davison e dall’ex ingegnere di Google Rohan Seth: il lancio effettivo è stato tra aprile e maggio 2020, solo negli Stati Uniti.

Nonostante i soli 1500 utenti iniziali, la valutazione di Clubhouse si è aggirata da subito attorno i 100 milioni di dollari, ottenendo un investimento di 12 milioni di dollari da parte di Andreessen Horowitz, una delle maggiori società di venture capital.

In appena 10 mesi sono stati raggiunti i 5 milioni di iscritti e nelle ultime settimane è stata registrata una crescita esponenziale, che ha portato i followers a 6 milioni. A tutto questo si affianca il recente finanziamento di 100 milioni di dollari erogato sempre da Andreessen Horowitz, il supporto di oltre 180 nuovi investitori e una valutazione quantitativa/monetaria pari al miliardo di dollari.

Perché ClubHouse piace così tanto?

Ma qual è il segreto del suo successo? I motivi sono tanti. Innanzitutto l’elemento su cui si fonda, l’uso della voce, è allineato al trend registrato in questi ultimi anni, soprattutto nel periodo della pandemia, cioè la crescita, riprendendo le parole di Gaia Passamonti, di tutto ciò che ha come elemento centrale l’audio: “il fenomeno dei podcast, l’uso degli smart speakers e dei comandi vocali”.

Altri elementi chiave, afferma sempre Gaia Passamonti, riguardano l’autenticità e la spontaneità che ancora risultano presenti sul social e la possibilità di potersi trovare nella stessa stanza con personaggi di rilievo, come Elon Musk, e poterci parlare come se fossero persone qualunque.

Proprio su quest’ultimo aspetto si basa un altro elemento di successo: la strategia in fase di lancio negli Stati Uniti. L’applicazione, infatti, era riservata a poche celebrità (come Drake, Kevin Hart, Oprah Winfrey) e attraverso la meccanica degli inviti, nel corso del tempo, il social network è stato circondato da un’aura di esclusività, alimentando e accrescendo l’interesse verso un prodotto sperimentato da pochi. Interessante e determinante il fatto che questa meccanica degli inviti non sia mai stata abbandonata, riuscendo, a livello di marketing, ad aumentare l’engagement e i nuovi iscritti.

Come funziona?

La registrazione avviene tramite l’invito di chi è già presente su Clubhouse e solo attraverso il numero di cellulare. Una volta ricevuto, occorre abilitare l’accesso alla propria rubrica, inserire nome, cognome, immagine del profilo e selezionare gli argomenti e le persone di interesse, così da permettere all’algoritmo della piattaforma di generare una homepage personalizzata.

Nella parte superiore della schermata principale ci sono una serie di icone, più la sezione legata al proprio profilo. Due di queste consentono di ricercare/esplorare all’interno della piattaforma e visualizzare le notifiche. Le altre due, invece, permettono di visualizzare la propria rubrica, gli inviti posseduti e gli eventi sul calendario: tutti quelli imminenti, quelli solo per noi (in base alle aree di interesse selezionate) oppure i propri eventi.

Per quanto riguarda il profilo, al suo interno è presente la biografia che lo descrive (rappresenta l’unica sezione testuale), il numero di persone che si segue e che ci seguono, il collegamento al proprio profilo Twitter e Instagram, la data in cui si è entrati su Clubhouse e la persona che ci ha invitati.

Considerando invece la parte centrale della schermata principale, è qui che vengono visualizzate in maniera verticale le “room”, stanze virtuali create da amministratori/moderatori e all’interno delle quali avviene l’interazione vocale in tempo reale; inoltre, grazie al sistema di calendarizzazione e di indicizzazione, l’utente viene facilitato nella ricerca delle room.

Possono essere di tre tipi (open, social, closed), in base al livello di accesso, e sono costituite da 3 figure di utenti: moderatori, speaker e ascoltatori.

I primi, oltre ad essere i creatori delle room, gestiscono la conversazione, possono invitare gli speaker, conferire o togliere la parola ed espellere dalla stanza altri utenti. I secondi, gli speaker, sono gli utenti che dalla “platea” hanno “alzato la mano” (attraverso l’apposito pulsante), sono stati accolti sul “palco” dai moderatori e, come suggerisce il nome, stanno parlando. Infine, gli ascoltatori sono tutti coloro che partecipano in maniera passiva, limitandosi ad ascoltare con il microfono in muto.

All’interno delle room, oltre al tasto per alzare la mano e chiedere di parlare, sono presenti altri due pulsanti, il simbolo “+” e “leave quietly”. Attraverso il primo è possibile invitare i propri followers nella stanza in cui ci si trova oppure condividere il link della stessa. Il secondo, invece, permette di abbandonare la stanza.

Le teorie sociologiche che spiegano l’evoluzione dei social

Per arrivare a capire come Clubhouse stia riuscendo a farsi strada in questa “alluvione comunicazionale”, diventa necessario ripercorrere le tappe che illustrano i cambi di potere nell’informazione e che spiegano le dinamiche sull’insediamento dei social e il conseguente mutamento sociale del mondo contemporaneo.

L’analisi in oggetto ha inizio con la crisi della modernità caratterizzata dal passaggio da un capitalismo marxista ad un capitalismo industriale fordista e prefordista improntato alla produzione di denaro per mezzo delle merci, un cambiamento che ha stravolto tutti gli ambiti legati alla sfera pubblica e privata dell’individuo.

Le cause sono da imputare ai mezzi di comunicazione che, come ha affermato Harold Innis, storico dell’economia canadese e sociologo della comunicazione, vanno a “determinare il nascere, l’affermarsi e il declinare degli imperi, in quanto chiavi del processo economico e politico”; infatti, nel concreto, i mezzi di comunicazione definiscono le coordinate spazio-temporali della società ovvero quelle che fanno capo “alle forme di organizzazione, alla distribuzione del potere tra i gruppi (in particolare a livello socioculturale con la nascita di nuove classi sociali) e ai tipi di conoscenza accumulata dal popolo (grazie, per esempio, alle nuove tecnologie)”.

Puntando la lente di ingrandimento sui mezzi di comunicazione in esame (televisione, radio e rete internet), è possibile vedere il meccanismo che permette loro di avere “tutto questo potere”.

Questo meccanismo è strutturato in quattro stadi, come spiega il sociologo e studioso della comunicazione britannico Denis Mcquail, e porta il nome di “stadi della frammentazione del pubblico“: nel primo si vede come l’introduzione di nuovi mezzi per la diffusione di informazione, caratterizzati da un piccolo “ventaglio di canali comunicativi” (ne è un esempio la televisione), rappresentavano per il pubblico un’alternativa e un’aggiunta ai tradizionali mezzi di comunicazione. Ma essendo novità ancora ad un livello primitivo di “performance”, il pubblico al quale si rivolgevano era un pubblico indistinto (quindi non vi era la necessità di dare vita a più programmi a seconda dei gruppi di audience esistenti).

Il progresso permette l’entrata nel secondo stadio ovvero in quello del pluralismo, caratterizzato da una maggiore diversificazione interna nella cornice unitaria (i vertici della comunicazione, infatti, restano le public interest intermediaries). Si assiste, così, alla nascita di programmazioni day-time, di quelle notturne e di quelle regionali, in quanto più persone possono permettersi di toccare con mano le nuove tecnologie.

Si arriva al modello che rappresenta la nostra epoca ovvero quello denominato centro periferia. Esso è caratterizzato da un’offerta mediatica più ampia che porta con sé valori come “l’autonomia e l’indipendenza, l’etica della condivisione e della trasparenza, lo stile immediato, personale e posizionato, la dislocazione e l’allargamento dello spettro delle fonti e la bi-direzionalità”; conseguenza della presa di coscienza degli individui di avere una maggiore possibilità di diversificazione, nonché della volontà degli stessi, di non essere più un pubblico passivo ma prosumer.

Si attiva, così, una reazione tecnologica a catena definita “domestication” da Roger Silverstone: una maggiore scelta porta gli individui ad integrare le tecnologie nella vita di tutti i giorni ed ad adattarle alle proprie necessità.

Una “dieta mediatica“, quindi, dettata dal senso di appartenenza al proprio ambiente culturale e al proprio gruppo di interazione: ed è qui che entra in gioco l’abilità strategica di ogni impresa di diventare la guida mediatica di quei gruppi che sono vicini al brand in un modo quasi mistico. Riuscire a creare una relazione intima con loro (come fa per esempio la RedBull con gli eventi di sport estremo) darà all’impresa il materiale che le serve per migliorarsi e conquistare anche una fetta di mercato più ampia (applicazione delle logiche tribali). L’ambiente circostante viene inevitabilmente a modificarsi portando tutti gli individui ad un ulteriore adattamento.

Uno schema da non sottovalutare dato che si arriverà ad un punto in cui ciascun individuo si affiderà completamente alla tecnologia: nell’ultimo stadio, infatti, si assisterà ad una totale frammentazione del nucleo centrale (non ci sarà più un punto comune di partenza o di fruizione delle informazioni), con conseguente scelta dei canali mediatici senza l’uso di schemi prefissati e con esperienze molto sporadiche di ascolto condiviso.

Non essere al quarto stadio non devi farci dimenticare che siamo ormai entrati nell’era del capitalismo cognitivo-post fordista, ove la produzione di ricchezza non si fonda più esclusivamente su una produzione materiale ma anche su quella immateriale, ovvero su quella della conoscenza (e, in particolare, della conoscenza codificata).

Differenziazione social: dalle necessità dei primi anni 2000…

Definito il quadro teorico, è possibile entrare nel dettaglio delle tematiche social più di nostro interesse.

Gli anni 2000 sono caratterizzati da investimenti nell’ambito delle tecnologie della comunicazione, col fine di garantire lo sviluppo di piattaforme innovative incentrate non più solo sulla scrittura ma anche sulla diffusione e condivisione di immagini, video e audio, che hanno permesso ai fruitori di averne traccia sui propri sistemi digitalizzati (a differenza di quanto poteva accadere con la radio, la televisione o con il telefono stesso).

Un’importante novità è stata messa a punto nel 2011 in Italia, dove gli investimenti in campo tecnologico erano minimi, soprattutto se paragonati a quelli fatti da colossi come Cina e Stati Uniti.

Si sta parlando del social media creato da Sonia Topazio ovvero FreeRumble; esso permette la condivisione di file audio di qualsiasi formato e argomento, in tempi rapidi. Tutto questo, nel rispetto totale della privacy di ciascun utente: una volta compilato un form, il profilo dell’utente può rimanere nell’anonimato senza necessità di mostrare foto o dati sensibili.

Una svolta significativa nel contesto digitale, ma che purtroppo non è riuscita a riscuotere il successo mediatico sperato. Una spiegazione valida di questo “insuccesso” è possibile ritrovarla proprio grazie all’esame approfondito della storiografia dei social network: l’impatto di ciascuno di essi piuttosto che il loro utilizzo, dipende dal contesto socioculturale degli individui che ne fanno uso. E al tempo, la dimensione digitale era improntata su una condivisione volta a generare un’interazione e un confronto immediato e per questo necessitava dell’uso di messaggi o mail istantanei, piuttosto che di immagini o video personali e formativi per mostrare a tutti le proprie potenzialità o i propri sprazzi di vita quotidiana. Si dava così più valore alla vanità e all’apparenza, relegando i valori più profondi alla sfera privata (in quanto considerati una debolezza o una stranezza). Pochi anni prima, infatti, erano nati Facebook e Youtube, a cui ancora non ci si era abituati.

… alle necessità dei nostri giorni

Il progresso tecnologico accelera a velocità mai viste prima e, come già anticipato con la teoria di Mcquail, arriva a cambiare le nostre abitudini permettendoci di poter assistere ad alcuni momenti di vita quotidiana da remoto. Una possibilità che sembra calzare a pennello con l’arrivo della pandemia da Covid-19.

Eppure quel progresso tecnologico tanto stimato, sembra far crollare i sistemi valoriali cardine delle nuove tecnologie di comunicazione e portare con sé la necessità e il desiderio degli utenti di ritrovare quel senso di umanità e semplicità, ormai perduti.

Sulla base di quanto affermato poc’anzi, si vede come Clubhouse sia nato per essere una nuova e migliorata versione dei social moderni: prima di tutto perché porta al centro l’individuo (spogliato dei filtri e delle barriere sociali), mettendogli a disposizione la forma più spontanea e diffusa di comunicazione, ovvero la conversazione. E considerando l’epoca in esame, queste conversazioni devono tener conto del linguaggio e del contesto socioculturale (che, come affermava Duranti, sono facce della stessa medaglia) di ciascun individuo; da questo la possibilità di creare stanze sui più svariati argomenti e nell’idioma desiderato.

Per far sì che tale esperienza si avvicini ancora di più alla realtà, l’ordine di interazione è lasciato in mano ai soggetti interessati che così seguono le logiche e le strutture comunicative tipiche di una conversazione orale (escludendo, perciò, la possibilità di prenotarsi o di scrivere in una chat apposita).

Continuando nella logica di un rimando alle conversazioni dal vivo, ciascun soggetto è libero di scegliere l’argomento di discussione, tra quelli offerti, o di proporli come in una classica uscita tra amici, rispettando logiche temporali diverse a seconda della “situazione in esame”.

“Ciò che hai da dire” si fonda su saperi che fino ad ora erano stati appannaggio della conoscenza codificata: si parla, infatti, della conoscenza personale che, come affermato da Von Hayek, è un rimando al valore intrinseco di ogni persona, e della conoscenza sociale che è collegata al concetto marxiano di general intellect, cioè di quell’insieme di saperi e competenze frutto della condivisione tra persone.

La possibilità di non dover rincorrere l’argomento di tendenza e di non incappare nelle echo-chambers dei social media, permette all’utente di formarsi e/o poter approfondire qualsiasi tema in tempo reale (senza rimandi ad altri link) e di confrontarsi con esperti piuttosto che attingere da testimonianze dirette.

Viene dato spazio all’humor, alle comunicazioni emotive (nella forma dell’entusiasmo, dell’indignazione o della critica) e a quelle giocose, ma anche alle comunicazioni serie; uno spazio concesso a chiunque, in grado di livellare le disparità legate al potere visivo: non ci sono più maschere.

Ultimata la conversazione, non ne rimane più traccia ma solo un ricordo legato a quegli istanti, legato alla memoria di ciascuno di noi; senza possibilità di condividere quanto detto su tutta la rete, non è possibile sapere se e a chi arriveranno queste parole, si dà un valore diverso alla comunicazione, un valore più personale e libero dall’interferenza mediatica.

Dalla società all’individuo: la psicologia dietro al nuovo social

Se da un lato questo social può essere usato per conversare con le persone in “piazza” come ai vecchi tempi, una novità la aggiunge: si può arrivare a parlare direttamente con il VIP di turno, evento che non capita proprio tutti i giorni.

I social network hanno da sempre permesso di avvicinare l’individuo comune ai “grandi”; e se un tempo era una cosa straordinaria riuscire anche solo a salutare e ricevere un autografo dal proprio idolo limitandosi per il resto del tempo ad ammirarlo attraverso uno schermo televisivo, ad oggi non è strano ricevere una risposta sporadica ad un messaggio o ad un commento inviato a qualcuno “con tanti followers”. Ma Clubhouse è andato oltre, arrivando quasi ad annullare quella distanza e completando, così, quello che si può definire l’avvicinamento dei miti.

Il fatto di essere così meritocratico facilita questo processo dato che non conta quanto si è famosi, se si ha qualcosa di intelligente da dire si possono avere i due minuti di “gloria”, intervenire e tutti stanno ad ascoltare in modo democratico.

Questa cosa piace talmente tanto che una delle frasi maggiormente ripetute da chi lo sta sperimentando è proprio: “armati di tempo perchè ne occorre molto e può creare dipendenza”.

Creare dipendenza: lo sa fare bene

Il fatto curioso è che Clubhouse non ha metriche, a parte il numero di followers e i relativi seguiti (che non si vedono durante la prima interazione nella stanza con una persona ma è necessario cliccare sul profilo), non ci sono like, dislike, reazioni e quant’altro, le cosiddette vanity metrics accusate da sempre di essere la causa dei problemi di dipendenza legati ai social, qui non esistono… e allora, cosa crea dipendenza?

Si ipotizzano due ragioni: il bisogno di avere interazioni con altri esseri umani in questo periodo così delicato, ma soprattutto la FOMO.

FOMO è un acronimo che sta per “fear of missing out” ovvero la paura di perdersi qualcosa, teorizzata nel 2004 da Patrick J. McGinnis, un fenomeno sociale evidente ancora prima di Clubhouse, ma è con quest’ultimo che viene ancora più accentuata; può risultare faticoso uscire da determinate stanze nelle quali vengono trattati argomenti di interesse che quindi non si vogliono perdere, anche se queste dovessero durare per ore.

Inoltre, ad accentuare ulteriormente questo fenomeno è il fatto che ciò che viene detto su Clubhouse, rimane su Clubhouse, non essendo possibile registrare (è contro il regolamento) ed è per questo che la FOMO diventa saliente; le storie di Instagram sono visualizzabili per 24 ore, una foto su Facebook tendenzialmente rimane per sempre, ma ciò che non riesci ad ascoltare da una conversazione su Clubhouse, lo hai perso per sempre.

Passare il tempo in una stanza e cosa si “guadagna”

Sicuramente ci sono degli aspetti a cui fare attenzione come il fatto di trascorrere molto tempo sulla piattaforma, ma non mancano di certo i lati positivi: in primis molte persone sostengono di aver trovato dei gruppi in cui si discute di aspetti legati alla sfera affettivo-personale, dove persone si confrontano e confortano a vicenda su temi anche molto delicati.

Clubhouse può anche diventare un luogo dove passare del tempo in maniera piacevole con le persone, sentirsi meno soli ed evadere dalla quotidianità.

Non dovrebbe sorprendere questo fenomeno di supporto psicologico di gruppo che si sta verificando in molte stanze, il termine stesso “clubhouse” infatti non è stato inventato di recente: le clubhouse sono nate nell’America degli anni ‘50, luoghi creati in alternativa ai disumanizzanti manicomi, dove i malati si davano aiuto reciproco trascorrendo del tempo insieme.

Non solo intrattenimento: qui si studia

Aggiungendo il fatto di poter ascoltare esperti dei più svariati settori che spiegano argomenti interessanti, ecco che si ottiene pure il fine educativo della piattaforma che potrebbe realmente diventare una miniera di conoscenza per i più curiosi desiderosi di imparare qualcosa in una versione in diretta del podcast.

Le opportunità per usarlo bene sono parecchie, si può persino migliorare una lingua parlando con dei native, se lo si desidera. Non resta dunque che capire come evolverà in futuro, si continuerà ad utilizzarlo in maniera educata come molte persone stanno riferendo, o tenderà a “sporcarsi” velocemente come spesso succede?

Prospettive future: come potrebbe evolversi il modello di business ma non solo

Come si evolveranno i rapporti umani e il digitale in futuro? quello che è certo è che la “rivoluzione vocale” è stata lanciata e non si può più tornare indietro, sia che Clubhouse vada avanti sulle proprie gambe sia che venga acquisita da altri, dato che gli early adopters stanno apprezzando questo nuovo modo di comunicare, molto più personalizzato e meritocratico.

Di sicuro  le altre “Big” non si limiteranno a guardare, in primis Zuckerberg, il cui detto nel mondo digital “Mark o copia o compra” si conferma nuovamente: Facebook ha già annunciato l’idea di introdurre delle features audio.

Ora che la startup ha passato il primo round di finanziamenti, va definito come si potrà evolvere sul piano commerciale dato che per il momento non sta fatturando non essendoci un vero e proprio business model. Gli esperti come Marco Montemagno ipotizzano degli scenari futuri per monetizzare, tra cui introdurre stanze a pagamento come se ci fosse un ticket di partecipazione ad una conferenza oppure aggiungere pubblicità.

Non è tutto così semplice: rimangono delle questioni aperte

La prima è legata alle privacy policy: lo Stanford Internet Observatory ha scoperto che Clubhouse collabora con la startup cinese Agora cioè colei che fornisce la struttura back-end all’app stessa, nonché l’ente al quale giunge la trasmissione in chiaro di metadati rilevanti e che ha potenzialmente la possibilità di intercettare, prelevare e conservare anche frammenti di registrazioni. Tali registrazioni possono quindi arrivare al governo della Repubblica Popolare (che in questi giorni ha bloccato il social nel paese). Questo è possibile, come spiegato nel rapporto della Observatory, perché il codice ID univoco di ogni utente, oltre che quello delle varie room, viene regolamentato da una crittografia obsoleta che consentirebbe la facile intercettazione di tutto ciò che accade nelle stanze. L’unico modo per impedire ad Agora di avere accesso all’audio grezzo, consiste nell’utilizzo, da parte di Clubhouse, di un metodo di crittografia personalizzato (end to end): sebbene ciò sia possibile, richiederebbe al social network di distribuire le chiavi pubbliche a tutti gli utenti, cosa non immediata da implementare.

Ma non finisce qui: l’app richiede l’accesso alla rubrica per poter mandare gli inviti (mandarli non è obbligatorio, ma se li hai, è inevitabile che qualche amico te li chieda) e quindi può “vedere” tutti i contatti salvati, procedura che va contro il GDPR europeo; infatti, in merito a questi problemi si è mosso, in questi giorni, anche il Garante italiano della privacy al fine di far luce sulla questione. La startup americana, però, mette le mani avanti: “stiamo rinforzando le misure di sicurezza per impedire all’azienda cinese di prelevare dati, creando diversi blocchi nell’applicazione stessa”.

La seconda invece è che per il momento non c’è nessun reale controllo, se non quello arbitrario dei moderatori delle stanze, meccanismo che potrebbe diventare pericoloso: stanze create da estremisti di ogni genere in grado di generare degli hate speeches di stampo razzista o omofobo. Allo stesso tempo è più semplice che in altri social fingere di essere qualcuno che non si è semplicemente registrandosi con nome e foto altrui si può parlare e quindi esprimere idee che vengono collegate a quella persona non presente invece che a colui che ha “rubato l’identità”, quasi nessuno sarebbe in grado di riconoscere la voce, rendendo tutto molto credibile e rischioso per la “vittima”. Se a questo ci aggiungiamo il fatto che nonostante il regolamento vieti di registrare, ci siano persone che lo facciano comunque, fa ben capire quanto lavoro ci sia ancora da fare in materia di sicurezza.

Infine, la terza questione è legata al fatto che per il momento il social esiste solo per il sistema operativo iOS, anche se questo problema è destinato a risolversi a breve: i founder hanno già annunciato di essere al lavoro sulla versione per Android che verrà rilasciata quanto prima permettendo così ai “momentaneamente esclusi” di registrarsi (infatti la maggior parte dei dispositivi mobili, ha sistema Android).

Riflessioni

È ancora presto per giungere a conclusioni affrettate, Clubhouse è rivoluzionario, promettente e in certe questioni anche un po’ controverso, ma allo stesso tempo molto giovane: le possibilità di evolversi sono praticamente infinite.

L’unico modo per sapere di più è aspettare e vedere che succede, nel frattempo non resta che godersi lo spettacolo rimanendo con il dubbio: riuscirà a diventare il nuovo Facebook coinvolgendo “vocalmente” tutto il mondo?