Oggi, quando si parla di videogiochi recenti, non si può che menzionare il fenomeno Fortnite. Il free-to-play Battle Royale è stato pubblicato ormai tre anni fa ed, ormai, è diventato un vero e proprio fenomeno pop, con introiti nell’ordine dei miliardi di dollari e collaborazioni con i più grandi brand internazionali. Tutto ciò partendo da un videogame che chiunque può giocare gratuitamente. Come è stato possibile? Proviamo ad indagarlo in questo articolo, dalle origini ai sistemi di marketing con cui Epic Games ha deciso di capitalizzare l’enorme successo del gioco.

Un po’ di storia

Ma facciamo un passo indietro, come è nato il successo di Fortnite? La cosa interessante è che Fortnite è basato su un fallimento. Il gioco fu, infatti, originariamente presentato nel 2011 come un misto tra le meccaniche di Minecraft, il celebre videogame di costruzioni, e di Left 4 Dead, uno sparatutto horror in terza persona. Graficamente e iconicamente, Fortnite era già Fortnite: quel che mancava era la sostanza. Si trattava di un normale, tra l’altro a pagamento, gioco a squadre di quattro in cui divertirsi costruendo fortezze, cercando armi e sconfiggendo mostri. Nessuna componente competitiva online era prevista. Tuttavia, il prodotto in questo stato fu accolto con freddezza e lo sviluppo dello stesso si prolungò per altri sei anni. In quel lasso di tempo, l’industria videoludica si stava ormai muovendo verso una concezione del gioco come “servizio” fin lì inedita o, quantomeno, di nicchia. Concezione che andava, inevitabilmente, a preferire i free-to-play, così sono detti in gergo i giochi scaricabili gratuitamente, perfezionabili “in corso d’opera” tramite aggiornamenti e patch, piuttosto che prodotti finiti venduti a un prezzo fisso (per lo più nei negozi fisici). Presa la decisione di virare su questo modello di business, fu integrata l’ormai celebre modalità Battle Royale, consistente in partite, in singolo o a squadre, a cui partecipano 100 persone e in cui è possibile muoversi liberamente per una mappa particolarmente ampia, cercando armi, strumenti e risorse, con l’obiettivo di essere l’ultimo giocatore sopravvissuto. A onor della cronaca, Fortnite non ha inventato nulla: il genere era già famoso ai tempi, tant’è che gli stessi sviluppatori hanno più volte ammesso di essere fan di PlayerUnknown’s Battlegrounds, vero fondatore del genere di successo. Ma come accade spesso, non sempre la Storia premia il primo arrivato.

Come può un gioco gratuito produrre così tanti introiti?

Alla fine la promessa fu mantenuta e Fortnite fu pubblicato come Battle Royale free-to-play su praticamente ogni piattaforma e console possibile. Il gioco, per come era stato concepito originariamente, esisteva ancora ma come modalità secondaria a pagamento, denominata “Save the World”: decisamente trascurabile sia per quanto riguarda la popolarità che per gli incassi. Con i suoi 129 milioni di download globali e 6 milioni di utenti attivi mensilmente (per lo più ragazzi sotto i 24 anni), si stima che Fortnite – Battle Royale attualmente frutti, in media, più di tremila dollari al minuto a Epic Games, publisher del videogame, per un totale di oltre 1 miliardo di incassi solamente negli ultimi due anni tramite acquisti in-app. Eppure è possibile giocare a Fortnite senza mai effettuare nessun pagamento e senza subire, di conseguenza, alcun malus. Nel gioco, infatti, è consentito acquistare solamente elementi estetici, come skin (i costumi dei vari personaggi) o oltri elementi decorativi come picconi o deltaplani, spendendo V-Bucks, la monetà virtuale del gioco – ovviamente a sua volta acquistabile caricando soldi reali sul proprio account. Nulla che modifichi in alcun modo il gameplay o che dia vantaggio rispetto agli altri giocatori, ciò nonostante funziona e, a riprova di ciò, sembrerebbe che il 70% dei giocatori abbia effettuato almeno un acquisto in-app, con una media di 102 dollari spesi a testa, decisamente di più di quanto richiederebbe l’acquisto di un videogioco “tradizionale”. Considerando anche che oltre il  64% dei player utilizza Fortnite per più di 6 ore a settimana, si potrebbe teorizzare che il business degli acquisti in-app si basi tutto sullo status auto-percepito dai giocatori stessi, un modo per comunicare agli altri quanto si è affezionati e appassionati al gioco. Nulla di così diverso da quanto avviene nella vita reale col vestiario, a ben vedere.

Eventi ed engagement: l’importanza della temporaneità

Non ho parlato di “status” a caso: quando si parla di Fortnite – ma lo stesso potrebbe valere per molti altri giochi che adottano sistemi di business simili – non si può, infatti, ignorare il funzionamento della sua community che, probabilmente, è una di quelle videoludiche con il maggior engagement degli utenti. Tramite i vari eventi e tornei, che si tengono periodicamente, Fortnite è riuscito a creare un humus di storie che si avvicina a essere una realtà alternativa, nonché un luogo di incontro virtuale per milioni di utenti (in gioco è possibile parlare tramite chat vocale). Gli eventi possono svilupparsi in diverse tipologie e tenersi in concomitanza di festività (halloween, natale, ecc…) oppure in prossimità della conclusione di ogni “Stagione”, periodi solitamente di 10 settimane caratterizzati da particolari feature disponibili temporaneamente, da un po’ di narrazione che giustifichi cambiamenti e scelte degli sviluppatori, e, soprattutto, dal proprio “Pass Battaglia”. Quest’ultimo è la modalità d’acquisto in gioco più economica e consente, al costo di 950 V-Bucks (circa 10 euro), di accedere a un ampio set di oggetti virtuali, da riscattare completando missioni entro la fine della stagione.

Esclusi gli eventi di fine stagione, decisamente più interessanti sono quelli disponibili per festeggiare determinate ricorrenze o celebrare la community. In questi casi, per lo più, si tratta di modalità di gioco alternative o di missioni speciali disponibili temporaneamente che, spesso, consento di sbloccare, gratuitamente, bonus estetici che certificano, agli occhi degli altri giocatori, la presenza di chi li riscatta a quel determinato evento. Decisamente più particolari sono, invece, i concerti. Da qualche mese, infatti, si tengono su Fortnite, in un’apposita modalità dove non è possibile danneggiare gli altri giocatori, dei veri e propri live, in cui sono stati ospitati alcuni dei più importanti artisti della musica internazionale: iconico fu il concerto di Travis Scott di questo aprile, durante il quale presentò un suo nuovo brano in anteprima e fece, suo malgrado, crashare i server di Twitch per i troppi spettatori connessi a seguire l’evento in streaming.  La temporaneità  è, quindi, un elemento chiave del successo di Fortnite e del così alto numero di acquisti in-app. Essa, infatti, non si applica solo agli eventi e alle stagioni ma anche a ogni oggetto messo in vendita nello store del gioco, contribuendo ad accrescere le vendite per due motivi. Innanzitutto, gli acquisti vengono freneticamente spinti dal timore di non poter più trovare disponibile per l’acquisto un dato oggetto o skin per mesi e mesi, incentivando l’acquisto istantaneo e non troppo ragionato. In secondo luogo, come abbiamo detto, Fortnite non è più, ormai, solo un gioco ma una community viva e dinamica e possedere elementi estetici, magari non più acquistabili da mesi o anni, aumenta il proprio prestigio in una logica di anzianità ed esperienza.

Il successo delle collaborazioni: il caso Disney

Considerando tutto il pubblico che abbiamo visto essere attivo su Fortnite, non stupisce che il gioco sia diventato anche veicolo di pubblicità. Non si parla, però, di mero advertising ma di una dinamica più particolare e integrata oltreché, in un certo senso, subdola che potremmo definire come “in-game marketing”. Epic Games ha, infatti, creato un sistema di collaborazioni grazie al quale consente ad altri brand di poter creare  delle proprie skin o oggetti targati da vendere in Fortnite. Come è facile immaginare, queste collaborazioni hanno dei costi enormi per le aziende (non sono pubblici) ma hanno consentito a compagnie come Warner Bros., Nike, NFL e Netflix di avere migliaia di giocatori, fieri dei loro acquisti, tramutati in “uomini-panino” giocanti per la mappa di Fortnite. Una forma di pubblicità ad alta interattività che difficilmente può trovare pari in altri media.

Il caso di collaborazione più eclatante è stato quello con Disney che, in più occasioni, ha portato diversi suoi franchise – Marvel e Star Wars sopra tutti – nel gioco e non solo come elementi acquistabili. La stagione che si è conclusa appena qualche settimana fa è stata, infatti, monopolizzata dagli eroi Marvel : intere zone della mappa sono state dedicate all’universo fumettistico, così come tutte le ricompense sbloccabili nel già citato Pass Battaglia. Come se non bastasse, durante quel periodo di tempo, qualsiasi acquisto effettuato su Fortnite dava accesso a due mesi gratis di Disney+, la piattaforma di streaming del colosso californiano. Il risultato? Non ci è dato sapere quanto le abbia giovato di preciso, tuttavia la risposta entusiastica di Disney pare essere esplicativa da sé: la compagnia ha dichiarato di voler continuare a collaborare con Epic Games e, attualmente, sta pubblicizzando nel gioco la nuova stagione di “The Mandalorian”.

eSport e tornei

Come ogni videogioco competitivo che si rispetti, anche Fortnite ha sviluppato, negli anni, una sua fitta rete di tornei e di giocatori professionisti che si guadagnano da vivere giocando e streammando le loro partite in live su Twitch o altre piattaforme. Basta pensare che il totale delle ore guardate in streaming supera il miliardo per capire come Fortnite possa essere un business non solo per Epic Games, e per i brand che ci collaborano, ma anche per i giocatori più capaci.  A tal proposito, Forbes ha stilato una classifica dei 10 streamer più pagati, tra sponsor e sistemi di earning delle stesse piattaforme, del 2020: l’ultimo posto è occupato da Nickmercs che incassa “solamente” 6 milioni di dollari all’anno, mentre in testa troviamo il celebre Ninja coi suoi  17 milioni annui. Cifre che, logicamente, non tengono conto di eventuali vincite a tornei o ad altri eventi. Alla luce di ciò, è facile capire come Fortnite – e altri eSport – stia diventando non solo un passatempo ma anche l’oggetto delle ambizioni professionali di molti utenti. E questa tendenza viene incentivata da Epic Games che, utilizzando la stessa metodica degli eventi, organizza periodicamente tornei online ad accesso libero in cui è possibile vincere premi nell’ordine dei milioni di dollari.

Tutto ciò durerà?

In definitiva, Fortnite è un fenomeno che basa gran parte del suo successo su strategie di marketing non complesse né intricate. Tuttavia, queste sono riuscite a dare valore persino ad elementi che, di per sé, non aggiungono nulla alla ludicità del gioco. Epic Games ha, così, costruito un impero cross-mediale partendo dalla creazione di una community solida e attenta al proprio status nel gioco e, a oggi, afferma di avere contenuti per almeno una decina di anni. Resta da chiedersi quanto tutto ciò possa durare, è possibile che Fortnite possa sopravvivere a lungo senza mai innovarsi troppo?  Ciò che è sicuro è che in questi 3 anni il gioco non ha dato segni di rallentamento e che la fiducia degli sponsor dei tornei e dei brand collaboratori pare essere ancora altissima.