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Ambiente, società e tecnologia

Gli insetti sulle tavole dei consumatori occidentali: quali sono le ragioni per inserirli nella nostra dieta?

Il 2021 si apre con la valutazione scientifica completa condotta da EFSA, l’Autorità Europea per la sicurezza alimentare, sulla possibilità di introdurre sul mercato a scopo alimentare larve essiccate di Tenebrio molitor (comunemente chiamate tarme della farina), appartenenti alla famiglia dei Coleotteri. Sarà la prima di una lunga lista di future valutazioni sui novel foods, ovvero prodotti “privi di una storia di consumo significativo in UE” che ancora aspettano di ricevere l’autorizzazione dalla Commissione Europea. Molti di questi sono a base di insetti: potrebbero essere i primi piccoli passi verso un cambiamento delle nostre abitudini alimentari? Ma quanto sono effettivamente desiderabili, per noi e per il pianeta, questi cambiamenti? E soprattutto, ci sono i presupposti affinché questo accada?

Allevare insetti per l’alimentazione umana: una scelta sostenibile

Perché dovremmo vincere il naturale disgusto verso gli insetti e inserirli nella nostra dieta? I motivi principali, sostenuti da dati riportati nel documento redatto da FAO Edible insects: future prospects for food and feed security”, riguardano la loro maggiore sostenibilità a livello ambientale rispetto ad altri prodotti animali tipici della cultura culinaria occidentale. Per allevare un chilogrammo di grilli servono circa 1.7 chilogrammi di mangime: una quantità notevolmente minore rispetto ai 10 chilogrammi necessari per ogni chilogrammo di peso acquistato da un bovino, o rispetto ai 5 chilogrammi necessari per i maiali e ai 2.5 chilogrammi per i polli. Inoltre, se fossero allevati su larga scala, gli insetti produrrebbero minori emissioni di gas serra e rappresenterebbero una risorsa contro lo spreco di acqua, grazie alla loro elevata resistenza alla siccità.

Potremmo pensare che, poiché in alcuni paesi il consumo di insetti è una tradizione consolidata, lo sia anche il loro sistema di allevamento industriale: invece, a livello mondiale, solo il 2% degli insetti destinati all’alimentazione umana viene prodotto grazie a queste tecniche. Se visitassimo uno di questi stabilimenti (esperienza virtualmente possibile ad esempio attraverso un mini-documentario girato nello stabilimento “Grubs Up”, in Australia) potremmo convincerci del perché possono essere considerati un modello di sostenibilità: gli insetti infatti vengono cresciuti in unità contenitrici separate (solitamente catini in plastica o contenitori simili), disposte e impilate in modo da occupare meno spazio possibile e ridurre lo spreco di suolo. In particolare, per l’allevamento dei grilli è importante che i contenitori siano arricchiti, per esempio, con i cartoni delle uova, che secondo la “Guidance on sustainable cricket farming” aumentano la superficie disponibile per gli insetti e la loro possibilità di movimento.

Inoltre il substrato necessario alla sopravvivenza degli insetti è costituito da materiale organico e biomassa di scarto, una pratica in linea con uno dei principi fondamentali dell’economia circolare: trasformare i rifiuti in risorse riutilizzabili.

Una fonte alternativa di nutrienti

Sebbene non sia corretto pensare agli insetti come a un “supercibo” dalle incredibili proprietà, i prodotti da loro derivati sono considerati una buona fonte proteica, di grassi, di fibre e di alcuni micronutrienti come ferro e zinco; la quantità di proteine però cambia sia tra specie diverse, sia a seconda del mangime con cui sono stati nutriti, sia rispetto al metodo di lavorazione della materia prima. Anche EFSA, nella sua opinion scientifica sulle larve di Tenebrio molitor, avverte che i metodi di analisi più utilizzati possono portare a sovrastimarne il contenuto proteico. La motivazione? Per quantificarlo solitamente si misurano i livelli di azoto, un elemento contenuto nelle proteine e quindi indice della loro presenza, ma, nel caso degli insetti, anche in una molecola che costituisce il loro esoscheletro, la chitina: non si tratta di una proteina, ma di un polisaccaride che non siamo in grado di digerire.

Insetti per (quasi) tutti i gusti

Per quanto gli insetti siano da sempre l’unica alternativa alla carne in molti paesi del mondo, il profilo nutrizionale non è l’unica cosa che conta: saremmo in grado, soprattutto noi consumatori occidentali, di superare l’avversione verso gli insetti e di considerarli come cibo? Una strategia efficace già esiste: trasformare un alimento all’apparenza inappetibile in un prodotto che ricordi il meno possibile la sua origine. Così gli stessi grilli che possono essere venduti arrostiti come snack pronto possono essere trasformati in polvere da aggiungere al “Dukkha” (uno dei prodotti dell’azienda Grubs Up), un mix di spezie arricchito. Basta visitare il sito di 21bites, uno dei primi e-commerce in Europa a proporre prodotti a base di novel foods, per capire come gli insetti possano essere un ingrediente versatile: si possono acquistare grilli ricoperti di cioccolato, chips, muesli per la colazione, pasta e molto altro. Per di più, ogni specie ha un sapore diverso: si va da quelle che ricordano la frutta secca, come le tarme della farina, a quelle che hanno un retrogusto piccante o persino dolce.

Se considerati da questi punti di vista, gli insetti potrebbero essere un buon alimento da inserire nella nostra dieta, un prodotto sostenibile e, una volta che ne sia stata accertata la sicurezza (come è avvenuto per le larve di Tenebrio molitor), non preoccupante dal punto di vista tossicologico. Quel che resta da scoprire è se arriveranno sulle nostre tavole e se diventeranno, un giorno, un alimento comune anche per i consumatori occidentali.

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Ambiente, società e tecnologia

Neutralità climatica: cos’è e perché non la raggiungeremo nel 2050

Nonostante sia ormai da mezzo secolo che gli esperti parlano di “cambiamento climatico”, si sono rese necessarie due cose affinché questo argomento riuscisse ad affermarsi come attuale: il quinto rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) e un impermeabile giallo. Il primo è servito al processo di affermazione giudiziaria del cambiamento climatico in quanto per la prima volta volta sono state fornite le prove scientifiche circa l’esistenza dello stesso e della sua origine antropica; mentre il secondo lo ha reso finalmente un fatto mediatico, degno di essere sulla bocca di tutti.

Perché è necessario raggiungere la neutralità climatica

L’IPCC, che dal 1988 si occupa di cambiamenti climatici, stima la probabilità di accadimento del riscaldamento globale tra il 95 e il 100%, e gli attribuisce una serie di conseguenze quali: l’innalzamento del livello del mare, l’incremento delle ondate di calore e dei periodi di intensa siccità, ai quali seguirebbero poi violente alluvioni, e un aumento in numero delle tempeste e degli uragani.

Mantenere l’innalzamento della temperatura media globale al di sotto del dato stimato non è solo necessario ma vitale; ed è per questo che è nato il concetto di neutralità climatica, un concetto con il quale si intende l’azzeramento delle emissioni nette, ossia il pareggio nel bilancio tra le emissioni in atmosfera e la quantità di gas che il Pianeta riesce ad assorbire. La neutralità climatica, tra l’altro, è ben lontana dal poter essere considerata una garanzia protettiva rispetto all’imminente catastrofe dato che, almeno per ora, tutto ciò che è stato emesso in passato continua a rimanere in atmosfera e perciò a esercitare inesorabilmente la sua azione “riscaldante”.

Della situazione venutasi a creare, l’opinione pubblica ha finalmente preso coscienza e ciò ha costretto le forze politiche a intervenire sul tema: a partire dal 2015 sul piano internazionale e sul piano sovranazionale è iniziato un processo di fissazione degli obiettivi, forse un po’ troppo ambiziosi, a tutela del pianeta terra che hanno poi portato l’Europa a poter ipotizzare il miraggio della neutralità climatica entro il 2050.

Perché non sarà raggiunta entro il 2050

Proprio con questi obiettivi la Commissione Europea, guidata da Ursula von der Leyen, ha promosso il Green Deal Europeo: una vera e propria tabella di marcia ricca di linee guida e suggerimenti per rendere sostenibile l’economia UE e migliorare lo stile di vita dei cittadini.

Nel comunicato ufficiale, il Green Deal viene definito come “una strategia che mira a trasformare l’Unione Europea in una società giusta e prospera, con un’economia moderna, efficiente sotto il profilo delle risorse e competitiva in cui non ci sono emissioni nette di gas a effetto serra nel 2050 e in cui la crescita economica è disaccoppiata dall’uso delle risorse.

Il raggiungimento di obiettivi così ambiziosi e significativi è tuttavia ostacolato da diverse problematiche; prima fra tutte la vastità ed eterogeneità di Stati coinvolti.

Come affermato da Andrea Quaranta nel suo articolo, il perseguimento dell’azzeramento delle emissioni avrà costi e tempi diversi per i vari paesi dell’Unione. Gli stati dell’Unione Europea differiscono infatti per cultura, tradizione, sfondo economico e risorse a disposizione, pertanto sarà necessario individuare procedure e strategie attuabili da tutti gli stati, in modo da fornire a tutti un’opportunità di trasformazione.

Secondo GreenPeace, le misure attualmente indicate sono “troppo deboli o hanno ancora bisogno di essere cucite insieme”.

Alle problematiche di individuazione di misure europee si affiancheranno presto complicazioni nella definizione di un iter legislativo e di misure a garantire l’applicazione delle stesse, operazioni che restano a discrezione dei singoli stati.

Un altro ostacolo è sicuramente l’elevato numero di finanziamenti necessari all’attuazione di tali progetti. Come spiegato da Simona Rizza sull’Eco Internazionale, il Green Deal Europeo sfrutterà InvestUE: uno strumento finanziario per la raccolta di finanziamenti pubblici e privati. Si stima un raggiungimento di un bilione di euro, fondi tuttavia considerati insufficienti dall’analisi di le monde, riportata da Insideover.

Nello stesso articolo vengono inoltre evidenziati risvolti negativi che potrebbero essere introdotti dall’applicazione di un cambiamento economico così forte: l’aumento dei prezzi in risposta all’introduzione di regolamenti stringenti ed una mancata crescita produttiva potrebbero portare a gravi conseguenze a sfavore dell’Europa nelle logiche commerciali internazionali.

La sfida: la rinuncia al petrolio

Un ulteriore motivo per il quale non raggiungeremo la neutralità climatica è che a pesare maggiormente sulle nostre emissioni in atmosfera è il comparto fossile seguito a distanza dagli allevamenti intensivi; questo è un bel problema se si pensa che, sebbene non tutta la popolazione può definirsi onnivora, ormai quasi tutti gli ospiti del Pianeta sono energivori.

Come ricorda il Professor Nicolazzi nel suo libro “Elogio del petrolio. Energia e disuguaglianza dal mammut all’auto elettrica”, l’energia, per l’Homo Sapiens, è stata la vera guida al successo evolutivo. Inizialmente l’uomo disponeva solo di se stesso come convertitore di energia, poi ha addomesticato altre specie e all’energia propria ha affiancato quella animale. In seguito, l’uomo ha compreso come catturare l’energia dalla natura e ha costruito i mulini: strutture che pur senza nutrirsi, sono in grado di svolgere il lavoro di 60 persone. Infine, sono arrivate le fonti fossili e il petrolio. A questo punto la qualità della vita è migliorata così tanto che sembra impossibile separarsene.

Ad oggi più del 60% delle emissioni in atmosfera sono dovute al fossile e, per quanto la nascita del Ministero della transizione ecologica ci faccia pensare, e sperare, che quella energetica sia vicina, rimane una serie di problemi che ci separano dall’agognato obiettivo “fossile zero”. Primo tra tutti la sua sostituzione nel campo della produzione industriale particolarmente in tutti quei settori in cui si renda necessario il raggiungimento di elevate temperature.

Il secondo grande quesito della separazione dal fossile sta proprio nella produzione di energia pulita. Infatti, a differenza di quanto comunemente si pensi, il problema non risiede solo nel raggiungimento di una densità elettrica utile a svolgere il lavoro che fino a oggi ha egregiamente svolto il fossile, ma risiede anche nel posizionamento delle strutture che generino la nuova energia pulita tenendo conto che l’offshore non può rappresentare la totale soluzione.

Ammesso che si trovi il sistema per produrre l’energia green, per puntare alla neutralità climatica entro il 2050 si renderebbe necessaria una rivoluzione della rete energetica integrata con un ottimizzato sistema di accumulo, i cui costi sono molto più elevati di quelli derivati dalla lavorazione del vecchio amico petrolio. Infatti, per quanto si trovi lo spazio per posizionare le strutture necessarie, possibilmente senza disboscare, è necessario fare i conti con l’intermittenza nell’erogazione dell’energia. Il petrolio, una volta estratto è sempre pronto ad entrare in azione: delle fonti rinnovabili si può dire lo stesso? Se si alimentasse la propria casa esclusivamente con l’energia solare, tutte le docce fatte dopo il tramonto sarebbero piacevoli come secchiate d’acqua gelida: non è esattamente quello che ci si aspetta al termine una giornata impegnativa.

Indissolubilmente legata alla tematica del petrolio, abbiamo quella dei trasporti dove, anche in questo caso, l’immaginario comune a volte sembra ben lontano dall’aver fatto i conti con l’oste. Visto che il comparto navale e quello aereo sono ancora ben lontani dalla possibilità di un’alimentazione green essendo improponibile, specie per il trasporto navale, la rinuncia al fossile, ci limiteremo ad accennare solo al settore automobilistico. Il 12% delle auto immatricolate in Italia nel 2020 appartiene alla categoria “vetture elettriche pure o ibride plug-in”, ma questo non rappresenta un dato confortante. Infatti per quanto una vettura elettrica o ibrida in funzionamento elettrico non immetta anidride carbonica in atmosfera, l’impianto che ha generato l’energia con la quale l’auto si è mossa quasi sicuramente lo ha fatto. Uno scenario del genere non prevede la riduzione delle emissioni in atmosfera ma solo la loro delocalizzazione nello spazio e nel tempo. Quanto appena descritto non vuole essere una profezia di Cassandra, piuttosto è ciò che può essere dedotto dal  rapporto TERNA riferito al mese di Gennaio, secondo cui solo un terzo della domanda energetica del Belpaese è soddisfatta da energia derivante da fonti alternative.

Tra miraggio e realtà

Quasi sicuramente il 2050 non rappresenterà l’anno del raggiungimento della neutralità climatica ma questo non significa affatto che impegnarsi al suo perseguimento sia uno sforzo vano. Il cambiamento climatico e le sue dannose conseguenze sono praticamente dati per certi e imminenti e, piuttosto che non fare nulla, è sempre meglio agire pur correndo il rischio che quanto fatto non sia bastato. Il susseguirsi di azioni concrete non migliorerà da subito la situazione del Pianeta, ma siamo chiamati ad agire adesso nel rispetto delle generazioni future, perché non siano private dei benefici di cui i loro predecessori hanno goduto, e purtroppo abusato.

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Ambiente, società e tecnologia

Perché potrebbe essere possibile raggiungere la neutralità climatica nel 2050

Negli ultimi 40 anni l’umanità ha sempre più preso coscienza della realtà dei cambiamenti climatici e dell’impatto devastante che hanno (e avranno). Una consapevolezza che è cresciuta fino ad arrivare nel 2015 agli accordi di Parigi, il più importante impegno internazionale per tutelare l’ambiente: oggi ne fanno parte 197 Paesi.

Seguendo l’ammonimento della scienza, vuole contenere il riscaldamento del pianeta a 2 gradi rispetto all’era preindustriale, soglia considerata critica e di non ritorno per raggiungere la neutralità climatica.

Grandi obiettivi a lungo termine che non ammettono perdite di tempo, ma riusciremo a metterli in pratica concretamente e partendo adesso?

Alcuni si riferiscono al periodo che stiamo vivendo come una nuova rivoluzione industriale, che ponga la questione ambientale al centro e riveda il concetto di produzione da lineare a circolare, quanto più possibile. L’Unione Europea in questa rivoluzione ambisce al ruolo di protagonista, perché con il suo Green Deal si è posta obiettivi importanti volti al raggiungimento della neutralità climatica entro il 2050.

La crisi causata dal Covid-19, contrariamente alle aspettative di qualcuno, non solo non ha fermato i progetti della commissione europea, li ha addirittura rafforzati. Di fronte a una forte crisi le società sono maggiormente disposte a cambiamenti drastici nei loro piani.

Basti pensare al recovery fund e all’ingente parte di questo dedicato agli investimenti green da attuare nei vari stati membri.

Certo è che non possono rimanere promesse vaghe, c’è bisogno di una governance competente e coordinata tra i paesi membri che si ponga obiettivi raggiungibili e misurabili nel breve periodo.

Anche gli USA sono in campo per giocarsi un ruolo di primo piano, dopo l’amministrazione Trump notoriamente negazionista della questione climatica. Biden ha infatti promesso un piano di investimenti da 1,7 trilioni di dollari in energia pulita nei prossimi dieci anni, per creare nuovi posti di lavoro e convertire gli attuali impiegati nel settore energetico dei combustibili fossili. Non è da meno la Cina, che dall’altra parte del mondo intensifica i suoi sforzi specialmente per migliorare la qualità dell’aria, ponendosi obiettivi e controlli quinquennali.

Ci sono 4 settori in particolare che sono responsabili di gran parte delle emissioni di gas serra: energia, trasporti, edilizia e filiera alimentare.

Alimentazione

La filiera alimentare è un enorme contribuente al cambiamento climatico, specialmente quella degli allevamenti intensivi di bovini. Questi sono responsabili di emissioni di metano più che di anidride carbonica, per non parlare del consumo di suolo e acqua. “Se la popolazione delle mucche nel mondo fosse considerata come un paese, sarebbe uno tra i primi tre al mondo per emissioni di gas serra”, è l’ammonimento di Kimberly Henderson, esperta di sostenibilità e partner di McKinsey.

Segnali incoraggianti però arrivano dalle aziende, che stanno mettendo a punto e perfezionando varie tecniche di riduzione delle emissioni di metano (qui l’approfondimento de Il Post) ma anche dai consumatori, sempre più consapevoli dell’impatto delle loro scelte a tavola. Ridurre il consumo di carne e acquistare prodotti a KM0 sono entrambi trend in crescita.

Trasporti

Il settore automobilistico è responsabile del 15% delle emissioni di CO2 e ha dunque un ruolo centrale per la lotta al riscaldamento globale su due fronti, quello delle emissioni di scarico e le emissioni dei materiali dei veicoli. Le prospettive sono positive: le vetture elettriche stanno prendendo sempre più piede e c’è una crescente pressione per aumentarne ancora di più la quota di mercato, sia dagli investitori che dalle autorità. Sta anche facendo progressi l’industria delle batterie al litio, che diventa sempre più efficiente e circolare (è da poco nata Reneos, la piattaforma europea di raccolta e riciclo delle batterie esauste in grado di recuperarne la maggior parte dei componenti). Aziende come Tesla, poi, stanno studiando nuovi metodi per la produzione di batterie, come le LFP.

Le innovazioni nei trasporti più in senso lato corrono veloci: prosegue la sperimentazione di Hyperloop e si studiano nuovi combustibili, come l’idrogeno per gli aerei.

Energia

Il settore energetico costituisce la chiave di volta per la decarbonizzazione del nostro pianeta, a fronte di una richiesta energetica destinata ad aumentare. L’utilizzo di fonti esclusivamente rinnovabili non sarà una sfida facile.

Se, infatti, i combustibili fossili sono in grado di produrre energia 24 ore al giorno, le rinnovabili sono per lo più vincolate alle condizioni atmosferiche: di notte o in una giornata nuvolosa il solare non sarà sfruttabile, così come l’eolico in una giornata senza vento.

Sono in corso numerosi studi su come immagazzinare l’energia proveniente da queste fonti, magari in giga batterie, ma al momento si tratta di soluzioni estremamente costose.

Un ruolo molto importante potrebbe essere giocato dal nucleare, ma in assenza di un effettivo reimpiego delle scorie nucleari si tratterebbe solamente di spostare il problema.

C’è poi la questione del consumo di suolo: una “wind farm”, ad esempio, richiede un territorio molto più ampio rispetto a una centrale tradizionale, a parità di energia prodotta. E le dighe necessarie alla produzione di idroelettricità hanno il loro impatto sul territorio circostante.

In questo senso vengono in aiuto tecnologie come l’eolico offshore, di cui la Danimarca è leader, e nuove tecnologie in grado di sfruttare l’energia incessante delle onde marine, con impatto pressoché nullo sugli ecosistemi in cui vengono inserite.

E in realtà come l’Europa, la maxi-rete energetica interconnessa permetterebbe di sfruttare al massimo l’energia pulita dei vari paesi: eolico della Danimarca, solare dei paesi mediterranei, nucleare francese, geotermico italiano e così via.

Edilizia

La produzione di cemento è una delle attività più inquinanti, ma il settore dell’edilizia sostenibile (incentivato, ad esempio, dal Green Deal europeo) è in rapidissima ascesa: si stima che entro 6 anni raggiungerà un valore di mercato (mondiale) di oltre 180 miliardi di dollari, con una crescita dell’8,6% annuo.

Alcuni elementi chiave della nuova edilizia sono il prefabbricato con ampio uso di legname proveniente da foreste gestite in modo sostenibile e con certificazioni green.

Oltre al ripensamento dei materiali, il fatto di avere case prefabbricate aiuta a migliorare l’isolamento, con conseguente ottimizzazione dei consumi energetici.

Altro elemento chiave per il raggiungimento di questa ottimizzazione è l’intelligenza artificiale e l’indipendenza energetica, con il crescente utilizzo di pannelli solari e sistemi di domotica intelligente.

Questi sono solo gli aspetti più importanti che la nuova edilizia deve tenere d’occhio, ma certamente non gli unici. Se le previsioni saranno rispettate, il settore edilizio contribuirà a ridurre del 40% le emissioni di CO2 entro il 2030.

Mercati

Tutta questa questione di new economy e piani per il clima si basa su previsioni future dall’esito molto incerto, e altrettanto volatili sono i mercati. Proprio su questi possiamo tentare di indagare per scoprire il destino (almeno nel breve termine) dello sviluppo sostenibile.

Tesla, la cui mission è “accelerare la transizione del mondo verso l’energia sostenibile” ha avuto un boom in borsa ed il suo CEO è attualmente l’uomo più ricco del mondo, con super investimenti in vari campi di innovazione tecnologica.

Gli investimenti in energia rinnovabile sono sempre di più, da governi e privati, e nello scorso anno il settore automobilistico a 0 emissioni è cresciuto enormemente rispetto alla controparte a combustione interna, anche in Italia. Sembrerebbe, dunque, che la sostenibilità stia vincendo.

Alla luce di tutto questo, con così tante variabili in gioco e così tanta incertezza, risulta veramente difficile affermare con certezza se le emissioni verranno azzerate nel 2050 o qualche anno dopo. La rapidità con cui il mercato sta cambiando in pochi anni, però, non può che lasciarci fiduciosi.

Un altro fattore che ci rende ottimisti è la ricerca di metodologie per catturare i gas serra già presenti nell’atmosfera, a partire dal più semplice e naturale di tutti: la riforestazione. Oltre a ciò, alcuni personaggi influenti della scena internazionale (come Bill Gates ed Elon Musk) stanno incentivando la ricerca per metodi artificiali di carbon capture technology e sensibilizzando l’opinione pubblica sull’importanza di agire.

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Ambiente, società e tecnologia

Robotaxi Zoox: oltre ai pacchi ora Amazon vuole portare a destinazione pure noi

“The future is for riders, not drivers” è lo slogan di Zoox, startup che si occupa della progettazione e produzione di veicoli elettrici a guida autonoma acquistata quest’anno da Amazon, che ha appena lanciato su strada una prima versione di robotaxi. L’innovazione promette di rivoluzionare il futuro del trasporto pubblico che sarà guidato dalle intelligenze artificiali in forma rigorosamente sostenibile.

Il veicolo

A prima vista si presenta così: ridotto, compatto, bidirezionale, dal design squadrato per massimizzare lo spazio, simile ad un minibus ma comodo come un taxi. Con due porte d’ingresso e quattro posti a sedere dotati di cinture di sicurezza, airbag e diversi comfort, nell’abitacolo è presente anche un porta bevande, una presa di corrente e un mini schermo per tracciare il percorso che si sta compiendo. L’innovativo veicolo, con un’autonomia di 16 ore, può raggiungere la velocità di 120 km/h e si prenota con un’app dalla quale si può anche “personalizzare” la propria corsa scegliendo l’ora e il luogo di partenza e arrivo oltre che la musica e il riscaldamento a proprio piacimento.

Aicha Evans, CEO di Zoox, in un’esclusiva intervista promette: il nuovo robotaxi sarà pulito e sicuro, ad un prezzo accessibile per tutti, con diverse modalità di abbonamento a seconda delle esigenze del singolo cliente e prima ancora di scendere, il taxi saprà già chi dovrà salire, così da essere sempre efficiente e viaggiare al massimo delle sue potenzialità, in modo da non girare a vuoto.

Ma è sicuro?

Progettato appositamente per il traffico cittadino e la mobilità urbana, il robotaxi è agile nel muoversi tra gli oggetti e i costruttori promettono di garantire la massima sicurezza: il veicolo possiede infatti telecamere, radar e lidar scanner ad ognuno dei 4 angoli così da permettergli una perfetta visuale a 360 gradi rivela Mark Rosekind, Chief Safety Innovation Officer.

Ashu Rege, Senior President Software, in uno dei video di presentazione pubblicato sul canale youtube dell’azienda, spiega come funziona il “cervello” del veicolo: “il software è un intelligenza artificiale programmata per elaborare le informazioni visuo-spaziali proprio come farebbe la mente umana, come gli esseri umani riesce a prevedere le mosse altrui ed è in costante apprendimento, a differenza di questi però, che possono fare affidamento solo sulla vista e nemmeno sempre bene, il robot possiede ai suoi 4 angoli una combinazione di tecnologie che gli permettono di vedere e ricostruire tutto ciò che ha attorno nel raggio di 150 metri“.

E in futuro? il servizio non sarà forse così immediato…

I piani per il futuro non sono ancora perfettamente definiti: per il momento Zoox vuole testare questo nuovo sistema per essere certi che sia sicuro e adeguato in ogni situazione, al massimo dell’efficienza per le strade di San Francisco, Las Vegas e Foster City. Quando lo si vedrà in servizio anche nelle altre città? Evans non si vuole sbilanciare molto, ma ammette: “non prima di un anno”. Ci vuole ancora tempo dunque, ma la rivoluzione dell’AI è qui e Bezos è pronto a finanziarla.
D’altronde il futuro è dei passeggeri, non dei guidatori.

Zoox L5 Fully Autonomous, All-electric Robotaxi Interior
Zoox Fully Autonomous, All-electric Robotaxi
Zoox L5 Fully Autonomous, All-electric Robotaxi at Coit Tower San Francsico
Zoox Fully Autonomous, All-electric Robotaxi
Zoox L5 Fully Autonomous, All-electric Robotaxi
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Economia, StartUp e Fintech

Hyperloop: viaggiare verso il futuro

Il treno super veloce di Richard Branson, il Virgin Hyperloop, ha sperimentato con successo il suo primo viaggio con passeggeri a bordo: il test è stato svolto l’8 novembre nel sito di prova di Las Vegas, nel deserto del Nevada, luogo in cui la compagnia aveva già concluso in passato ben 400 prove, senza però il coinvolgimento di esseri umani all’interno dell’Hyperloop.

I primi due passeggeri scelti per effettuare il test di sicurezza, Josh Giegel, Chief Technology Officer, e Sara Luchian, direttrice per la “passenger experience”, hanno avuto l’opportunità di constatare l’efficienza di questo nuovo veicolo: comodamente seduti all’interno della capsula, sono stati lanciati lungo un tubo di 500 metri e, raggiungendo la velocità di 172 chilometri orari, l’hanno percorso in soli 15 secondi.

L’esperienza è stata descritta da uno dei due fortunati passeggeri come l’opportunità di aver visto la storia compiuta davanti ai propri occhi.

Che cos’è un Hyperloop?

Si tratta di un mezzo di trasporto innovativo e molto veloce costituito da una capsula, il cui funzionamento prevede che quest’ultima, sfruttando un sistema di propulsione elettrica e levitazione magnetica, venga lanciata a vuoto all’interno di un tubo a bassa pressione.

Le produzioni future prevedono che questi mezzi di trasporto raggiungano velocità di almeno 965 chilometri orari.

L’obiettivo dei creatori degli Hyperloop consiste nella realizzazione di mezzi di trasporto affidabili ed efficienti per lo spostamento di persone e merci in grado di coprire lunghe distanze in brevissimo tempo, utilizzando solamente tecnologie sostenibili.

I passeggeri del test hanno viaggiato all’interno del nuovo XP-2 Veihicle, il quale presenta le caratteristiche che avranno gli Hyperloop prodotti in futuro dalla compagnia: essi saranno provvisti di morbidi e comodi sedili e piccole finestre, saranno molto silenziosi, avranno sistemi di sicurezza affidabili e un sistema di controllo all’avanguardia in grado di innescare rapidamente risposte appropriate in caso di emergenza.

In questa occasione la capsula utilizzata comprendeva posti per due soli passeggeri, ma la produzione futura prevede che il veicolo finale sia molto più grande, provvisto di almeno 28 posti a sedere.

Per quale motivo dovremmo affidarci ad Hyperloop?

Questa nuova forma di trasporto ha numerose qualità che la distinguono dai consueti mezzi ai quali siamo abituati oggi.

È infatti: più veloce, più sicura, più conveniente dal punto di vista economico e più comoda per gli stessi passeggeri.

Inoltre, secondo quanto affermato dalla compagnia, è particolarmente efficiente: Hyperloop sarebbe in grado di viaggiare alla velocità di un aircraft ma consumando molta meno energia rispetto ad esso.

La velocità che questi nuovi veicoli potranno raggiungere sarà pari a quella di un jet commerciale e ben quattro volte maggiore rispetto a un treno ad alta velocità.

Utilizzando questi mezzi di trasporto sarebbe possibile percorrere distanze come, per esempio, il tratto New York-Washington in soli 30 minuti!


Il successo che ha riscontrato il recente test effettuato dalla compagnia è stato molto incoraggiante per i creatori di Virgin Hyperloop, tanto che hanno deciso di accelerare il processo di concretizzazione del progetto in modo tale da renderlo realizzabile non in decenni, ma in pochissimi anni: sono infatti intenzionati a ottenere le autorizzazioni necessarie già nel 2025.

La tecnologia è in continua evoluzione e in questo specifico caso è pronta per un’importante e rapida svolta. Saremo in grado di adattarci ai sempre più immediati cambiamenti tecnologici in maniera altrettanto rapida?

Il portellone interno di Hyperloop
Hyperloop visto dall’esterno
Il tunnel utilizzato per il test