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Ambiente, società e tecnologia

Multa a Google: 100 milioni di euro per concorrenza sleale

L’antitrust italiana, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, ha recentemente inflitto una sanzione di oltre 100 milioni di euro a Google (Alphabet Inc., Google LLC e Google Italy S.R.L.) per abuso di posizione dominante.

 

Google vs Enel X Italia

Google LLC è una società multinazionale interamente posseduta e controllata da Alphabet Inc, la quale è presente anche in Italia tramite Google Italy S.R.L., impresa controllata.

Google LLC è altersì la holding, ovvero la società che detiene la maggioranza delle azioni e il controllo in un gruppo di imprese, a cui Android, Android Auto, Google Play e Google Maps fanno capo.

Il sistema operativo Android comprende l’app store Google Play e Android Auto, un’applicazione che consente l’uso dello smartphone all’interno dell’automobile tramite comandi vocali, comandi manuali o l’uso dello schermo digitale se presente, in modo tale da guidare senza il rischio di distrarsi. Google lo ha annunciato il 25 Giugno 2014 rendendolo disponibile poi a Marzo 2015.

All’interno di questa vicenda troviamo come parte coinvolta il Gruppo Enel che opera nella mobilità elettrica tramite Enel X Italia S.R.L., il quale fornisce ai clienti finali tali servizi.

Enel X Italia è lo sviluppatore dell’applicazione JuicePass (denominata Enel X Recharge), disponibile da Maggio 2018 sull’app store Google Play, che consente di gestire i servizi di ricarica dei veicoli elettrici, in particolare quelli di ricerca di colonnine di ricarica, navigazione, prenotazione e pagamento. Quest’ultima però non è disponibile su Android Auto.

 

Google ha favorito per due anni il suo prodotto: Google Maps

Tutto ha avuto inizio nel 2019, quando è stato avviato il procedimento da Enel X Italia nei confronti di Google. A seguito di una richiesta diretta e formale, in quanto Google non ha mai consentito di rendere disponibile sulla piattaforma Android Auto l’applicazione JuicePass sviluppata da quest’ultima.

La questione di fondo sta proprio nel fatto che Google, grazie al controllo che ha su Android Auto e Android, ha il potere di decidere quali applicazioni devono essere pubblicate o meno sull’app store. In questo modo Google ha ingiustamente limitato le possibilità per gli utenti di utilizzare tale applicazione e in particolare il Garante ha ritenuto che abbia invece favorito, in questi 2 anni, l’utilizzo di un suo prodotto ovvero Google Maps, il quale fornisce servizi per la ricarica dei veicoli elettrici quali la ricerca e la navigazione, ma non ancora la prenotazione e il pagamento.

Secondo l’Autorità “attraverso il sistema operativo Android e l’app store Google Play, il motore di ricerca Google detiene una posizione dominante che le consente di controllare l’accesso degli sviluppatori di app agli utenti finali”, in particolare in Italia: “circa i tre quarti degli smartphone utilizzano Android. Google è un operatore di assoluto rilievo, a livello globale, nel contesto della cosiddetta economia digitale e possiede una forza finanziaria rilevantissima”.

 

L’abuso di posizione dominante

La condotta messa in atto da Google, di ostacolo alla pubblicazione dell’app sviluppata da Enel X Italia sulla piattaforma Android Auto, rientra nell’ambito dell’articolo 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea che così disciplina: “È incompatibile con il mercato interno e vietato, nella misura in cui possa essere pregiudizievole al commercio tra Stati membri, lo sfruttamento abusivo da parte di una o più imprese di una posizione dominante sul mercato interno o su una parte sostanziale di questo.”

Si ritiene che Google abbia abusato della sua posizione dominante nel mercato, indiscussa, essendo potenzialmente idonea a pregiudicare il commercio all’interno dell’Unione Europea.

Tale abuso si concretizza quindi quando un’impresa sfrutta il proprio potere dominante per impedire l’accesso al mercato anche agli altri concorrenti rendendo nulla la concorrenza.

Si è anche messo in luce il fatto che egli detiene una quota di mercato della concessione di licenze pari al 96,4%, in tal senso è deducibile che il confronto con altre società è quindi impossibile.

Si è quindi imposto a Google di porre fine ai comportamenti distorsivi della concorrenza messi in atto e di astenersi dal compierne altri nel futuro.

 

La diffida dell’Autorità

In tal senso oltre che l’irrogazione della sanzione pecuniaria, l’Autorità ha poi indicato nella diffida il comportamento che Google dovrà tenere per porre fine a tale abuso e per evitare ulteriori effetti negativi nei confronti di Enel X Italia. Gli è stato quindi imposto di mettere a disposizione di quest’ultima gli strumenti necessari per la programmazione di applicazioni che permettono l’interazione con Android Auto. È stata anche prevista un’attività di vigilanza, da parte di un esperto nel settore, per poter verificare l’effettiva e corretta attuazione di tali obblighi imposti.

 

Google in disaccordo

“Siamo rispettosamente in disaccordo con la decisione dell’AGCM, esamineremo la documentazione e valuteremo i prossimi passi”. Questo è quello che è stato affermato da un portavoce di Google. “La priorità numero uno di Android Auto è garantire che le app possano essere usate in modo sicuro durante la guida. Per questo abbiamo linee guida stringenti sulle tipologie di app supportate sulla base degli standard regolamentari del settore e di test sulla distrazione al volante.”

Secondo Google ciò costituirebbe una giustificazione oggettiva al proprio comportamento. Inoltre, rivendica anche di aver provato in buona fede a proporre ad Enel X delle soluzioni ulteriori che potessero soddisfarla ma esse non furono accettate.

 

Una vittoria per Enel

Per Enel invece questo rappresenta uno stimolo per l’innovazione e per fronteggiare la concorrenza con i fornitori di servizi di mobilità. Ha così affermato: “Vogliamo arrivare a mappare 200mila punti di ricarica fra Europa e Stati Uniti e a Ottobre avremo la funzione Trip Planning, che permette di calcolare il percorso da un punto a un altro tenendo conto dell’autonomia dell’auto e delle colonnine di ricarica presenti sull’itinerario”. Gli obiettivi sono forti e chiari dovuti anche alla netta vittoria su Google.

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Entertainment, videogame e contenuti

Il fallimento di Google Stadia: non siamo ancora pronti per il cloud gaming?

Immaginate poter videogiocare titoli di qualità ovunque e con prestazioni da console di ultima generazione, magari di iniziare una partita sul televisore del soggiorno e continuarla qualche ora dopo in metropolitana sullo smartphone. Immaginate di poter fare tutto questo scegliendo da un’ampia galleria di titoli non più acquistati singolarmente ma inclusi in unico abbonamento. Tutto ciò senza dover acquistare alcun device o console in particolare. Senza dubbio il sogno di qualsiasi giocatore. Eppure qualcosa non sta funzionando. Il progetto di cloud gaming di Google, la sua Stadia, è fallito dopo poco più di un anno di servizio. Perché? Ha sbagliato qualcosa la compagnia della Silicon Valley o, più semplicemente, è troppo presto per questa nuova concezione di videogioco?

Il cloud gaming: cos’è? Quali sono i vantaggi?

Ma facciamo un passo indietro, il cloud gaming è una tecnologia sperimentale che consente di videogiocare in streaming da qualsiasi device si desideri, indipendentemente dalle caratteristiche tecniche di quest’ultimo. Il gioco in sé, infatti, viene eseguito sui PC di fascia alta presenti nei vari server (di proprietà dell’emittente del servizio) e riprodotto sullo schermo che il giocatore sceglie di utilizzare e da cui invierà i comandi. Ciò permette di godere di prestazioni elevate senza dovere acquistare alcun computer o console e, di conseguenza, elimina tutte le spese per i vari aggiornamenti hardware. Spesso, inoltre, questi servizi di cloud gaming offrono un’ampia galleria di videogiochi inclusi nell’abbonamento rendendo il tutto particolarmente economico (anche se, come vedremo, nulla viete di vendere singoli titoli giocabili solamente in cloud). Insomma, quello a cui si mira, fedelmente alle tendenze degli ultimi anni, è la creazione di una “Netflix dei videogame”. Da notare, però, come sia, per forza di cose, necessaria una buona connessione vista la mole di dati che il dispositivo deve scambiare con i PC che riproduce il gioco in remoto. Sicuramente, questo fattore sta influendo molto negativamente sulla diffusione di questo genere di servizi, soprattutto nel nostro Paese, e potrebbe essere uno dei motivi per cui neppure un gigante come Google non è riuscito a sfondare. Ma non è certo il solo né il principale.

La fallimentare incursione di Google

Google ha, quindi, provato a fare il suo ingresso nell’industria videoludica offrendo il suo servizio di cloud gaming: Google Stadia. La missione di Google era quella di scatenare una vera e propria rivoluzione che scardinasse il classico recinto del gaming su console/computer. Al modico costo di 9.99 euro mensili, con il primo mese di prova gratuito, Stadia offre prestazioni elevate tramite, appunto, il gioco in cloud e una discreta, vera nota dolente, galleria di titoli inclusi nell’abbonamento. Nonostante io creda non ci sia nulla da eccepire a livello tecnico – pur utilizzando una connessione a 30 mbps non sto avendo nessun problema di lag o simili – il vero problema di Stadia è la scarsità di contenuti. Con il solo abbonamento, infatti, i titoli giocabili senza ulteriori spese sono, al momento, solamente 24 e, tra questi, si contano sulle dita di una mano quelli “di spessore”. Tutti gli altri giochi, invece, sono disponibili a pagamento e, come se non bastasse, a prezzo pieno. Insomma, più che una “Netflix del videogioco”, Google Stadia si rivela essere una console smaterializzata ad abbonamento. Console che, oltre al vantaggio economico (sul breve periodo) e la possibilità di giocare su più device, non offre veramente nulla in più di una PlayStation o di un Xbox ma, anzi, presenta uno store decisamente scarno e con mancanze di titoli di richiamo (basti pensare che non sono disponibili due titoli mainstream come Fortnite e Fifa 21) che, francamente, faccio fatica a spiegarmi. Aggiungiamoci che, qualche giorno fa, Google ha deciso di chiudere i battenti ai suoi due team addetti allo sviluppo di titoli in esclusiva per capire che il fallimento della piattaforma è tutto meno che dovuta alla diffusione della banda larga o all’immaturità tecnologica del pubblico.

Amazon punta alla luna

Nonostante il ridimensionamento delle aspettative di Google riguardo il cloud gaming, anche Amazon si sta preparando a entrare nel mercato con Amazon Luna. Quest’ultimo è un servizio attualmente disponibile in early access solamente negli Stati Uniti ed ha tutte le carte in regola per riuscire dove Stadia ha fallito. Innanzitutto il prezzo è decisamente più contenuto, circa 6 dollari, e l’abbonamento offre l’accesso a tutti i giochi disponibili senza alcun acquisto extra. Tutti i titoli saranno riproducibili in 4K (cosa che Stadia aveva promesso ma non mantenuto e per cui è in corso una class-action contro Google) e sarà possibile giocare su due dispositivi nello stesso momento. Acquistabile separatamente sarà, invece, l’apposito controller che, tramite l’integrazione con Alexa, consentirà l’utilizzo dell’assistente vocale per navigare tra l’amplio ventaglio di videogame disponibili. Sicuramente è ancora presto per parlare di esperimento riuscito ma la reazioni da oltreoceano sembrano essere, nonostante si tratti ancora di una versione early access, decisamente ottimistiche e le potenzialità sembrerebbero esserci tutte.

Sony, Microsoft e Nintendo: cosa faranno?

Vista la natura “smaterializzante” del cloud gaming resta da chiedersi quale destino spetta ai tre storici player dell’industria console. Sony e Microsoft sono già in partita con i loro servizi di cloud gaming – PlayStation Now (700+ titoli ma non di ultima generazione, 9.99 euro al mese) e Xbox Game Pass Ultimate (100+ titoli anche in download, 12.99 euro mensili) – disponibili in tutto il mondo, mentre Nintendo, come ormai un po’ per tutto, sembra essere abbastanza refrattaria verso questa nuova tecnologia. Tuttavia nemmeno Nintendo Switch, la console ibrida della compagnia di Kyoto, è rimasta immune da contaminazioni del cloud gaming: diversi titoli disponibili nello store virtuale sono acquistabili solamente nelle loro “Cloud Version” per sopperire alle mancanze tecniche della console. Indice, questo, di come il cloud si stia già radicando nel mercato e, probabilmente, sarà destinato a sconvolgerlo indipendentemente dalla volontà dei “big player”.

C’è un luogo e un momento per ogni cosa! Ma non ora?

Tutto considerato, è quindi difficile rispondere alla domanda che ci siamo posti a inizio articolo. O, meglio, forse è semplicemente troppo presto per farlo. Il cloud gaming è una tecnologia che è stata resa disponibile al grande pubblico solamente da un paio di anni e che non ha ancora avuto la possibilità di esprimere completamente il suo potenziale. Inoltre, tutti i servizi citati in questo articolo hanno, al momento, avuto una scarsa pubblicizzazione presso il pubblico generalista che, a mio avviso, è quello verso cui dovrebbero puntare. Dico ciò non solo per l’ovvio motivo che sarebbe un pubblico più ampio ma perché molto spesso i videogiocatori “hardcore” che utilizzano console di ultima generazione o PC (a cui, per esempio, Stadia si rivolgeva) sono molto fidelizzati e affezionati al concetto di possesso sia dell’hardware in sé che dei singoli giochi. Di conseguenza, il vantaggio economico non credo sia attrattivo per quel pubblico mentre, invece, credo sarebbe più facile convincere gli utenti “casual” che, magari, giocano su smartphone o su vecchi device ad avvicinarsi a titoli più elaborati tramite questo genere di servizi, decisamente più economici rispetto a qualsiasi cambio di hardware, soprattutto se si pensa ad Amazon Luna, ma non inferiori a livello di prestazioni. Insomma, quella del cloud gaming è una partita ancora tutta da giocare e un mercato da tenere d’occhio.

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Ambiente, società e tecnologia

Huawei, Amazon e Google: nuove tecniche di formazione in cloud

Amazon e Google (in primis) e Huawei qualche posizione più sotto, hanno registrato un aumento percentuale dei ricavi, come dimostrato dai dati trimestrali della Borsa di Wall Street; risultati ottenuti a seguito del potenziamento dei sistemi di cloud computing o più semplicemente cloud.

Una tecnologia, quindi, essenziale in società sempre più informatizzate dove il numero dei dati condivisi va via via crescendo.

Il periodo esatto in cui tale tecnologia ha raggiunto il suo apice coincide con l’avvento della pandemia da COVID 19 in quanto, quest’ultima, non ha fatto altro che accelerare la Digital transformation. Una prima problematica è legata al rapido aumento delle nuove tecnologie dell’Industria 4.0 (termine coniato durante la Fiera di Hannover del 2011) anche in risposta al cambiamento climatico in atto.

Si evince questo aspetto dal Report 2020 sui lavori del futuro redatto dal WEF (World Economic Forum) incrociando i dati raccolti dalle interviste dei leader aziendali e quelli estrapolati da recenti fonti pubbliche e private; in tale documento si afferma che entro il 2025 più dell’80% dei leader sceglieranno di utilizzare le nuove tecnologie per automatizzare i processi di lavoro (in modo da riuscire a definire un’economia verde), destinando i lavoratori ad un lavoro a distanza e ad una formazione obbligatoria e in linea al cambiamento tecnologico attuato.

Dato che la formazione rivestirà un ruolo centrale, sarà essenziale il ruolo delle persone nella cultura e, in particolare, in un sistema educativo dovrà essere adeguato, disponibile nel minor tempo possibile e facilmente fruibile (indipendentemente dall’area geografica, dalle risorse economiche disponibili e dall’età); e da qui l’altro problema accentuato con la pandemia: il divario nell’erogazione dell’istruzione; infatti, come afferma il rapporto OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) “Education at Glance” del 2020 l’Europa registra i punteggi più bassi nell’iscrizione universitaria a causa di una presenza più massiccia di insegnanti anziani che perseguono una modalità di apprendimento obsoleta rispetto alla rivoluzione culturale in atto.

Un quadro generale doveroso per spiegare i risultati economici raggiunti e gli obiettivi prefissati dai colossi Big Tech Huawei, Amazon e Google: loro vogliono sviluppare dei servizi di formazione in grado di superare rapidamente questi problemi senza perdere di vista l’importanza di riprodurre un’interazione online studente-insegnate molto simile a quella offline e con un occhio di riguardo per quei paesi più in difficoltà in tal senso. Inoltre, i siti sono stati creati in modo accurato in quanto ogni prodotto o servizio offerto (compresa l’architettura usata) sono stati spiegati dettagliatamente offrendo, comunque, un supporto tecnico per ogni tipo di problema. Ma andiamo per ordine.

Huawei Smart Education

Huawei ha deciso di puntare molto sull’infrastruttura più che sulla diversificazione formativa; infatti, come prima distinzione nell’erogazione della formazione propone di scegliere tra un corso online e interattivo (dove il sistema HUAWEI CLOUD Internet RTC garantisce un modello di educazione basato su un’interazione con poco pubblico, mirata e di breve durata),un corso online basato sui video (dove viene utilizzata la tecnologia VOD HD) e un corso dal vivo con una classe di grandi dimensioni (dove si fare uso di un sistema di bitrate HD e di transcodifica).

Nello specifico, incrementa le infrastrutture sulla base del livello di istruzione di riferimento: scuole primarie e secondarie e scuole di istruzione superiore, professionali e imprese; nel primo caso, utilizza reti cloud e attività di O&M per permettere una gestione centralizzata di tutte le reti sparse per il territorio delle scuole primarie e secondarie (in modo da non dover richiedere tecnici sul posto), per la creazione di app mobili per cellulari (così da poter gestire i servizi ovunque e in qualsiasi momento) per l’utilizzo congiunto di Big Data e API che permettono la creazione di interfacce diversificate così da essere adattate ai differenti settori educativi.

Nel secondo caso, invece, vengono utilizzate reti cloud, sistemi di IA e di Big Data per creare un modello di educazione online specifico per ogni studente o lavoratore, in modo da garantire sempre interattività, coinvolgimento e rapidità di apprendimento. I corsi offerti riguardano il cloud computing, i Big Data, il Software Talent Education (un’educazione ingegneristica proiettata all’IT e ai settori emergenti) e l’AI Talent Education (che si basa sulla piattaforma Model Art)

Huawei si impegna anche sul fronte della ricerca offrendo un Network nazionale a banda larga per garantire l’utilizzo dei Big Data nelle tecnologie emergenti riguardanti la rilevazione dei geni, l’analisi geologica e l’osservazione astronomica.

Nessuno rimane escluso in questa iniziativa: anche i professori (assieme ai supporti tecnici) imparano a gestire l’informatizzazione creando piattaforme digitali in linea col sistema educativo vigente, garantendo la creazione di Siti Web, lo sviluppo di APP e l’archiviazione di materiali didattici, video e immagini; e permettendo, inoltre, di definire un piano intelligente di valutazione dei compiti a casa e di apprendere in materia di IA per una migliore esperienza nella didattica.

Amazon Education

Amazon concentra il suo servizio cloud sull’AWS Education ovvero sull’iniziativa volta ad accelerare l’apprendimento del cloud (specifico per ogni tipo di studente) e così migliorare l’assetto delle startup, delle società e di tutti i tipi di organizzazioni; per promuovere tale iniziativa in ambito scolastico, ha creato dei programmi specifici a seconda del soggetto interessato: nel caso di uno studente di scuola superiore, egli potrà valutare le proprie competenze sbloccando dei badge e seguendo dei percorsi professionali nel cloud; nel caso di una persona in età universitaria, essa potrà seguire un programma Cloud Degree per sviluppare un piano formativo di due o quattro anni in cloud computing; nel caso di un docente, egli ha la possibilità di apprendere la materia al fine di aiutare gli studenti in questo percorso (prendendo spunto per attività didattiche originali e giochi con il programma Amazon Ignite e ottenendo rapidamente il materiale scolastico grazie a LMS Integrated Store).

Per persone al di fuori del sistema educativo, Amazon ha pensato ad un evento di due settimane chiamato AWS re:Invent che permette un apprendimento gratuito attraverso un programma personalizzabile e certificato, e webinar con i massimi esponenti del campo.

Per gli studenti delle scuole primarie e secondarie, invece, ha preferito puntare ad un approccio cloud più semplice e giocoso mediante sfide interattive e attività pratiche.

Affinché Amazon possa offrire vantaggio a chi si affida a lui per l’istruzione sul cloud, offre servizi come amazon business e Prime student cosicché studenti e professori possano avere accesso a tantissimi materiali e anche in tempi brevi e con scontistiche più vantaggiose.

Anche Amazon si impegna nel premiare gli studenti più meritevoli con finanziamenti per i loro progetti attraverso il servizio amazon catalyst.

Google For Education E GSuite Enterprise For Education

Google sfrutta software open source e software-defined avanzati, integrati con un sistema di cloud incentrato sui big data e sul machine learning, per garantire risultati rapidi, coerenti e scalabili.

I servizi offerti si dividono tra quelli offerti agli studenti e quelli offerti per la formazione degli insegnanti.

Nel primo caso, attraverso il servizio chiamato Classroom, ciascun studente avrà la possibilità di fruire in contemporanea a tutti quelli della stessa classe di documenti ed elenchi e di rimanere sempre aggiornati attraverso promemoria e riunioni (stabilite dalla professoressa).

Le risorse didattiche offerte, inoltre, permettono un migliore apprendimento dell’alunno attraverso app, guide e programmi per adattare le lezioni in base agli alunni e agli standard educativi, per permettere ai genitori di imparare ad usare il digitale in sicurezza, per condurre esperimenti scientifici analizzando e comparando i risultati, per raccontare storie con la realtà aumentata e molto altro ancora; tali risorse sono classificate in “Programmazione e informatica”, “Strumenti per la creatività”, Alfabetizzazione digitale”, “Coinvolgimento della famiglia”, “Strumenti didattici”, “Lingue, arte e cultura”, “Strumenti per tutta la scuola” e “Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica”.

Inoltre, per avvicinare all’informatica anche ai meno appassionati, sono stati realizzati programmi specifici e semplificati, in contrapposizione ai corsi più professionali legati ai big data machine learning, allo spazio di archiviazione e networking, all’automazione e alla gestione delle API.

Google, però, non tralascia ambiti come la ricerca (per la quale offre borse di studio per usufruire gratuitamente di tutti i prodotti Google Cloud) e ambiti legati alla musica, alla moda e ai videogiochi (attraverso il corso gratuito Google CS First).

Nel secondo caso, invece, Google concentra l’attenzione sulla formazione degli insegnanti in ambito informatico dandogli anche supporto tecnico nella gestione dei vari servizi; inoltre, grazie al Transformation Center di Google for Education, gli insegnati possono accedere a casi reali su come altri docenti hanno creato una cultura tecnologica nel loro istituto e su come hanno realizzato programmi efficaci per lo sviluppo professionale.

Infine, Google ha previsto delle sessioni personalizzate di formazione aziendale (tenutesi ad Ottobre 2020) per i paesi più indietro come Europa, Medio Oriente e Africa.

Tre colossi, tre offerte abbastanza simili e davvero essenziali ma che gettano ancora ombre sull’eventualità di un aumento della dipendenza tecnologica e sulla possibilità che i dati sensibili a loro concessi non siano sicuri. Tutti timori a cui Huawei, Amazon e Google hanno risposto redigendo guide e soluzioni per un uso mirato e intelligente della tecnologia e dedicando sezioni dei loro siti per parlare dell’efficienza del loro cloud in materia di sicurezza; ma il riscontro è stato tutt’altro che positivo.