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Se vi siete mai trovati nella situazione di dover cambiare auto, sapete quanto l’iter, solitamente molto lineare, nel 2021 sia diventato un vero rompicapo: le case di produzione riscontrano problemi nel reperire le parti elettroniche, ed in men che non si dica l’intera filiera si blocca.

Nell’ultimo anno infatti si è assistito ad una vera e propria corsa ai microchip da parte di aziende di differenti settori, nel tentativo disperato di riuscire a produrre i propri prodotti e non rischiare il fallimento durante la fase finale di questa pandemia.

 

Cosa sono i chip e perché sono diventati indispensabili

Un chip è un piccolo wafer fatto di materiali semiconduttori utilizzato per produrre un circuito integrato. I materiali semiconduttori sono quei materiali che possiedono un valore di conducibilità elettrica a metà tra un conduttore, come può essere il rame metallico, ed un isolante, come ad esempio il vetro. I più comuni sono il silicio ed il germanio.

Semiconduttori e microchip possiedono la caratteristica di servire da unità, permettendo all’elettricità di passare da una piattaforma all’altra.

Altro elemento indispensabile nello scacchiere della produzione dei microchip sono le terre rare, impiegate nella produzione di magneti o condensatori.

I chip rappresentano il “cervello” di qualsiasi dispositivo elettronico, sono quell’elemento che permette alla macchina di dare vita alle azioni per cui è stata progettata.

Sono l’elemento chiave del nostro presente: l’industria 4.0 in cui il 5G, con le smart home e le smart cities, le auto elettriche e la blockchain sono protagonisti.

 

I fatti

Le terre rare sono 17 elementi chimici, chiamate così per via degli elevati costi ambientali e sociali legati alla loro estrazione, si trovano inglobate nelle rocce unite ad altri minerali e sono geograficamente concentrate in diverse parti del mondo. La Cina rappresenta il leader, possedendo circa un terzo delle riserve mondiali, seguita da Vietnam, Brasile, Russia, India, Australia e Stati Uniti. Il primo motivo della crisi è rappresentato proprio dalle tensioni geopolitiche tra Stati Uniti e Cina.

Il Covid-19 ha impattato differenti aspetti della vita, sia per i consumatori che per i produttori.

I consumatori hanno dovuto rivoluzionare sia il loro approccio agli aspetti lavorativi, passando spesso da soluzioni “mobile” (utilizzando strumenti come smartphone e tablet) a postazioni fisse con l’ausilio dei computer portatili e desktop, sia per quanto riguarda il proprio modo di vivere la quotidianità all’interno delle proprie abitazioni: in molti hanno riscoperto la propria dimensione domestica, andando ad acquistare elettrodomestici ed elettronica, anche incentivati sia dall’esplosione degli e-sports insieme al rilascio delle nuove generazioni di console xbox e playstation, sia dagli imminenti appuntamenti sportivi che si sarebbero svolti durante l’estate.

I produttori che integravano nei loro prodotti dei chip hanno quindi iniziato a dover competere fra loro per accaparrarsi le scorte per continuare a realizzare i propri prodotti e superare la crisi dovuta alla situazione economica creatasi.

Tra i settori che hanno sofferto di più della situazione pandemica c’è quello automobilistico: dapprima con un forte backlog dovuto al crollo delle immatricolazioni dovuti ai lockdown, e in un secondo momento, complice la sempre più numerosa quantità di sistemi elettronici impiegati, dal difficile reperimento dei chip sui mercati. Basti pensare che in media sono presenti 1400 microchip all’interno di un’auto, la cui fabbricazione richiede in genere 12 settimane.

Ciò ha fatto sì che ci fosse un eccesso di domanda a fronte di una produzione geograficamente circoscritta tra Taiwan e la Corea del Sud.

 

Perché Taiwan?

A Taiwan ha sede la TSMC (Taiwan Semiconductors Manufacturing Company) che è il maggior produttore di chip a livello globale e il principale fornitore dell’industria automobilistica, insieme a United Microelectronics e Winbond, facenti parte dello stesso gruppo.

Essendo l’isola uno dei luoghi più piovosi al mondo, si è rivelata ben presto essere il luogo ottimale per la produzione perché i semiconduttori richiedono una fornitura stabile di acqua dolce.

Taiwan si trova ad affrontare un drammatico momento di siccità, un dato che preoccupa non solo gli abitanti dell’isola, ma scuote ancora di più lo scenario mondiale.

Le autorità locali stanno attuando differenti misure di emergenza come l’interruzione dell’ irrigazione dei terreni agricoli con l’intento di razionare il più possibile le riserve d’acqua e talvolta sospendendo le forniture nelle abitazioni per due giorni a settimana.

TSMC di fronte a tale situazione ha sviluppato ad un piano d’emergenza, realizzando un impianto di trattamento delle acque reflue così da poterle riutilizzare per produrre semiconduttori.

La manovra potrebbe essere in grado di recuperare nel processo produttivo 67mila tonnellate d’acqua entro il 2024, ma l’innovazione tecnologica, ossia la miniaturizzazione dei wafer, richiede quantità d’acqua sempre maggiori che la natura potrebbe non essere in grado di soddisfare e la manovra potrebbe rappresentare solamente un palliativo.

Il sistema EUV richiesto per la produzione di chip minori di 7 nm richiede 1600 litri d’acqua al minuto per il raffreddamento, mentre per produrre chip meno avanzati che usano il sistema DUV sono richiesti solamente 75 litri d’acqua al minuto, ciò rende più semplice la realizzazione di questi ultimi.

Secondo le stime della Semiconductor Industry Association, sarebbe necessario un investimento di 350 miliardi di dollari e 3 anni per sostituire l’operato della TSMC nel business dei semiconduttori.

 

Le aziende

Le stime di Ford riportano riduzioni nella produzione fino ad un milione di unità. Il quartier generale afferma che la carenza di chip rimarrà un problema fino al 2022. I modelli più colpiti sono Explorer, F-150, Mustang, e Lincoln Aviator.

General Motors si è trovata costretta a chiudere cinque dei suoi impianti tra Stati Uniti e Canada, licenziando 14mila dipendenti. I modelli che risentono maggiormente della crisi sono Camaro, Chevrolet Blazer, Cadillac. L’azienda guarda avanti ed approfitta di questo momento di crisi per cambiare i propri assetti strategici, puntando su veicoli ibridi.

Il nuovo gruppo Stellantis riscontra problemi dovuti ai chip ma anche per via di un calo ingente della domanda.

Nello stabilimento di Melfi, in Basilicata si è trovata a dover ricorrere alla cassa integrazione per oltre mille dei dipendenti dell’azienda lucana.

Peugeot prova a limitare i danni di questa crisi dicendo no al i-Cockpit, tornando a costruire cruscotti analogici.

Questa decisione, oltre che di vitale importanza per evitare l’arresto delle produzione, si trova essere conveniente anche per il consumatore perché avrà un risparmio di 400 euro sul prezzo delle auto.

L’azienda si trova ad affrontare perdite sul fronte Dodge Durango, Dodge Challenger e Charger e Ram.

 

Come risollevarsi dalla crisi?

Davanti a questi fatti, tutto il mondo sta cercando delle soluzioni per reagire alla concentrazione geografica, nella speranza di trarre insegnamenti utili per il futuro.

Intel ha finanziato un investimento da 20 miliardi di dollari per aggiungere due nuovi fab EUV nel suo stabilimento ad Ocotillo, in Arizona.

Gli Stati Uniti tramite il US Innovation and Competition Act stanno cominciando a mettere in atto tutte le misure necessarie, tramite una serie di interventi pubblici, per contrastare sia la Cina che la crisi dei chip.

La Commissione Europea approva il Piano Digital Compass riguardante la trasformazione digitale dell’Europa entro il 2030. Tramite il piano l’UE si pone l’obiettivo di ridurre la necessità di ricorrere a fornitori non europei per l’acquisto di semiconduttori. L’obiettivo è ambizioso: produrre il 20% dei semiconduttori.

Il progresso tecnologico non si starà scordando dei limiti imposti dall’ambiente? Se la tecnologia è diventata un bene di prima necessità, perché è così difficile reperirla?