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Immaginate un contadino che, con il solo supporto della sua esperienza e seguendo i cicli stagionali, autoproduca le risorse necessarie per lui e per la sua piccola comunità. Collochiamo quest’immagine mentale in un paesaggio minimamente modificato dall’intervento umano: se vi dicessero che questo modelloelevato ad unico paradigma produttivo, non sarebbe affatto sostenibile? L’agricoltura contemporanea, e ancora di più quella futura, non potrà prescindere dal garantire benessere alimentare ad una popolazione in rapida crescita, che si stima potrebbe raggiungere i 10.9 abitanti entro il 2100, ma che non potrà contare su un aumento altrettanto significativo della terra coltivata e coltivabile. L’insieme di concetti, tecniche e soluzioni possibili che cercano sia di far fronte al problema di garantire un maggior numero risorse sicure per tutti in modo efficiente, sia di arrecare il minor danno possibile all’ambiente, viene definito intensificazione sostenibile.

 

Qual è il significato di “intensificazione” e di “sostenibilità”?

 

Il concetto di sostenibilità ha almeno tre risvolti fondamentali: l’impatto ambientale di una certa tecnologiale esigenze economiche alla radice del suo impiego e il suo impatto sulla vita delle persone. L’intensificazione agricola risponde in primo luogo alla seconda, e in parte alla terza, tra queste necessità: come afferma AISSA in un paper redatto nel 2019 e incentrato su questo tema, mette in campo grandi risorse, sia materiali sia energetiche, concentrandole in uno spazio e in un arco temporale ristretti, per ottenere grandi rese. La sfida, che riguarda soprattutto la sostenibilità ambientale, è raggiungere ciò senza alterare l’equilibrio, già precario, dell’ecosistema in cui una pratica agricola è inserita.

 

Non basta però aumentare l’energia e le sostanze utili alla crescita e alla salute delle piante, perché ciò che deve essere intensificata è anche la raccolta di informazioni per unità di superficie coltivata, cioè di dati che possano poi usati per definire indicatori utili a uno sfruttamento intelligente delle risorse. Conoscere nel dettaglio la composizione di porzioni sempre più piccole di suolo, e non solo la media di quelle in un intero campo, consentirebbe infatti di prevedere quali zone saranno più povere di nutrienti, e così di fertilizzare in modo differenziato.

 

Il miglioramento genetico a servizio della sostenibilità

 

Intensificare significa anche scegliere tipi genetici ad alto potenziale, ovvero con elevate produzioni del singolo organismo” (AISSA). La genetica però non influenza solo questo aspetto: anche se in Italia non è ancora possibile coltivare organismi GM, ovvero geneticamente modificati tramite l’utilizzo di tecniche di ingegneria genetica, l’intervento mirato dell’essere umano nella scelta delle piante da incrociare e delle proprietà più utili da selezionare è indispensabile per proteggerle da parassiti e da condizioni climatiche sfavorevoli. Se si riduce l’uso dei prodotti fitosanitari, sia per risparmiare materiale e denaro, sia per evitare imprevedibili danni alle altre specie, è necessario che alle piante sia fornita “un’armatura” alternativa altrettanto efficace, se non migliore. Questa potrebbe essere costituita proprio da specifici geni, piccole porzioni di DNA che vengono attentamente studiate per essere, per esempio, inserite nel patrimonio genetico di un’altra pianta e che le permetterebbero di esprimere resistenza agli attacchi di altri essere viventi, al caldo e alla siccità o al freddo.

 

Una strada per certi versi più complessa è la coltivazione in un sistema chiuso e perfettamente controllato, come una serra che sfrutti la coltivazione in verticale: si possono escludere dall’ambiente in cui le piante vivono quasi tutti i rischi citati precedentemente, si può ridurre al minimo la dispersione di acqua e massimizzare la resa risparmiando suolo prezioso, ma a costo di un grande dispendio energetico, particolarmente problematico se sostenuto da fonti ad alte emissioni.

 

Due modelli di intensificazione sostenibile: l’agro-silvicoltura multistrato e i sistemi integrati agro-silvo-pastorali

 

L’agro-silvicoltura a più strati, più tipica delle zone tropicali, è una tecnica tramite cui si cerca di ricreare i diversi strati tipici di una foresta: procedendo dal basso verso l’alto, i primi sono occupati da uno o più tipi di piante direttamente coltivate per fornire cibo alle persone (in particolare, vengono cresciute in questo modo piante di caffè e di cacao), poste all’ombra di alberi più alti che formeranno la cupola di una vera e propria foresta artificiale. Può essere aggiunto un ulteriore strato grazie all’allevamento e alle colture destinate all’alimentazione animale per avere un sistema ancora più completo, chiamato agro-silvo-pastorale.

 

Il suo scopo è riuscire a coniugare i bisogni degli esseri umani e quelli di tutti gli altri abitanti dell’ecosistema, conservandolo il più possibile: la foresta artificiale può essere un habitat adatto per tante specie di uccelli (e non solo) che altrimenti non avrebbero un posto dove nidificare. Siccome il terreno può perdere parte dei suoi nutrienti se sfruttato per monocolture intensive, un sistema che riunisca molte specie diverse argina il problema. Inoltre è economicamente vantaggioso perché permette, a chi se ne occupa, di disporre di risorse tanto diversificate quanto più numerosi sono gli elementi che entrano a far parte della foresta.

 

Le innovazioni applicabili non si esauriscono qui ed è auspicabile che ne vengano scoperte sempre di nuove: come spesso viene ricordato quando si parla della sfida posta dal cambiamento climatico, non può essere identificata una soluzione unica che risponda ad uno tra i problemi più complessi e pervasivi della nostra epoca. L’intensificazione può essere un valido aiuto, ma rimarranno comunque territori che potranno essere valorizzati al meglio solo da tecniche estensive: questi approcci differenti avranno un impatto positivo tanto più forte quanto più saranno tra loro complementari.