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Rinviata al 2021 a causa della pandemia, la COP26 si sta svolgendo in questi giorni a Glasgow: è iniziata il 31 ottobre e terminerà il 12 novembre. Ma perché è un evento così importante? COP è acronimo di Conference Of Parties, ovvero la Conferenza delle Parti sul clima che riunisce tutti i leader mondiali, gli attivisti e i maggiori esponenti esperti di tematiche ambientali all’interno della comunità scientifica. L’obiettivo ultimo della COP26 è raggiungere un accordo sulle strategie da adottare per riuscire a contrastare gli effetti del cambiamento climatico da qui fino al 2030 e poi fino al 2050: questo decennio sarà determinante per il futuro del pianeta, perché rappresenta l’ultima possibilità per l’umanità di agire prima che sia troppo tardi.

 

Alla presidenza della COP quest’anno c’è il Regno Unito che insieme all’Italia si è posto come guida per contrastare l’emergenza climatica assumendo la presidenza anche di G7 e G20. L’accordo di partenariato tra la Presidenza italiana e la Presidenza britannica per la COP26 si è tradotto con l’organizzazione della pre-COP e dell’evento Youth4ClimateDriving Ambition a Milano tra il 28 settembre e 2 ottobre.

 

Ma come si è arrivati alla COP26?

La prima edizione della COP si tenne a Berlino nel 1995 e da allora rappresenta il principale strumento attraverso cui le parti dell’UNFCCC discutono e prendono decisioni riguardanti il cambiamento climatico. Durante la COP3, due anni dopo, venne adottato il Protocollo di Kyoto: fu uno dei primi tentativi di stabilire degli obiettivi chiari, condivisi e a lungo termine (dato che il periodo entro cui raggiungerli avrebbe dovuto essere il 2012) per i paesi industrializzati, a cui veniva attribuita una responsabilità maggiore nella riduzione delle proprie emissioni rispetto a quella dei paesi in via di sviluppo.

Nonostante queste premesse, il possibile impatto di questo strumento giuridico e politico è stato smorzato sia dalla decisione presa dagli USA di non ratificarlo, sia dalla sua entrata in vigore effettiva diversi anni più tardi, nel 2005. I problemi a cui bisogna rispondere sono in parte cambiati nel tempo: oggi un accordo del tutto simile a quello di Kyoto non attribuirebbe la giusta responsabilità ai paesi che hanno iniziato solo in tempi recenti a sfruttare intensivamente le fonti fossili per la loro industrializzazione, come la Cina, ma le cui emissioni annue rappresentano una fetta consistente del totale (il tema della “responsabilità condivisa ma differenziata” e della sua interpretazione attuale, soprattutto per quanto riguarda la Cina, è stato trattato anche qui).

 

Negli anni l’esigenza di un cambiamento radicale nel sistema produttivo per la riduzione delle emissioni e per il contrasto all’emergenza ormai in atto si era fatta sempre più evidente. Solo nel 2015 però, la COP21 adottò l’accordo di Parigi, poi entrato in vigore nel 2016, che sancisce l’impegno, anche a livello giuridico, nel contenere l’aumento della temperatura al di sotto dei 2°C, con l’obiettivo di limitare l’aumento non oltre 1,5°C. Uno strumento importante adottato insieme all’accordo è il GFC, il Green Climate Fund: un fondo destinato a raccogliere e indirizzare risorse finanziarie indispensabili per i paesi in via di sviluppo in vista di una crescita industriale, economica e sociale che sappia adattarsi ai cambiamenti in atto e a quelli ancora più destabilizzanti che avverranno nei prossimi anni. Per ora sono sotto implementazione progetti per 6,1 miliardi di dollari, ma l’obiettivo è arrivare a raccoglierne 10 miliardi.

 

Appuntamento a Glasgow: i grandi protagonisti

 

L’ultima Conferenza delle Parti, la COP25, si è tenuta nel dicembre del 2019, in un clima pre pandemico completamente differente da quello odierno. Allora, erano poco più di 190 i Paesi riuniti a Madrid e anche quest’anno c’è stata una conferma circa i numeri dei partecipanti; ciò che è cambiato è il ruolo e l’impegno degli Stati.

 

Nonostante il ben nutrito gruppo di rappresentanti, la scorsa COP si è conclusa con un nulla di fatto, complici anche le tensioni interne presenti all’interno di Cina, Cile, Francia e India: le prime tre erano alle prese con delle proteste civili mentre l’India, per la prima volta dopo molto tempo, si trovava a fronteggiare un momento di stallo economico.

 

Tra i partecipanti, quelli che si sono messi maggiormente in risalto sono stati gli Stati Uniti. La loro rilevanza è legata  alle dichiarazioni sul rientro degli USA nella High Ambition Coalition ossia un gruppo informale di circa 61 paesi sviluppati e in via di sviluppo che all’interno della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici si dichiara impegnato a portare avanti proposte più ambiziose rispetto ai target comunemente stabiliti. Altro protagonista indiscusso sarà il Regno Unito che annovera nella sua schiera sia Boris Johnson che il Principe Carlo. Il Regno Unito, essendo il paese ospitante, avrà un ruolo di spicco in tutta la rassegna e sarà chiamato a smussare i disaccordi in modo da poter scongiurare un nuovo fallimento.

 

All’appuntamento di Glasgow ci saranno anche dei grandi assenti. Non hanno risposto all’appello la Cina e la Russia che hanno mancato anche il G20 tenutosi nella settimana precedente alla COP. Tuttavia, fonti vicine ai rispettivi presidenti hanno fatto sapere che, sebbene i loro leader non saranno presenti fisicamente, entrambe le nazioni hanno inviato a Glasgow, in rappresentanza, alcuni delegati. Inoltre, pur non sedendo ai tavoli di discussione, il presidente cinese ha fatto pervenire in sede le proprie considerazioni in forma scritta.

 

La parziale assenza di questi due grandi del mondo incute timore in tutti coloro che guardano alla COP26 come l’ultima chiamata all’azione contro l’ormai imminente crisi climatica. Timore non infondato dato che sia la Cina che la Russia, in passato, hanno assunto dei comportamenti atti ad ostacolare il fronte comune internazionale.

 

Gli obiettivi della COP26

 

Le strategie di azione possono essere ricondotte a due principi nella lotta all’emergenza climatica: adattamento e mitigazione. Come due facce della stessa medaglia, sono interconnessi tra loro. Introdotto con l’Accordo di Parigi adattamento significa mettere in atto azioni che mirino a limitare i danni causati dal cambiamento climatico, agendo direttamente sul problema adeguandosi ad esso. Il termine mitigazione, invece, fu introdotto nel Protocollo di Kyoto, e significa attuare misure affinché si possa contrastare questo cambiamento.

 

Questi principi sono ispiratori dei punti per cui dovranno essere negoziati accordi e strategie durante la COP26:

 

  • Azzerare le emissioni nette a livello globale e limitare l’aumento delle temperature 1,5 °C entro il 2050. Per fare questo tutti i Paesi dovranno impegnarsi nella riduzione della deforestazione, accelerare la transizione ecologica, abbandonando le fonti fossili e investendo in quelle rinnovabili.
  • Salvaguardare gli ecosistemi e le comunità umane nei luoghi dove il cambiamento climatico sta avendo il suo maggiore impatto e anche nei luoghi in cui avrà conseguenze in futuro: il cambiamento, infatti, è già in atto e provocherà effetti devastanti anche “azzerando le emissioni domani”. Bisogna dunque mettere i paesi colpiti nelle condizioni di essere in grado di proteggere e ripristinare gli ecosistemi ma anche costruire strutture più resilienti, per contrastare la perdita di infrastrutture, mezzi di sussistenza e vite umane e per limitare le migrazioni climatiche.
  • Mantenere la promessa, fatta dai Paesi sviluppati, di mobilitare almeno 100 miliardi di dollari l’anno tra finanza pubblica e privata per il clima entro il 2020 affinché si possano raggiungere i primi due obiettivi.
  • Lavorare insieme, adottando il “Libro delle Regole” per rendere realmente operativo l’Accordo di Parigi e rafforzando gli impegni tra tutti i membri della società, i governi ma anche i singoli cittadini.

 

La collaborazione tra tutti i componenti della società è anche ciò che chiedono le nuove generazioni. Durante l’incontro Youth4Climate, più di quattrocento giovani rappresentanti hanno redatto il manifesto per il clima consegnato poi ai leader mondiali. Dal manifesto emerge il tema della partecipazione dei giovani e in particolare, anche di tutti gli organi non statali della società, che dovrà essere sempre più consapevole dell’emergenza climatica e impegnata in una ripresa sostenibile dopo la pandemia. I  giovani sono infatti quelli più minacciati dal cambiamento climatico poiché il loro futuro è a rischio.

 

Quelli della COP26 sono obiettivi molto ambiziosi, ma non è più possibile che l’Homo Sapiens si sottragga dalle responsabilità che ha verso il Pianeta. Le conseguenze dei cambiamenti climatici, che conosciamo bene, riempiono già i notiziari e non possiamo lasciar correre altro tempo, perché  i “BLA BLA BLA” non salveranno la vita di miliardi di persone: occorre agire e occorre farlo ora.