Condividi su:

E se la buccia delle patate e altre biomasse di scarto diventassero una materia prima preziosa da cui ricavare prodotti chimici, combustibili e altri materiali? La valorizzazione delle biomasse di scarto è possibile anche grazie a una serie di approcci sperimentali e industriali che possono essere raggruppati sotto il nome di “bioraffineria”.

Per capire meglio di cosa si tratta, prendiamo come riferimento la definizione data da IEA: “una bioraffineria è un insieme di processi sostenibili volti a trasformare le biomasse in uno spettro di prodotti commercialmente rilevanti”. Le biomasse che possono essere utilizzate vanno da scarti di lavorazione del legno, paglia, amido, fino ad alghe e altri sottoprodotti dell’industria agroalimentare. Queste possono essere trasformate in prodotti chimici di alto valore o combustibili utili per i trasporti ed energia.

Ma quali sono i processi più sfruttati? Le materie prime possono, per esempio, essere gassificate (cioè portate allo stato gassoso), trasformazione che permette la loro scissione in componenti più piccoli, che saranno poi necessari per la sintesi di molecole più complesse. Un altro processo molto sfruttato è la pirolisi, che consente la decomposizione chimica delle materie prime unicamente grazie al calore fornito. Si possono altrimenti condurre una serie di reazioni chimiche che permettano la separazione di tutti i componenti di interesse. Un’ultima via disponibile è quella della fermentazione, che sfrutta la capacità di microrganismi (come batteri) di trasformare grazie al loro metabolismo sostanze come gli zuccheri: in quest’ottica è e sarà molto importante la ricerca su microrganismi GM (geneticamente modificati), il cui metabolismo può essere modificato per ottenere prodotti altrimenti difficilmente raggiungibili con una sintesi chimica.

Come valorizzare la buccia delle patate

A livello teorico, moltissimi tipi di biomasse potrebbero essere processate grazie alle bioraffinerie. Ne esistono però alcune più interessanti e studiate di altre: per esempio, la buccia delle patate. Questo tipo di scarto largamente prodotto a livello industriale può essere fonte di composti interessanti in vari ambiti. Può essere usato non solo come mangime per animali da allevamento o come materia per compostaggio: dalla buccia di patata possono essere estratti, grazie a solventi chimici, delle molecole antiossidanti naturali utili alla conservazione dei cibi (normalmente, antiossidanti sintetici vengono addizionati per garantirne la durata). Si può produrre bioetanolo come combustibile da fonti rinnovabili (si tratta di etanolo in tutto e per tutto, per cui il prefisso “bio” indica solamente la sua provenienza): attualmente la maggior parte del bioetanolo (circa il 60%) deriva dalla fermentazione della scorza della canna da zucchero, ma esiste una domanda in crescita data dalla spinta ad emanciparsi sempre di più dai combustibili fossili. Infine, a partire dalla buccia di patata e dai suoi nanocristalli di cellulosa si sta cercando di produrre una bioplastica, un altro tipo di manufatto concepito per diminuire la dipendenza odierna dai combustibili fossili: ad oggi le sue proprietà meccaniche però non sono ancora ottimali.

L’approccio delle bioraffinerie è quindi utile per valorizzare biomasse di scarto non solo riutilizzandole, ma trasformandole in prodotti ad alto valore aggiunto.