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Nella magnifica cornice del Web Marketing Festival, la redazione di iWrite ha incontrato un professionista poliedrico che è in grado di eccellere tanto nel campo dei graffiti quanto su Instagram passando per la professione grafica. Parliamo di Style1 (@stailuan), al secolo Andrea Antoni. Il viaggio di Andrea nell’arte figurativa inizia nel 1997, quando si avvicina al mondo dei graffiti da cui poi nasce l’interesse per il web design che lo conduce dapprima a conseguire la laurea in Scienze e Tecnologie Multimediali presso l’Università di Udine e poi il diploma di grafico presso il CSG-Lab. La padronanza della materia grafica diventa profetica con l’arrivo dei social, in particolare su Instagram, dove fin da subito il suo lavoro riscuote grande successo. Così abbiamo chiesto a Andrea di parlarci proprio di alcuni aspetti di questo social.

 
Ciao Andrea, benvenuto nella nostra redazione. Oggi sei qui al WMF per presentare il libro che hai scritto insieme a Orazio Spoto “”Instagram Community e Creatività”: come è nata l’idea di scrivere questo libro?

Avevo già scritto nel 2015 un libro riguardante Instagram dal titolo “Trova la tua identità su Instagram e condividi foto uniche” quando, nel 2020, l’editore mi ha contattato chiedendomi se fossi disponibile a realizzarne uno nuovo. Ritengo però la mia figura su Instagram un poco borderline, in quanto posso essere annoverato tra i creators, ma non sono un social media manager, non sono un tecnico ma, ugualmente, i numeri dicono che qualcosa so fare. Ciononostante ritengo che la mia conoscenza in materia e il mio approccio siano limitati e così ho pensato di coinvolgere il mio amico, e partner di vari progetti, Orazio Spoto che da sempre ha competenze più complete circa molti aspetti più meramente tecnici per quanto concerne la fruizione di questo social, oltre a un’esperienza enorme dal punto di vista della creazione e della gestione delle community.
Ecco quindi nascere “Instagram Community e Creatività”, che non è il classico manuale che insegna come inserire un post o come raggiungere migliaia di follower, bensì si propone di presentare una serie di esempi concreti e di portare il lettore verso una forma mentis legata maggiormente a una buona narrazione della propria persona, o della propria azienda, per farsi conoscere prima di legarsi esclusivamente alla metrica dei like.

 
Definiresti per noi i concetti di “creatività” e di “community”?

Creatività è proporre una cosa forse già vista molte volte, sotto un aspetto nuovo, tendenzialmente personale e che quindi diventi anche identitario. Una cosa che quando viene vista sembra talmente semplice che il commento standard è “avrei potuto farlo anche io”, ma per qualche motivo tu non lo avevi fatto. Maggiore è il numero dei “l’avrei potuto fare anche io”, più significa che funziona.
La community è uno degli aspetti più importanti in tutti i social network, non solo in Instagram, che è necessario formare per avere un gruppo di riferimento con cui dialogare. Senza volerlo, con Cose Brutte Impaginate Belle, sono diventato anche io un creatore e un gestore di una community gigantesca, ma la cosa non è stata semplice per uno come me, abituato a creare dei lavori e semplicemente condividerli ottenendo apprezzamenti. Diciamo che ci sono stati periodi iniziali di grossi attriti con i follower che, man mano, si sono attenuati. Ad ogni modo la community è un aspetto fondamentale in quanto fidelizza il pubblico che, allo stesso tempo, si sente parte del progetto (e effettivamente lo è), ma al contempo propone e dialoga andando a migliorarlo in modo più o meno volontario. Se non si è disposti al dialogo con una community, è probabile che il funzionamento dei social network allo stato attuale non faccia per noi. Poi che questo dialogo non sia sempre facile e spesso non sia costruttivo, è chiaramente un altro discorso.

 
Nel libro si legge “Instagram è un’applicazione in costante cambiamento (…)”. Questa trasformazione ha coinvolto moltissimi aspetti del social. Come sono evoluti i concetti di creatività e di community?

Da quando ho iniziato a usare questa app è palesemente cambiato tutto a livello di possibilità di creazione di contenuti, ma sono totalmente cambiate anche le persone che la vivono. In passato era possibile condividere solo immagini, tanto per capirci. Non c’erano i video, non c’erano le stories, non c’era IGTV, non c’erano i reels. È ovvio che si possa vivere senza a questi e che non sia obbligatorio utilizzare tutte queste tipologie di materiali messi a nostra disposizione, ma è evidente che più sono le possibilità che mi vengono date per creare qualcosa di mio, più è probabile che trovi una strada per creare qualcosa di più adatto a me. Ci sono profili che condividono solo video, altri che puntano tutto sulle stories, altri che realizzano guide, e non c’è un giusto o un sbagliato, a solo un più adatto. E questa enorme possibilità di tipologie di condivisioni è uno stimolo incredibile a dare il meglio di sé stessi, in un ipotetico progresso creativo che non può che fare bene.
Le community, invece, in passato erano quasi inesistenti, o legate esclusivamente a profili che si palesavano come community (fisiche o virtuali che fossero). Attualmente invece anche un profilo personale diventa la base su cui costruire una community, e non è semplice. Le persone hanno sempre più possibilità di interazione e amano farlo (ai tempi c’era più distacco e più riguardo nell’interagire con il prossimo), Instagram con le stories, gli stickers e tutte le possibilità di sondaggi e domande stimola a farlo. Il problema è che nei social le cose o funzionano poco, o funzionano tantissimo. Se funzionano tantissimo, gestire una community di persone diventa di una difficoltà incredibile perché io ritengo sia giusto cercare di rispondere a tutti, ma ovviamente non è così semplice.
Ad ogni modo che si guardi il lato umano, o quello meramente professionale o di business, avere una community attiva è oramai imprescindibile per avere successo e ritorno dai social e quindi è un aspetto che difficilmente può essere lasciato in secondo piano a livello del suo sviluppo.

 
Parliamo della tua esperienza personale con il progetto “CoseBrutteImpaginateBelle”, in acronimo CBIB. Questa pagina esiste dal 2018 ma la sua consacrazione è avvenuta nel 2020 quando, durante il primo lockdown, hai iniziato a chiedere quotidianamente quale fosse “La Situa” nelle case tuoi follower. Durante la pandemia, quale è stata la tua esperienza di community? E cosa ha significato per te essere a capo di una community in un periodo così particolare?

Potrei dire di sì, ma in realtà c’è un problema di percepito personale: come dicevo prima, Instagram ormai offre molti spunti creativi e ci sono profili che condividono di tutto, altri che condividono solo post, altri che puntano tutto sulle stories. CBIB viaggia su binari paralleli tra post e stories e, anche se non sembra, esistono moltissimi follower che nemmeno sanno che esiste La Situa, perché non fruiscono delle stories. Ricordiamo che “CoseBrutteImpaginateBelle” nasce come un progetto di educazione alla bellezza, tramite empatia del disagio. Prevede quindi un utilizzo di Instagram come se fosse Twitter: non vengono infatti condivise fotografie bensì delle frasi, impaginate in modo ordinato utilizzando come font l’Helvetica. Entrano così in gioco una forte ironia e lo spiazzamento derivante dalla distorsione di frasi note motivazionali, in fare demotivante. Detto questo, sicuramente, la crescita esponenziale è avvenuta dal lockdown in poi, ma sempre per discorsi legati a questa “strategia” parallela di contenuti: il profilo tratta dell’ironia sul disagio e il lockdown è stato una linfa incredibile in materia. Non è un caso che, per quanto le stories funzionino molto bene, e abbiano per l’appunto creato una community attiva enorme, l’aumento di follower è quasi sempre legato alla pubblicazione di post di successo. Con “La Situa” ho aiutato inconsapevolmente molte persone a vivere meglio un periodo terribile quale quello del lockdown, ma è stato ambivalente: la vicinanza di così tante persone ha aiutato me a vivere in un periodo che già da prima non mi vedeva particolarmente felice. Poi è oggettivo che, in un momento di crisi assoluta lavorativa nel settore della grafica, gli introiti derivati dalla vendita del libro e dei successivi gadget hanno praticamente modificato la mia attività lavorativa e mi hanno aiutato a non collassare come libero professionista. Per quanto concerne il futuro, vedremo. Concludo rispondendo al fatto che l’essere “capo” di questa community non mi scompone più di tanto, anche perché non mi ritengo tale, ma mi vedo un poco come un amico, un poco come uno smistatore/selezionatore di pensieri, oltre al fatto che imparo continuamente cose nuove grazie alla provenienza totalmente differente da parte di chi mi segue. Più volte ho risposto in questo modo: mi sono visto come il protagonista de “La leggenda del pianista sull’Oceano”, dove il pianista non era mai sceso dalla nave, ma conosceva tutte le persone, le storie e i luoghi, grazie ai racconti dei croceristi che ha incrociato nella sua vita. Allo stesso modo io, chiuso nel mio ufficio nell’estremo lembo del nord est dell’Italia, venivo a conoscenza di storie, persone e situazioni da tutta Italia e da tutto il mondo, permettendomi di creare una conoscenza condivisa che nemmeno la maggior parte dei vedi canali di informazione hanno dato. E questo è stato un onore, e questo è stato grazie alla community, che quindi anche ora ringrazio per aver avuto fiducia in me ed essersi confidata anche in storie estremamente personali.