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Durante la seconda giornata di Web Marketing Festival a Rimini ho avuto il piacere di intervistare Mauro Lupi, insegnante ed esperto di digital marketing, riguardo il data driven marketing e il suo futuro. Non sapete di cosa stiamo parlando? Non vi resta che leggere l’intervista qui di seguito allora!

 
Buongiorno Mauro, per iniziare, potrebbe spiegare ai nostri lettori cosa si ingente con “data driven marketing”?

Essenzialmente si tratta di affiancare alle strategie di marketing un’analisi dei dati. Detto così, sembrerebbe abbastanza banale ma, concettualmente, significa fare in modo che alcune decisioni strategiche ed operative siano basate sull’analisi di dati empirici e oggettivi, provenienti da una serie di elementi come, per esempio, l’analisi dei comportamenti dei clienti, dei canali digitali, delle interazioni ma anche di fattori qualitativi come preferenze, feedback e così via.

 
Facendo un passo indietro, come si è arrivati a questo nuovo approccio al marketing?

In realtà, la letteratura tradizionale e le basi del marketing prevedono la misurazione. Tuttavia, ciò che fino a ieri veniva chiamato, semplicemente, “misurazione” è passato dal “misurare ciò che è avvenuto nel passato” all’avere da una parte dati in tempo reale, che possono essere agganciati ad azioni in tempo reale, e dall’altra dei dati predittivi a cui adeguare determinate azioni. E quindi, banalmente, impostare delle regole per cui se sto notando che sul mio sito viene vista principalmente una determinata pagina, sull’homepage dovrei far comparire un’informazione specifica che reindirizza a quella pagina.

 
Perché un’impresa dovrebbe decidere di avere un approccio data driven al marketing?

È evidente che i dati, se ben analizzati, dovrebbero darci delle informazioni oggettive. Questo è fondamentale perché, spesso, non abbiamo una percezione esatta della realtà: abbiamo tanti bias personali, una cultura aziendale che a volte non è molto orientata al consumatore e molto autoreferenziale, ci basiamo troppo esclusivamente sulla creatività, sull’innovazione mentale delle persone e non su dati oggettivi. Questa è, quindi, la prima ragione: ci sono delle informazioni che ci aiutano a capire come davvero stanno le cose. Un altra ragione è legata al fatto che la relazione con i destinatari, con i clienti e con stakeholder di un’azienda deve essere il più possibile personalizzata. Questo perché ciascuno di noi dedica sempre meno tempo a tante più fonti e, allora, per conquistare il poco tempo che i clienti ci mettono a disposizione, ci giochiamo tutto in un attimo. E quell’attimo deve essere pertinente, personalizzato per il destinatario.

 
Considerando il livello di complessità che sembrerebbe avere questo genere di approccio al marketing, pensa che sia proprio solamente di grandi aziende come, per esempio, Amazon o che possa essere utilizzato anche da realtà più piccole?

Assolutamente no anche se, forse, cinque anni fa avrei risposto in modo diverso. Un esempio molto banale: una micro-impresa come un bar che manda la classica newsletter ai clienti di cui ha ottenuto l’email. Possiederà, quindi, un database con tutti i contatti dei clienti, cosa ne faranno? Manderanno delle comunicazioni uguali per tutti. Ecco, oggi, le piattaforme che inviano mail – anche le più basilari – hanno già introdotto dei sistemi di automazione basati sui dati che consentono, di conseguenza, di sviluppare degli automatismi. Per esempio, si pensi a un sistema per cui ai riceventi che cliccano su un determinato argomento, viene visualizzato, sul proprio sito, un banner relativo allo stesso. Ovviamente qualcuno dovrà dedicarci un po’ di tempo ma, una volta impostata la regola, il lavoro è concluso, senza necessità di grandi conoscenze informatiche nè di enormi investimenti.

 
Lei quali consigli darebbe a una PMI che vuole iniziare ad avere un approccio data driven?

Ogni azienda dovrebbe avere una cultura il più possibile cliente-centrica, che è un concetto con cui concordiamo tutti ma che non è così banale realizzare. Connesso a ciò, sul lato del data driven, partiamo dai dati che sviluppano i nostri clienti.

La prima domanda, la cui risposta sarà diversa da azienda ad azienda, è: nei nostri confronti, che informazioni generano i nostri clienti? I loro comportamenti e le loro scelte generano dei dati? A volte la risposta è sì e allora bisogna cercare di analizzare questi dati e di interpretarli. A volte, invece, la risposta è no e allora può essere opportuno chiedersi come fare a sviluppare delle informazioni durante le relazioni con i clienti. Per esempio, potremmo chiedere agli utenti dei feedback sui nostri prodotti oppure fare in modo che si logghino quando entrano sul nostro sito. Vanno, quindi, verificati e monitorati i dati che già si possediamo mentre andrebbero stimolati ed acquisiti quelli che non abbiamo. Infine, bisognerebbe capire cosa ci comunicano questi dati e come potrebbero essere utilizzati per migliorare il nostro servizio o prodotto.

 
Quali potrebbero essere i passi falsi o gli errori che si potrebbero commettere approcciando il data driven marketing?

Uno dei principali errori è partire dalle tecnologie, come nel caso delle piattaforme di marketing automation che, spesso, condizionano quello che l’azienda potrebbe fare. Invece, bisognerebbe partire dal capire cosa si possa fare con i dati per, poi, scegliere la piattaforma più adatta. L’altro errore che si fa quando si inizia ad implementare la parte tecnologica è farsi prendere un po’ la mano ed iniziare ad immaginare dei flussi di relazione o l’analisi di dati molto complessi. Perché, potenzialmente, di dati ce ne sono una marea – è fantastico – però, ovviamente, la quantità diventa complessità se non si è in grado di gestire le cose. La complessità va gestita gradualmente altrimenti diventa rumore, si rischia di avere troppi dati da analizzare. Di conseguenza, è fondamentale individuare degli obiettivi puntali e, magari, parziali.

 
Credo che ai più venga automatico pensare che un approccio data-driven sia tipico di un impresa online, tuttavia lei crede che diventerà fondamentale anche per le attività più tradizionali e meno legate al web?

Per forza, assolutamente. Da una parte perché tutto ciò che noi facciamo produce dei dati e questo va a creare un patrimonio informatico che, se non lo si sfrutta, andrà a vantaggio dei competitor. L’altro è che anche dei comportamenti analogici generano dei dati. Ormai ci sono delle tecnologie che, per esempio, contano le persone che entrano in un negozio e, con le mappe di calore, riescono a capire i percorsi che fanno all’interno dello stesso. Questo tipo di tecnologie sono sempre più diffuse, spesso anche nei piccoli negozi e in alcune città che monitorano, addirittura, intere vie.

 
Guardando al futuro, come crede che si evolverà il data driven marketing? E, con riferimento alle diverse sensibilità delle varie zone del mondo – pensiamo a quanto siano distanti gli approcci alle nuove tecnologie di Occidente e Cina – secondo lei andremo verso una “balcanizzazione” di queste tecnologie o, alla fine, uno degli approcci diventerà il prevalente in tutto il mondo?

Non riesco a fare una previsione. In realtà, io credo che le visioni siano tre e che la più virtuosa sia quella europea. Potremmo davvero essere un riferimento mondiale se non ci suddividiamo e polverizziamo, come succede di solito. Siamo il continente meglio attrezzato per trovare un equilibrio perché gli altri, sia Stati Uniti che Cina, sono molto polarizzati: gli americani sull’eccessiva ricerca del profitto mentre i cinesi sul controllo della popolazione civile. L’Europa ha più l’essere umano al centro, nonostante rimangano centrali gli interessi del business ma senza che siano nè gestiti in maniera statalista nè lasciando libertà assoluta ai privati.

Non so se ci sarà un atteggiamento prevalente ad un altro, la mia resta più una speranza che l’intelligenza umana, sul lungo termine, prevarrà sempre. Anche se alcuni andamenti del mondo sembrano andare verso la direzione contraria, purtroppo.

 
Anche perché, inevitabilmente, una maggior spinta verso l’automazione centralizzata “alla cinese” porta inevitabilmente certe imprese ad essere più competitive…

Assolutamente. Per esempio, il settore dell’intelligenza artificiale che è già sbilanciato verso la Cina a causa dei suoi ingenti investimenti – superiori a quelli di tutto il resto del mondo messo insiemi – nel campo. Quindi cosa ci possiamo aspettare da tutto ciò? Lo possiamo solo intuire ma, sicuramente, sarà abbastanza complicato da gestire. Per questo non mi sento sicuro nel fare previsioni di questo tipo. Di certo, penso, almeno nella cultura occidentale, la relazione coi clienti non potrà che passare da una logica win-win. Se fino a qualche decennio fa il potere negoziale era dalla parte delle aziende, oggi i giochi di potere si sono un po’ rovesciati. Per cui l’etica nel trattamento dei dati, la trasparenza con cui vengono trattate le informazioni sulle persone e la sicurezza diventeranno cruciali per stare sul mercato. Alla fine, forse, saranno le persone più che le organizzazione governative a guidare questo processo culturale e a mantenere un equilibrio più o meno sano.