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Negli ultimi anni il cambiamento climatico ha guadagnato ampio spazio all’interno dei media soprattutto quando si è trattato di illustrare i catastrofici scenari che ci si appresterà a vivere in assenza di un significativo cambio di rotta. Tra le conseguenze meno citate dalla carta stampata vi è la desertificazione. Anche se un po’ controintuitivo, la desertificazione non è esattamente la generazione di nuovi deserti (il termine giusto in quel caso è desertizzazione) ma il “degrado delle terre nelle aree aride, semi-aride e sub-umide secche, attribuibile a varie cause, fra le quali le variazioni climatiche e le attività antropiche”.

Le cause

La definizione ufficiale è stata proposta dalla Convenzione delle Nazioni Unite per la Lotta contro la Siccità e la Desertificazione e pone al centro la degradazione fisica, chimica e biologica della matrice ambientale come conseguenza di una serie di alterazioni siano esse naturali o inflitte dall’azione dell’uomo. Tra le cause naturali vengono ricordate l’aridità, la siccità e l’aumento dell’erosività dei fenomeni precipitosi invece tra le cause antropiche annoveriamo principalmente lo sconsiderato uso del suolo e il sovrasfruttamento della risorsa idrica. Tra i driver antropici principali troviamo sia i danni generati dal settore primario che quelli dovuti all’urbanizzazione.

Quando parliamo delle cause naturali è necessaria una precisazione. Infatti, sebbene nell’uso comune aridità e siccità sono termini spesso utilizzati come sinonimi, nelle scienze hanno significati diversi. La prima, ossia l’aridità, è una caratteristica climatica mentre la seconda è un vero e proprio fenomeno e può interessare anche generalmente zone non aride. Una zona è correttamente definita arida quando, nelle situazioni ordinarie, presenta contemporaneamente scarsità delle piogge e forte evaporazione, invece una zona è definita siccitosa quando, in un determinato periodo, le precipitazioni sono sensibilmente inferiori ai livelli normalmente registrati, il che fa sperare che quella della siccità sia una situazione auspicabilmente transitoria.

La situazione

Nel 2018 il Joint Research Centre (JRC), ossia il servizio della Commissione europea per la scienza e la conoscenza, ha pubblicato l’Atlante mondiale della desertificazione. I dati riportati al suo interno sono molto preoccupanti: infatti si stima che ogni anno nel mondo a causa della desertificazione vengono degradati circa 4,18 milioni di km², una superficie che, come si fa notare nell’atlante, per ordine di grandezza potrebbe essere paragonata a quasi metà dell’Unione Europea. Inoltre, si conta che mantenendo costanti questi tassi, nel 2050, il 90% dei territori terresti potrebbe essere già degradato.

I dati illustrati non destano preoccupazione solo a livello ambientale ma anche a livello sociale e economico. Infatti, l’impoverimento e la degradazione delle terre genereranno importanti ondate migratorie: all’interno del documento sopra citato si stima che nel 2050 fino a 700 milioni di persone saranno sfollate a causa di problemi legati alla scarsità delle risorse del suolo ed entro la fine del secolo questa cifra potrebbe toccare addirittura i 10 miliardi. Le notizie non sono migliori per chi decide di restare in queste zone in quanto l’aumento della povertà incentiva situazioni di instabilità politica che si sommano alle difficoltà ambientali.

Secondo Ibrahim Thiaw, segretario esecutivo dell’United Nations Convention to Combat Desertification, il costo globale della desertificazione potrebbe aggirarsi addirittura sui 15 mila miliardi di dollari all’anno mentre per la sola Unione Europea il costo economico della degradazione del suolo è stimato nell’ordine di decine di miliardi di euro all’anno.

Un progetto per difenderci dalla desertificazione

Nel tempo sono sorti moltissimi progetti per poter rallentare la corsa alla desertificazione, tra i più importanti c’è quello della Great Green Wall. La grande muraglia verde non è altro che un’enorme operazione di forestazione che attraverserà ben 11 stati africani e si estenderà per 7000 Km di lunghezza e 15 Km di larghezza. La piantumazione proposta ha come obiettivo quello di arrestare l’avanzamento della degradazione della savana africana oltre che quello di porre un freno sulla accelerazione del cambiamento climatico.

Pur essendo stato lanciato nel 2007 quello della Grande muraglia verde è ancora un progetto in continuo divenire ed è difficile poter parlare già di risultati ma i primi timidi segnali positivi arrivano dal Burkina Faso dove in questi anni è stata riforestata una superficie pari a 30.000 km².

L’inizio dei lavori per l’installazione della muraglia verde è simbolo del fatto che non è più possibile limitarsi a leggere e commentare i dati climatici, è necessario entrare in azione e cercare di profondere tutte le energie possibili perché la rotta non può più essere invertita e per questo non ci resta che limitare i danni.