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Il metaverso, come lecito aspettarsi, è stato uno dei temi caldi del Web Marketing Festival di quest’anno. Noi di iWrite abbiamo deciso di riassumere i contenuti dei principali panel sull’argomento in questo articolo speciale dedicato all’evento di Rimini.

 

Metaverso e videogiochi: sono concetti così differenti?

Nel suo panel, “Metaverso Brand e Gaming: un nuovo ecosistema”, Matteo Favarelli, CEO di AnotherReality, ha presentato diverse nozioni di base sul concetto di metaverso e come questo sia essenzialmente figlio del gaming.

Secondo Favarelli, nonostante esistano più definizioni di metaverso, il concetto fondamentale è che il metaverso è quel “luogo” in cui digitale e reale si fondono diventando un tutt’uno. Il metaverso sarà, quindi, il punto di interazione tra il digitale e il fisico, in cui saremo sempre connessi. Ciò è già possibile tramite gli smartphone ma, il passo successivo sarà la rimozione di questo intermediario tramite tecnologie immersive che avremo solo con i futuri modelli di dispositivi VR e AR. Per quanto riguarda ciò che abbiamo oggi, la base del metaverso è costituita da mondi sociali virtuali, che più semplicemente possiamo etichettare come videogiochi. Tramite questi ultimi, infatti, i brand si stanno avvicinando e stanno provando a investire nel metaverso. Esistono tre modalità tramite le quali i brand possono utilizzare commercialmente i videogiochi. La prima e più classica, è l’inserimento di un classico adv nell’ambiente virtuale. Il secondo modo è creare dei mondi dedicati o dei micro-livelli all’interno di un gioco. Mentre la terza e più dispendiosa opzione è la creazione di mondi verticali ad hoc. Dal punto di vista dei giocatori, c’è stata un’evoluzione dal pay-to-play, al free-to-play e, oggi, al play-to-earn, in cui gli utenti giocano per guadagnare. Nel momento in cui tutti saremo nel metaverso – e quindi sempre connessi – saremo giunti alla fine dell’attuale evoluzione tecnologica. Bisogna iniziare a distogliere lo sguardo dallo smartphone e iniziare a considerare che, tra una quindicina di anni, accederemo al web non piegando il collo ma guardandoci attorno.

 

Sicurezza e diritti: nuove sfide per la tutela degli “umani digitali”

Durante il loro panel dal titolo “Prossima frontiera metaverso, tra sicurezza e diritti umani”, Marco Magnano e Valentino Megale, rispettivamente presidente e vice-presidente di XRSI Europe, hanno parlato di aspetti del metaverso quali diritto e sicurezza.

 

Nella prima parte del panel, Magnano ha iniziato mettendo subito in chiaro che il metaverso non esiste ancora. Oggi, infatti, esistono singole piattaforme: isole sconnesse le une dalle altre, ognuna delle quali in competizione per diventare il metaverso di riferimento. Per definire cosa sia il metaverso bisogna, innanzitutto, definirne la base, l’ethos. Con questo termine, Magnano si riferisce all’insieme ad aspetti in comune con il “mondo reale” quali etica, diritti, politica, economia e governance. Si passa, poi, a definire le infrastrutture – e quindi gli aspetti tecnici-tecnologici legati a hardware e software – che dovrebbero portare a un’adozione di massa e un’interoperatività del metaverso. L’obiettivo finale dovrebbe essere il raggiungimento di una situazione in cui, con relativa facilità, si possa accedere a ogni metaverso tramite un client unico. Ma tutto ciò come impatterà con la nostra realtà? Per prima cosa la produzione (e condivisione) dei dati aumenterà smisuratamente, a causa della “cattura continua della realtà” che le tecnologie immersive consentono. Stando a uno studio di laboratorio condotto da XRSI, 20 minuti in VR completa generano circa 2 milioni di dati registrati tra dati tradizionali (login, percorsi di navigazione) e dati legati ai movimenti del corpo e degli occhi. Inoltre, il continuo miglioramento dell’efficienza di questi algoritmi consente di registrare dati biometrici non richiesti, quali asimmetrie corporali e, per esempio, utilizzo di droghe, ma che potrebbero essere particolarmente utili per monitorare la salute di chi utilizza tecnologie immersive. È facile intuire, quindi, quanto tutto ciò ponga delle nuove sfide in tema di sicurezza: è nata una nuova potenziale superficie di attacco per hacker e malintenzionati. Tramite VR e AR si possono, infatti, subire nuovi tipi di attacchi informatici quali:

  • Tracker attack: non esclusivo degli ambienti immersive ma particolarmente più efficace con questi, consente di sfruttare la natura permissiva dei sistemi VR e di prendere il controllo delle videocamere del dispositivo
  • Chaperone attack: fa si che si modifichino i confini virtuali della gabbia virtuale (il sistema che consente di non allontanarsi troppo dal punto di partenza mentre si usa un dispositivo VR), creando pericoli per l’utente e chi gli sta attorno
  • Human joystick attack: viene sfruttato lo scollamento tra ciò che l’utente vede e il luogo in cui si trova, l’hacker ne prende di fatto il controllo inducendo determinati movimenti tramite ciò che l’utente vede in VR
  • Overlay attack: vengono visualizzate immagini esterne sovrapposte alla visione dell’utente, di fatto sono un nuovo tipo di ransomware.

 

È abbastanza chiaro che, in questo contesto, diventa fondamentale ragionare su quali strumenti si possano usare per tutelare i diritti degli utenti nel metaverso. Per far ciò, Magnano identifica tre parole chiave su cui  basarsi: identità (quella digitale è diversa da quella fisica), proprietà (l’identità dovrebbe essere interoperabile e decentralizzata) e protezione (servono leggi e strumenti per tutelare l’identità degli “umani digitali).

 

Nella seconda parte del panel, Valentino Megale si è concentrato su un ulteriore aspetto di criticità legato alla tutela dei diritti nel metaverso: la protezione di bambini e ragazzi. Con la diffusione nel mercato di massa di visori economici, infatti, non è raro che minori entrino in contatto con tecnologie immersive. La realtà virtuale è, per definizione, meno controllabile di quanto lo siano i dispositivi che abbiamo conosciuto finora: per farla semplice, un genitore può facilmente controllare di che tipo di videogiochi fruisca o che video guardi suo figlio sul televisore o sul tablet, mentre è più complesso avere accesso a ciò che vede e fa in realtà virtuale. Le aziende si trovano, quindi, in una posizione privilegiata per monitorare i comportamenti di una fascia di popolazione particolarmente debole. Senza contare che si sta parlando di una tecnologia cognitiva che viene fornita a un pubblico ancora emotivamente e cognitivamente debole. I minori possono entrare in contatto con rischi associati al contenuto (contenuti sessuali o violenti), al contatto (abusi e stalking), alla condotta (molestie e cyberbullismo) e alle transazioni (phishing e furto di dati). Una tecnologia cognitiva come quella VR può portare, quando utilizzata da individui il cui sviluppo cognitivo è ancora in corso, a sviluppare bias cognitivi, a disturbi quali il Proteus Effect, in cui il minore tende a comportarsi come il proprio avatar anche all’esterno dell’ambiente virtuale, e gli After effects che portano a distorcere i movimenti del bambino dopo l’utilizzo del visore. Tutte queste criticità possono essere limitate, principalmente, sensibilizzando genitori ed educatori, e coinvolgendo le imprese e i policy maker. XRSI sta cercando di sviluppare alcune linee guida assieme a questi soggetti attraverso il progetto Metaverse Child Safety Framework.

 

Quando il calcio incontra il Metaverso

Gabriele Bernasconi ha presentato un case study realizzato dalla sua azienda, Genuino, presentando una strategia molto interessante per una squadra di calcio italiana che si è affacciata per la prima volta al mondo degli NFT e del metaverso.

Lo speaker è partito dalla spiegazione del concetto di possesso, fondamentale in quanto la necessità  dell’uomo di possedere cose si sta trasformando da oggetti fisici a oggetti virtuali. Non a caso, le persone non comunicano solo con le parole ma lo fanno anche attraverso quello che possiedono. Neymar, per esempio, ha acquistato un NFT che ha poi utilizzato come stampa per i suoi vestiti solamente per entrare all’interno di una nuova  community.

Oggi quindi possedere questi asset digitali ha assunto molta importanza, e ha permesso di passare ufficialmente da un collezionismo fisico a uno digitale.

 

Per pensare e mettere in pratica una strategia come quella che racconteremo, è fondamentale essere consapevoli dell’importanza della connessione tra mondo fisico e digitale, e partire con l’idea di voler costruire qualcosa di nuovo finora mai visto.

Genuino, l’azienda dello speaker, ha deciso di focalizzarsi proprio su questo tipo di connessione per soddisfare la richiesta della squadra di calcio.

 

Il progetto in questione ha visto protagonista la squadra di calcio della Fiorentina ed è stato realizzato in occasione dei 95 anni dalla fondazione del club. Per celebrare questo traguardo sono state pensate tre strategie specifiche che hanno visto come obiettivo principale la costruzione di una collezione di oggetti digitali collegati a quelli fisici da vendere ai tifosi della squadra.

Il primo obiettivo è stato la ricostruzione da zero in 3D di tutte le maglie realizzate dalla squadra dal 1926 ad oggi, un numero non indifferente. In seguito, è stata avviata una collaborazione con una scuola di comics di Firenze. Attraverso i loro artisti sono state create delle opere che sono diventate poi degli NFT. Infine, è stato curato e sviluppato il lato della soddisfazione del cliente.

In pratica, sono stati realizzati più di mille contenuti digitalizzati e sono stati inseriti all’interno di pacchetti online da vendere agli utenti.

Ma perché un tifoso avrebbe dovuto acquistare un NFT della sua squadra di calcio? La risposta è stata per stare più vicino alla propria squadra e avervi un accesso più diretto.

Il risultato di questo progetto? I pacchetti hanno riscontrato un successo enorme, il tasso di conversione è stato molto alto, tanto che il 15% degli utenti della piattaforma hanno acquistato i pacchetti. Ma l’aspetto più interessante di questa storia è il fatto che la maggior parte degli utenti che hanno acquistato questi pacchetti appartenevano ancora al web 2.0, quindi non avevano mai avuto a che fare con queste nuove tecnologie.

Il successo di questo progetto e la lezione da imparare è il fatto che è possibile abbattere limiti ancora evidenti che separano le persone da NFT e Metaverso.

La chiave per riuscire a portare questi utenti all’interno di una piattaforma così diversa è stata  il processo di educazione, in quanto è necessario come prima cosa spiegare in maniera chiara all’utente come funziona.

Per contrastare il fatto che solo l’1% della popolazione sa cosa siano gli NFT, hanno deciso di lavorare sull’autenticazione utente, ovvero utilizzando il metodo tradizionale di username e password per entrare nella piattaforma e successivamente hanno creato un ponte per permettere agli utenti di acquistare con una carta di credito la criptovaluta della piattaforma per acquistare gli NFT. In questo modo è stato molto più semplice per loro raggiungere un target ancora poco pratico con queste tecnologie.