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Il pagamento delle fatture in ritardo è un’abitudine molto diffusa a livello nazionale e non solo. I pagamenti in ritardo si trasformano in costi che non riguardano solo le imprese ma si trasferiscono al settore bancario per via dei rapporti che ci sono tra imprese e banche. Flowpay è una start up che nasce con l’obiettivo di porre rimedio a questo problema automatizzando il pagamento delle fatture elettroniche con l’uso dell’open banking, facilitando il rapporto tra le controparti.

 

Come è nata Flowpay?

 

Flowpay nasce a ottobre 2019 dall’incontro tra me, che venivo dal mondo start up e conoscevo molto bene l’integrazione bancaria e i pagamenti, Edoardo Tommasi, Lorenzo Rossi e Tiziano Pacciani di Banco Digitale che si occupavano di soluzioni blockchain e DLT. Ci siamo trovati a una fiera di matching business to business organizzata da Banca Intesa. Io avevo la necessità di creare un metodo di riscossione che rendesse più certi gli incassi di fatture B2B.

 

Questa necessità è sorta in seguito a una tua esperienza diretta?

 

Sì ed oltre alla mia esperienza studiando il mercato di riferimento ho potuto apprendere che, attualmente, il 40% delle fatture che sono in pagamento scadono senza essere pagate. In Italia il problema è particolarmente rilevante perché da una parte è quasi normalizzato il pagamento delle fatture in ritardo e la presenza di molte PMI si traduce in un fabbisogno di liquidità più urgente dal momento che le piccole imprese hanno meno capacità a finanziarsi; tutto ciò crea un problema notevole per l’economia. Inizialmente l’idea che abbiamo avuto era creare una fattura programmabile come se fosse uno smart contract, ed è da qui che nasce Flowpay che successivamente si evolve in un istituto di pagamento. Siamo la prima start up ad essere autorizzata dalla Banca d’Italia a operare come PISP e AISP, l’autorizzazione è giunta a febbraio.

 

Cosa sono queste due tecnologie?

 

La normativa sui pagamenti europei ha introdotto una nuova organizzazione chiamata TPP, third party providers. Alla base c’è un soggetto che si interpone tra banche, o altri operatori finanziari tradizionali, e l’utente, che è autorizzato ad effettuare alcune operazioni attraverso la tecnologia o l’interfaccia offerta dalla terza parte, ossia permettere di mediare le operazioni di informazione (visualizzazione degli estratti conto o di pagamenti) da un utente ad un certo numero di banche, accorciando così la distanza finanziaria tra utente e banca. Le banche, a loro volta, sono obbligate ad esporre questi servizi via API, permettendo in questo modo a terze parti come Flowpay di poter visualizzare tutti i conti di un cliente operando per conto suo, rendendo più comoda la gestione di diversi conti e i pagamenti. Dato che il problema su cui ci siamo concentrati è l’incasso delle fatture, Flowpay utilizza un sistema, il primo di questo tipo, di request-to-pay open banking; dunque, un’azienda che deve ricevere un pagamento può condividere un link con la fattura che deve essere pagata dal cliente che a sua volta può procedere al pagamento con approvazione tramite OTP (One time password). Il pagamento può essere istantaneo, oppure creato oggi per domani con bonifico ordinario, o ancora ordinato oggi per un pagamento a 30 giorni. La nostra value proposition è questa; il consenso al pagamento viene inizializzato oggi dal cliente che deve pagare il fornitore anche se il pagamento effettivo è differito (a 30 o 60 giorni), Flowpay fa da fluidificante della relazione commerciale.

 

Così il recupero crediti è più agile?

 

Flowpay mitiga il rischio di dover dedicare tempo eccessivo al recupero crediti. Chi si occupa di recupero crediti può integrare la nostra API per avere un sistema di informazione maggiore perché l’azienda che implementa il nostro sistema può inviare un link al cliente e chiedere di essere pagata attraverso questo link in uno step, senza dover perdere tempo nel recuperare l’informazione della fattura, il destinatario del pagamento, l’IBAN.

 

Come è accessibile il servizio?

 

Il servizio è offerto tramite una piattaforma integrabile via API quindi è rivolta a molti soggetti come chi si occupa di commercio B2B, chi si occupa di Invoice Trading, finanza alternativa come factoring/reverse factoring o instant lending, chi si occupa di recupero crediti, ma offriamo anche una interfaccia utente per le piccole e micro realtà. Per questo abbiamo integrato i gestionali o i provider di fatturazione elettronica come fattura in cloud, Aruba e MyFoglio.

 

Quali sono i costi?

 

L’iscrizione a Flowpay è gratuita. I pagamenti sono anch’essi gratuiti mentre sugli incassi richiediamo lo 0,03%. La concorrenza, non Open Banking, ha prezzi molto più alti se pensiamo alle commissioni applicate da Stripe, PayPal.

 

Avete pensato a soluzioni per i crediti delle imprese verso la Pubblica Amministrazione?

 

La PA non paga con bonifico ma con mandato, ricorrendo ad una procedura autorizzativa per cui il dirigente preposto alla tesoreria all’interno di un ente pubblico dà mandato alla banca tesoriera di pagare. Allo stato attuale la nostra soluzione non è applicabile. Ho parlato con un hedge fund che ha svolto diverse operazioni su crediti scaduti o crediti in bonis di lungo termine e per loro il fatto che la PA paghi molto in ritardo non è altro che un vantaggio, perché riescono a raccogliere una massa di crediti dello Stato che sono sicuramente esigibili, anche se molto in ritardo, ma ciò crea una situazione molto sfavorevole per le imprese. Stiamo parlando con soggetti istituzionali per trovare una soluzione per le fatture verso la PA.

Ho letto che offrite anche un servizio di credit scoring?

Lo implementeremo in futuro, abbiamo ancora bisogno di dati per istruire con Machine Learning il nostro motore di credit scoring. In futuro, avendo indicazione di ogni soggetto circa le sue attività commerciali, attive e passive, noi riusciremo a mappare e dedurre quali saranno i comportamenti di pagamento dei vari soggetti che appartengono alla rete del nostro utente. L’obiettivo è offrire un payment scoring delle aziende per consigliare ai nostri utenti quali rapporti sono più profittevoli, fino ad arrivare a predire quando conviene ai nostri utenti chiedere l’incasso in base al comportamento passato del cliente/fornitore. Questo permetterà di pianificare e prendere migliori decisioni di allocazione finanziaria di breve termine.

 

Quale tecnologia utilizza Flowpay?

 

Flowpay nasce come una rete distribuita, ossia con la possibilità di installare nodi di dati all’interno di un certo numero di istituti finanziari, e non per creare una rete interbancaria, perché i clienti, di fatto, rimangono clienti diretti delle banche, per poi condividere questo patrimonio informativo con tutte le banche che avessero aderito e dare quindi credibilità e autorevolezza alla rete Flowpay. Questo primo passo con le banche non è andato come sperato perché le banche temono che possiamo sottrarre loro clienti, timore non fondato perché ci appoggiamo alle banche per il nostro lavoro, non ci occuperemo mai di raccolta del risparmio ma anzi la nostra collaborazione può portare ai nostri partner risultati più proficui e nuovi clienti che sono alla ricerca di servizi più efficienti. Si iniziano però a vedere alcuni passi positivi verso la nascita di alcune partnership.

 

Che tipo di difficoltà avete riscontrato dalla vostra nascita ad oggi? Avete ricevuto supporto dallo Stato se è stato richiesto?

 

Per adesso non abbiamo ricevuto aiuti dallo Stato ad eccezione del supporto avuto da Banca D’Italia che ha compreso molto bene e ci ha aiutato a creare un Unicum nel panorama FinTech italiano. Diciamo piuttosto che abbiamo scontato, e stiamo scontando, il prezzo di aver creato la nostra iniziativa in Italia, che nonostante diversi proclami mi sentirei di dire che non è il posto giusto per aprire una startup. Per diversi motivi:

 

  1. Il livello di richieste, soprattutto di Compliance Normativa, in Italia è forse il più alto di Europa ed in un contesto di Single Europe Payment Area (SEPA) vede le aziende italiane soccombere, per questioni di adeguamenti normativi, alla competizione con operatori esteri che possono operare in tutta Europa, compresa l’Italia, con un quadro normativo più lasso;
  2. Non esistono strumenti di capitale (equity o debito agevolato) adeguati a realtà come la nostra che devono competere da subito almeno su base europea. I fondi di Venture Capital con cui abbiamo parlato sono in gran parte esteri e tutti hanno storto la bocca quando hanno compreso che eravamo italiani e chiesto anche esplicitamente di rivedere la localizzazione della società su altri territori;
  3. Gli incumbent (banche e altri attori istituzionali) invece di aprirsi all’Open Innovation sono restii alla collaborazione anche perché non esistono meccanismi di incentivo all’innovazione.

Speriamo che questo secondo tentativo di finanziamento a Invitalia possa dare esito positivo, così da poter dire che lo Stato ci ha aiutato.

 

Un consiglio per i giovani ragazzi che vorrebbero avviare una loro attività?

 

  1. Mio malgrado: non fatelo in Italia;
  2. Studiate bene il mercato prima di fare qualsiasi cosa, studiate la competizione e trovate qualche “sponsor” o “Early adopter” prima di partire a fare;
  3. Chiunque sia disposto a finanziare una start up non ha né voglia né tempo di comprendere nei dettagli il tuo business, deve vedere che tu lo sai fare, quindi contratti e fatturato.