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L’enorme quantità di prodotti di plastica presenti oggi è un problema. È un problema per il nostro pianeta e per tutti gli esseri viventi che lo abitano, ma la colpa è solo di uno: l’essere umano. Abbiamo inquinato con la plastica i nostri oceani, le nostre montagne e il nostro cibo. È un problema che non si ferma ai confini dei Paesi, ma riguarda tutti indistintamente.

 

Dati allarmanti

La produzione di plastica è cresciuta in modo preoccupante negli ultimi 50 anni, passando dai 15 milioni di tonnellate nel 1964 ai 311 milioni di tonnellate nel 2014 e ci si aspetta che aumenterà ancora, quadruplicando nel 2050. Di questi, il packaging rimane la principale applicazione. Il packaging in plastica è infatti comodo per il trasporto perché leggero e perché permette di conservare in buono stato il cibo più a lungo. Il 72% del packaging prodotto, però, non è riciclato: il 40% finisce in discarica, mentre il restante 32% si perde nella catena di raccolta. Ciò comporta, dati alla mano, una grandissima quantità di rifiuti di plastica dispersi in natura o che sono smaltiti in modo illegale con conseguente danno all’ambiente. Nel 2014, la quantità di plastica negli oceani era, in peso, un quinto dei pesci presenti. Secondo lo studio The New Plastics Economy: Rethinking the future of plastics, se non modificheremo il nostro modo di vivere e di consumare e se i sistemi di raccolta non diventeranno più efficienti, entro il 2050 negli oceani “nuoteranno” più rifiuti di plastica che pesci.

Il più conosciuto e grande accumulo di rifiuti di plastica nell’oceano è il Great Pacific Garbage Patch: un’enorme isola di spazzatura galleggiante, più o meno al centro dell’Oceano Pacifico. L’immaginario comune porta a pensare questo accumulo come una vera e propria isola fatta di rifiuti ma è piuttosto una massa galleggiante di piccoli frammenti di plastica di rifiuti più grossi in seguito alla degradazione meccanica dell’acqua e della luce solare. Non è un fenomeno che riguarda solo la superficie delle acque, bensì anche le zone più in profondità e non essendo osservabile a occhio nudo non è possibile determinare la sua estensione con precisione. Secondo uno studio pubblicato su Nature, la chiazza sta rapidamente aumentando di massa ed estensione più velocemente di quanto atteso. L’accumulo è dovuto alle correnti oceaniche che trasportano i rifiuti, che poi rimangono intrappolati in tali zone anche per anni degradandosi nei piccoli frammenti.

Sono dette microplastiche i pezzi di plastica più piccoli di 5 mm. Una quantità sempre maggiore si sta riscontrando non solo nelle grandi isole di plastica ma nell’ambiente in generale e di conseguenza anche nel cibo che consumiamo e l’acqua che beviamo. Nell’ambiente, infatti, le microplastiche non si degradano ma tendono ad accumularsi costituendo un rischio per le specie animali ma potenzialmente anche per la salute degli esseri umani.

L’accumulo di rifiuti non è un problema troppo distante da noi e non riguarda soltanto le microplastiche: il Mar Mediterraneo costituisce meno dell’1% della superficie di mare e oceani ma è la sesta area al mondo in cui troviamo più rifiuti. Secondo l’indagine Beach Litter 2021 dell’iniziativa Spiagge e Fondali Puliti di Legambiente sulle spiagge italiane è presente una media di 783 rifiuti ogni cento metri lineari di spiaggia e l’84% di questi è di plastica. Il numero supera di molto il valore di riferimento stabilito a livello europeo per considerare una spiaggia in buono stato ambientale che si attesta a meno di 20 rifiuti ogni 100 metri lineari di costa. I rifiuti censiti da Legambiente sono per lo più di oggetti usa e getta e legati all’emergenza sanitaria, come mascherine e guanti, ritrovati rispettivamente sul 68% e sul 26% delle spiagge.

Ma Legambiente non è l’unica. In questi anni, molte organizzazioni e attivisti in tutto il mondo hanno denunciato il problema della plastica e avviato iniziative che potessero sensibilizzare le persone e spingere i governi ad agire. E oggi, grazie alle iniziative e grazie agli influencer che fanno dello zero waste e della sostenibilità la loro mission, sempre più persone si dichiarano sensibili al problema e si mobilitano nel loro piccolo per un consumo più consapevole.

 

#PlasticFreeJuly

Il Plastic Free July è un’iniziativa della Plastic Free Foundation, un’organizzazione no profit australiana fondata nel 2017 ma la cui missione è iniziata nel 2011, proprio con l’avvio di questo progetto. Il suo scopo è quello di arrivare a un mondo senza rifiuti di plastica e quindi a un mondo in cui nemmeno la si utilizza, attraverso una maggiore consapevolezza e la convinzione che ognuno di noi possa fare la differenza.

L’iniziativa parte dall’azione di un numero ristretto di persone e con il diffondersi dei social media e grazie a una sensibilità ambientale sempre più diffusa è diventata oggi una delle campagne eco-friendly più seguite a livello globale. L’iniziativa consiste nel cercare di non servirsi della plastica per l’intero mese di luglio. Ciò può significare scegliere di acquistare sfuso ciò che normalmente compriamo confezionato e utilizzare prodotti solidi invece che liquidi o più semplicemente evitare prodotti in plastica monouso.

Sul web il #PlasticFreeJuly è diventata una vera e propria challenge con cui eco-influencer e attivisti invitano i propri follower a aderire all’iniziativa tramite piccole azioni quotidiane. Anche sul sito dell’organizzazione è possibile trovare un elenco di cose che possiamo fare a casa, al lavoro per ridurre l’utilizzo della plastica nella nostra vita.

Come tutte le iniziative che invitano i consumatori a compiere scelte più consapevoli, è auspicabile sperare che dopo il mese una vita plastic free diventi la norma. Solo nel 2020, come riportato nel documento pubblicato dalla fondazione, si stima che abbiano partecipato al #PlasticFreeJuly almeno 326 milioni di persone in tutto il mondo per un totale di 900 milioni di kg di rifiuti di plastica evitati. Il numero dei partecipanti all’iniziativa è aumentato rispetto a quelli del 2019, nonostante la situazione pandemica abbia reso necessario un maggiore uso della plastica, in particolare di quella monouso.

Questo è un chiaro segnale di come il tema della plastica stia diventando importante per sempre più persone. I dati mostrano l’urgenza del problema e la necessità per i governi di introdurre una legislazione sulla produzione di prodotti di plastica e la conseguente immissione sul mercato in accordo con i dati di oggi. L’Unione Europea ha adottato nel 2019 ulteriori misure per ridurre la quantità di prodotti di plastica nell’ambiente. Un aspetto riguarda in particolare la plastica monouso e i primi provvedimenti sono entrati in vigore sabato 3 luglio.

 

Plastica monouso: al bando dal 3 luglio

La direttiva dell’Unione Europea sulla riduzione dell’incidenza dei prodotti di plastica sull’ambiente adottata a giugno 2019 prevede dal 3 luglio una restrizione di immissione sul mercato per quanto riguarda alcuni prodotti di plastica monouso. Tra i prodotti disciplinati dalla direttiva troviamo i bastoncini cotonati, posate, piatti, cannucce, contenitori per alimenti e tazze per bevande, sacchetti ma anche i prodotti di plastica oxo-degradabile, un tipo di plastica che è in grado di decomporsi all’aria in tempi relativamente ristretti rispetto a quella “normale” ma troppo lunghi rispetto alla bioplastica. Se sono presenti alternative sostenibili convenienti, questi prodotti in plastica monouso non possono essere immessi sul mercato. La direttiva fornisce agli Stati ulteriori indicazioni sugli altri prodotti di plastica monouso: in particolare, le bottiglie in PET dovranno contenere almeno il 25% di plastica riciclata a partire dal 2025 e il rispettivo tappo di plastica dovrà rimanere attaccato per tutta la durata del suo uso. La normativa prevede anche un sistema di etichettatura chiaro e leggibile che comunichi al consumatore la presenza di plastica e l’incidenza negativa che ha sull’ambiente e le modalità corrette di smaltimento del rifiuto.

Il divieto però in Italia non sarà immediato per tutti i prodotti: infatti, con l’approvazione della legge di delegazione 53 per il recepimento delle direttive europee e l’attuazione di altri atti dell’Unione Europea il governo italiano ha stabilito un’esenzione per i contenitori per alimenti quando non è possibile l’uso di prodotti alternativi sostenibili o riutilizzabili.