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Intervista a Luca Romano, fisico e divulgatore scientifico pro-nucleare

A favore dell’energia nucleare, contro l’energia nucleare: se da una parte c’è consenso sui vantaggi che questa fonte potrebbe portare come forte contributo alla decarbonizzazione del settore energetico e di molti sistemi produttivi, dall’altra persistono forti dubbi sulla sua fattibilità in Italia e sulla sua accettazione da parte dell’opinione pubblica.

 

Le ragioni per essere pro-nucleare stanno emergendo nell’ambito della comunicazione della scienza grazie anche a progetti come “l’Avvocato dell’Atomo”: abbiamo intervistato Luca Romano, fisico e divulgatore scientifico, per parlare del perché si dovrebbe ricominciare a discutere un progetto di sviluppo nucleare per l’Italia e del perché non sia troppo tardi per ripensare la nostra posizione collettiva sul tema, anche a seguito dei due referendum del 1987 e del 2011.

 

Partiamo da uno dei dubbi che più suscita preoccupazione tra chi si avvicina a questo tema: qual è la probabilità reale che incidenti gravi come quelli di Chernobyl e Fukushima possano ripetersi?

Ci sono dei rischi legati alle centrali, anche minori, che non possiamo escludere e che vanno necessariamente considerati nella valutazione dei costi e dei benefici?

La probabilità è molto difficile da calcolare, ma posso darti un numero: i reattori di ultima generazione hanno delle core damage frequencies di circa  eventi per anno, il che significa che un incidente in grado di danneggiare il nocciolo del reattore si verificherebbe, in media, ogni dieci milioni di anni. Questo però non significa ancora un danno grave all’esterno: ci sono stati casi di reattori che hanno avuto problemi al core che non hanno causato alcuna dispersione radioattiva (come quello di Lucerna o di Three Mile Island) per cui ci si attesta su probabilità infinitesime. Questa percezione alterata del rischio potrebbe essere paragonata a quella di chi nel passato si preoccupava di poter entrare in contatto con il virus Ebola, ma fumava venti sigarette al giorno.

 

L’energia nucleare è sostenibile da un punto di vista economico, in particolare in Italia?

 

La sostenibilità dal punto di vista economico dipende in larghissima parte dal meccanismo con cui si decide di finanziare la costruzione di una centrale: il nucleare ha i suoi costi distribuiti in maniera molto diversa rispetto ad altre forme di energia. In sostanza, quando costruisci una centrale nucleare si paga “tutto” subito perché il costo della centrale e gli interessi del finanziamento costituiscono quella che sarà poi la grandissima parte del costo dell’energia. I costi operativi invece sono molto bassi, principalmente perché l’uranio costa molto poco rispetto all’energia che produce: dipende tutto dall’avere un buon piano di finanziamento e un buon piano di rientro degli investimenti.

 

Il nucleare richiede stabilità e convergenza politica: se oggi decidiamo di costruire una centrale, significa investire parecchi soldi; se questa centrale viene terminata dopo aver fornito energia per sessanta o settant’anni, si può rientrare nei costi e anzi, questa fonte diventa molto redditizia. Se invece il governo successivo cambia direzione e la centrale chiude dopo soli cinque anni di operatività, si perdono miliardi. Allo stesso modo, se lo Stato garantisce o finanzia parte della costruzione i tassi di interesse si abbassano, mentre se l’investimento è lasciato tutto ai privati c’è un profilo di rischio più alto e i tassi di interesse si alzano. Sono questi gli aspetti che rendono il nucleare costoso e moltissimo dipende da quanto un paese è serio nelle sue prospettive di investimento sul nucleare.

 

L’energia nucleare è una valida alleata per un programma di riduzione delle emissioni? Ma soprattutto, siamo in tempo per contribuire alla decarbonizzazione con le centrali nucleari, in vista dell’obiettivo “Net 0”?

 

L’energia nucleare è tra le fonti energetiche a emissioni più basse e generalmente ad impatto ambientale più basso di tutte. A differenza delle fonti rinnovabili è in grado di fornire energia in maniera continua, con un capacity factor molto alto, superiore al 90%. Questo la rende ideale per fare da complemento, assieme alle rinnovabili, per la parte fissa del carico di rete, che viene definita carico di base.

 

Abbiamo tempo? La risposta è sì: una centrale richiede tra i cinque e i sei anni per essere costruita (alcune hanno richiesto più tempo, ma sono state l’eccezione e non la regola). L’energia nucleare ha assolutamente un ruolo da giocare: lo si può vedere guardando l’elenco dei paesi europei che emettono di meno, perché sono sostanzialmente quelli che utilizzano più nucleare (Francia, Svezia, Finlandia e Norvegia, che può contare molto sull’idroelettrico e quindi riesce a fare a meno del nucleare). Guardando le emissioni per punto di PIL si nota che, rispetto agli altri paesi occidentali, la Francia si distacca nettamente verso il basso proprio perché utilizza moltissimo il nucleare, dato che possiede quasi un reattore per ogni milione di abitanti. Il nucleare deve far parte delle strategie per arrivare a Net 0 nel 2050, e per questo abbiamo tempo. Se invece parliamo delle strategie per il 2030, allora no, non potremo contare troppo sul nucleare, soprattutto qui in Italia.

 

La domanda precedente nasce proprio dal fatto che anche chi è a favore del nucleare come fonte di energia sostenibile pensa che ormai sia troppo tardi per l’Italia…

 

Al momento non ci sono molte alternative. Se una persona non vuole il nucleare perché “non abbiamo tempo”, che cosa propone? Le energie rinnovabili non bastano perché ad oggi la loro tecnologia non è sufficiente a coprire il carico di base. La scelta è tra provarci con il nucleare, magari arrivando in ritardo, o non provarci neppure. Per il 2030 abbiamo obiettivi di riduzione di più del 50% rispetto alle emissioni del 1990 e che si possono raggiungere anche senza il nucleare, in parte sfruttando le rinnovabili, ma soprattutto puntando su un significativo efficientamento energetico e sulla conversione della mobilità verso l’elettrico. Dal 55% all’azzeramento delle emissioni nette, per cui la data è fissata al 2050, il tempo per il nucleare c’è e in abbondanza.

 

Quale dovrebbe essere il ruolo ideale per questo tipo di energia?

 

Il suo ruolo primario inizialmente sarà la produzione di energia elettrica per il soddisfacimento del carico di base, ma potrà essere utilizzata per il teleriscaldamento, per produrre idrogeno, per decarbonizzare una altri settori che oggi sono ancora molto carbon-intensive, ovvero ad altissime emissioni (come quello dell’acciaio e del cemento). Abbiamo energia nucleare da circa settant’anni, un domani le possibilità potrebbero essere moltissime. Pensiamo ai combustibili fossili: oggi riusciamo a sfruttarli in modi che nel diciottesimo secolo non saremmo mai riusciti a immaginare. Per il nucleare vale lo stesso discorso: siamo all’inizio della sua “era” e non possiamo ancora immaginare le sue possibilità. Potrei fare un elenco di applicazioni, ma chissà per che cosa verrà utilizzato tra 100 anni!

 

In quali nuove forme potremmo fruirne?

 

Potremmo parlare di SMR, ovvero di small modular reactors: all’inizio della storia del nucleare un reattore piccolo richiedeva lo stesso tempo di costruzione, ma non costituiva un vantaggio economico rispetto a uno grande. Oggi li stiamo riscoprendo perché abbiamo la possibilità di produrli in serie in fabbrica, trasportarli dove serve e assemblarli. La serialità e la standardizzazione dei processi produttivi costituiscono allora un vantaggio economico. Il nucleare promette di poter essere una tecnologia meno imponente e più fruibile, ma attenzione: quando si parla di SMR si parla di centinaia di Megawatt di potenza, non potremmo certamente metterli in cantina e alimentare con essi un condominio. Invece di avere una grande centrale da sei o sette Gigawatt, avremmo una serie di centrali più piccole in grado di alimentare una città grande come Torino, Milano o anche Bergamo o Brescia. Avere un reattore più piccolo consente di seguire meglio il carico, di averlo più vicino alla città e quindi di usare il calore di scarto per il teleriscaldamento, oltre ad una serie di altre applicazioni che la centrale grossa non consente. La serialità e l’accorciamento dei tempi consentono modelli di finanziamento diversi che abbattono i costi capitali: invece di impiegare cinque anni per costruire un reattore da 1 GW, ne impiegheremmo uno per costruire un reattore da 200 MW che inizierebbe a produrre energia e aiuterebbe a pagare i costi per gli altri SMR. Per ogni Megawatt di potenza costa meno il reattore grande, ma con gli SMR si finisce per avere un costo minore, perché inizi a ripagare prima gli interessi che in questo modo non si accumulano.

 

Tornando a parlare dell’Italia, il rischio sismico, l’eventuale mancanza di luoghi in cui stoccare i rifiuti, una possibile intrusione della criminalità organizzata sono problemi concreti?

 

Posso darti qualche dato: in Italia, zona sismica, la massima PGA (Peak ground acceleration, ovvero la “misura della massima accelerazione subita dal suolo durante un terremoto”) prevista sulle mappe sismiche è 0.35 g, ciò significa che durante un terremoto la sollecitazione del terreno a cui viene sottoposto il terreno è pari a circa un terzo di quella dell’accelerazione di gravità. Consideriamo che a 0.3 g crolla la maggior parte degli edifici e che a 0.5 g crollano gli edifici antisismici; le centrali nucleari moderne sono fatte per resistere a 0.8 g, con un nocciolo fatto per resistere a 1 g. Praticamente nessun terremoto in Italia sarebbe in grado di impensierire una centrale nucleare, ma se ne arrivasse uno di tale entità il rischio legato alle centrali sarebbe l’ultimo dei nostri problemi, perché crollerebbe tutto il resto nel raggio di centinaia di chilometri dall’epicentro.

 

I siti per il deposito dei rifiuti radioattivi, con le giuste condizioni geologiche e idrogeologiche, ci sono: Sogin, la Società Gestione impianti nucleari, ne ha individuati 67 e il fatto che non si riesca a sceglierne uno è dovuto all’opposizione dell’opinione pubblica. Una condizione che una centrale deve soddisfare è quella di essere situata vicino al mare o vicino a un grande corso d’acqua per il raffreddamento, ma dato che siamo circondati dal mare non si pone il problema.

 

Per quanto riguarda la mafia, questa è un’obiezione difficile da scalfire: dimostrare che non farebbe qualcosa, proprio perché logicamente non si può provare, è impossibile. Si può dire però che il rischio di un’infiltrazione è tutto sommato basso. Una centrale nucleare, essendo una tecnologia complessa, richiede moltissima collaborazione, diversi players e controlli nazionali e internazionali; dunque è improbabile che la criminalità organizzata possa infiltrarsi con la stessa facilità con cui lo fa, per esempio, nella costruzione di un palazzo abusivo, controllata da ditte locali. Se dovessimo costruire in Italia ci rivolgeremmo a EDF, che costruisce i reattori francesi, che a sua volta fa produrre i componenti a diverse parti in tutto il mondo. Credo sia difficile che la mafia possa inserirsi e corrompere centinaia di agenzie internazionali, come IAEA, l’Agenzia Internazionale per l’energia atomica, e commissioni regolatrici italiane ed europee. Per quanto riguarda i rifiuti radioattivi, se venissero seppelliti abusivamente verrebbero rilevati molto più facilmente rispetto ad altri tipi di rifiuti tossici proprio a causa della maggiore concentrazione di radioattività.

 

Quanto pesano i dubbi scientifici degli esperti rispetto a quelli generati dalla diffidenza, dalla disinformazione, dalle opinioni personali? E da divulgatore scientifico, come pensi si stia evolvendo la consapevolezza del pubblico?

 

Oggi l’ostacolo ad avere un dialogo politico sul nucleare è dovuto alla presenza di un terrore atavico attorno a questo tema. Un tecnico o uno scienziato contrario al nucleare solitamente non pone la questione sul piano del rischio o della produzione delle scorie, ma soprattutto su quello economico. Le persone spaventate da questo tipo di energia costituiscono però una base elettorale larga a cui nessun politico vuole rinunciare, dunque si tende a parlarne poco.

 

Osservo però, da divulgatore, che la situazione sta cambiando, sempre più persone cominciano a guardare i numeri e a considerare il nucleare come un’opzione: questo si traduce nel fatto che i politici inizino a parlarne; fino a 6 mesi fa ne parlavo io su Facebook, ora se ne dibatte in un ambito più mainstream. La posizione pro nucleare non è ancora vincente ed è portata avanti, secondo me, per le ragioni sbagliate, soprattutto dai partiti di destra: parlo di un discorso di sovranità energetica, che seppur legittimo, è meno importante dell’aspetto ambientale. Con la pazienza e la divulgazione fondata sui dati non si convincono tutti, ma pian piano si convincono sempre più persone.