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Con ben 110 miliardi di dollari incassati dal 1996 a oggi, Pokémon è il franchise mediatico di maggior successo della storia. Il dato potrebbe stupire, considerando che nella classifica rientrano marchi come Topolino e Winnie The Pooh, ma solo fino ad un certo punto: d’altronde chi non conosce almeno il nome di un Pokémon? Pikachu è, ormai da anni, considerato da molti il “Topolino giapponese”. Ma come è nata la mania dei mostriciattoli tascabili negli anni ’90 e come ha ritrovato nuova linfa nell’ultimo decennio? In questo articolo cercheremo di esaminare tutta la storia del brand, dalle origini ai giorni nostri.

 

Insetti e sale giochi: le origini

 

Il brand Pokémon nacque dalle menti di Satoshi Tajiri, un uomo giapponese con la passione per gli insetti, e del suo amico Ken Sugimuri, illustratore che diede vita alla maggior parte dei design delle prime creature tascabili. I due si conobbero in una sala giochi nel 1982 e fondarono la rivista di videogiochi “Game Freak”. Nome, quest’ultimo, che verrò riutilizzato sette anni più tardi da Tajiri per la sua software house.

Tajiri vide per la prima volta un Game Boy nel 1991 e, notando il cavo Game Link (NDR, accessorio necessario per consentire il gioco multiplayer tra due Game Boy), immaginò degli insetti passare da una console all’altra. Così nacque l’idea dei mostriciattoli tascabili e Game Freak si dedicò completamente allo sviluppo dei primi due storici titoli della saga – Pokémon Rosso e Pokémon Verde – per i sei anni successivi.

 

Il successo tra gli anni ’90 e i primi anni 2000

 

Nonostante le iniziali perplessità della publisher Nintendo, Pokémon Rosso e Verde furono pubblicati in Giappone il 27 febbraio 1996 riscuotendo un discreto successo. Per quanto possa sembrare assurdo, infatti, le vendite dei due titoli per Game Boy ebbero un vero e proprio boom quando fu resa nota l’esistenza nei giochi del Pokémon Mew, ottenibile solamente attraverso un concorso della celebre rivista giapponese per ragazzi Coro Coro. Questo concorso ebbe un enorme successo e contribuì a far conoscere i Pokémon nel Paese del Sol Levante. Determinante fu anche la scelta di distribuire il gioco in due versioni parallele – Rosso e Verde per l’appunto – con lo scopo di invogliare i giocatori a incontrarsi e scambiarsi i Pokémon non ottenibili nella propria versione tramite Game Link.

Con l’aumento vertiginoso delle vendite dovute al concorso, Game Freak decise di pubblicare subito Pokémon Blu, una versione leggermente corretta dei titoli originali. Quest’ultima versione è, poi, quella che è stata pubblicata in Nord America nel settembre 1998 e in Europa nell’ottobre 1999, con i titoli di Pokémon Rosso e Pokémon Blu.

 

La serie principale: come funzionano i giochi Pokémon?

 

Ma facciamo un passo indietro, come funzionano i giochi Pokémon della saga principale? Essenzialmente si tratta di una serie di giochi di ruolo in cui il giocatore impersonifica un “allenatore di Pokémon” con lo scopo di diventare il Campione (sconfiggendo i vari personaggi che dovrà affrontare nel corso dell’avventura) e di collezionare tutte le creature tascabili. Nonostante non fossero il “core” dell’idea originale di Tajiri, le lotte a turni tra Pokémon hanno, vista la loro stratificazione strategica, originato un vivace ambiente competitivo che ha portato, nel 2004, alla nascita della prima Pokémon World Championships. Competizione che ha visto, nel 2021, trionfare l’Italia con la vittoria di Leonardo Bonanomi.

Questa struttura doppia – lotte e collezionismo – è rimasta, con le dovute evoluzioni, essenzialmente intatta fino ad oggi. Tant’è che chiunque abbia giocato a un titolo Pokémon negli anni ’90 difficilmente avrà problemi ad ambientarsi in una delle ultime iterazioni del franchise. Questo rispetto verso i fan storici, forse, è un’altra delle chiavi del duraturo successo dei Pokémon.

 

Variare è la regola, gli spin-off

 

Nonostante i giochi della serie principale siano sempre stati i più venduti (basti pensare che il recente Pokémon Legends Arceus ha già surclassato le vendite dello spin-off non free-to-play di maggiore successo, Pokémon Stadium del 1999), The Pokémon Company, la compagnia che gestisce tutto ciò che porta il marchio Pokémon dal 1998, ha sempre distribuito anche videogiochi che si discostano dalle dinamiche classiche dei giochi Pokémon di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo. Tra questi spin-off, senza dubbio, quello che ha avuto più visibilità, anche sui mass media, è Pokémon GO. Quest’ultimo, è disponibile come free-to-play per dispositivi mobile dal 2016 e, anche grazie ai suoi continui aggiornamenti, è riuscito a superare il miliardo di download in tutto il mondo. Nonostante l’attenzione del pubblico generalista sia, come è naturale dopo sei anni, scemata, Pokémon GO può ancora contare su un gran numero di giocatori attivi. Tant’è che il 2020 e il 2021 sono stati gli anni più remunerativi per Niantic, casa sviluppatrice del gioco, e The Pokémon Company, con rispettivamente 917 e 904 milioni di dollari incassati.

Tra gli spin-off, merita menzione anche il recente Pokémon Unite, disponibile, anch’esso come free-to-play, per Nintendo Switch e smartphone dalla scorsa estate. Unite è una rivisitazione in salsa Pokémon dei MOBA come League of Legends e sta già riscuotendo un notevole successo, soprattutto tra i giocatori più competitivi e dediti agli eSport. In questi giorni, infatti, si sono appena tenuti i primi campionati ufficiali regionali che porteranno al mondiale di Londra a fine anno.

 

Pokèmon: il Re Mida del merchandise

 

Nonostante Pokémon nasca come videogioco, se dovessimo guardare un ipotetico bilancio dei ventisei anni di vita del brand, la voce più remunerativa, con i suoi 82 miliardi di dollari, risulterebbe essere il merchandise. D’altronde quando hai più di un migliaio di mostriciattoli e decine di personaggi resi celebri dalla seguitissima (dai più piccoli) serie anime di cui vendere peluche, action-figure e giocattoli, perché non approfittarne? Per non parlare, poi, dell’immenso successo che ha ottenuto il gioco di carte collezionabili Pokémon. Fenomeno letteralmente esploso, soprattutto dal punto di vista collezionistico, nel corso degli ultimi due anni. Soprattutto le prime espansioni del gioco hanno raggiunto valori altissimi, come successo ai box del primo set che attualmente hanno un valore medio che oscilla attorno agli 11000 euro.

 

Insomma, Pokémon ha dimostrato, nel suo quarto di secolo d’esistenza, di avere tantissime frecce al suo arco, dimostrando di sapersi innovare e di puntare a più mercati contemporaneamente. Difficilmente – fortuna aggiungerei io – ce ne “libereremo” nei prossimi anni, e chissà che il brand non possa trovare nuova linfa grazie al metaverso e alle nuove tecnologie di cui vi parliamo spesso qui su iWrite.