Condividi su:

Le realtà estese o immersive, termine spesso utilizzato per indicare l’insieme di virtual reality e augmented reality (per la spiegazione completa sulla differenza, fare riferimento a questo articolo), vengono ancora identificate come tecnologie interessanti e dal grande potenziale, ma con la convinzione che siano ancora troppo acerbe, magari, senza nemmeno aver compreso i diversi ambiti di applicazione e le innumerevoli occasioni in cui queste vengono attualmente già impiegate.

 

Dalla formazione al gaming, dagli eventi alle simulazioni in ambito professionale fino ad arrivare all’arte e la terapia medica. Questi sono solo alcuni degli aspetti di cui si potrebbe parlare, come hanno raccontato alcuni speaker, al Web Marketing Festival, di cui riportiamo un paio di incontri.

 

La VR gamification come strumento di marketing

 

Manuel Bazzanella, Founder e CEO di Digital Mosaik, azienda trentina che si occupa di virtual reality, ha tenuto un talk riguardo all’impiego della VR nel mondo del marketing tramite l’utilizzo della gamification.

 

Cosa sono gamification, VR e a cosa servono

 

Manuel è partito proprio dal termine: per gamification s’intende l’utilizzo delle dinamiche ludiche in contesti non ludici per aumentare coinvolgimento e motivazione. Secondo Manuel, giocare è vivere, poiché le dinamiche sono le stesse: superare le sfide, procedere a livelli, ottenere riconoscimenti. Il gioco è ormai diventato una meccanica motivante con cui si possono rivestire tantissime altre attività e progetti, tra cui, l’ambito del marketing. Il concetto di gaming, inoltre, diviene superiore quando incontra la realtà virtuale e nell’ultimo periodo se ne parla parecchio perché a livello globale si sta andando proprio in questa direzione: intercettare il trend adesso, può portare ad un grosso vantaggio competitivo in futuro.

 

I bambini, sin da subito, vengono istruiti alle dinamiche ludiche: livelli da raggiungere, ricompense e doni, distintivi da esibire. Queste sono le regole dei giochi che si trasportano anche nel caso della VR. La virtual reality include facilmente il concetto di flow, teorizzato dallo psicologo Mihály Csíkszentmihályi. Esso è lo stato particolare di perfetto coinvolgimento, in cui l’attività che dobbiamo svolgere non è né troppo semplice né troppo difficile, sfidante al punto giusto, tanto che diverte, facendo perdere il senso del tempo. Da qui si arriva al motivo per cui la realtà virtuale è così efficace. Secondo alcuni studi, il coinvolgimento è 3,75 volte più elevato, l’apprendimento è per il 275% maggiore perché, secondo il cono dell’apprendimento, facendo, si comprende meglio. Infine, potendo praticare senza distrazioni, la concentrazione risulta essere 4 volte più elevata.

 

Manuel arriva quindi alla VR in sé, che abbiamo detto far parte delle tecnologie immersive, ovvero tutte quelle tecnologie che consentono, all’interno di una sorta di ambiente fisico, ricostruito in 3D, di interagirci, muoversi e toccare ciò che ci circonda. È evidente come, una volta indossato questo, dice il CEO con in mano un visore, “la realtà scompare e si viene teletrasportati in un ambiente completamente diverso. In questo ambiente le situazioni cambiano: la persona diventa protagonista diretta con un forte reazione emotiva e non più ricettore passivo dell’esperienza”.

 

Manuel sottolinea il fatto che sia AR che VR siano dei nuovi mezzi di comunicazione e come tali possiedono un loro linguaggio caratteristico che va compreso fino in fondo, ancora prima di voler impiegare questa potente tecnologia nella propria realtà quotidiana o aziendale, ma soprattutto andrebbe compresa prima che questo diventi prioritario, in un futuro molto prossimo. Rispetto a tutti gli strumenti che conosciamo adesso, la realtà virtuale non va a sostituirli, quanto piuttosto ad integrarli, essendo una tecnologia diversa che permette di compiere svariate attività.

 

Come utilizzare l’unione di VR e gamification

 

Dopo aver compreso i due concetti, ci si chiede come questi possano essere uniti, ma soprattutto come utilizzarle per far sii che risultino fruttuosi commercialmente. Un esempio è quello dell’azienda produttrice dell’aceto balsamico di Modena: prima delle degustazioni, lasciando indossare un visore, mostrando gli ingredienti dell’aceto balsamico come se gli utenti fossero dentro un gioco nel quale avrebbero dovuto partecipare attivamente. Un altro spunto lo dà IKEA che permette di arredare la casa con il visore, vedendo, prima di acquistare, come determinati mobili starebbero in una stanza della casa.

 

Il mercato in generale si divide in B2C e B2B, e quello delle realtà estese non fa eccezione. A livello B2C, ovvero per il cliente diretto, esistono delle piattaforme da cui è possibile scaricare i mondi con i quali interagire, in quello che sarebbe l’equivalente virtuale dell’App store dello smartphone. A livello B2B si possono proporre applicazioni fruibili solo lato business, con visori diversi da quelli client, appositi per aziende. Questi ultimi visori risulterebbero più costosi (anche 1000 euro rispetto ai 300 a cui si può trovare un visore client), ma sarebbero in grado di fornire molte informazioni come le analytics. Dati analitici riguardo l’utilizzo del dispositivo e la permanenza dell’utente su una determinata applicazione, darebbero molte informazioni utili ai responsabili aziendali.

 

Per un’azienda, la convenzione su larga scala è alta, in quanto, questa tecnologia è in grado di sostituire tutta una serie di costi che normalmente vengono dati per assodati, ma che in realtà non lo sono. Lo stesso Elon Musk ha annunciato di voler implementare queste tecnologie per gli acquisti delle Tesla: poter vedere virtualmente la macchina e decidere di comprarla, magari in Bitcoin, senza uscire di casa e doversi recarsi al concessionario, permetterebbe all’azienda di Palo Alto di ridurre i costi, in primis degli immobili. Per le aziende, inoltre, potrebbe essere un ulteriore mezzo per proporre la propria pubblicità, e quindi un’occasione da non farsi sfuggire.

 

La reale dimensione del mercato

 

Manuel arriva infine al tema delle dimensioni del mercato. I dati parlano chiaro: le realtà estese sono in netta crescita, e dovrebbe far riflettere il fatto che Oculus, realtà nata da un ragazzino in un garage americano, sia stata comprata da Facebook che tutti conosciamo come il re dei videogiochi. L’acquisizione può significare solo una cosa: Zuckerberg ha in mente di creare la più grande piattaforma di incontri in realtà virtuale dove poter lavorare, giocare e incontrarsi. Ed è proprio Facebook che durante la pandemia ha aperto Facebook Reality Labs ambiente in cui le varie aziende condividono il sapere per il continuo sviluppo di questa tecnologia.

 

“Ad alcuni può far paura, ma essendo nato in un paesino di 80 abitanti, da sempre immagino mondi fantastici in cui gioco e sono il protagonista principale” ci rivela Manuel.

 

Il metaverso sta arrivando

 

Il talk è stato tenuto da Matteo Favarelli, Co-founder e COO di AnotheReality, azienda milanese specializzata nella realizzazione di contenuti in realtà virtuale con il focus in gaming e entertainment e consulente LBE (location based entertainment).

 

Breve storia dell’evoluzione dei computer e origine della realtà virtuale

 

Matteo inizia il suo discorso con una frase ad effetto pronunciata da uno dei consiglieri del presidente americano: “nei prossimi 15 anni ci saranno più cambiamenti che in tutta la storia umana fino ad oggi” e questo, può voler dire che siamo sulla rampa di lancio di una nuova rivoluzione.

 

La storia dell’evoluzione dei computer viene raccontata come una “storia di evasione”. Dapprima c’è stata l’evasione dei mainframe, i computer giganti che occupavano una stanza intera, dagli scantinati, per arrivare nelle nostre case. Successivamente c’è stata l’evasione dell’informazione dalle librerie che sono finite su Internet. Infine, abbiamo avuto un’evasione dei computer dalle case che sono arrivati nelle tasche di chiunque, rendendo a tutti accessibile qualsiasi informazione. Ora stiamo arrivando alla quarta rivoluzione, quella degli spatial computer con un’evasione dell’informazione dagli schermi per aprirsi ad un mondo spaziale.

 

Ma cos’è uno spacial computer? Tradotto diviene “computer nello spazio”, e non è bellissimo ammette Matteo, ma non è altro che: “quel punto d’interpolazione tra ciò che è la realtà vera e propria e ciò che è digitale”. Di questa famiglia fanno parte realtà aumentata e virtuale, le cosiddette realtà estese o immersive.

 

Da dove arrivano i mondi simulati? Matteo fa un salto indietro nel tempo partendo dal 1700 con la cosiddetta “panorama rotunda”, uno dei primi tentativi di far vivere un mondo diverso con la rudimentale tecnologia del tempo. Non sono stati registrati grandi avanzamenti di questa tecnologia prima del 1929, anno in sono nati i primi simulatori di volo, con i quali si sono allenati migliaia di piloti. Solo alla fine degli anni ’80 si sono potuti vedere i primi veri esperimenti di realtà virtuale con simulatori costosissimi e pesanti che hanno portato all’unico risultato di finire nel “dimenticatoio”. Questo fino a quando, un giorno, un “pazzo psicopatico”, come scherzosamente l’ha definito Matteo, si è accorto che tutti possiedono uno smartphone, un tipo di tecnologia con uno schermo ad alta risoluzione e per giunta, in costante miglioramento. Prendendone un paio e posizionandoli davanti agli occhi, ecco che un ragazzino in un classico garage americano, ha inventato Oculus: il primo visore dei tempi moderni, il primo da poter essere chiamato tale.

 

L’idea è stata talmente innovativa e dall’alto potenziale, che poco dopo Zuckerberg in persona lo ha contattato per acquistare la startup per ben 2 miliardi di dollari. Il fatto che Facebook, una delle big corporate mondiali, che tutti conosciamo come il “re dei social”, si stia interessando a questo tipo di tecnologia, dà un segnale molto chiaro: il social del futuro non sarà un’applicazione sul cellulare, bensì un vero e proprio mondo parallelo. Dopo l’ingente spesa, il fondatore di Facebook ha inviato una lettera agli investitori della società, per giustificare l’acquisto. Cosa c’era scritto in quella lettera è rimasto nella storia: “non abbiamo comprato una startup che progetta dispositivi, noi abbiamo comprato quest’idea, questa nuova tecnologia. Noi abbiamo comprato il futuro”.

 

Dopo Facebook tanti altri giganti del tech hanno annunciato nuove uscite di dispositivi di VR. Questa tecnologia sta crescendo tanto velocemente che un visore diventa obsoleto in media dopo 8-12 mesi. Secondo le stime attuali, game changer sarà l’arrivo di Apple sul mercato: per l’anno prossimo hanno previsto l’uscita di alcuni visori, e come sappiamo, l’azienda fondata da Steve Jobs e Steve Wozniak, entra sul mercato solo quando le tecnologie sono già mature.

 

Perché se ne parla tanto: gli sviluppi potenziali

 

Matteo arriva al perché abbiamo parlato di tutte queste cose: realtà virtuale e aumentata ci permettono di vivere quella che è la convergenza di tantissime tecnologie che ad oggi permettono di vivere in altri mondi. Tutte queste tecnologie ad oggi comunicano in una maniera classica, utilizzando quindi un display, ma le prospettive sono ben diverse. In futuro potremmo avere un avatar, che “vivendo” a fianco a noi, potrebbe utilizzare ogni aspetto dell’Internet passando in maniera sempre più fluida da un mondo all’altro; basterà indicargli di entrare nella “porta di Google” per fare una ricerca, oppure in quella di Amazon per acquistare un capo di abbigliamento, magari usando la Blockchain per pagare. Le prospettive sono quelle di far convergere piattaforme che già utilizziamo in mondi virtuali, creando esperienze sempre più fluide e avendo un’interazione che oggi fatichiamo ad immaginare.

 

A riprova di questo, i mondi virtuali si sono posizionati terzi tra quindici in un elenco di trend futuri stilato da ARK Invest. Per virtual worlds loro intendono: videogame, augmented reality e virtual reality. Ma cos’hanno in comune questi mondi? Vengono sviluppati con le stesse tecnologie.

 

Cosa ne ha permesso lo sviluppo

 

Il merito del perché queste tecnologie oggi sono già in parte pronte è da ritrovarsi nei videogiochi. Essi, infatti, sono stati i primi ad aver creato veri e propri mondi virtuali in cui si è immersi con un avatar che diventa il protagonista attivo dell’azione. Due esempi? “Doom”, un classico sparatutto del 1993 e “Second life”. Anche se molto diversi tra loro, in primis l’accessibilità e la persistenza ovvero il fatto che le dinamiche del videogioco proseguono anche se non si è collegati, entrambi sono stati tra i primi a dare una vera esperienza utente dal punto di vista di chi gioca.

 

A molti, sentendo parlare di videogiochi, potrebbe venir in mente il ragazzino che davanti ad uno schermo nella sua cameretta schiaccia rapidamente i tasti di una console. Ma la realtà è molto diversa: ad oggi il mercato dei videogiochi fa numeri da capogiro, ben 160 miliardi di dollari. Mettendo insieme tutta l’industria musicale con quella del cinema non si arriva nemmeno a metà del mercato dell’industria videoludica.

 

Le corporate hanno compreso il grande guadagno che può derivare da questo mercato in continua crescita e alcune hanno tentato i primi approcci in termini di pubblicità, facendo apparire i loghi oppure creando eventi da loro sponsorizzati. È stato il caso di Fortnite, uno dei videogiochi più amati del momento, in cui è stato organizzato un concerto a cui hanno partecipato migliaia di persone collegate in diverse stanze virtuali una a fianco all’altra, quasi contemporaneamente (la vera contemporaneità non è ancora possibile con la tecnologia attuale. Un altro esempio recente è il fenomeno di Roblox (ne parliamo nel dettaglio in questo articolo), videogioco usato soprattutto dai giovani, dove è possibile costruirsi un proprio mondo personalizzato, con tanto di oggetti ed esperienze precise alle quali possono partecipare anche i propri amici che ovviamente sono collegati da un’altra console, magari dall’altra parte del mondo.

 

Dove vogliamo arrivare?

 

A questo punto Matteo ci pone una domanda intrigante: “dove vogliamo arrivare?”, dandoci subito dopo una risposta altrettanto affascinate. Attualmente il problema è che i mondi virtuali sono indipendenti e scollegati tra loro, ma in futuro diventeranno uno, quello che i futuristi chiamano “metaverso”. Con questo termine si intende un macro-universo dove tutti i piccoli mondi sono interoperabili tra loro e non più delle bolle separate. Essendo uniti in un unico “universo virtuale”, usando lo stesso avatar e la stessa user experience, si potrà navigare in un luogo unico fortemente spazializzato. In questa dinamica si potranno includere anche molte piattaforme che già conosciamo: Google, Amazon, i social network, i videogiochi, i webinar ecc.

 

Il metaverso fa parte da un processo abbastanza lungo di smaterializzazione, con questo termine s’intende il progressivo sostituirsi di oggetti materiali con applicazioni e tecnologie digitali. Nelle prospettive future, probabilmente non avremo nemmeno più bisogno di computer e smartphone sulla nostra scrivania, ma soltanto di un paio di occhiali sempre indosso, che ci facciano vivere un mondo in realtà aumentata attraverso i nostri occhi.

 

Le proiezioni del mercato della dematerializzazione? Una crescita di 1.5 triliardi entro il 2030: la direzione è chiara, non possiamo più ignorare questo fenomeno.

 

Matteo conclude il talk con una sorta di suggerimento, un’altra frase ad effetto: “I mondi virtuali esistono, provateli. La rivoluzione tech in parte c’è già e aumenterà ulteriormente nei prossimi dieci o quindici anni. L’hardware sta raggiungendo velocemente il grado di maturità richiesto. Il futuro è adesso”.