< Torna indietro
Ambiente, società e tecnologia

A proposito di Diritto della Rete: intervista ad Alessandro Vercellotti, #AvvocatoDelDigitale

Quante norme bisogna conoscere per avviare un business sul web? E quali sono le cose che bisogna assolutamente sapere per capire come rispettare la legge per lavorare online?

Per rispondere a queste domande, abbiamo pensato di rivolgerci a un “esperto del settore”: Alessandro Vercellotti meglio conosciuto come Avvocato del Digitale e fondatore di Legal For Digital, il primo studio legale italiano incentrato sul Diritto Digitale e rivolto a realtà aziendali, professionisti e agenzie di marketing. Come Business coach e relatore ad eventi di settore, Alessandro lavora per sensibilizzare l’opinione pubblica su rischi e opportunità del rapporto fra legge e web.

Il risultato è stata una chiacchierata molto interessante su regolazione del web e possibili future modifiche alle attuali norme, la gestione dei dati sensibili e anche qualche consiglio utile per chiunque volesse intraprendere il suo  stesso percorso.

Buongiorno Alessandro, e grazie per aver accettato l’invito di iWrite.

Grazie a voi e buongiorno a tutti i lettori!

Partiamo da una domanda generale: oggi il digitale è altamente regolamentato: quali sono state le ragioni per cui si è arrivati a normare così tanto l’utilizzo di questo media?

Il mondo del web spesso era visto come un mondo a parte, nel quale le regole del mondo off-line non esistevano. In realtà non è così e anzi spesso la portata di certi comportamenti online è ancora più grave, basti pensare alla diffamazione che se effettuata sui social network diventa di default una diffamazione aggravata proprio per il numero di potenziali utenti ai quali si comunica. Poi è altrettanto vero che la natura stessa del digitale ha portato la necessità di definire regole specifiche per questo mondo come in ambito di commercio elettronico o normativa privacy

GDPR: cosa è cambiato secondo te con l’introduzione di questa norma? Lo scenario del web è migliorato oppure no?

Il Gdpr è una normativa che ha del rivoluzionario per l’importanza nella cura dei dati personali degli utenti, tuttavia ad oggi tanti siti risultano ancora non rispettarla appieno. Si può vedere queste situazione come un limite oppure come un’enorme opportunità che deve essere colta da tutti per un mondo online più corretto e con minori rischi. Inoltre per le aziende, dati personali degli utenti possono essere un nuovo modo di monetizzare se tutto viene fatto a norma di legge e quindi i dati vengono trattati in modo corretto.

Diversi report ci indicano come la privacy sia diventata una delle priorità per gli utenti del web: secondo te come mai?

Penso che i cittadini stiano capendo quanto siano importanti i loro dati e anche che valore abbiano. È un processo di apprendimento molto lungo ma inesorabile e il futuro sarà sempre più data centric. Anche i big del web ci insegnano che oggi i business più profittevoli sono legati alla gestione/cessione dei dati e gli iscritti ai social network o alle piattaforme online hanno compreso che tanti servizi “gratuiti” prevedono attività di marketing legate al trattamento dei loro dati personali.

La consapevolezza dell’esistenza di un tema legato alla gestione del “dato” online è emersa anche nel lancio dell’app Immuni: a tuo parere, le persone sono consapevoli di quante cose lasciano online?

Se da un lato la soglia di consapevolezza e attenzione sul concetto di gestione dei dati sta aumentando, dall’altro penso che tanti utenti oggi non abbiano idea di che tipo di dati personali siano davvero trattati dalle aziende. Queste ultime spesso non trattano il nome e cognome dell’utente facendo una pubblicità specifica verso di lui ma intrecciano i dati raccolti sul proprio sito web con quelli delle piattaforme social per raggiungere quel risultato. Allo stesso modo quando l’utente contatta un’azienda con la propria mail personale non sta autorizzando quest’ultima a trattare quel dato per mandare comunicazioni commerciali.

A proposito di norme e dati: si discute di un Decreto Legge, a firma del senatore Simone Pillon, per limitare l’accesso ai contenuti per adulti online. In termini legali non è una limitazione alla libertà personale?

Questa tipo di proposta mi sembra tanto una mossa politica che avrà poco di reale. Per fortuna non viviamo in una realtà nazionale con diritti limitati e quindi penso che azioni come questa avranno poco seguito. Oltre tutto il mondo del web ci insegna che imposto un limite, anche logico e corretto, spesso viene trovato un modo per eluderlo. Tutto ciò potrebbe avvenire questo anche in caso di limitazione all’accesso dei contenuti per adulti che oggi hanno una tale importanza online.

Quali sono le principali cose da sapere quando si vuole lanciare un business online, in termini di leggi e norme?

Prima di tutto il web è reale e ha delle regole (normative) come il mondo offline. Poi bisogna pensare alla fattibilità legale del business perché ci possono essere normative specifiche che limitano certe attività e ancora dobbiamo pensare al trattamento dei dati personali degli utenti (normativa privacy/Gdpr). Se si tratta di un business che preveda la vendita online di prodotti e/o servizi sono fondamentali dei termini e condizioni di vendita e quindi va considerato il Codice del Consumo e il Decreto sul Commercio elettronico.

Lasci un consiglio a chi studia giurisprudenza e vuole seguire le tue orme di “avvocato del digitale”?

Uscite dagli schemi o dal “l’unica strada è quella già scritta”. Scegliete il vostro sogno e cercate la vostra strada per raggiungerlo!

< Torna indietro
Marketing & Social Media

Bonus vacanze: soluzione per l’economia italiana o un’ulteriore complicazione?

Dal 1 luglio è possibile fare domanda per ottenere il Bonus vacanze, o Tax credit vacanze, il contributo che potrà permettere a molti italiani di andare in vacanza anche affrontando la crisi economica post-COVID.

Il bonus può essere una giusta soluzione per la ripresa economica italiana: il turismo è un settore preziosissimo per la nostra economia, offre moltissimi posti di lavoro e garantisce notevoli entrate di denaro sia allo Stato che ai privati; uno stimolo strategico per il, sistema Paese.

È un dato di fatto che con l’epidemia, l’Italia rischia di perdere gran parte dei proventi che ogni anno riceve da turisti italiani e stranieri, circa il 13% del PIL nazioanle; secondo una stima iniziale della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media (CNA) il settore turismo potrebbe subire una contrazione dei ricavi del 73%, con una perdita circa di 40 miliardi.

Anche per questa ragione il governo, e in particolare il Ministero per i Beni, le Attività culturali e per il Turismo, ha proposto che il bonus vacanze si possa utilizzare fino alla fine del 2020. Per supportare la misura sono stanziati fondi limitati fino a 2,4 miliardi di euro: una cifra decisamente importante.

Ma come funziona? Come si può usufruire di tale risorsa?

 

Il Bonus vacanze si potrà spendere in strutture turistiche aderenti all’iniziativa come alberghi, campeggi, villaggi e B&b; il contributo sarà diviso in tre categorie, differenti per numero di componenti del nucleo famigliare:

  • Se la famiglia è composta da 3 o più persone potranno godere di 500 euro.
  • I nuclei composti da 2 persone otterranno 300 euro.
  • Le persone singole potranno avere 150 euro.

Il richiedente dovrà avere un ISEE (l’Indicatore della Situazione Economica Equivalente) inferiore ai 40.000 euro. Il Bonus potrà essere richiesto solo una volta da un componente della famiglia e potrà essere utilizzato da un qualsiasi membro del nucleo famigliare, anche diverso dal richiedente, in un arco di tempo che va dal 1 luglio al 31 dicembre 2020, nelle strutture aderenti all’iniziativa in Italia; non sarà utilizzabile infatti in località e stabilimenti turistici all’estero.

Non si deve fare l’errore di credere che l’ammontare del Tax credit verrà assegnato in toto con la stessa modalità o in denaro effettivo: il bonus sarà infatti diviso in due percentuali, con diverse caratteristiche. L’80% dell’ammontare sarà sotto forma di credito al momento del pagamento presso la struttura turistica, mentre il restante 20% sotto forma di detrazione nella dichiarazione dei redditi dell’anno successivo.

È proprio questo aspetto che ha scatenato molte critiche da parte sia di richiedenti che di operatori turistici. Questi ultimi hanno bisogno di liquidità in questo periodo di estrema crisi e il bonus vacanze rischia di non essere la risposta giusta: l’80% dell’ammontare sarà anticipato proprio dai fornitori del servizio, già in carenza di denaro, che, solo successivamente, potranno poi chiedere il rimborso sotto forma di credito d’imposta, quindi attraverso una riduzione delle imposte da pagare successivamente allo Stato.

Dal punto di vista dei clienti, i dubbi sono per il sistema di prenotazione: per poter sfruttare del bonus, il beneficiario dovrà chiedere direttamente alla struttura ricevente se è disposta ad accettare tale strumento, oppure affidarsi a tour operator o agenzie di viaggi, escludendo però le piattaforme intermediarie di prenotazione, come Booking o Air Bnb.

Per facilitare la ricerca alle persone, Italyhotels offre agli utenti la lista di tutti gli hotel e località turistiche disposte ad accettare il bonus vacanze facenti parte di Federalberghi, organizzazione nazionale che maggiormente rappresenta gli albergatori italiani.

Perché il tax credit venga riconosciuto al momento del pagamento ci sono le seguenti regole standard da seguire:

  • il bonus dovrà essere utilizzato in un’unica soluzione
  • il corrispettivo totale dovrà essere documentato da fattura elettronica o documento commerciale in cui viene indicato il codice fiscale del soggetto che utilizza il credito
  • il pagamento dovrà essere effettuato senza l’utilizzo di intermediari, come piattaforme o portali telematici, diverse da agenzie di viaggio e tour operator.

Dal punto di vista pratico il richiedente ed il fornitore del servizio cosa devono fare?

 

L’utente dovrà scaricare sul proprio smartphone l’app “Io”, messa a disposizione da PagoPa; una volta scaricata l’applicazione si dovrà fare il login attraverso la propria identità SPID, identità digitale attraverso la quale l’utente può godere di determinati servizi offerti dalla Pubblica Amministrazione, o CIE (Carta d’Identità Elettronica) ed attivare la funzione “Bonus vacanze”.

La richiesta sarà poi esaminata da PagoPa, in collaborazione con l’INPS, assicurando che il richiedente soddisfi tutte le condizioni per le quali possa ottenere il Bonus vacanze; nel caso in cui queste venissero a mancare, il richiedente dovrà aggiustare quegli errori che gli vengono fatti notare e ripresentare domanda, con le stesse modalità della precedente.

Nel momento in cui viene accetta la richiesta, verranno inviati dei codici QR ed un codice univoco che dovranno essere utilizzati nel momento in cui il cliente vorrà godere dello sconto; i codici non dovranno essere stampati ma si utilizzeranno online attraverso smartphone o tablet, semplicemente mostrandoli all’hotel o struttura ricevente.

Il fornitore del servizio invece che procedura deve seguire?

Una volta ricevuto il codice dal cliente, applicherà lo sconto al richiedente e dal giorno successivo potrà presentare domanda, attraverso il modello F24 – documento attraverso il quale il contribuente effettua il pagamento di tributi, contributi e premi – per recuperare lo sconto concesso.

Il credito recuperato potrà essere utilizzato in due modi: come detrazione di imposta oppure potrà essere ceduto a banche o enti finanziari, ottenendo liquidità.

Dal momento in cui era possibile richiedere il bonus vacanze, secondo quanto riporta il Mibact in un suo comunicato stampa, sono stati erogati più di 140.000 bonus vacanze per un valore superiore ai 67 milioni di euro; già più di 450 nuclei famigliari lo hanno utilizzato presso le varie strutture turistiche e sembra che molti altri dovranno far domanda.

< Torna indietro
Ambiente, società e tecnologia

Sbarca in Italia “Chi è il padrone?”: i consumatori decidono qualità e prezzo del cibo in tavola

Sono tanti gli esperimenti in cui i consumatori tentano di mettersi “in proprio” e definire come e cosa produrre. L’ultimo arriva dalla Francia, dove “C’est qui le patron?”, l’associazione francese nata nel 2016 dall’idea di due imprenditori -Nicolas Chabanne e Laurent Pasquier- sta completamente cambiando le carte in tavola del mercato agroalimentare e si candida per diventare un nuovo modo di intendere il consumo nel food & beverage.

L’obiettivo di “C’est qui le patron?” è molto ambizioso: quello di trasformare i consumatori in attori attivi, permettendo loro di poter partecipare alla creazione, selezione, produzione e controllo della fornitura di prodotti alimentari. Il metodo vede al centro di tutto chi compra: i consumatori iscritti all’associazione sono coinvolti democraticamente nella definizione delle caratteristiche organolettiche che dovrà avere il prodotto, la provenienza, il prezzo, e possono così renderli più equi, sostenibili in tutta la filiera di produzione e più trasparenti, soprattutto relativamente al metodo di produzione e nel rispetto di tutti i produttori e lavoratori coinvolti.

Dopo il latte (da cui tutto è partito) sono arrivati sulla piattaforma di “C’est qui le patron?” altri prodotti come burro, uova, formaggio, pizza e carne, e molti altri sono in fase di definizione. L’associazione gestisce il brand e definisce le procedure di controllo presso i fornitori e i distributori per verificare che siano rispettate le caratteristiche definite. Vengono inoltre effettuati controlli di qualità direttamente presso i fornitori e controlli sull’effettiva applicazione del giusto prezzo da monte a valle.

Tutto avviene su una piattaforma online (in Francia è stata rilasciata da poco anche una app per smartphone) attraverso la quale i membri possono proporre i prodotti da sviluppare, la loro composizione, determinando il prezzo finale del prodotto per garantire una giusta remunerazione ai fornitori.

Con questo sistema produttivo i costi di pubblicità sono azzerati e la piena tracciabilità è garantita, oltre che la sicurezza di un consumo sostenibile e sicuro.

Il movimento nasce in risposta alla stretta praticata dai rivenditori sui fornitori per via della concorrenza spietata, che li porta spesso ad accettare prezzi irrisori per i loro prodotti.

Per Nicolas Chabanne “C’est qui le patron?” non è “la prima volta” nel settore: precedentemente aveva fondato “Les Gueles cassées” per favorire la vendita di prodotti ortofrutticoli meno ‘perfetti’, ma con poco successo. Successivamente la sua attenzione si sposta dunque sul latte: il settore lattiero caseario attraversava una grave crisi nella regione della Bretagna, e Nicolas lancia l’idea di un prezzo del latte equo per permettere una giusta remunerazione ai produttori lattieri.

C’est qui le patron?, la marca del consumatore è stata insomma la logica conseguenza dell’intuizione, tanto che in poco tempo è diventato il quarto brand di latte in Francia vendendo milioni di litri oltre le aspettative iniziali in poco tempo.

Il principio sta avendo così tanto successo che ormai si sta estendendo in tutta Europa: sono otto finora i Paesi (tra cui l’Italia) dove “C’est qui le patron?” è approdato questo anno con almeno un lancio di un prodotto negli scaffali dei supermercati aderenti il 25 giugno.

In Italia il prodotto interessato dal lancio è stata ovviamente la pasta. La produzione è stata affidata al pastificio Sgambaro, azienda veneta che soddisfa tutti i requisiti decisi dai consumatori e condivide a pieno i valori degli stessi.

La pasta del consumatore infatti è prodotta utilizzando farina di grano duro coltivato in Italia da agricoltura sostenibile mediante la trafilatura al bronzo, è prodotta con il 100% di energia verde e la confezione è realizzata con carta riciclabile in fibra vergine. L’azienda si rifornisce direttamente presso dagli agricoltori grazie al mulino integrato all’interno dell’azienda stessa. Il prezzo equo stabilito è al massimo di €1.07 di cui €0.005 saranno destinati all’aumento della capacità di produttiva dell’agricoltura biologica.

Il prezzo di questi prodotti è generalmente sopra la media, ma come ha sottolineato il fondatore Nicolas Chabanne in un’intervista su Hebdo Com i prodotti di C’est qui le patron? non hanno un prezzo alto, bensì, giusto.

Non ci resta che diventare consumatori attivi e decidere sulla piattaforma “Chi è il padrone?”.

< Torna indietro
Ambiente, società e tecnologia

Qual è lo stato del settore vinicolo nel post COVID-19?

L’Italia è il paese che possiede la produzione vinicola più ampia e diversificata del mondo, grazie ai differenti climi e ai diversi terreni che la compongono. Non a caso, i primi ad apprezzare gli aromi e i sapori del vino sono gli stessi abitanti del “Bel Paese”.

Durante il lockdown, gli italiani sono stati costretti a restare tra le mura domestiche, ma non per questo hanno rinunciato alla “vita sociale”. Gli aperitivi virtuali hanno aperto una breccia nel cuore di molte persone che si sono ritrovate con un calice in mano, davanti a un PC a trascorrere il tempo con i propri amici, scoprendo che basta una buona connessione internet per coprire le distanze che ci separano.

Secondo i dati IRI nei primi 3 mesi e mezzo del 2020 le vendite di vino nella GDO (grande distribuzione organizzata) sono aumentate del 7,9% rispetto al 2019, con una preferenza per le etichette DOC e IGT. L’aumento nelle vendite di vino tra i privati va però accostato ad un minor, se non nullo, consumo del vino fuori casa: di conseguenza bisognerà aspettare la fine dell’anno per capire esattamente quanto la pandemia abbia inciso sull’economia del settore vinicolo.

Le difficoltà di un periodo come questo non hanno però fermato le idee e la voglia di puntare sempre più in alto, sia fra le aziende vinicole sia fra chi ha pensato a sviluppare strumenti per godersi al meglio l’esperienza di consumo.

Un caso interessante arriva dalla provincia di Bari, e precisamente dalla cantina Colli della Murgia è riuscita a dare un valore aggiunto ai propri prodotti attraverso l’utilizzo di un chatbot. Sfruttando l’intelligenza artificiale, la cantina pugliese fa in modo che il suo vino non solo respiri, ma addirittura parli. Il consumatore potrà inquadrare il QR code presente sull’etichetta della bottiglia per poter iniziare una conversazione con un assistente virtuale che sarà in grado di fornirgli informazioni sull’iter di produzione del vino che sta sorseggiando, consigliare abbinamenti gastronomici e permettere di prenotare delle degustazioni ad hoc.

Non tutti i vini riescono però a parlare da sé.

Un aiuto arriva dai wine influencer, sempre più richiesti nel settore per la loro capacità di arrivare ai più giovani. Grazie al clima di fiducia che si instaura nella community, il follower tende a vedere sotto una luce positiva il brand sponsorizzato. La peculiarità del wine influencer, e ciò che lo distingue da un sommelier è la capacità di saper parlare in modo semplice a tutti gli utenti, creando così una comfort zone in cui anche i non esperti possano farne parte.

Per chi invece non ha uno spiccato lato social ma tende comunque ad essere digitale è stata creata l’app Combivino, scaricabile su dispositivi Android e iOS, in grado di abbinare vini e cibo in maniera corretta e divertente.

Grazie ad un’ampia selezione di etichette, divise in 6 categorie e 45 tipologie, l’applicazione riesce a sposare un vino non solo ad un determinato piatto ma a tutto un menù grazie alla sezione “Abbinamento Multiportata”.  Se invece si preferisce organizzare una serata alternativa si può sfruttare la “Opzione Degustazione” che mostrerà il corretto ordine di degustare più vini partendo dal nostro preferito.

Grazie ad una sempre maggior sensibilizzazione ambientale ed alla ricerca verso lo sviluppo sostenibile è nata nel Regno Unito, dalla società Frugalpac, il primo packaging per vino composto al 94% da carta riciclata.  Con un peso di 83g e una capacità di 75 cl la Frugal Bottle è in grado di  mantenere fresco il vino più a lungo di una normale bottiglia in vetro.

In Italia la Cantina Goccia è stata la prima ad adottarla per imbottigliare il suo vino 3Q, un blend di Sangiovese, Merlot e Cabernet Sauvignon. Attualmente è acquistabile solo online ma in un prossimo futuro potrebbe essere comune trovare vini con un packaging simile nel commercio al dettaglio.

Il vino italiano è tra i più amati sul mercato e la ricerca dell’innovazione è un tassello importante nel valorizzarne appieno la qualità e diversità per poter fare la differenza sul mercato globale: anche -e soprattutto- in un periodo di crisi.

< Torna indietro
Ambiente, società e tecnologia

Lo stato dell’arte dell’agricoltura 4.0: da trend a necessità per uscire dalla crisi

Come sta evolvendo l’agricoltura?

È una domanda che ci si potrebbe porre, a maggior ragione osservando come tutti i settori produttivi stiano cambiando, secondo una logica incentrata su metodologia Agile, ampio impiego dei dati e digitalizzazione spinta.

Il settore primario non fa eccezione, anzi: si parla proprio di agricoltura 4.0 per indicare l’impiego di nuove tecnologie per innovare i processi di coltivazione e il conseguente miglioramento dello stato dei lavoratori.

La ricerca condotta dall’Osservatorio Smart Agrifood nel 2017 ha offerto un quadro chiaro della situazione  dell’innovazione in agricoltura. L’Osservatorio ha individuato più di 220 soluzioni nel campo dell’agricoltura 4.0 offerte da più di 70 aziende. Alcune di queste soluzioni sfruttano i Big Data Analytics, altre i sistemi software di elaborazione e dell’interfaccia utente e altre ancora l’Internet of Things.

Una ricerca che, pur datata, dimostra come già tre anni fa le aziende puntassero sull’innovazione per il settore agricolo.

La pandemia ha accelerato il processo: un recente studio condotto dalla banca Monte dei Paschi di Siena e SWG, individua l’agricoltura 4.0 come essenziale per una rapida ripresa dalla crisi del settore agricolo innescata dall’emergenza COVID-19.

I punti chiave sono sempre l’innovazione e la sostenibilità, ritenuti entrambi importanti dalla maggioranza delle imprese: l’innovazione da opzione diventa un driver per crescita e sviluppo e di questo ne sono convinti l’85 % degli imprenditori. Inoltre il 76% dei produttori ritiene che l’investire nell’innovazione possa accelerare l’uscita dalla crisi.

Tra i principali fattori che concretizzano l’agricoltura 4.0 abbiamo banda larga, energie rinnovabili, sensoristica, piattaforme digitali e strumenti per magazzini intelligenti.

Dalla ricerca di MPS e SWG risulta inoltre che sono circa l’85% gli imprenditori che ritengono la sostenibilità dei modelli di produzione essenziale in vista del superamento dell’attuale crisi: questa comprende sia l’attenzione nel ridurre l’impatto sull’ambiente sia il rispetto dei diritti dei lavoratori. Un trend di cui tener da conto e che può diventare traino per nuove formule sempre più innovative di organizzazione e produzione agricola: in questo senso è interessante il progetto lanciato da OfficineMps, il laboratorio permanente di Banca Monte dei Paschi di Siena: un contest sull’agroalimentare per cercare di creare un’unione tra il settore agrifood e l’innovazione.

Insomma, i dati ci mostrano come ci sia una presa di coscienza e una rinnovata consapevolezza da parte delle imprese nell’orientarsi sempre di più verso un modello di produzione green 4.0.

Non resta che augurarci un’agricoltura sempre più innovativa e sostenibile possa anche essere un fattore di competitività aggiunta per uscire dalla crisi economica che si sta affacciando sull’Europa (e conseguentemente, sull’Italia).

< Torna indietro
Ambiente, società e tecnologia

L’UE e il tortuoso percorso per fronteggiare l’emergenza Covid-19

Da febbraio la pandemia del Covid-19 e la successiva crisi economico-sanitaria hanno colpito -e stanno tutt’ora colpendo- anche se in misure differenti tutti i paesi dell’Unione Europea.

Le istituzioni comunitarie stanno mettendo a punto diverse manovre per contrastare la diffusione del virus e stimolare la ripresa economico-sociale degli stati membri, fra cui ovviamente l’Italia.

Sotto il profilo sanitario e di ricerca le iniziative sono tantissime: il principale obiettivo della Commissione Europea è fornire un costante supporto ai sistemi sanitari nazionali: a marzo l’organo esecutivo guidato da Ursula von der Leyen ha dichiarato di sostenere lo sviluppo di un vaccino attraverso l’operato della società CureVac. Sono stati investiti 137,5 milioni di euro a sostegno della ricerca che si sommano a 164 milioni per finanziare startup e imprese tecnologiche che siano intenzionate a sviluppare metodi innovativi per contrastare il virus.

I provvedimenti economici sono quelli che hanno maggiormente lasciato adito a critiche e discussioni, mettendo a rischio per un momento la credibilità della stessa Unione: alcuni stati, soprattutto nel periodo più critico, hanno recriminato a proposito del deficit di aiuti da parte delle istituzioni dell’Unione. La proposta del piano “Next Generation Eu”, presentato ufficialmente dalla presidente Ursula Von Der Leyen il 27 maggio 2020, ha sanato un po’ la situazione limitando le polemiche.

Il piano, riconducibile a tutti gli effetti al meccanismo di Recovery Fund, è l’ultimo e forse più efficace step del lungo percorso avviato dall’Europa per mitigare gli effetti letali del virus verso le economie continentali.

La manovra, che dovrà prima essere approvata, ha il valore 750 miliardi di euro di cui si stima circa 173 miliardi saranno destinati all’Italia.

La parte più innovativa consiste nel fatto che la Commissione sta progettando nuove forme di pagamento attraverso cui i paesi coinvolti possono risanare il debito. La presidente della Commissione ha ipotizzato tasse che potrebbero essere imposte ai giganti del mondo digitale e legate alla sostenibilità ambientale, come una imposta sulle emissioni di CO2.

Prima del Recovery Fund sono state già approvate una serie di misure volte ad aiutare l’Italia e gli altri paesi membri dell’Unione che si trovano in difficoltà, tra cui lo stop del patto di stabilità e il “Pandemic Emergency Purchase Programme ” istituito dalla Banca Centrale Europea a fine marzo.

Nel nostro paese ci sono state tuttavia una serie di polemiche e opinioni discordanti riguardo alla proposta di creare una nuova linea di credito del MES, presentata e approvata il 23 aprile scorso dalla Commissione Europea. Le prese di posizione contrarie al MES derivano dall’idea che, per usufruire dei finanziamenti, i paesi membri abbiano l’obbligo di sottostare a rigide condizioni tra cui la sorveglianza rafforzata. Ciononostante nei primi giorni del mese di maggio, l’Eurogruppo è riuscito a trovare un accordo in grado di rendere il MES uno strumento più idoneo a questo periodo di crisi economico-sanitaria: ogni stato potrà usufruire di prestiti a tassi agevolati e l’unica condizione a cui dovrà sottostare è destinare i soldi derivanti dal MES unicamente a spese sanitarie. È stato poi concordato che gli stati membri possono ricevere finanziamenti fino al 2% del proprio PIL.

I partiti politici italiani restano distanti rispetto all’accettare o meno gli aiuti europei, e anche a livello europeo ci sarà molto da fare per trovare una quadra rispetto alle tante idee che si stanno discutendo. Il lavoro della Commissione sembra comunque già a buon punto, e la sensazione è che l’Europa possa fronteggiare finalmente in maniera unitaria la crisi economica che prepotentemente si sta affacciando.

< Torna indietro
Ambiente, società e tecnologia

Il futuro della formazione? Passa (anche) dall’Edutainment

La digitalizzazione ha portato ad un profondo cambiamento nel mondo dell’educazione, favorendo l’apprendimento ovunque ed in qualsiasi momento. Non si tratta solo di un miglioramento dell’erogazione di corsi online, bensì di un’evoluzione del modo di apprendere attraverso il coinvolgimento attivo dei soggetti.

Si parla in questi casi di Edutainment, cioè l’imparare divertendosi attraverso attività divertenti e coinvolgenti come videogiochi, programmi TV o software multimediali.

Un fenomeno molto in crescita: il mercato dell’edutainment raggiungerà un CAGR (Compound Annual Growth Rate) del 16,1% tra il 2018 e il 2028 arrivando a toccare i 11.348,9 milioni di dollari in termini di entrate. Non è un caso che le aziende si siano aperte a queste formule, a maggior ragione durante la pandemia, in cui si è dovuto completamente riconfigurare il paradigma della formazione.

Gli esempi interessanti non mancano anche nel nostro Paese.

Attraverso i canali social e il sito web, ad esempio Gardaland propone diverse attività per i più piccoli: si passa dai video tutorial per imparare a disegnare la mascotte Prezzemolo e le diverse specie di pesci del SEA LIFE ai quiz per scoprire curiosità sugli animali che i bimbi hanno imparato a disegnare.

Arriva invece da Matera l’idea di una piattaforma online gratuita e sicura, “l’Accademia degli Stracuriosi”, che attraverso il linguaggio video-teatrale, digitale e il linguaggio del gioco riesce a parlare ai più piccoli e accendere la loro curiosità. La piattaforma ha lo scopo di introdurre i bambini, in modo semplice, a temi e discipline più svariati attraverso otto diversi giochi che puntano a stimolare i giovani in diversi modi, usando il movimento del corpo, i numeri, le parole o le forme.

Una nuova piattaforma basata sui principi di Edutainment è “H-FarmPlus”, la quale avrebbe dovuto debuttare a settembre 2020, ma causa lockdown ha deciso di rendere fruibili i propri contenuti prima del previsto.

Il suo catalogo è ricco di contenuti originali tra cui video tutorial in cui gli educatori spiegano l’elettronica creativa, la robotica e il tinkerin (cioè l’imparare svolgendo una specifica attività: il termine indica in particolare gli aspiranti maker) utilizzando oggetti di uso comune. La piattaforma H-FarmPlus comprende nel suo catalogo anche eventi, webinar, talk e open day dedicati ad un pubblico più maturo.

Discostandoci dallo scenario italiano e andando oltre i nostri confini, e precisamente negli Stati Uniti, è nato a Seattle dall’idea di un professore di geografia il progetto “Zombie Based Learning” basato sulla gamification.

Gli studenti dovranno essere in grado di sfuggire ad un’apocalisse zombie e costruire una nuova civiltà attraverso conoscenze, sia basilari che avanzate, di sociologia, economia e geografia

< Torna indietro
Entertainment, videogame e contenuti

Non chiamateli videogames: a che punto è il settore degli eSports

Durante il periodo del lockdown, in assenza di altri eventi sportivi, a prendersi la copertina sono stati i “fratelli minori” o, per meglio dire, “elettronici”: gli eSports o “Sport Elettronici”, cioè le competizioni fra giocatori professionisti di videogame.

Per molti sembrerebbe un hobby qualunque, e invece stiamo parlando di un mondo molto più articolato (e remunerato) di quel che si pensi: basti pensare ai ricavi generati a livello mondo, pari a 950 milioni di dollari.

Un giro d’affari esorbitante, se si considera che stiamo parlando, comunque, sempre di videogiochi.

Sarà, anche se i “videogame” sono un ecosistema sempre più articolato dove agiscono giocatori professionisti, squadre, sponsor, piattaforme di streaming, eventi dal vivo… Un vero e proprio movimento, paragonabile per intenderci al mondo del Calcio, in cui attorno ai giocatori ruota un’intera galassia che genera fatturato: diritti televisivi, merchandising, eventi.

I dati che citavamo su ce lo confermano: il mondo degli eSports è in rapida espansione. Secondo l’ultimo rapporto di Newzoo, i ricavi supereranno gli 1,1 miliardi di dollari nel 2020, con una crescita del +15,1% rispetto all’anno precedente.

A fare da Paesi capofila del movimento sono Cina e Corea del Sud, dove il settore si può dire essere più sviluppato: sul mercato cinese troviamo infatti team come i TSM, squadra con ricavi annui sui 29 milioni di dollari ed un valore societario di 400 milioni, che nel 2019 ha generato ricavi pari a 326,2 milioni di dollari.

Anche in Italia sono presenti team che negli ultimi anni si sono strutturati, sia in termini di organizzazione e strutture che sul fronte dei ricavi.

Tra i più importanti possiamo menzionare Qlash Italia, squadra attiva sui principali titoli (Fifa, League of Legends, Fortnite, Rainbow Six: Siege…) con ricavi nel solo 2019 pari a 512 mila di euro e un valore societario di 3 milioni di euro.

Altre realtà presenti in Italia sono Mkers, Outplayed, Samsung Morning Stars, Exeed, Nl Esport, Campus Party Spark e Hsl Esport.

Ultime arrivate, ma non per questo meno importanti, sono le società di calcio che hanno creato il proprio team eSport: i “pionieri” in questo settore sono Sampdoria, Empoli, Genoa e più recentemente Inter, Roma , Atalanta e Juventus.

Dati questi numeri, non è strano prevedere un futuro roseo: gli analisti si attendono guadagni pari a 1,5 miliardi di dollari entro il 2023.

Nei prossimi anni sarà interessante monitorare la crescita di questo settore soprattutto in italia, paese che fino ad ora è stato tra gli ultimi a svilupparsi nel panorama Esports.

< Torna indietro
Marketing & Social Media

TikTok si apre agli inserzionisti (e le aziende si preparano)

Fino a un anno fa chiedere cosa fosse TikTok a qualcuno che avesse superato gli anni dell’adolescenza non poteva che condurre a un silenzio imbarazzato.
Oggi l’app cinese di microvideo è invece sulla bocca di tutti: con più di 800 milioni di utenti attivi (in continua crescita), possiamo dire anzi che sia il nuovo fenomeno social.
La pandemia non sembra aver impattato su questo percorso di crescita: il boom dei download (e il conseguente aumento di valore) è stato continuo.

Visto il successo ottenuto, era solo questione di tempo che le aziende cominciassero a chiedersi come sfruttare il network che abita il colosso di ByteDance. Per questa ragione, TikTok ha cominciato a studiare come perfezionare il proprio sistema di advertising, aprendosi agli inserzionisti.

TikTok: ads tra limiti e potenzialità

Di recente si è sentito parlare di recessione pubblicitaria e della necessità di provare nuove strategie, tipi di contenuto e di target. TikTok è certamente una delle strade più promettenti per il suo DNA innovativo: la piattaforma di mini-video si avvicina all’ideale di “Marketing umanistico” incentrato sul contenuto e sulla fiducia, e proprio per questo in grado di raggiungere un pubblico sempre più eterogeneo (anche se il vero Eldorado della piattaforma sta nell’utenza riconducibile alla Generazione Z, i consumatori di domani, che corrispondono anche alla maggior parte dei suoi utilizzatori).

Al momento però non è semplicissimo investire su TikTok: essendo il sistema in fase di testing, l’accesso per l’Europa è riservato a pochi fortunati che sono stati invitati.

In secondo luogo, il costo. Per essere efficaci, le campagne adv sulla piattaforma cinese richiederanno un vasto budget a disposizione: la tariffa minima sembra essere 20 euro al giorno per la pubblicità day by day (con risultati se si desume essere decisamente contenuti), mentre per lo strategie a lungo termine l’investimento minimo sarà di 500 euro.
Insomma, ben diverso dalle formule a costo irrisorio messe a disposizione da GoogleAds o Facebook.

Altre barriere che sembrano esserci sono la rigidità dei criteri dell’app per approvare una campagna pubblicitaria (ancora da capire limiti e opportunità) e l’ambiguo algoritmo del feed, che presenta meccaniche un po’ discutibili: sembra infatti che TikTok promuova tutto ciò che è coinvolgente, virale, conducendo gli utenti verso i cosiddetti “loops” in cui lo stesso video viene visto e rivisto più volte.

L’unica certezza sta nel come dovrà essere confezionato il contenuto: i video sponsorizzati dovranno essere originali, accattivanti, efficaci, brevi, ma soprattutto coerenti con lo spirito della piattaforma.

Per questo gli inserzionisti sono incoraggiati a mettere in campo tutta la loro creatività, a informarsi sui trend del momento e ad adattarli alla loro comunicazione.  Un lavoro molto più complesso e forse difficile per i brand poco conosciuti e affermati, o che possiedono un’immagine molto distante dall’ecosistema di TikTok.

I brand che ce l’hanno fatta

Sul blog ufficiale della piattaforma è presente una sezione #Inspiration dove vengono postati i case studies dei brand che hanno realizzato le campagne più efficaci fino ad ora: i più interessanti da segnalare Mercedes, Balenciaga, ma anche una curiosa marca di deodoranti russa.

Casi utili da analizzare per tutti i marketers che decideranno di tentare l’impresa e tuffarsi nel mondo delle inserzioni su TikTok. I risultati si prospettano essere più che buoni: in fondo perché ignorare questa opportunità?

< Torna indietro
Entertainment, videogame e contenuti

Il COVID-19 e la (ri)scoperta del Social per i Comuni d’Italia

Il Coronavirus ha stravolto il nostro modo di relazionarci, costringendo anche i comuni italiani a fare i conti con la sfida (in ballo da anni) di interagire in modo diretto con il cittadino tramite la Rete.

Il comune è la realtà amministrativa più prossima alla gente; tanto basta a giustificare la crescente attenzione che negli ultimi anni è stata posta sulla necessità di sfruttare i social network per aprire le istituzioni locali al mondo esterno.

Come spesso accade, tuttavia, il desiderio di cambiamento si è scontrato con la lentezza legislativa che fatica a stare al passo con i tempi.

Risale, infatti, all’inizio del nuovo millennio la legge a cui si fa tuttora riferimento in materia di disciplina delle attività di informazione e comunicazione delle PA (Legge 150/2000), nonostante all’epoca gli unici strumenti digitali disponibili fossero i siti web.

Il progresso, però, non attende: apre la strada.

Un’applicazione che ha precorso i tempi in questo senso è “Comuni-Chiamo”. Rilasciata nel 2012 e ad oggi adottata in 107 comuni di diverse dimensioni, si offre come spazio dedicato all’amministrazione comunale e ai relativi cittadini per scambiarsi comunicazioni ed avvisi, pubblicizzare eventi e informare sul lavoro dell’amministrazione stessa. Inoltre, con “Comuni-Chiamo Connect”, dal 2017 i cittadini possono condividere contenuti sulla pagina Facebook del proprio comune, collegando il loro profilo personale e ricreando così una community di cui sentirsi parte.

È sempre in quest’ottica di apertura al cambiamento che è nata la collaborazione tra PA Social (la prima associazione italiana dedicata allo sviluppo di una nuova comunicazione per le PA), ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) e Facebook, con l’obiettivo di formare gratuitamente Social Media Manager e portavoce dei Comuni della Penisola.

Volendo illustrare le strategie comunicative da utilizzare sulle piattaforme social, il progetto, inaugurato a novembre 2019, è stato opportunamente riadattato al formato digitale e reindirizzato sulla tematica della corretta comunicazione sui social media durante l’emergenza da COVID-19 e nella successiva fase di ripresa.

È sufficiente fare una rapida ricerca su Facebook per rendersi conto di come molti comuni abbiano creato, rispolverato o continuato ad usare il loro profilo ufficiale, non solo come canale di condivisione di aggiornamenti, buone prassi e contenuti utili alla comunità, ma anche come strumento di vicinanza e senso di appartenenza in momenti di grande difficoltà.

Non sorprende che, secondo le stime di We Are Social, durante la quarantena i social media abbiano guadagnato 2,1 milioni di utenti attivi (+6,4%), dimostrandosi uno dei mezzi più efficaci di divulgazione a disposizione del Paese.

Forse il Coronavirus può costituire la spinta che si attendeva per l’introduzione in tutti i comuni dell’informazione 2.0 e per l’emanazione di una normativa ad hoc che tuteli e regolamenti i comportamenti da adottare da parte di entrambi gli attori in questo scenario digitale, i comuni ed i cittadini.

< Torna indietro
Economia, StartUp e Fintech

Il turismo in Italia nel post-Covid? Un settore da ricostruire

Durante l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo la salute ed il contenimento dei contagi rappresentano una priorità assoluta. Allo stesso tempo, inizia a diventare sempre più pressante l’allarme sulle conseguenze del Coronavirus sull’economia italiana, con strascichi che in tutti i settori potrebbero presentare i propri effetti per anni.

Fra i più colpiti, c’è ovviamente il turismo, che rappresenta il 13% del Pil nazionale con un giro d’affari di 232,2 miliardi di euro.

In termini di flussi, nel 2019 l’Italia si è collocata al quarto posto per numero di presenze di clienti negli esercizi ricettivi (misurate in termini di notti spese nelle strutture), preceduta dai suoi storici competitor, Spagna, Francia e Germania, e davanti al Regno Unito. Le presenze nei primi 5 Stati rappresentano quasi il 70% di quelle complessive dell’Unione Europea, che ne conta più di 3,2 miliardi in crescita costante dal 2010 (+2,4% rispetto al 2018).

I primi effetti sono già stati evidenti a febbraio con lo stato iniziale dell’epidemia, ma in molti Paesi, già inizi di marzo -con il picco ancora da raggiungere- si è giunti al sostanziale azzeramento dell’attività, dovuta principalmente ai provvedimenti generalizzati di distanziamento sociale.

Secondo una stima del World Travel & Tourism Council (WTTC) sarebbero a rischio circa 50 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. (In Italia? ndr)

Le sue previsioni per l’impatto del Coronavirus quest’anno stimano le perdite del settore nell’ordine del 25%, ossia l’equivalente di tre mesi di viaggi persi. Un dato che potrebbe tradursi in un calo dell’occupazione calcolato fra il 12% e il 14%.

Considerando più nel dettaglio i mercati esteri di riferimento, l’Italia dipende in gran parte dall’Europa, da cui proviene il 79% di tutte le presenze straniere. Ovviamente, per il turismo italiano i periodi più “caldi” sono quelli del trimestre estivo (giugno-agosto), in cui complessivamente si concentra circa il 50% delle presenze totali limitatamente all’anno.

La stima delle eventuali conseguenze di un prolungata emergenza da Coronavirus per il nostro Paese potrebbe generare perdite devastanti, con un calo di 971 mila arrivi e oltre 3 milioni di presenze e con una contrazione della spesa turistica pari a circa 955 milioni di euro rispetto all’anno di riferimento individuato.

La situazione sarebbe particolarmente grave in quattro le regioni, i cui sistemi turistici sarebbero maggiormente bersagliati: Toscana, Lazio, Veneto e Lombardia con quest’ultima ad essere maggiormente esposta dagli effetti della pandemia: il calo si assesta per l’epicentro della crisi con una contrazione di 673 mila arrivi, un meno 1,6 milioni di presenze e con una riduzione del gettito pari a circa 685 milioni di euro.

Da evidenziare anche i crolli sull’andamento in Trentino Alto Adige (-458 mila arrivi; -2,1 milioni di presenze; -233 milioni di euro di spesa turistica), per l’Emilia Romagna (-246 mila arrivi; -666 mila di presenze; -253 milioni di euro di spesa turistica).

Seguono sulla stessa scia Calabria (-18 mila arrivi, -111 mila di presenze, -12,6 milioni di euro di spesa turistica) e Abruzzo (-10 mila arrivi, -42 mila di presenze, -7,7 milioni di euro di spesa turistica).

Altro indicatore prezioso per avere una misura della crisi è il trasporto aereo, settore chiave per il nostro turismo in particolare per l’incoming di lungo raggio. Secondo i dati di Eurocontrol, l’organizzazione paneuropea che si occupa di servizi per l’aviazione, nella quattordicesima settimana dell’anno (dal 30 marzo al 5 aprile) il traffico totale nel nostro Paese, rispetto allo stesso periodo del 2019, ha avuto un calo del 93% segnando tra le peggiori performance del Vecchio Continente.

Con la durata prolungata dell’emergenza, il fatturato della filiera turismo-trasporti subirebbe un vero e proprio crollo, con perdite del 41,5% nel 2020 (contro il 17,8% dell’economia italiana) e un rimbalzo del 42,2% nell’anno successivo che comporterebbe comunque perdite complessive dei ricavi per 64 miliardi di euro (43 miliardi nel 2020 e 21 miliardi nel 2021).

Rispetto invece alla filiera ricettiva, gli alberghi risultano il settore più colpito con cali nel 2020 nell’ordine del 37,5% nello scenario base e del 73,3% nello scenario pessimistico, con perdite complessive nei rispettivi scenari di 6 e 13 miliardi. A seguire figurano le agenzie di viaggio e la ristorazione, con contrazioni previste per il prossimo biennio che vanno dai 5 agli 10 miliardi di euro, l’autonoleggio (dai 2 ai 6 miliardi) e i trasporti marittimi (dai 2 ai 5 miliardi).

Il turismo, insomma, sarà certamente uno dei settori su cui sarà necessario intervenire con più forza: per certi versi, una vera e propria ricostruzione.

< Torna indietro
Ambiente, società e tecnologia

MIND-VR: la realtà virtuale per battere i disturbi psicologici

Intervista a Federica Pallavicini, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze umane per la formazione in Unimib ​

C’è una categoria professionale che il CoronaVirus ha colpito con forza: quella dei medici e degli infermieri.

Esposti fin dall’inizio dell’emergenza al COVID-19, gli operatori del mondo sanitario oltre a correre il rischio concreto di ammalarsi stanno sviluppando il serio rischio di veder sorgere problemi psicologici collegati al prolungato persistere di uno stato di stress.

In altre parole, disturbi d’ansia: un rischio concreto certificato sin dallo scorso 24 marzo dalla FNOPI (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche), ente pubblico che dal 2018 unisce tutti gli ordini degli infermieri e degli infermieri

pediatrici presenti in Italia, che in un comunicato sul loro sito (fnopi.it) dichiara: “È sotto gli occhi di tutti la condizione e lo stress a cui i nostri professionisti sono sottoposti e di questo e di quanto sarebbe stato possibile fare in tempi non sospetti e che ora riteniamo sia non solo logico e doveroso, ma indispensabile fare, riparleremo quando l’emergenza sarà passata”.

A venire in aiuto di questa preziosa categoria di lavoratori potrebbe essere la Virtual Reality, grazie a un progetto nato proprio nel contesto dell’Università Bicocca, grazie all’unione di alcuni ricercatori, professori e studenti: Mind-VR.

L’idea alla base è molto semplice: visualizzare uno scenario rilassante -come un paesaggio- facilita l’acquisire uno stato mentale positivo.

E allora, perché non ricreare tali scenari grazie alla tecnologia? A raccontare qualcosa di più su Mind-VR è una delle ideatrici del progetto, Federica Pallavicini, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze umane per la formazione dell’Università degli studi Milano-Bicocca.

Federica Pallavicini, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze umane per la formazione dell’Università degli studi Milano-Bicocca.

Che cosa ti ha spinto a voler sviluppare Mind-VR?

“Il progetto iniziale non era pensato per i medici. Era invece un’idea nata dalla mia esperienza di paziente. La molla che ha fatto scattare il tutto è stato il manifesto di un incontro per il rilassamento presente in ospedale. Da lì ho pensato che il VR

potesse aiutare i pazienti per superare stati di ansia, stress e interventi particolarmente dolorosi e invasivi”

Come hai scelto il tuo team?

“L’ho scelto in base alle competenze. Fabrizia è professore associato presso il mio stesso dipartimento e ha studiato per anni il mondo della realtà virtuale. Chiara invece studia presso il corso di laurea magistrale in Teoria e Tecnologia della

comunicazione.”

In quale fase del progetto vi trovate?

“Attualmente ci troviamo in fase di Crowdfunding. Abbiamo stimato di raggiungere circa 5000 euro per sviluppare i contenuti sulla base dei principi psicologici.”

Quali effetti benefici avete testato finora?

“Vengono fatte ricerche sulla realtà virtuale da oltre 20 anni e sono stati verificati più volte i benefici psicologici derivati dal suo utilizzo. Io stessa sono in questo campo di ricerca da ben 10 anni e ho toccato con mano i risultati ottenuti. Una volta

sviluppato Mind-VR anche noi non tarderemo a fare i primi test.”

L’esperienza che fornite si serve solo del casco VR o verranno aggiunti accessori per permettere anche un’esperienza sensoriale del tatto?

“No, ma ci piacerebbe molto. Tuttavia per ora ci basiamo su Oculus Quest che permette all’utente di usare anche le proprie mani.”

Pensi che in futuro Mind-VR possa essere utilizzato anche per i pazienti che hanno vissuto la quarantena?

“Assolutamente sì. Inoltre potrebbe essere utilizzato anche a livello educativo.”

Come pensate di procedere una volta sviluppato e applicato Mind-VR sui medici italiani?

“Una volta sviluppato in italiano ci piacerebbe tradurre tutti i suoi contenuti in inglese in modo da diffonderlo anche all’estero.”

Sarà la realtà virtuale a supportare gli operatori sanitari durante la pandemia da COVID-19? La speranza è che la risposta sia positiva.