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Ambiente, società e tecnologia

Food delivery: verso una regolamentazione del lavoro dei riders

Source: https://about.glovoapp.com/en/press/

La sempre maggiore digitalizzazione della nostra società ha portato alla nascita e allo sviluppo, specialmente negli ultimi anni, di un nuovo modello economico, la “gig economy”, che non si basa più su prestazioni lavorative continue e a tempo indeterminato, ma sul lavoro on demand, cioè a richiesta, in cui domanda e offerta sono gestite da apposite piattaforme online o app.

Un esempio di gig economy è rappresentato dal settore dell’online food delivery, cioè la consegna a domicilio di cibi e bevande ordinate dai clienti di bar e ristoranti direttamente da internet e che vengono consegnati a casa o in ufficio tramite i riders, ossia i fattorini che si occupano del trasporto dei prodotti ordinati a bordo delle loro biciclette o motocicli.

Il lavoro dei riders

I riders, rientrando nella categoria dei “gig workers”, son stati considerati fin dalla loro comparsa nel mercato del lavoro come lavoratori autonomi, che svolgono questa occupazione a tempo perso come seconda fonte di sostentamento, per incrementare il proprio reddito. Il loro veniva classificato come “lavoretto”.

Per questo la loro attività lavorativa è rimasta a lungo priva di una qualsiasi tutela e regolamentazione normativa, anche per la difficoltà di inquadrare questo nuovo fenomeno economico nelle categorie classiche.

Nel corso degli ultimi anni però, sia in seguito all’incremento dell’online food delivery con il conseguente aumento di richiesta di fattorini da parte delle aziende che si occupano della consegna a domicilio, sia per esigenze economiche legate anche alla crisi portata dalla pandemia, sempre più persone hanno iniziato a svolgere il lavoro di rider a tempo pieno, come principale fonte di sostentamento.

Questo ha portato l’insorgere di forti discussioni e proteste da parte dei ciclofattorini, che chiedono di non essere più considerati come lavoratori autonomi, ma come veri e propri dipendenti delle aziende di food delivery per le quali lavorano (essendo di fatto queste a determinare le modalità di esecuzione della prestazione di lavoro), di avere un salario minimo pagato a ore invece di essere pagati a cottimo e il riconoscimento di una tutela sanitaria in caso di malattia o infortuni.

Verso una regolamentazione del lavoro dei riders

Negli ultimi anni sono stati fatti passi avanti per il riconoscimento di alcune tutele e diritti dei fattorini delle aziende del food delivery.

Il primo è stato il Decreto legge 101 del 2019, convertito poi in legge il 2 novembre 2019, che ha introdotto alcune tutele per “i lavoratori impiegati nelle attività di consegna di  beni per conto altrui, in ambito urbano  e con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore, anche attraverso piattaforme digitali”, non dando però una definitiva risposta al problema.

Questa normativa stabilisce anzitutto l’impossibilità di prevedere una retribuzione interamente a cottimo, cioè in base alle consegne effettuate, ma deve essere previsto un compenso minimo orario, anche se poi rimanda ai contratti collettivi la definizione dei criteri per stabilire i compensi. Inoltre, prevede per i prestatori di lavoro la copertura assicurativa obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

Il 16 settembre 2020 è stato raggiunto un accordo tra il sindacato UGL e Assodelivery, l’associazione italiana dell’industria del food delivery alla quale aderiscono Glovo, Deliveroo, SocialFood e Uber Eats, che hanno sottoscritto un contratto collettivo nazionale volto a tutelare il lavoro dei riders, primo in tutta Europa, il quale ha previsto un compenso minimo di 10 euro l’ora, con il riconoscimento di un ulteriore indennizzo nel caso in cui le condizioni meteorologiche siano particolarmente sfavorevoli, durante le ore notturne e i giorni festivi, nonché la possibilità dei riders di accedere a delle attività di formazione professionale.

Tuttavia, questo accordo è stato oggetto di forti critiche da parte dei ciclofattorini, che hanno organizzato diverse proteste in varie città italiane. A suscitare le lamentele è stata soprattutto l’affermazione della natura autonoma e non subordinata del lavoro dei rider, che preclude a quest’ultimi il riconoscimento di una serie di diritti di cui gode chi è dipendente, come ad esempio le ferie e la malattia.

Particolarmente importante è poi stata la sentenza del tribunale di Palermo del 20 novembre 2020, che ha affermato per la prima volta il diritto di un fattorino che lavorava per l’azienda di food delivery spagnola Glovo il diritto di essere assunto come lavoratore dipendente a tempo indeterminato.

Ultimo e forse più significativo provvedimento è stato quello dello scordo 24 febbraio con il quale la procura di Milano, al termine di una maxi indagine sulle condizioni di lavoro dei riders estesa a livello nazionale, ha stabilito la notifica ad alcune imprese di food delivery (Deliveroo, Just Eat, Glovo e Uber Eats) di verbali che impongono di assumere i ciclofattorini con contratto di lavoro coordinato e continuativo, con conseguente passaggio da lavoratori autonomi a parasubordinati.

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Ambiente, società e tecnologia

A proposito di Diritto della Rete: intervista ad Alessandro Vercellotti, #AvvocatoDelDigitale

Quante norme bisogna conoscere per avviare un business sul web? E quali sono le cose che bisogna assolutamente sapere per capire come rispettare la legge per lavorare online?

Per rispondere a queste domande, abbiamo pensato di rivolgerci a un “esperto del settore”: Alessandro Vercellotti meglio conosciuto come Avvocato del Digitale e fondatore di Legal For Digital, il primo studio legale italiano incentrato sul Diritto Digitale e rivolto a realtà aziendali, professionisti e agenzie di marketing. Come Business coach e relatore ad eventi di settore, Alessandro lavora per sensibilizzare l’opinione pubblica su rischi e opportunità del rapporto fra legge e web.

Il risultato è stata una chiacchierata molto interessante su regolazione del web e possibili future modifiche alle attuali norme, la gestione dei dati sensibili e anche qualche consiglio utile per chiunque volesse intraprendere il suo  stesso percorso.

Buongiorno Alessandro, e grazie per aver accettato l’invito di iWrite.

Grazie a voi e buongiorno a tutti i lettori!

Partiamo da una domanda generale: oggi il digitale è altamente regolamentato: quali sono state le ragioni per cui si è arrivati a normare così tanto l’utilizzo di questo media?

Il mondo del web spesso era visto come un mondo a parte, nel quale le regole del mondo off-line non esistevano. In realtà non è così e anzi spesso la portata di certi comportamenti online è ancora più grave, basti pensare alla diffamazione che se effettuata sui social network diventa di default una diffamazione aggravata proprio per il numero di potenziali utenti ai quali si comunica. Poi è altrettanto vero che la natura stessa del digitale ha portato la necessità di definire regole specifiche per questo mondo come in ambito di commercio elettronico o normativa privacy

GDPR: cosa è cambiato secondo te con l’introduzione di questa norma? Lo scenario del web è migliorato oppure no?

Il Gdpr è una normativa che ha del rivoluzionario per l’importanza nella cura dei dati personali degli utenti, tuttavia ad oggi tanti siti risultano ancora non rispettarla appieno. Si può vedere queste situazione come un limite oppure come un’enorme opportunità che deve essere colta da tutti per un mondo online più corretto e con minori rischi. Inoltre per le aziende, dati personali degli utenti possono essere un nuovo modo di monetizzare se tutto viene fatto a norma di legge e quindi i dati vengono trattati in modo corretto.

Diversi report ci indicano come la privacy sia diventata una delle priorità per gli utenti del web: secondo te come mai?

Penso che i cittadini stiano capendo quanto siano importanti i loro dati e anche che valore abbiano. È un processo di apprendimento molto lungo ma inesorabile e il futuro sarà sempre più data centric. Anche i big del web ci insegnano che oggi i business più profittevoli sono legati alla gestione/cessione dei dati e gli iscritti ai social network o alle piattaforme online hanno compreso che tanti servizi “gratuiti” prevedono attività di marketing legate al trattamento dei loro dati personali.

La consapevolezza dell’esistenza di un tema legato alla gestione del “dato” online è emersa anche nel lancio dell’app Immuni: a tuo parere, le persone sono consapevoli di quante cose lasciano online?

Se da un lato la soglia di consapevolezza e attenzione sul concetto di gestione dei dati sta aumentando, dall’altro penso che tanti utenti oggi non abbiano idea di che tipo di dati personali siano davvero trattati dalle aziende. Queste ultime spesso non trattano il nome e cognome dell’utente facendo una pubblicità specifica verso di lui ma intrecciano i dati raccolti sul proprio sito web con quelli delle piattaforme social per raggiungere quel risultato. Allo stesso modo quando l’utente contatta un’azienda con la propria mail personale non sta autorizzando quest’ultima a trattare quel dato per mandare comunicazioni commerciali.

A proposito di norme e dati: si discute di un Decreto Legge, a firma del senatore Simone Pillon, per limitare l’accesso ai contenuti per adulti online. In termini legali non è una limitazione alla libertà personale?

Questa tipo di proposta mi sembra tanto una mossa politica che avrà poco di reale. Per fortuna non viviamo in una realtà nazionale con diritti limitati e quindi penso che azioni come questa avranno poco seguito. Oltre tutto il mondo del web ci insegna che imposto un limite, anche logico e corretto, spesso viene trovato un modo per eluderlo. Tutto ciò potrebbe avvenire questo anche in caso di limitazione all’accesso dei contenuti per adulti che oggi hanno una tale importanza online.

Quali sono le principali cose da sapere quando si vuole lanciare un business online, in termini di leggi e norme?

Prima di tutto il web è reale e ha delle regole (normative) come il mondo offline. Poi bisogna pensare alla fattibilità legale del business perché ci possono essere normative specifiche che limitano certe attività e ancora dobbiamo pensare al trattamento dei dati personali degli utenti (normativa privacy/Gdpr). Se si tratta di un business che preveda la vendita online di prodotti e/o servizi sono fondamentali dei termini e condizioni di vendita e quindi va considerato il Codice del Consumo e il Decreto sul Commercio elettronico.

Lasci un consiglio a chi studia giurisprudenza e vuole seguire le tue orme di “avvocato del digitale”?

Uscite dagli schemi o dal “l’unica strada è quella già scritta”. Scegliete il vostro sogno e cercate la vostra strada per raggiungerlo!