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YouTuber, streamer e podcaster ma anche filosofo, scrittore e divulgatore, Rick DuFer è, decisamente, una figura poliedrica. È host di Daily Cogito (podcast quotidiano che tratta di attualità, politica e cultura che viene trasmesso prima in diretta su Twitch per poi essere ricaricato su YouTube e in formato podcast), conduce, ogni giorno, la rassegna “Rassegnato Stampa” e tiene, di tanto in tanto, live monografiche di stampo filosofico-divulgativo. Insomma, probabilmente uno dei creator più attivi sul web. Noi di iWrite abbiamo avuto il piacere di intervistarlo, durante il Web Marketing Festival, riguardo la sua esperienza online e il futuro delle piattaforme di streaming.

 

Ciao Rick, dato che sei presente ed attivo su diverse piattaforme, con quale ti trovi meglio? Quale ritieni essere la più efficace? Infine, come hai trovato un equilibrio tra le dirette, i video e i podcast?

Dipende dall’obiettivo che uno si dà. Se vuoi costruire un pubblico da zero, la piattaforma ancor’oggi migliore rimane YouTube perché, essendo anche un motore di ricerca in cui la gente trova video consigliati, correlati e via dicendo, è un ottimo modo per costruire il primo nucleo di community e farsi conoscere da un pubblico “casual”. Il punto, però, è che, una volta costruita una piccola community su YouTube, bisogna cominciare ad individuare quelli che sono gli zoccoli duri, le persone veramente interessate. E, quindi, non gli utenti che ascoltano tre minuti di ciò che dici ma quelli che sarebbero disposti a seguirti un quarto d’ora al giorno o di più. Questo lo si fa, attraverso YouTube, pubblicando contenuti di qualitàche possono convincere le persone a seguirti con dedizione. Dall’altra parte, però, lo si fa anche creando dei “filtri”. Uno di questi, per me è, stato Patreon, grazie al quale una parte della mia community ha iniziato a sostenere economicamente il progetto. Un’altra parte è stato il podcast, che è diverso da YouTube perché l’esperienza d’ascolto è più focalizzata e si va incontro ad un’utenza molto più interessata ai contenuti piuttosto che è ciò che scatenano. E, poi, Twitch che è entrato in un terzo momento ed è diventato un altro modo per filtrare quella parte di community che può essere interessata a seguire due ore di live, anche di argomenti complessi e non solo di intrattenimento. Quindi, questo è il modo con cui ho costruito il mio equilibrio. Diciamo che la cosa fondamentale per me è che, all’inizio di un progetto, è necessario individuare la piattaforma su cui puntare per poi, anche imparando dai propri errori, cercare di differenziare sulle altre.

 

Nell’era dei video “alla TikTok” e dell’utenza sempre più abituata a contenuti veloci, sarebbe ancora possibile un percorso come il tuo?

Certo. Perché, in realtà, non bisogna arrendersi ai trend e sapere che sono sempre un’illusione. È vero che “laggente” è più propensa ad ascoltare contenuti brevi. Ma il vero problema è: tu sei interessato a un pubblico del genere? È evidente che la risposta è no. Oggi i contenuti lunghi vivono e sopravvivono. Ricordiamoci che Twitch, durante il periodo pandemico, ha avuto una crescita incredibile e propone live lunghissime. Live che possono essere assimilate ai contenuti radio degli anni ’60 e ’70. La gente ascoltava la radio in quegli anni, quando c’erano le radio pirata, e le trasmissioni duravano moltissimo. Per me, la frase “il pubblico è abituato a contenuti brevi” è parte integrante di una miopia che non capisce il pubblico. Sei tu che devi individuare chi è propenso ad ascoltarti per ore, tutto qui. Hai la forza di individuarlo? Bene, ce la fai. Hai sbagliato? Impari senza usare la scusa secondo cui è la gente a volere contenuti brevi perché, altrimenti, non farai mai un passo avanti.

 

E se, invece, volessimo provare a “convertire” chi non è propenso a video lunghi, magari partendo dai social, su quale formato – audio, video o dirette – consiglieresti di puntare?

Questo dipende da ciò a cui si punta. Ci sono canali YouTube che non puntano sulle live, canali che fanno anche live oppure canali che fanno podcast. Quindi è molto difficile dare una risposta valida in generale. Io, nell’ultimo anno, ho cercato di indirizzare le persone a Twitch perché il mio intento era di individuare un pubblico interessato a spendere tempo seguendo quel che faccio. Senza contare che avevo avevo già differenziato la community nel corso degli anni, tra YouTube e podcast, ed è stato più facile aggiungere anche Twitch. Quindi la cosa più importante è avere consapevolezza del tipo di pubblico che indirizziamo verso una o l’altra piattaforma.

 

Credi che, dopo tutti questi anni di “broadcast your self”, siano ancora rimasti argomenti non trattati? C’è ancora spazio per nuovi divulgatori?

C’è sempre spazio per la divulgazione. Anzi, c’è spazio ora più che mai perché il pubblico ha scoperto un mondo incredibile. E io continuo a ripetere che le cose miglioreranno quando non saremo più in cinquecento a fare video divulgativi e culturali ma saremo in cinquemila. Là fuori è pieno di persone di talento ma che non iniziano un percorso sul web per paura del pubblico o di essere visti come “quelli che fanno le cose online”… Questi ragionamenti devono sparire, credo ci sia un bisogno immane di persone che fanno di più e meglio divulgazione. Oggi, rendiamocene conto, siamo ancora in pochi a farlo. Spero che un domani saremo molti di più.

 

Per concludere guardando al domani, cosa vedi nel futuro delle piattaforme di video in streaming come YouTube?

Secondo me, sono piattaforme che si struttureranno sempre di più e creeranno dei criteri di selezione dei contenuti. Questo perché – cosa che sto notando negli ultimi tempi – stiamo assistendo, non dico al fallimento, ma all’evidenza secondo cui il web orizzontale, del “broadcast yourself”, ha perso di importanza. Non funziona più perché l’esubero di contenuti, anche di scarsa qualità, sta rendendo difficile al pubblico trovare i contenuti che il pubblico vuole. E, quindi, le piattaforme si struttureranno di conseguenza. Basti pensare a Wikipedia. Quest’ultima è diventata sempre più strutturata perché al suo interno ci sono gli editor che creano i criteri e le gerarchie dei contenuti: non si può più entrare su Wikipedia e cambiare una voce, bisogna seguire certi passaggi. Questa cosa succederà anche con le piattaforme e questa andrà verso una migliore fruizione dei contenuti. Dobbiamo stare attenti, però, che i criteri che verranno scelti di volta in volta siano utili, consapevoli e giusti.