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Quante volte sarà capitato di acquistare un prodotto e lasciarlo in frigo oltre la data di scadenza per poi essere costretti a gettarlo nella spazzatura? Oppure di ritrovarsi, a pranzo e a cena, una grande quantità di cibo avanzato destinata a finire tra i rifiuti?

Comportamenti e situazioni purtroppo culturalmente accettati, soprattutto nei paesi occidentali, che si riconducono al fenomeno negativo dello spreco alimentare.

 

Che cosa si intende, dunque, per spreco alimentare?

Secondo la definizione data dalla FAO: “il termine spreco alimentare si riferisce invece allo scarto intenzionale di prodotti commestibili, soprattutto da parte di dettaglianti e consumatori, ed è dovuto al comportamento di aziende e privati.”

Un fenomeno, quindi, che non riguarda soltanto le cattive abitudini dei cittadini, ma anche commercianti e rivenditori di generi alimentari.

Lo spreco alimentare (food waste), tuttavia, non dev’essere confuso con la perdita alimentare (food loss) che, invece, sempre secondo la FAO, identifica la: “riduzione non intenzionale del cibo destinato al consumo umano che deriva da inefficienze nella catena di approvvigionamento: infrastrutture e logistica carenti, mancanza di tecnologia, competenze, conoscenze e capacità gestionali insufficienti.  Avviene soprattutto nella fase di produzione, di post raccolto e di lavorazione dei prodotti, per esempio quando il cibo non viene raccolto o è danneggiato durante la lavorazione, lo stoccaggio o il trasporto e viene smaltito.”

 

Bisogna chiedersi, di conseguenza, quanto si spreca in Italia e nel mondo?

I dati forniti dall’indagine World Food Waste, prodotta dall’Osservatorio Waste Watcher e dall’Università di Bologna, hanno evidenziato come nel mese di agosto siano stati sprecati dai cittadini italiani 674 grammi di cibo pro capite a settimana; stima minore rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente, ma in aumento rispetto alla rilevazione fatta dallo stesso osservatorio a febbraio del 2022, in occasione della “Giornata Nazionale contro lo spreco alimentare.” Tra le cause principali dello spreco alimentare vi sono la scarsa o assente pianificazione della spesa, il cucinare in eccesso e la cattiva conservazione di frutta e verdura nei supermercati. Cattive abitudini che costano annualmente agli italiani circa 9 miliardi di euro.

Anche considerando lo scenario globale i dati non sono incoraggianti. La FAO, per la “Giornata Internazionale di sensibilizzazione su perdite e sprechi alimentari”, celebrata lo scorso 29 settembre, ha evidenziato come più di un terzo della produzione alimentare mondiale venga persa e sprecata. Infatti, è del 17% la percentuale di cibo che viene sprecato di cui l’11% in casa, il 5% nel settore dei servizi alimentari e il 2% nel commercio al dettaglio.

Numeri e cifre di un fenomeno negativo, sia da un punto di vista economico, ma anche eticamente riprovevole se pensiamo a quante persone ancora oggi soffrano la fame o alle implicazioni negative sul clima e sull’ambiente che questi fenomeni comportano. Il rapporto UNEP Food Waste Index, di fatto, riporta che circa l’8-10% dell’emissioni di gas serra a livello globale sono causate dal cibo prodotto e non consumato.

 

Come invertire questa tendenza negativa e combattere lo spreco?

Tema ormai prioritario nelle discussioni politiche di numerosi paesi, la lotta allo spreco alimentare è tra gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite che, al punto 12.3, mira a dimezzare la quantità pro capite di cibo sprecato a livello globale. Orientata al raggiungimento di questo risultato è la strategia FarmToFork dell’Unione Europea, che vede tra le ultime misure introdotte: la definizione entro il 2023 di obiettivi giuridicamente vincolanti per tutti gli stati membri dell’UE in materia di spreco alimentare e una decisiva revisione delle norme europee che regolano la marcatura sulla data di scadenza e di conservazione minima riportata sui prodotti, spesso confusionaria per rivenditori e consumatori. Inoltre, tante sono le città che adottano politiche urbane alimentari ovvero una serie di iniziative incentrate sulla valorizzazione dell’agricoltura locale e della filiera corta, sul riuso solidale dell’invenduto e su campagne di sensibilizzazione scolastica che, in un’ottica di Smart Food Community, si pongono l’obiettivo di ridurre gli sprechi.

A questi programmi politici, si affiancano le azioni di operatori e aziende private. Come già riportato nell’articolo “La lotta contro lo spreco diventa di buon gusto” sono, infatti, diverse le piattaforme che si prefiggono lo scopo di salvare il cibo invenduto e non consumato. Proprio da una di queste, la startup To Good To go, è nato il Patto contro lo spreco alimentare: “un intesa tra enti, aziende e supermercati con l’intento di ridurre gli sprechi nell’intera filiera e portare il dibattito nelle importanti sedi pubbliche e private.” Hanno già aderito al patto importanti soggetti economici del settore agroalimentare come Bolton Group (Rio Mare e Simmenthal), Kellogg’s, Nestlè e Carrefour.

La lotta allo spreco, in ogni caso, passa anche e soprattutto dalla sensibilizzazione e dal cambio di abitudini dei consumatori. Sono presenti in rete numerosi consigli e validi vademecum per aiutare a gestire correttamente acquisti, conservazione e consumo degli alimenti, favorendo, in questo modo, la riduzione degli sprechi tra le mura domestiche e contribuendo, così, a vincere una sfida fondamentale per la salute umana e dell’intero pianeta.