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Siamo abituati a descrivere l’uomo come un animale razionale ma riconosciamo anche che spesso molte delle sue azioni non possono essere definite tali. Questo vale persino a proposito della pulsione con cui molti individui affrontano le loro scelte consumistiche.

La “behavioral economics” è una branca dell’economia che si occupa di studiare i fattori sociali, psicologici ed emotivi che influenzano le decisioni umane in relazione al comportamento consumistico e finanziario.

Nonostante Adam Smith, padre dell’economia politica classica, ne avesse già accennato verso la fine del 1700, intere generazioni di economisti si sono rifiutati di affrontare il problema finchè la behavioral economics è balzata agli onori della cronaca grazie all’interesse suscitato dall’assegnazione di alcuni premi Nobel che l’hanno applicata a svariati campi: marketing, finanza, scienze politiche e sociali.

Di fatto, la behavioral economics non nega i capisaldi delle teorie fino ad ora postulate ma aggiunge ulteriore complessità alla loro interpretazione. Per trovare un parallelismo pensiamo alle leggi sulla gravità postulate da Newton: sono rimaste valide finché il loro campo di applicazione è rimasto confinato al mondo macroscopico ma quando si è giunti allo studio delle particelle elementari si sono rivelate non applicabili. La stessa cosa avviene nel campo delle teorie economiche classiche che si rivelano esatte in macroeconomia, quando si approfondiscono verso il particolare non lo risultano più.

Vediamo nello specifico di che cosa si tratta con alcuni esempi.

Per la legge della domanda e dell’offerta quando il prezzo di un articolo è molto basso gli individui tendono a comprarne in minore quantità e questo è un comportamento razionale dettato dal fatto che il prezzo viene giustificato con una bassa qualità. Un esperimento effettuato in California ha dimostrato che quando i clienti di un ristorante assaggiavano un vino a loro insaputa scadente ma venduto ad un prezzo molto alto lo ritenevano necessariamente di alto livello.

Rimanendo nell’ambito della comunicazione commerciale e del marketing, un alimento light con solo il 25% di grassi sarà più venduto di uno con il 75% di grassi in meno; un biglietto della lotteria che propone un vincitore su 1000 sarà più acquistato di uno che dichiara 999 perdenti a fronte di un vincitore solo; un abbonamento ad un fitness club che costa solo un euro al giorno sarà più allettante di uno che costa 365 euro all’anno. Un qualsiasi bene di consumo che costi qualunque cifra “ ,99 cent” ci darà l’impressione di farci risparmiare parecchio rispetto ad un altro che costi cifra tonda.

A questo punto si potrebbe pensare che la behavioral economics serva solo per abbindolare i consumatori ed invece non è così: la “Nudge theory” ovvero la teoria del pungolo, meglio conosciuta nella nostra lingua come “Teoria della spinta gentile”, utilizzando metodi di comunicazione e azioni virtuose, incoraggia i consumatori senza che loro se ne rendano conto ad effettuare scelte vantaggiose per le loro tasche e per la loro salute. Molti programmi, soprattutto negli USA, si sono rivolti infatti alla lotta contro il rischio di gravidanze precoci nella popolazione adolescente o a quella contro l’obesità.

Soprattutto nell’ultimo mezzo secolo, il comportamento umano in relazione ai beni di consumo e alle strategie di risparmio è diventato alquanto irrazionale fino a culminare nella crisi economico finanziaria del 2008. In questo senso la behavioral economics ha molto da dirci aiutandoci nel comprendere come e perché prendiamo alcune decisioni molto importanti e con ripercussioni sul futuro dei nostri portafogli. Considerare le emozioni, anziché negarle, ci aiuta a comprendere come noi stessi ci comportiamo in maniera realistica e non semplicemente appellandoci a dei modelli che ci suggeriscano le scelte più razionali da fare.