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Ambiente, società e tecnologia

La nuova mobilità urbana tra sostenibilità e sicurezza

 

Gli spostamenti urbani e il loro evolversi, questa settimana, sono più che mai sotto ai riflettori. Ma la corsa alle innovazioni, oltre che green, sa essere sicura?

Come si muovono le nostre metropoli oggi?

Pochi giorni fa la ONG Legambiente, insieme alla società di consulenza Ambiente Italia e a Il Sole 24 Ore, ha pubblicato il report annuale che descrive le performance ambientali delle principali città italiane, “Ecosistema urbano”.

Il rapporto valuta i centri urbani sotto vari aspetti e, per quanto riguarda la mobilità, fotografa un Paese che procede a velocità diverse verso la sostenibilità.

Complessivamente, noi Italiani viaggiamo su una media di 646 auto per 1000 abitanti. In Europa più di noi ne ha solo il Lussemburgo (676).

Sul trasporto pubblico, invece, emerge che siamo mediamente al di sotto degli standard europei, che solo alcune delle nostre città hanno finora raggiunto (sono esempi virtuosi Venezia e Milano, quest’ultima premiata anche dall’Urban Mobility Readiness Index per servizi all’avanguardia: 26esima nel mondo).

Il Covid cambia le regole

Se prima si cercava di estendere e migliorare i mezzi pubblici, quest’anno il Covid ha rimescolato le carte. La pandemia ha infatti imposto come effetto collaterale del distanziamento una riduzione della capienza dei trasporti, in controtendenza rispetto agli obiettivi precedenti.

La sfida, adesso, è quella di impedire che milioni di persone si riversino dalle metro ai mezzi privati inquinanti, garantendo la sicurezza di tutti ma allo stesso tempo proseguendo sul sentiero della sostenibilità.

La soluzione a questo problema, al governo, la chiamano bonus mobilità. In cantiere da mesi, è attivo dal 3/11 e ha subito riscosso un enorme successo, con un numero di richieste talmente elevato da mandare in tilt il sistema di identificazione digitale in poche ore.

Il contributo statale del 60% (fino a un massimo di 500€) può essere utilizzato per l’acquisto di biciclette (tradizionali o a pedalata assistita) e monopattini elettrici, ma anche segway, hoverboard e monowheel o abbonamenti a servizi di sharing purché non di autovetture.

 Il boom della condivisione

E a proposito di sharing (specialmente di monopattini), qui la rivoluzione green è forse ancora più tangibile.

È una realtà piuttosto recente nel Bel Paese, che ha visto arrivare i primi esemplari della statunitense Helbiz un po’ in sordina a ottobre 2018.

Anche in questo campo, l’Italia va a due velocità. Alcuni capoluoghi, come Palermo, stanno approvando solo ora servizi di condivisione, mentre altri sono già pronti a reggere confronti internazionali.

E anche qui, Milano dà il buon esempio: è 13esima al mondo per la sharing mobility, e il suo futuro si prospetta ancora più roseo. Si stima, infatti, che la flotta in circolazione aumenterà di 22 mila unità ogni anno.

Ma nessuna città è immune al cambiamento, e inizia a mostrarsi il rovescio della medaglia.

Nuova mobilità significa nuove leggi

La rivoluzione, infatti, ha due ruote ma migliaia di piloti “rivoluzionari”, privati e non, e se non è ben regolamentata l’effetto “giungla metropolitana” è assicurato.

Ecco perché la limitazione della velocità a 6 km/h nelle aree pedonali è obbligatoria per tutti, ma se per i mezzi di proprietà è più difficile imporla a priori, per quelli condivisi non è così. Infatti, le società si servono della geo-localizzazione per auto limitare la velocità dei monopattini nelle aree che lo prevedono, per impedire a monte che qualcuno corra troppo.

Le compagnie di sharing, inoltre, devono “costringere” gli utenti a parcheggiare negli appositi spazi al termine dell’utilizzo.

A garantire questo è l’app dell’operatore: una foto, ad esempio, verifica che la sosta sia in regola.

Alcuni brand, poi, stanno incentivando i propri clienti a essere sicuri alla guida, come nel caso di Bird con il suo “Helmet Selfie”, che dà un credito di 0,25€ a chi dimostra con un selfie di aver indossato il casco durante la corsa.

E quando non si rispettano le regole, intervengono le amministrazioni con norme più stringenti e sanzioni, soprattutto per i mezzi condivisi:

  • Roma ha introdotto per i monopattini in sharing aree di sosta con la tecnologia geo-fencing (in pratica, non si potrà interrompere la corsa fuori da queste aree, da ora visibili dalle app) e, per evitare una concentrazione troppo elevata, è stato imposto il rispetto di una distanza minima di 70 metri ogni 5 veicoli dello stesso operatore.
  • A Milano, invece, linea dura: alcune irregolarità nelle soste e nella limitazione della velocità hanno portato alla revoca delle licenze per 3 società, Circ, Helbiz e Bird.

Decisioni, queste, che non stupiscono: la rivoluzione della mobilità sostenibile può e deve passare anche dalla sicurezza.

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Ambiente, società e tecnologia

Huawei, Amazon e Google: nuove tecniche di formazione in cloud

Amazon e Google (in primis) e Huawei qualche posizione più sotto, hanno registrato un aumento percentuale dei ricavi, come dimostrato dai dati trimestrali della Borsa di Wall Street; risultati ottenuti a seguito del potenziamento dei sistemi di cloud computing o più semplicemente cloud.

Una tecnologia, quindi, essenziale in società sempre più informatizzate dove il numero dei dati condivisi va via via crescendo.

Il periodo esatto in cui tale tecnologia ha raggiunto il suo apice coincide con l’avvento della pandemia da COVID 19 in quanto, quest’ultima, non ha fatto altro che accelerare la Digital transformation. Una prima problematica è legata al rapido aumento delle nuove tecnologie dell’Industria 4.0 (termine coniato durante la Fiera di Hannover del 2011) anche in risposta al cambiamento climatico in atto.

Si evince questo aspetto dal Report 2020 sui lavori del futuro redatto dal WEF (World Economic Forum) incrociando i dati raccolti dalle interviste dei leader aziendali e quelli estrapolati da recenti fonti pubbliche e private; in tale documento si afferma che entro il 2025 più dell’80% dei leader sceglieranno di utilizzare le nuove tecnologie per automatizzare i processi di lavoro (in modo da riuscire a definire un’economia verde), destinando i lavoratori ad un lavoro a distanza e ad una formazione obbligatoria e in linea al cambiamento tecnologico attuato.

Dato che la formazione rivestirà un ruolo centrale, sarà essenziale il ruolo delle persone nella cultura e, in particolare, in un sistema educativo dovrà essere adeguato, disponibile nel minor tempo possibile e facilmente fruibile (indipendentemente dall’area geografica, dalle risorse economiche disponibili e dall’età); e da qui l’altro problema accentuato con la pandemia: il divario nell’erogazione dell’istruzione; infatti, come afferma il rapporto OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) “Education at Glance” del 2020 l’Europa registra i punteggi più bassi nell’iscrizione universitaria a causa di una presenza più massiccia di insegnanti anziani che perseguono una modalità di apprendimento obsoleta rispetto alla rivoluzione culturale in atto.

Un quadro generale doveroso per spiegare i risultati economici raggiunti e gli obiettivi prefissati dai colossi Big Tech Huawei, Amazon e Google: loro vogliono sviluppare dei servizi di formazione in grado di superare rapidamente questi problemi senza perdere di vista l’importanza di riprodurre un’interazione online studente-insegnate molto simile a quella offline e con un occhio di riguardo per quei paesi più in difficoltà in tal senso. Inoltre, i siti sono stati creati in modo accurato in quanto ogni prodotto o servizio offerto (compresa l’architettura usata) sono stati spiegati dettagliatamente offrendo, comunque, un supporto tecnico per ogni tipo di problema. Ma andiamo per ordine.

Huawei Smart Education

Huawei ha deciso di puntare molto sull’infrastruttura più che sulla diversificazione formativa; infatti, come prima distinzione nell’erogazione della formazione propone di scegliere tra un corso online e interattivo (dove il sistema HUAWEI CLOUD Internet RTC garantisce un modello di educazione basato su un’interazione con poco pubblico, mirata e di breve durata),un corso online basato sui video (dove viene utilizzata la tecnologia VOD HD) e un corso dal vivo con una classe di grandi dimensioni (dove si fare uso di un sistema di bitrate HD e di transcodifica).

Nello specifico, incrementa le infrastrutture sulla base del livello di istruzione di riferimento: scuole primarie e secondarie e scuole di istruzione superiore, professionali e imprese; nel primo caso, utilizza reti cloud e attività di O&M per permettere una gestione centralizzata di tutte le reti sparse per il territorio delle scuole primarie e secondarie (in modo da non dover richiedere tecnici sul posto), per la creazione di app mobili per cellulari (così da poter gestire i servizi ovunque e in qualsiasi momento) per l’utilizzo congiunto di Big Data e API che permettono la creazione di interfacce diversificate così da essere adattate ai differenti settori educativi.

Nel secondo caso, invece, vengono utilizzate reti cloud, sistemi di IA e di Big Data per creare un modello di educazione online specifico per ogni studente o lavoratore, in modo da garantire sempre interattività, coinvolgimento e rapidità di apprendimento. I corsi offerti riguardano il cloud computing, i Big Data, il Software Talent Education (un’educazione ingegneristica proiettata all’IT e ai settori emergenti) e l’AI Talent Education (che si basa sulla piattaforma Model Art)

Huawei si impegna anche sul fronte della ricerca offrendo un Network nazionale a banda larga per garantire l’utilizzo dei Big Data nelle tecnologie emergenti riguardanti la rilevazione dei geni, l’analisi geologica e l’osservazione astronomica.

Nessuno rimane escluso in questa iniziativa: anche i professori (assieme ai supporti tecnici) imparano a gestire l’informatizzazione creando piattaforme digitali in linea col sistema educativo vigente, garantendo la creazione di Siti Web, lo sviluppo di APP e l’archiviazione di materiali didattici, video e immagini; e permettendo, inoltre, di definire un piano intelligente di valutazione dei compiti a casa e di apprendere in materia di IA per una migliore esperienza nella didattica.

Amazon Education

Amazon concentra il suo servizio cloud sull’AWS Education ovvero sull’iniziativa volta ad accelerare l’apprendimento del cloud (specifico per ogni tipo di studente) e così migliorare l’assetto delle startup, delle società e di tutti i tipi di organizzazioni; per promuovere tale iniziativa in ambito scolastico, ha creato dei programmi specifici a seconda del soggetto interessato: nel caso di uno studente di scuola superiore, egli potrà valutare le proprie competenze sbloccando dei badge e seguendo dei percorsi professionali nel cloud; nel caso di una persona in età universitaria, essa potrà seguire un programma Cloud Degree per sviluppare un piano formativo di due o quattro anni in cloud computing; nel caso di un docente, egli ha la possibilità di apprendere la materia al fine di aiutare gli studenti in questo percorso (prendendo spunto per attività didattiche originali e giochi con il programma Amazon Ignite e ottenendo rapidamente il materiale scolastico grazie a LMS Integrated Store).

Per persone al di fuori del sistema educativo, Amazon ha pensato ad un evento di due settimane chiamato AWS re:Invent che permette un apprendimento gratuito attraverso un programma personalizzabile e certificato, e webinar con i massimi esponenti del campo.

Per gli studenti delle scuole primarie e secondarie, invece, ha preferito puntare ad un approccio cloud più semplice e giocoso mediante sfide interattive e attività pratiche.

Affinché Amazon possa offrire vantaggio a chi si affida a lui per l’istruzione sul cloud, offre servizi come amazon business e Prime student cosicché studenti e professori possano avere accesso a tantissimi materiali e anche in tempi brevi e con scontistiche più vantaggiose.

Anche Amazon si impegna nel premiare gli studenti più meritevoli con finanziamenti per i loro progetti attraverso il servizio amazon catalyst.

Google For Education E GSuite Enterprise For Education

Google sfrutta software open source e software-defined avanzati, integrati con un sistema di cloud incentrato sui big data e sul machine learning, per garantire risultati rapidi, coerenti e scalabili.

I servizi offerti si dividono tra quelli offerti agli studenti e quelli offerti per la formazione degli insegnanti.

Nel primo caso, attraverso il servizio chiamato Classroom, ciascun studente avrà la possibilità di fruire in contemporanea a tutti quelli della stessa classe di documenti ed elenchi e di rimanere sempre aggiornati attraverso promemoria e riunioni (stabilite dalla professoressa).

Le risorse didattiche offerte, inoltre, permettono un migliore apprendimento dell’alunno attraverso app, guide e programmi per adattare le lezioni in base agli alunni e agli standard educativi, per permettere ai genitori di imparare ad usare il digitale in sicurezza, per condurre esperimenti scientifici analizzando e comparando i risultati, per raccontare storie con la realtà aumentata e molto altro ancora; tali risorse sono classificate in “Programmazione e informatica”, “Strumenti per la creatività”, Alfabetizzazione digitale”, “Coinvolgimento della famiglia”, “Strumenti didattici”, “Lingue, arte e cultura”, “Strumenti per tutta la scuola” e “Scienza, tecnologia, ingegneria e matematica”.

Inoltre, per avvicinare all’informatica anche ai meno appassionati, sono stati realizzati programmi specifici e semplificati, in contrapposizione ai corsi più professionali legati ai big data machine learning, allo spazio di archiviazione e networking, all’automazione e alla gestione delle API.

Google, però, non tralascia ambiti come la ricerca (per la quale offre borse di studio per usufruire gratuitamente di tutti i prodotti Google Cloud) e ambiti legati alla musica, alla moda e ai videogiochi (attraverso il corso gratuito Google CS First).

Nel secondo caso, invece, Google concentra l’attenzione sulla formazione degli insegnanti in ambito informatico dandogli anche supporto tecnico nella gestione dei vari servizi; inoltre, grazie al Transformation Center di Google for Education, gli insegnati possono accedere a casi reali su come altri docenti hanno creato una cultura tecnologica nel loro istituto e su come hanno realizzato programmi efficaci per lo sviluppo professionale.

Infine, Google ha previsto delle sessioni personalizzate di formazione aziendale (tenutesi ad Ottobre 2020) per i paesi più indietro come Europa, Medio Oriente e Africa.

Tre colossi, tre offerte abbastanza simili e davvero essenziali ma che gettano ancora ombre sull’eventualità di un aumento della dipendenza tecnologica e sulla possibilità che i dati sensibili a loro concessi non siano sicuri. Tutti timori a cui Huawei, Amazon e Google hanno risposto redigendo guide e soluzioni per un uso mirato e intelligente della tecnologia e dedicando sezioni dei loro siti per parlare dell’efficienza del loro cloud in materia di sicurezza; ma il riscontro è stato tutt’altro che positivo.

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Agricoltura 4.0: storia di successo

Sul nostro magazine abbiamo delineato lo stato dell’arte dell’agricoltura 4.0 e riportato il fatto che si stia verificando, da diversi anni, una presa di coscienza da parte delle imprese in merito all’adozione di modelli di produzione sostenibili ed innovativi. Quello che vogliamo riportare oggi è una storia di successo che ha come protagoniste 2 aziende, l’italiana Gefion e la statunitense Eaton, la cui collaborazione può fornire ai soggetti del settore agricolo gli strumenti e il supporto necessari per attuare la digital transformation.

Gefion: soluzioni ed esigenze

L’azienda italiana Gefion, specializzata nella realizzazione di sistemi di irrigazione e fertirrigazione, si è sempre impegnata sul fronte dell’innovazione, distinguendosi per il costante investimento in Ricerca e Sviluppo.

L’obiettivo non è solo quello di offrire ai propri clienti sistemi intelligenti basati su IoT e Big Data, grazie ai quali è possibile ricevere informazioni precise e gestirle in maniera tempestiva, ma è anche il dare la possibilità di controllare e pianificare da remoto tali sistemi.

La collaborazione con Eaton

In quest’ottica si inserisce la collaborazione, arrivata a quasi dieci anni, con Eaton, multinazionale operante in oltre 175 paesi e il cui impegno è rigorosamente allineato con gli obiettivi per lo sviluppo ambientale delle Nazioni Unite.

Eaton ha proposto l’implementazione negli impianti Gefion di sistemi di I/O modulari della serie XN300, diversi inverter e pulsanti, in base alla complessità della macchina. I sensori di Eaton trasmettono al software di Gefion (Hydro Evolution V3 – applicativo Codesys 3) dati riguardanti lo stato dei filtri e della sezione di fertirrigazione e la pressione in uscita e in entrata. Il software, capace di gestire la sezione di fertirrigazione, in questo modo può corregge la pressione di mandata, calibrando la miscela e garantendo una corretta fertirrigazione.

“Questo è d’indubbio vantaggio” – afferma Enrico Manieri, R&S di Gefion – “se pensiamo non solo al rispetto dell’ambiente ma anche alla possibilità di gestire meglio lo stress idrico della falda”.

Le soluzioni di Eaton rispondono alle esigenze di Gefion, permettendo al loro sistema di essere gestito e controllato da remoto, garantendo la possibilità di pianificare e prendere decisioni tempestive.

Inoltre, l’azienda americana ha implementato un pannello PLC HMI XV300 che da un lato permette di semplificare la gestione dell’impianto, anche per procedure più complesse, e dall’altro migliora l’interazione uomo-macchina grazie all’interfaccia intuitiva.

Impatto e risultati

Le soluzioni di Gefion si contraddistinguono anche per il fatto di essere alimentate da un sistema fotovoltaico che ne riduce l’impatto ambientale, ne semplifica il montaggio e la richiesta di infrastrutture necessarie.

Per quanto riguarda i risultati, i sistemi di filtraggio e fertirrigazione di Gefion hanno registrato il 25-30% di risparmio di energia e di acqua all’anno.

La distribuzione controllata dei fertilizzanti nell’acqua ha migliorato l’assorbimento dei nutrienti da parte delle piante e migliorato l’efficienza nell’utilizzo dell’acqua. Inoltre, la gestione dello stress di falda garantisce un miglior rendimento della falda acquifera e un utilizzo più prolungato del pozzo evitandone interventi di spurgo, dannosi e costosi.

Le soluzioni proposte da queste due aziende, oltre a garantire livelli di competitività ai propri clienti, rientrano nel concetto di “vero” precision farming, cioè un modello di agricoltura nel quale vengono usate le risorse giuste, al momento giusto, e nella giusta quantità. Il tutto all’interno di una cornice sostenibile e in favore dell’ambiente, elementi indispensabili per ridurre il nostro impatto sul pianeta.

Enrico Noseda (Chief Innovation Advisor Cariplo Factory), nell’ambito dell’iniziativa “Alleanza per la Sostenibilità”, sostiene che abbiamo meno di un decennio per attuare soluzioni di questo tipo. Non ci resta che continuare su questa strada.

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Macchine e persone nel giornalismo: conflitto o armonia? L’esempio del Washington Post

Il Washington Post è ritenuta una delle testate giornalistiche più innovative e al passo con i progressi nel settore ICT e del digitale, dove ingegneri e data analyst affiancano i reporter e i redattori.

Il quotidiano è stato tra i primi a ricorrere all’Intelligenza Artificiale in affiancamento al lavoro dei giornalisti, cosa che gli ha permesso di poter competere con il colosso New York Times. Inizialmente il potente strumento è stato impiegato per la scrittura di interi articoli e per titolarli, oggi invece viene impiegato anche sui social media dove modera i commenti e scrive tweet su Twitter: il reperimento di informazioni è infatti profondamente cambiato e sempre più persone soprattutto giovani utilizzano principalmente Instagram, Facebook e Twitter per rimanere aggiornati e informati.

I commenti sono un aspetto molto importante perché sono un modo per ricevere un riscontro direttamente dai lettori, e per i giornalisti i feedback sul loro operato sono estremamente importanti, tuttavia moderarli richiederebbe l’impiego di tante persone. È stata dunque progettata una macchina in grado di occuparsi di gran parte di questo lavoro, lasciando i commenti di più incerta comprensione alla gestione da parte delle risorse umane.

È possibile così delegare i compiti ripetitivi per dedicarsi all’elaborazione di contenuti di qualità, alle interviste, alle inchieste.

Il Direttore tecnico Data Science e AI al Washington Post Patrick Cullen ha detto in un’intervista, rilasciata per un corso sull’Intelligenza Artificiale nel marketing sulla piattaforma Coursera: “ E’ magnifico poter avere un sistema di pubblicazione contenuti automatizzato, Heliograph, che analizza in poco tempo dati sugli eventi sportivi oppure sulle elezioni politiche le cui notizie sono rilevanti solo se pubblicate molto in fretta, e vedere invece i giornalisti concentrarsi sull’analisi e l’approfondimento dell’evento appena terminato. Una delle cose più impressionanti di Heliograph, oltre ai risultati raggiunti, è stata la fiducia che ha costruito all’interno della nostra attività e con tutte le parti interessate. Molte persone pensano che le machine learning possano sostituire le persone, però è stato compreso che invece sono uno strumento che migliora le capacità dell’uomo.”

A che punto è l’Italia?

Il condirettore di Agi Agenzia giornalistica italiana Marco Pratellesi in un’intervista per Professione Reporter mostra un quadro della situazione italiana in seguito all’approdo dell’Intelligenza Artificiale nel settore: “Tra 5 anni al massimo tutte le aziende editoriali dovranno adattarsi al cambiamento per non restare ai margini. Oggi il mondo è pervaso di dati e l’analisi di tutti quelli necessari a un pezzo non può più essere svolta da un essere umano. Le più grandi testate giornalistiche impiegano l’AI da tempo e in molte di queste realtà il numero di giornalisti è aumentato. In Italia l’Ansa è stata la prima a impiegarla per trasformare i dati sul Coronavirus in grafici. I grandi giornali italiani però non stanno ancora dedicando risorse per la ricerca e sviluppo nel settore, invece oggi è più che mai necessario reinventare il giornalismo e l’AI è un aiutante che va sfruttato.”

La risposta di Bloomberg

John Micklethwait, caporedattore di Bloomberg News, in un evento su AI e giornalismo interviene a favore dell’Intelligenza Artificiale dichiarando: “Il problema non è mai Internet, ma piuttosto come le aziende rispondono a esso. Le abitudini delle persone sono cambiate repentinamente con la diffusione dei social media, e questo non può essere ignorato. Su Instagram le persone sono abituate a passare da una storia all’altra dedicando poco tempo a ognuna, il trend è il “faster and shorter” ovvero sono più efficienti tante brevi notizie che un lungo articolo di cui viene letto spesso solo il titolo. La personalizzazione delle notizie, resa possibile grazie alle nuove tecnologie di AI, si rivela uno strumento importante che permette ai lettori di trovare subito i contenuti di loro interesse senza dover perdere tempo a cercarli. Bloomberg per rimanere fedele alle nuove abitudini degli utenti imposte dai social come Instagram ha introdotto una nuova modalità di scorrimento delle notizie e un servizio (Bloomberg Daybreak) che invia agli abbonati una notizia da ascoltare al mattino secondo gli argomenti di interesse dell’utente.”

Il giornalismo è dovuto scontrarsi varie volte con i nuovi trend e la sopravvivenza delle testate deriva da un veloce adattamento cogliendo le potenzialità e accogliendo il cambiamento.

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La lotta contro lo spreco diventa di buon gusto

Nel mese di febbraio 2020 l’osservatorio Waste Watcher, per la settima Giornata Nazionale di prevenzione dello spreco alimentare, ha presentato un rapporto riguardante gli sprechi alimentari domestici degli italiani. Rispetto all’anno precedente lo sperpero di cibo cala per un ammontare annuale di un miliardo e mezzo. Un risparmio di alimenti consistente, ma non sufficiente: se aggiungiamo, infatti, la quantità che getta via la filiera produttiva, arriviamo ad un valore molto alto, che in un anno si aggira attorno ai 10 miliardi di euro.

Prendono forma come soluzione a questo problema alcune applicazioni che stanno emergendo in questi ultimi anni con l’obiettivo di incentivare il risparmio e il riciclo di vivande non vendute e non consumate. Queste app producono effetti virtuosi sia sotto un punto di vista ambientale che economico: permettono infatti ai venditori di non buttare prodotti che non sono stati comprati a fine giornata e al contempo consentono a potenziali consumatori di acquistarli a un prezzo molto agevolato. Non è finita qui: la loro mission accoglie anche il proposito di educare e sensibilizzare gli utenti riguardo alle gravi conseguenze ambientali e socio-economiche che può comportare lo spreco di cibo. Se le tonnellate di alimenti prodotti non venissero gettate, si potrebbe sfamare una parte considerevole di persone che ancora oggi soffrono di denutrizione ed evitare la perdita anche del cibo cestinato insieme a tutte le risorse necessarie per la produzione dello stesso.

Una applicazione che offre soluzioni sostenibili e innovative nel mondo della ristorazione e dei supermercati è TooGoodToGo, nata nel 2015 in Danimarca, che consente a chi lavora in queste due grandi realtà di mettere in vendita online il cibo non venduto e che a fine giornata andrebbe perso attraverso delle “Magic Box”.

I consumatori, attraverso pochi click, acquistano tramite l’app delle scatole di cui non conoscono il contenuto e che a sorpresa racchiudono dei pasti freschi e di buona qualità. Si va così creando una rete di venditori e compratori, che traggono vantaggio  dalla compravendita delle “Magic Box” e vengono sensibilizzati ai valori della condivisione, collaborazione e attenzione nei riguardi dell’ambiente che ci circonda: ogni “Magic Box” acquistata, infatti, evita l’emissione di 2 kg di Co2, che corrisponde alla quantità di gas serra che viene prodotta dal pasto quando anziché essere consumato, viene buttato.

L’Italia ha accolto TooGoodToGo in molte città ed il nostro paese a sua volta ospita incubatori di tante altre startup che si propongono di arrivare allo stesso scopo, cominciando dai ristoranti fino ad arrivare ai supermercati.

Con la stesso proposito di ToGoodToGo nasce Bring The Food, un’ app ideata nel 2012 dalla Fondazione Bruno Kessler di Trento che vuole agevolare il recupero di eccedenze alimentari e destinarle a organizzazioni di volontariato, in modo da donarle a chi ne ha più bisogno.

Sulla scia dell’operato di TooGoodToGo nei supermercati, non si può non parlare di MyFoody, una applicazione italiana che permette a chi ne usufruisce di ricevere offerte su prodotti “difettosi” presenti giornalmente nei vari supermercati: beni che vengono cestinati per difetti riguardanti la morfologia del prodotto o che presentano una scadenza a breve termine.

Evitare lo spreco è anche sinonimo di prestare attenzione alle scadenze degli alimenti ed utilizzare tutto ciò che si compra. Questo è quello a cui puntano le piattaforme italiane Puccifrigo ed Eco dal Frigo. La prima ha come mission quella di aiutare i suoi utenti a ricordarsi delle scadenze dei prodotti che hanno acquistato. La seconda invece si propone di mettere a disposizione tantissime ricette per combinare gli alimenti che si hanno a casa, senza buttarli.

Sono degne di menzione Last Minute Sotto Casa e Ubo , un’altra app innovativa che in modi alternativi vuole accompagnare gli utenti in quello che è il percorso che comincia con l’atto di fare la spesa e termina con il consumo dei prodotti.

Queste sono alcune delle tante app che stanno mettendo in campo soluzioni innovative e sostenibili per combattere lo spreco alimentare. Tutti possiamo contribuire cambiando le nostre abitudini e prestando attenzione al mondo che ci circonda: consumare tutto quello che acquistiamo, donare e condividere con chi ne ha più necessità.

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Bookdealer: librerie indipendenti a portata di un click

Nell’immaginario contemporaneo per acquistare un libro andare in libreria non è più l’unica opzione ma una fra le tante disponibili. L’arrivo dell’e-commerce ha cambiato infatti il mercato di molti prodotti e tra questi abbiamo proprio i libri, definiti beni essenziali. Oggi sono innumerevoli gli store online che vendono libri ma da tutto questo ne sono rimaste escluse per un po’di tempo le librerie indipendenti.

La prima piattaforma di e-commerce in Italia a sostenere le librerie indipendenti è Bookdealer.

Nasce in un contesto culturale in cui non è sempre agevole recarsi nei punti vendita e si preferisce spesso acquistare libri sul web. Bookdealer si propone come un’ottima alternativa a colossi dell’e-commerce come Amazon.

Come funziona Bookdealer?

Questa piattaforma di e-commerce è semplice e veloce da usare e lo si può spiegare in due semplice mosse:

  1. Selezionare il punto vendita da cui si vuole effettuare l’acquisto tra una vasta gamma di negozi che si possono visitare virtualmente;
  2. Effettuare l’acquisto e la somma spesa andrà direttamente alla libreria scelta.

All’interno del sito è inoltre possibile scoprire i titoli più venduti, venire consigliati dalle recensioni degli utenti che acquistano all’interno della piattaforma e conoscere le iniziative sponsorizzate da ciascuna libreria.

In aggiunta, Bookdealer dà la possibilità ai propri clienti di regalare un libro a un’altra persona utilizzando la stessa cura che avrebbe l’acquirente.

Per usufruire del servizio bastano tre passaggi:

  1. Indicare l’indirizzo del destinatario in un apposito modulo;
  2. Spuntare il box “è un regalo?” al momento del check out;
  3. Scrivere il testo del biglietto per il regalo nel riquadro sottostante.

Che tipo di rapporto si crea tra libreria indipendente e cliente?

In una formula che la stessa piattaforma definisce Fast and Slow è possibile avere libri in meno di 24 ore proprio perché consegnati da librerie del territorio nel rispetto dei ruoli e della filiera.

L’elemento di forza che emerge non è solo la velocità “fast” ma soprattutto la qualità “slow” di un servizio che viene svolto da librai e libraie in carne ed ossa che hanno cura dei libri e dell’esperienza che portano al cliente.

Quindi se in vari altri e-commerce il libro viene slegato dal suo punto vendita di provenienza in quanto l’importante è solo che venga consegnato all’acquirente in tempo, Bookdealer regala consigli di persone vere vicine al cliente creando un rapporto a lungo termine che sostiene le librerie indipendenti.

Oltre al sito Web, Bookdealer ha una pagina Instagram dedicata al suo e-commerce, in cui è la voce delle librerie indipendenti a farsi sentire per informare i clienti sulle ultime loro novità.

Bookdealer si definisce facile, economico e veloce. Quindi, se vi siete mai trovati a pensare di non poter andare nella vostra libreria di fiducia, ora non avete davvero più scuse perché vi basta un click.

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Avi Schiffmann, il genio che ha rifiutato 8 milioni di dollari

Quando si parla di genialità non c’è pandemia che tenga: le menti più brillanti sanno sempre trovare modi per sorprendere. Molto spesso, sono le idee più semplici a garantire funzionalità e successo: è quanto accaduto ad Avi Schiffmann, uno studente di 17 anni che vive in Mercer Island nello stato di Washington, nord Ovest degli Stati Uniti.

Durante la quarantena, Avi ha progettato insieme al suo amico Daniel Conlon un sito web, ncov2019.live: una dashboard in grado di raccogliere i dati riguardanti il COVID-19 da tre diverse fonti, tra cui la World Health Organization (WHO) e il Centers for Disease Control and Prevention (CDC), classificandoli per continente, nazione e regione, facilitandone la comparazione perché visualizzabili su una mappa.

Un’idea semplice, efficace e molto attuale, che ha subito attirato l’attenzione del pubblico… e non solo. Il valore attuale di è di circa 8 milioni di dollari e dal giorno della sua pubblicazione ad ora ha già registrato circa 700 milioni di utenti unici. Il ragazzo ha rifiutato qualsiasi offerta di lavoro, anche da Microsoft, oltre a tutte le offerte d’acquisto, giustificandosi con una motivazione molto nobile: «Non sono uno speculatore, questo tipo di guadagni non mi interessano».

D’altronde, Schiffmann ha scelto di rendere il sito completamente ad-free, mantenendolo con piccole donazioni offerte dagli utenti, che possono letteralmente offrire un caffè cliccando sull’apposito bottone (che recita, appunto: “Buy Me A Coffee”).

Su Ncov2019.life è possibile consultare una mini “Wikipedia” sul Covid-19, con tutte le indicazioni di cos’è e come si manifesta il coronavirus, quali miti sono da sfatare, come capire se si è infetti e quali sono gli aggiornamenti sullo sviluppo di un vaccino. E se si vuole sapere qual è il proprio tasso di sopravvivenza, Schiffman ha addirittura programmato un calcolatore, che conoscendo l’età, sesso e particolari problemi di salute riesce a prevedere qual è la probabilità di morire di Covid-19.

Un lavoro di altissimo livello, insomma, che si è meritato l’attenzione della stampa.

In un suo tweet ha ringraziato tutti per il supporto e ha promesso che non aggiungerà mai sponsorship indesiderate, pop-up e pubblicità di ogni tipo, lasciando anche un augurio:

«Molti mi dicono che rimpiangerò questa decisione, ma ho altri piani per il futuro. Spero che strumenti come questo vengano creati direttamente dall’Organizzazione mondiale della Sanità. La responsabilità di creare questi ‘tool’ non dovrebbe essere nelle mani di un ragazzino a caso, ma delle persone che si occupano per lavoro di statistica».

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A proposito di Diritto della Rete: intervista ad Alessandro Vercellotti, #AvvocatoDelDigitale

Quante norme bisogna conoscere per avviare un business sul web? E quali sono le cose che bisogna assolutamente sapere per capire come rispettare la legge per lavorare online?

Per rispondere a queste domande, abbiamo pensato di rivolgerci a un “esperto del settore”: Alessandro Vercellotti meglio conosciuto come Avvocato del Digitale e fondatore di Legal For Digital, il primo studio legale italiano incentrato sul Diritto Digitale e rivolto a realtà aziendali, professionisti e agenzie di marketing. Come Business coach e relatore ad eventi di settore, Alessandro lavora per sensibilizzare l’opinione pubblica su rischi e opportunità del rapporto fra legge e web.

Il risultato è stata una chiacchierata molto interessante su regolazione del web e possibili future modifiche alle attuali norme, la gestione dei dati sensibili e anche qualche consiglio utile per chiunque volesse intraprendere il suo  stesso percorso.

Buongiorno Alessandro, e grazie per aver accettato l’invito di iWrite.

Grazie a voi e buongiorno a tutti i lettori!

Partiamo da una domanda generale: oggi il digitale è altamente regolamentato: quali sono state le ragioni per cui si è arrivati a normare così tanto l’utilizzo di questo media?

Il mondo del web spesso era visto come un mondo a parte, nel quale le regole del mondo off-line non esistevano. In realtà non è così e anzi spesso la portata di certi comportamenti online è ancora più grave, basti pensare alla diffamazione che se effettuata sui social network diventa di default una diffamazione aggravata proprio per il numero di potenziali utenti ai quali si comunica. Poi è altrettanto vero che la natura stessa del digitale ha portato la necessità di definire regole specifiche per questo mondo come in ambito di commercio elettronico o normativa privacy

GDPR: cosa è cambiato secondo te con l’introduzione di questa norma? Lo scenario del web è migliorato oppure no?

Il Gdpr è una normativa che ha del rivoluzionario per l’importanza nella cura dei dati personali degli utenti, tuttavia ad oggi tanti siti risultano ancora non rispettarla appieno. Si può vedere queste situazione come un limite oppure come un’enorme opportunità che deve essere colta da tutti per un mondo online più corretto e con minori rischi. Inoltre per le aziende, dati personali degli utenti possono essere un nuovo modo di monetizzare se tutto viene fatto a norma di legge e quindi i dati vengono trattati in modo corretto.

Diversi report ci indicano come la privacy sia diventata una delle priorità per gli utenti del web: secondo te come mai?

Penso che i cittadini stiano capendo quanto siano importanti i loro dati e anche che valore abbiano. È un processo di apprendimento molto lungo ma inesorabile e il futuro sarà sempre più data centric. Anche i big del web ci insegnano che oggi i business più profittevoli sono legati alla gestione/cessione dei dati e gli iscritti ai social network o alle piattaforme online hanno compreso che tanti servizi “gratuiti” prevedono attività di marketing legate al trattamento dei loro dati personali.

La consapevolezza dell’esistenza di un tema legato alla gestione del “dato” online è emersa anche nel lancio dell’app Immuni: a tuo parere, le persone sono consapevoli di quante cose lasciano online?

Se da un lato la soglia di consapevolezza e attenzione sul concetto di gestione dei dati sta aumentando, dall’altro penso che tanti utenti oggi non abbiano idea di che tipo di dati personali siano davvero trattati dalle aziende. Queste ultime spesso non trattano il nome e cognome dell’utente facendo una pubblicità specifica verso di lui ma intrecciano i dati raccolti sul proprio sito web con quelli delle piattaforme social per raggiungere quel risultato. Allo stesso modo quando l’utente contatta un’azienda con la propria mail personale non sta autorizzando quest’ultima a trattare quel dato per mandare comunicazioni commerciali.

A proposito di norme e dati: si discute di un Decreto Legge, a firma del senatore Simone Pillon, per limitare l’accesso ai contenuti per adulti online. In termini legali non è una limitazione alla libertà personale?

Questa tipo di proposta mi sembra tanto una mossa politica che avrà poco di reale. Per fortuna non viviamo in una realtà nazionale con diritti limitati e quindi penso che azioni come questa avranno poco seguito. Oltre tutto il mondo del web ci insegna che imposto un limite, anche logico e corretto, spesso viene trovato un modo per eluderlo. Tutto ciò potrebbe avvenire questo anche in caso di limitazione all’accesso dei contenuti per adulti che oggi hanno una tale importanza online.

Quali sono le principali cose da sapere quando si vuole lanciare un business online, in termini di leggi e norme?

Prima di tutto il web è reale e ha delle regole (normative) come il mondo offline. Poi bisogna pensare alla fattibilità legale del business perché ci possono essere normative specifiche che limitano certe attività e ancora dobbiamo pensare al trattamento dei dati personali degli utenti (normativa privacy/Gdpr). Se si tratta di un business che preveda la vendita online di prodotti e/o servizi sono fondamentali dei termini e condizioni di vendita e quindi va considerato il Codice del Consumo e il Decreto sul Commercio elettronico.

Lasci un consiglio a chi studia giurisprudenza e vuole seguire le tue orme di “avvocato del digitale”?

Uscite dagli schemi o dal “l’unica strada è quella già scritta”. Scegliete il vostro sogno e cercate la vostra strada per raggiungerlo!

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Ambiente, società e tecnologia

Sbarca in Italia “Chi è il padrone?”: i consumatori decidono qualità e prezzo del cibo in tavola

Sono tanti gli esperimenti in cui i consumatori tentano di mettersi “in proprio” e definire come e cosa produrre. L’ultimo arriva dalla Francia, dove “C’est qui le patron?”, l’associazione francese nata nel 2016 dall’idea di due imprenditori -Nicolas Chabanne e Laurent Pasquier- sta completamente cambiando le carte in tavola del mercato agroalimentare e si candida per diventare un nuovo modo di intendere il consumo nel food & beverage.

L’obiettivo di “C’est qui le patron?” è molto ambizioso: quello di trasformare i consumatori in attori attivi, permettendo loro di poter partecipare alla creazione, selezione, produzione e controllo della fornitura di prodotti alimentari. Il metodo vede al centro di tutto chi compra: i consumatori iscritti all’associazione sono coinvolti democraticamente nella definizione delle caratteristiche organolettiche che dovrà avere il prodotto, la provenienza, il prezzo, e possono così renderli più equi, sostenibili in tutta la filiera di produzione e più trasparenti, soprattutto relativamente al metodo di produzione e nel rispetto di tutti i produttori e lavoratori coinvolti.

Dopo il latte (da cui tutto è partito) sono arrivati sulla piattaforma di “C’est qui le patron?” altri prodotti come burro, uova, formaggio, pizza e carne, e molti altri sono in fase di definizione. L’associazione gestisce il brand e definisce le procedure di controllo presso i fornitori e i distributori per verificare che siano rispettate le caratteristiche definite. Vengono inoltre effettuati controlli di qualità direttamente presso i fornitori e controlli sull’effettiva applicazione del giusto prezzo da monte a valle.

Tutto avviene su una piattaforma online (in Francia è stata rilasciata da poco anche una app per smartphone) attraverso la quale i membri possono proporre i prodotti da sviluppare, la loro composizione, determinando il prezzo finale del prodotto per garantire una giusta remunerazione ai fornitori.

Con questo sistema produttivo i costi di pubblicità sono azzerati e la piena tracciabilità è garantita, oltre che la sicurezza di un consumo sostenibile e sicuro.

Il movimento nasce in risposta alla stretta praticata dai rivenditori sui fornitori per via della concorrenza spietata, che li porta spesso ad accettare prezzi irrisori per i loro prodotti.

Per Nicolas Chabanne “C’est qui le patron?” non è “la prima volta” nel settore: precedentemente aveva fondato “Les Gueles cassées” per favorire la vendita di prodotti ortofrutticoli meno ‘perfetti’, ma con poco successo. Successivamente la sua attenzione si sposta dunque sul latte: il settore lattiero caseario attraversava una grave crisi nella regione della Bretagna, e Nicolas lancia l’idea di un prezzo del latte equo per permettere una giusta remunerazione ai produttori lattieri.

C’est qui le patron?, la marca del consumatore è stata insomma la logica conseguenza dell’intuizione, tanto che in poco tempo è diventato il quarto brand di latte in Francia vendendo milioni di litri oltre le aspettative iniziali in poco tempo.

Il principio sta avendo così tanto successo che ormai si sta estendendo in tutta Europa: sono otto finora i Paesi (tra cui l’Italia) dove “C’est qui le patron?” è approdato questo anno con almeno un lancio di un prodotto negli scaffali dei supermercati aderenti il 25 giugno.

In Italia il prodotto interessato dal lancio è stata ovviamente la pasta. La produzione è stata affidata al pastificio Sgambaro, azienda veneta che soddisfa tutti i requisiti decisi dai consumatori e condivide a pieno i valori degli stessi.

La pasta del consumatore infatti è prodotta utilizzando farina di grano duro coltivato in Italia da agricoltura sostenibile mediante la trafilatura al bronzo, è prodotta con il 100% di energia verde e la confezione è realizzata con carta riciclabile in fibra vergine. L’azienda si rifornisce direttamente presso dagli agricoltori grazie al mulino integrato all’interno dell’azienda stessa. Il prezzo equo stabilito è al massimo di €1.07 di cui €0.005 saranno destinati all’aumento della capacità di produttiva dell’agricoltura biologica.

Il prezzo di questi prodotti è generalmente sopra la media, ma come ha sottolineato il fondatore Nicolas Chabanne in un’intervista su Hebdo Com i prodotti di C’est qui le patron? non hanno un prezzo alto, bensì, giusto.

Non ci resta che diventare consumatori attivi e decidere sulla piattaforma “Chi è il padrone?”.

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Ambiente, società e tecnologia

Qual è lo stato del settore vinicolo nel post COVID-19?

L’Italia è il paese che possiede la produzione vinicola più ampia e diversificata del mondo, grazie ai differenti climi e ai diversi terreni che la compongono. Non a caso, i primi ad apprezzare gli aromi e i sapori del vino sono gli stessi abitanti del “Bel Paese”.

Durante il lockdown, gli italiani sono stati costretti a restare tra le mura domestiche, ma non per questo hanno rinunciato alla “vita sociale”. Gli aperitivi virtuali hanno aperto una breccia nel cuore di molte persone che si sono ritrovate con un calice in mano, davanti a un PC a trascorrere il tempo con i propri amici, scoprendo che basta una buona connessione internet per coprire le distanze che ci separano.

Secondo i dati IRI nei primi 3 mesi e mezzo del 2020 le vendite di vino nella GDO (grande distribuzione organizzata) sono aumentate del 7,9% rispetto al 2019, con una preferenza per le etichette DOC e IGT. L’aumento nelle vendite di vino tra i privati va però accostato ad un minor, se non nullo, consumo del vino fuori casa: di conseguenza bisognerà aspettare la fine dell’anno per capire esattamente quanto la pandemia abbia inciso sull’economia del settore vinicolo.

Le difficoltà di un periodo come questo non hanno però fermato le idee e la voglia di puntare sempre più in alto, sia fra le aziende vinicole sia fra chi ha pensato a sviluppare strumenti per godersi al meglio l’esperienza di consumo.

Un caso interessante arriva dalla provincia di Bari, e precisamente dalla cantina Colli della Murgia è riuscita a dare un valore aggiunto ai propri prodotti attraverso l’utilizzo di un chatbot. Sfruttando l’intelligenza artificiale, la cantina pugliese fa in modo che il suo vino non solo respiri, ma addirittura parli. Il consumatore potrà inquadrare il QR code presente sull’etichetta della bottiglia per poter iniziare una conversazione con un assistente virtuale che sarà in grado di fornirgli informazioni sull’iter di produzione del vino che sta sorseggiando, consigliare abbinamenti gastronomici e permettere di prenotare delle degustazioni ad hoc.

Non tutti i vini riescono però a parlare da sé.

Un aiuto arriva dai wine influencer, sempre più richiesti nel settore per la loro capacità di arrivare ai più giovani. Grazie al clima di fiducia che si instaura nella community, il follower tende a vedere sotto una luce positiva il brand sponsorizzato. La peculiarità del wine influencer, e ciò che lo distingue da un sommelier è la capacità di saper parlare in modo semplice a tutti gli utenti, creando così una comfort zone in cui anche i non esperti possano farne parte.

Per chi invece non ha uno spiccato lato social ma tende comunque ad essere digitale è stata creata l’app Combivino, scaricabile su dispositivi Android e iOS, in grado di abbinare vini e cibo in maniera corretta e divertente.

Grazie ad un’ampia selezione di etichette, divise in 6 categorie e 45 tipologie, l’applicazione riesce a sposare un vino non solo ad un determinato piatto ma a tutto un menù grazie alla sezione “Abbinamento Multiportata”.  Se invece si preferisce organizzare una serata alternativa si può sfruttare la “Opzione Degustazione” che mostrerà il corretto ordine di degustare più vini partendo dal nostro preferito.

Grazie ad una sempre maggior sensibilizzazione ambientale ed alla ricerca verso lo sviluppo sostenibile è nata nel Regno Unito, dalla società Frugalpac, il primo packaging per vino composto al 94% da carta riciclata.  Con un peso di 83g e una capacità di 75 cl la Frugal Bottle è in grado di  mantenere fresco il vino più a lungo di una normale bottiglia in vetro.

In Italia la Cantina Goccia è stata la prima ad adottarla per imbottigliare il suo vino 3Q, un blend di Sangiovese, Merlot e Cabernet Sauvignon. Attualmente è acquistabile solo online ma in un prossimo futuro potrebbe essere comune trovare vini con un packaging simile nel commercio al dettaglio.

Il vino italiano è tra i più amati sul mercato e la ricerca dell’innovazione è un tassello importante nel valorizzarne appieno la qualità e diversità per poter fare la differenza sul mercato globale: anche -e soprattutto- in un periodo di crisi.

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Ambiente, società e tecnologia

Urban Mask: la mascherina intelligente della startup milanese Narvalo

Sareste interessati a una mascherina che vi protegge non solo da un virus come il COVID-19 ma anche da batteri, inquinamento e agenti allergeni?

Se la risposta è sì è in arrivo una nuova mascherina intelligente, che farà al caso vostro: è la Urban Mask del progetto Narvalo e sarà disponibile dal 10 luglio con annesse funzionalità smart.

L’idea nasce dalla mente del giovane designer Ewoud Westerduin del Politecnico di Milano. Il primo collaboratore è il suo relatore Venanzio Arquilla che attualmente ricopre la posizione di Co-founder e President. All’interno del team abbiamo anche Costantino Russo nella posizione di CEO.

L’idea di Westerduin risulta essere così interessante che nel novembre del 2018 viene incubata da POLIHUB attraverso il programma Switch2Product mentre ad aprile 2019 viene selezionata come “talent in residence” in POLIFACTORY.

 

Prima dell’emergenza COVID-19 la startup Narvalo era partita dalla progettazione di una mascherina anti-smog di cui aveva preventivato il test per i primi 50 esemplari dal 24 gennaio 2020. I filtri di queste mascherine sono stati progettati insieme a BLS, azienda boutique milanese specializzata nella progettazione e produzione di maschere e dispositivi di protezione delle vie respiratorie.

Al momento del test la mascherina della startup Narvalo presentava già le seguenti caratteristiche: tessuto 3D, valvola di espirazione che massimizza il deflusso dell’aria evitando l’accumulo di calore e l’umidità, filtri sostituibili della durata di un mese e idrorepellenza della parte esterna del filtro.

Il sistema filtrante ha garanzia BLS e il filtro è composto da 5 strati che bloccano virus, batteri, polveri e odori in quanto uno degli strati contiene carbone attivo. La protezione garantita è infatti pari al 99,9% contro tutti i nemici invisibili dell’aria e risulta quindi più efficace di una FFP3.

Il claim di Narvalo è Air of Change, una promessa verso la sostenibilità e contro l’ inquinamento caratterizzata da un modello di business improntato sull’economia circolare attraverso il riutilizzo dei filtri esausti.

L’emergenza COVID-19 ha portato Narvalo a implementare nella sua mascherina, oltre alle già citate caratteristiche, un tappo “anti-Covid” che blocca la fuoriuscita di goccioline anche durante l’espirazione e si può rimuovere quando non necessario. Inoltre la parte di sviluppo si è evoluta al punto da permettere la versione IoT della Urban Mask che prevede l’uso di un app; grazie al dialogo tra app e mascherina è possibile monitorare non solo chi la indossa ma anche l’ambiente circostante in modo da creare un ecosistema connesso.

Nella vision di questa startup c’è l’intento di formare una mobile community di Narvalo’s people: persone che indossando la mascherina monitorano l’ambiente, avendo cura di se stessi e per il prossimo.

Chi indossa questa mascherina diventa quindi consapevole dei propri comportamenti e di quelli degli altri: essere Narvali significa acquisire la possibilità di cambiare il mondo in meglio.

Siete pronti a diventarlo anche voi?

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Ambiente, società e tecnologia

Le parole dell’Europa: una mini guida per muoversi fra le scelte dell’UE

Negli ultimi mesi si è discusso molto di come l’Europa potrebbe superare la crisi finanziaria post Coronavirus: fin da subito è stato chiaro che sarebbe stato necessario adottare misure precauzionali al fine di limitare i danni economici e finanziari che gravano sulle economie europee, con l’obiettivo di preparare l’Unione al meglio una ripresa che si speri il più rapida possibile.

Da quanto emerge dalle riunioni della Commissione Europea non si è ancora raggiunto un accordo, ma si sono messe in tavola differenti opzioni: il MES, o Meccanismo Europeo di Stabilità, i Coronabond (o Eurobond, molto richiesti dall’Italia) e infine il Recovery Fund.

È però necessario fare chiarezza su cosa sono questi strumenti e come possono essere utilizzati dai vari Stati Membri per poter affrontare questa crisi.

Perché c’è stato bisogno di un fondo salva-Stati?

 

La storia dell’UE è piena di esempi dove Stati Membri si sono trovati in crisi economica.

Gli Stati dell’Unione non potevano agire in loro soccorso (secondo quanto riporta l’art. 123 dei Trattati), in quanto un Paese che avrebbe ricevuto un aiuto economico sarebbe poi stato obbligato a prestare protezione a quel Paese che inizialmente gli aveva prestato aiuto, creando cosi una rete di vincoli che nell’Unione non devono esserci.

Per ovviare al problema, è stato creato un fondo temporaneo diventato nel luglio del 2012 permanente: il MES, un’organizzazione internazionale nata come fondo finanziario europeo che si propone di mantenere la stabilità finanziaria della zona Euro. Ad oggi conta una capacità di oltre 650 miliardi di euro e ha sede in Lussemburgo. La sua gestione è affidata a un Consiglio di Governatori costituito dai ministri delle finanze dell’UE, un consiglio di Amministrazione nominato proprio dai Governatori, un Direttore Generale e due osservatori.

Utilizzato più volte per soccorrere paesi come Portogallo, Grecia, Spagna o Cipro, ha scatenato molte polemiche tra economisti e politici per la sua regolamentazione: gli impegni previsti dal dispositivo sono molto rigidi sia dal punto di vista economico che politico per lo Stato che ne intende beneficiare. Chi riceve i prestiti è obbligato ad approvare un memorandum -un programma- che definisce con stretta precisione quali misure dovrà rispettare e quali obiettivi raggiungere, come ad esempio i tagli al debito pubblico.

Come funziona e chi lo gestisce?

 

L’assistenza sarà fornita solo successivamente ad un iter che lo Stato in difficoltà dovrà seguire:

  1. Lo stato dell’UE che necessita di aiuto, deve, insieme alla Commissione e alla Banca centrale europea, valutare il suo fabbisogno finanziario.
  2. Sottoporre alla Commissione una bozza, in cui si espone il proprio programma economico-finanziario di aggiustamento.
  3. Nel caso in cui venga accettata la richiesta, la linea di credito dovrà essere accompagnata da tali informazioni: le modalità dell’assistenza finanziaria, le condizioni generali di politica economica, legate all’assistenza finanziaria UE, alle quali lo Stato dovrà attenersi ed infine l’approvazione del programma di aggiustamento predisposto dal paese destinatario.
  4. La Commissione verifica poi a scadenze regolari che la politica economica del paese beneficiario sia conforme con il programma di aggiustamento presentato ed alle condizioni stabilite dal Consiglio, così da poter continuare ad erogare l’aiuto finanziario.

Come verrà impiegato?

 
Il MES era e rimane tutt’ora l’organizzazione più simile ad un “prestatore di ultima istanza”, con l’obiettivo di soccorrere i paesi in difficoltà finanziaria. La pandemia ha obbligato a rivederne l’applicazione con un fondamentale criterio di novità: la sua adozione è senza condizioni.

Con la nuova riforma questo ruolo sarà più semplificato, infatti il fondo assumerà la funzione di backstop (paracadute finale): nel momento in cui una o più banche dovessero trovarsi in situazioni di estrema difficoltà, il MES agirà da garante stanziando 70 miliardi sotto forma di linea di credito; un’ulteriore novità è l’introduzione di un percorso semplificato per poter godere dei finanziamenti del Meccanismo. Parliamo però di una riforma non ancora approvata: la votazione è stata posticipata per dare priorità alle problematiche date dalla pandemia.

Cos’è il Recovery Fund?

 

Il Recovery Fund è un fondo di recupero richiesto fortemente dagli stati del Sud Europa, per cercare di limitare al massimo i danni creati da questa pandemia.

La prima proposta sul fondo, avanzata da Francia e Germania, si basava su concessioni esclusivamente a fondo perduto; successivamente è stato poi presentato dalla Commissione Europea un ulteriore progetto che prevedeva sia finanziamenti che concessioni a fondo perduto.

Come Funziona il Recovery Fund?

 

Con la proposta dei francesi, il Recovery Fund aveva il compito di emettere Recovery Bond, quindi titoli di debito pubblico Europeo garantiti dagli stessi bilanci UE, cosi da poter condividere il debito e il rischio senza dover affrontare una vera mutualizzazione.

Cos’è un titolo di debito pubblico, obbligazione o bond?

 

Il titolo di debito pubblico è un prestito che gli investitori, quindi imprese e famiglie, danno allo Stato per un determinato periodo di tempo, al termine del quale otterranno indietro il capitale prestato maggiorato degli interessi. Quindi è un prestito a favore dello stato, che assumerà quindi l’obbligo (“o l’obbligazione”) di restituire tale somma ottenuta maggiorata degli interessi maturati nel tempo.

Quanti fondi saranno a disposizione e in che forme?

 

750 miliardi di euro: 500 saranno distribuiti come sovvenzioni, quindi contributi finanziari a fondo perduto (che non prevedono ne la restituzione dei capitali, ne degli interessi), e 250 come prestiti agevolati.

La differenza tra prestiti e sovvenzioni è in merito alla restituzione dei capitali ottenuti: le sovvenzioni dovranno essere ripagate da tutti gli Stati, indipendentemente da quanto e se ne avranno ricevuto una parte; i prestiti invece dovranno essere restituiti applicando tassi di interesse bassi solo da coloro che ne usufruiranno entro il 2058, anno in cui dovranno essere restituiti.

Chi potrà beneficiare del Recovery fund?

 

I 750 miliardi verranno ripartiti tra i vari Stati in base alle necessità di ciascuno Stato, infatti l’Italia sarà il maggior beneficiario ottenendo 172,7 miliardi di euro: 81,8 miliardi saranno sotto forma di sovvenzioni e 90,9 miliardi come prestito agevolato. Dopo l’Italia c’è la Spagna con 140,4 miliardi totali, la Polonia e successivamente la Francia.

E gli Eurobond, cosa sono?

 

Non è la prima volta che gli Eurobond entrano nelle discussioni della Comunità Europea: erano già stati proposti nel 2011/12 durante la crisi dell’Eurozona, ma bocciati dalla forte opposizione della Germania e dei suoi alleati per gli stessi motivi che ne bloccano tutt’ora l’applicazione.

Gli Eurobond sono un altro strumento finanziario che permetterebbe agli Stati UE di poter condividere il debito: ha incontrato forti resistenze dalla Germania e dagli Stati del Nord, in quanto questi ultimi hanno bilanci e conti in ordine, quindi senza debito pubblico, cosa che non li accumuna ai Paesi del Sud; la preoccupazione è che attraverso questo strumento, si possano condividere i debiti con l’Europa, rischiando di squilibrare anche i conti degli altri Stati membri.

I Coronabond, fortemente richiesti durante le trattative per superare la crisi post-COVID, sono obbligazioni del tutto simili agli Eurobond che nascono espressamente per far fronte alle spese legate alla pandemia. Questi bond potrebbero essere emessi o da un’istituzione europea o da un singolo Paese Membro.

 Differenza tra Coronabond e Recovery Bond?

 

Si può pensare che i due strumenti siano uguali: sono titoli di debito pubblico europeo entrambi, emessi per fronteggiare la crisi post Coronavirus e danno interessi a coloro che prestano i loro soldi all’UE.

La sostanziale differenza tra queste due soluzioni riguarda il modo in cui il debito è condiviso tra i vari membri dell’Unione: scegliendo il Coronabond uno Stato condivide tutti i propri debiti contratti precedentemente con gli altri Stati (ad esempio spese per l’innovazione) mentre con i Recovery Bond -che ricordiamo, sono i bond emessi dal Recovery Fund- i debiti condivisi con gli altri Stati Membri saranno solo quelli contratti nel periodo post pandemia: un bel danno per i Paesi più indebitati.