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Cemento e poi cemento e poi cemento: all’apparenza un materiale molto semplice, che in realtà nasconde caratteristiche e subisce trasformazioni che non sono ancora state del tutto comprese. La quasi totalità di noi non se ne è mai minimamente interessato, ma basta guardarsi intorno per capire quanto è presente nelle nostre vite. Ecco perché è necessario capire cos’è e quanto impatta sull’ambiente.

Per prima cosa dobbiamo capire cosa è il cemento e come si produce. Si parte dal carbonato di calcio (CaCO3) e da argilla. Questi vengono prima sbriciolati, poi messi in un forno a circa 1450 °C e cotti fino ad ottenere il cosiddetto clinker, che successivamente viene di nuovo sbriciolato e mischiato a gesso, ceneri e altri elementi per ottenere la polvere di cemento. Quando questa viene mischiata ad acqua, ghiaia e sabbia quello che si ottiene è il calcestruzzo, il materiale più utilizzato al mondo e secondo solo all’acqua. Proprio a causa delle enormi quantità prodotte il cemento ha un impatto estremamente elevato sull’ambiente, dato che produce CO2 in due modi:

  • tramite la decomposizione del carbonato di calcio in calcare e CO2 (CaCO3 à CaO + CO2);
  • tramite l’utilizzo di combustibili fossili per alimentare i forni.

Secondo la review di Robbie M. Andrew, ricercatore per il CICERO (Center for International Climate Research) nel 2017 l’emissione di CO2 dovuta alla decomposizione del carbonato di calcio ha contribuito per il 5% delle emissioni totali mondiali, mentre aggiungendo le emissioni dovute ai combustibili fossili si passa all’8%. In tutto si stima una quantità di CO2 prodotta quell’anno dal cemento di circa 1.47 miliardi di tonnellate. Una cifra niente male. Nel seguente grafico possiamo vedere alcuni tra i paesi che più inquinano a causa del cemento:

Figure 1. https://ourworldindata.org/grapher/annual-co2-cement?time=1917..latest&country=CHN~USA~IND~SAU~ITA~Europe

Più si va avanti nel tempo e più cemento viene prodotto per soddisfare la domanda sia dei paesi del primo mondo (negli USA è aumentata di 2.5 milioni di tonnellate nel 2022) sia quelli dei paesi emergenti che, dato l’aumento di popolazione e ricchezza ha bisogno di costruire nuove abitazioni e infrastrutture.

 

Figure 2 https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2212609013000071

 

Ci si aspetta infatti che nel 2030, la variante più utilizzata di cemento (la Portland) arriverà ad una produzione mondiale annuale di circa 5 miliardi di metri cubi e nel 2050 a quasi 6 miliardi. Data la quantità prodotta, rischiamo anche di consumare più risorse naturali di quello che possiamo permetterci.

Ma quindi cosa possiamo fare? Abbiamo la necessità di diminuire le emissioni e il consumo di materie prime, ma allo stesso tempo dobbiamo trovare modi per riassorbire la CO2 emessa e di utilizzare prodotti di scarto per diminuire la richiesta di risorse naturali. Inoltre abbiamo bisogno di qualcosa che non costi troppo, altrimenti i guadagni per le aziende scenderebbero, mentre il costo per i consumatori salirebbe moltissimo.

Ci sono diversi modi per approcciarsi al problema. Uno di questi è quello di utilizzare vari scarti industriali o urbani, come rifiuti urbani, fanghi di depurazione, farine animali, sottoprodotti di scarto e altro per alimentare i forni. I vantaggi sono diversi:

  • un bisogno ridotto di energia e una conseguente riduzione dei costi;
  • lo stato paga i produttori di cemento per smaltire i rifiuti, che altrimenti andrebbero in discarica.

Tutto bellissimo, se non fosse che in questo caso si aumenta la CO2 e si generano altri materiali dannosi come SO2 o altri composti di zolfo, composti organici volatili (VOCs), metalli come piombo o mercurio. Non è quindi la migliore soluzione per agire, a meno che tutti questi composti non vengano successivamente ricatturati e riutilizzati o smaltiti.

L’altro è quello di utilizzare il cemento green o calcestruzzo verde. Questi sono definiti come calcestruzzi e cementi che incorporano materiali di scarto come uno dei loro componenti e che viene prodotto in modo che non danneggi l’ambiente, oppure che ha prestazioni superiori e un ciclo di vita sostenibile. Ci sono molti esempi degni di nota.

Il primo esempio è quello di utilizzare le nanotecnologie. Queste dovrebbero servire per rendere il calcestruzzo più denso e forte, sostituendo il carbonato di calcio e emettendo quindi meno CO2. Le più promettenti sembrano essere i nanotubi di carbonio (fogli di grafene chiusi su sé stessi). Secondo alcuni ricercatori questi aumenterebbero la resistenza alla compressione. Altri addirittura hanno verificato una variazione di potenziale elettrico quando il calcestruzzo viene sottoposto a stress-test. Significa che il cemento potrebbe “automonitorarsi”, aumentando o diminuendo il potenziale elettrico a seconda dello stress applicato e andando a intervenire prima di un possibile cedimento.

Cambiare radicalmente la composizione potrebbe essere un altro passo verso la riduzione di CO2. Esistono altri tipi di cemento, come quelli geopolimerici, in cui vengono utilizzati polimeri inorganici nella miscela. Questo riduce di molto la CO2 emessa e le prestazioni dei calcestruzzi che ne derivano sembrano essere al pari di quelli tradizionali.

Ultimo ma non ultimo, i materiali utilizzati per produrre il cemento tradizionale potrebbero essere presi da scarti industriali. Alcuni esempi sono l’uso di ceneri volanti, prodotto di scarto della combustione del carbone, lo scarto della produzione di ghisa o anche da quella di vetri. In questo modo si riuscirebbe a riutilizzare materiali che altrimenti verrebbero eliminati ma evitando di produrre ulteriore anidride carbonica.

Come abbiamo visto i metodi per diminuire l’impatto del cemento sono tanti e quindi la vera domanda è: riusciremo a risolvere il problema nei tempi giusti? Se sì, forse riusciremo a cambiare le sorti del nostro pianeta, altrimenti sarà difficile fermare il cambiamento climatico.