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Tik Tok, l’applicazione cinese più amata dagli adolescenti, ha di recente iniziato a destare sospetti in più paesi, i quali stanno disponendo divieti di installazione dell’app nei dispositivi governativi: in particolare si parla di Stati Uniti, Canada, India, Taiwan, Lettonia, Danimarca, Belgio, Nuova Zelanda, Regno Unito e persino la Commissione e Parlamento Ue. Ciò sarebbe dovuto al timore di spionaggio da parte della Cina e ad un forte rischio di violazione della privacy dei suoi utenti. Nei giorni scorsi anche in Italia è stata presentata la questione, il tutto con una mozione del PD in Senato.

Ma come si è giunti a questo punto?

Il blocco di Tik Tok dai dispositivi federali statunitensi

Con una nota della Casa Bianca diffusa il 27 febbraio scorso, è stato imposto alle agenzie governative statunitensi di disinstallare Tik Tok da qualunque dispositivo informatico entro 30 giorni.
La scelta è dovuta al forte timore di spionaggio da parte della Cina e a un intollerabile rischio per la privacy e per la sicurezza nazionale. Ciò che sta preoccupando i legislatori è il fatto che il governo cinese possa costringere Tik Tok a consegnargli i dati dei suoi utenti e che manipoli i contenuti che visualizzano quotidianamente sull’applicazione per influenzare le loro scelte commerciali e politiche.
La questione è stata affrontata lo scorso 23 marzo, data nella quale si è tenuto il confronto tra l’amministratore delegato di Tik Tok Shou Zi Chew e il Congresso degli Stati Uniti. L’ad non ha potuto confermare al 100% che il governo cinese non potesse utilizzare l’applicazione per attività di spionaggio verso gli americani o che non potesse manipolare i contenuti che vedono. Ciò ha portato ad incrementare lo scetticismo dei deputati statunitensi.

Chew ha tuttavia dato delle rassicurazioni basate sui miliardi che Tik Tok sta spendendo per la creazione di firewall per la protezione dei dati degli americani. L’amministratore è convinto che, una volta terminato il processo, la preoccupazione dei legislatori statunitensi si placherà.

Non ci resta che aspettare e vedere se sarà effettivamente così. Dal canto suo, il Ministro degli Esteri Mao Ning ha risposto alle accuse opponendosi all’azione dell’Amministrazione americana e invitandola a rispettare i principi del libero mercato e della concorrenza leale. Inoltre ha lanciato una provocazione:“Quanto si può sentire incerta la massima superpotenza mondiale, se ha paura dell’app preferita dai giovani?”.

Ciò risulta ironico dal momento che in Cina la maggior parte delle piattaforme digitali più frequentate come Google, Facebook, Whatsapp, Youtube e Instagram sono bloccate o fortemente limitate.

La disposizione arriva in Italia

Già tre anni fa il Garante della privacy italiano comunicò al Comitato Europeo per la protezione dei dati personali tramite una lettera delle insicurezze sull’uso che il governo cinese fa dei dati dei cittadini italiani.

Il Parlamento Europeo approvò il Digital Service Act (che non è ancora stato recepito in Italia), ossia un quadro giuridico moderno che punta alla tutela dei diritti fondamentali degli utenti in tema di privacy e a creare condizioni di equa concorrenza tra le imprese. Questo perché piattaforme e social network utilizzati a livello mondiale possono arrivare a controllare l’economia digitale e di conseguenza a limitare la scelta dei consumatori.

Con la caduta del governo Draghi si è verificato un rallentamento nell’attuazione del Digital Service Act, ma dal 1 gennaio 2024 sarà effettivo in automatico.

Nelle scorse settimane, il ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo ha pensato di fare come gli altri paesi che hanno già attuato il provvedimento di blocco di Tik Tok dai dispositivi dei dipendenti pubblici e di portarlo in Italia, ma successivamente ha interrotto il lavoro.
Nei giorni scorsi, l’idea è stata riproposta con una mozione del PD in Senato. Si vuole infatti tornare a dibattere sull’argomento in Parlamento, data anche l’urgenza e necessità di tutela del diritto alla privacy e della sicurezza nazionale.

Filter Bubble e dark ads: la democrazia è a rischio?

Questo intenso dibattito porta inevitabilmente a indagare su quale sia l’effettivo ruolo dei social network nella società odierna e su quanto incidano sulla formazione e competizione di idee, opinioni e visioni del mondo e della politica.

Al giorno d’oggi, accedere e partecipare al mercato dell’informazione è estremamente facile, veloce e poco dispendioso. Di conseguenza il diritto di manifestare il proprio pensiero, enunciato all’art. 21 della nostra Costituzione, trova molto margine di applicazione.

Ogni individuo può divulgare le proprie idee e diventare un potenziale produttore di contenuto, attraverso flussi di comunicazione dal carattere aperto e globale. Ciò potrebbe portare a pensare che il confronto tra pensieri diversi venga permesso senza problemi nel contesto informatico, tuttavia ci si trova dinanzi ad un ostacolo.

Questa è la filter bubble, ossia la “bolla” nella quale i motori di ricerca e i social media  chiudono noi utenti. In particolare, i loro algoritmi selezionano i contenuti da proporci in modo differenziato in base ai nostri gusti, preferenze e pregiudizi e ci mostrano solo quelli, rafforzando le nostre idee.

L’effetto è quello di creare comunità chiuse nelle proprie opinioni nelle quali hanno tutti la stesse convinzioni che possono condividere tra loro, convincendosi che siano le uniche verità esistenti. In questo modo, ogni idea diversa viene data automaticamente per errata e il dibattito pubblico viene fortemente limitato.

Si può dunque dire che gli algoritmi creino uno psicogramma di ciascuno di noi, ossia un profilo psicologico personale nel quale sono racchiusi tutti i nostri desideri, idee e aspirazioni più profonde, sulla base del quale ci possono mandare contenuti strategici come le dark ads. Queste sono informazioni basate spesso su fake news volte ad influenzare la scelta dell’elettore, rafforzando le sue convinzioni e indirizzandolo verso una determinata preferenza politica.

Il nostro libero arbitrio è quindi ormai solo apparenza? La democrazia è realmente possibile in questo contesto? Con la mozione proposta sarà forse possibile dibattere su questi interrogativi e studiare meglio questi fenomeni.