< Torna indietro
Economia, StartUp e Fintech

Il turismo in Italia nel post-Covid? Un settore da ricostruire

Durante l’emergenza sanitaria che stiamo vivendo la salute ed il contenimento dei contagi rappresentano una priorità assoluta. Allo stesso tempo, inizia a diventare sempre più pressante l’allarme sulle conseguenze del Coronavirus sull’economia italiana, con strascichi che in tutti i settori potrebbero presentare i propri effetti per anni.

Fra i più colpiti, c’è ovviamente il turismo, che rappresenta il 13% del Pil nazionale con un giro d’affari di 232,2 miliardi di euro.

In termini di flussi, nel 2019 l’Italia si è collocata al quarto posto per numero di presenze di clienti negli esercizi ricettivi (misurate in termini di notti spese nelle strutture), preceduta dai suoi storici competitor, Spagna, Francia e Germania, e davanti al Regno Unito. Le presenze nei primi 5 Stati rappresentano quasi il 70% di quelle complessive dell’Unione Europea, che ne conta più di 3,2 miliardi in crescita costante dal 2010 (+2,4% rispetto al 2018).

I primi effetti sono già stati evidenti a febbraio con lo stato iniziale dell’epidemia, ma in molti Paesi, già inizi di marzo -con il picco ancora da raggiungere- si è giunti al sostanziale azzeramento dell’attività, dovuta principalmente ai provvedimenti generalizzati di distanziamento sociale.

Secondo una stima del World Travel & Tourism Council (WTTC) sarebbero a rischio circa 50 milioni di posti di lavoro in tutto il mondo. (In Italia? ndr)

Le sue previsioni per l’impatto del Coronavirus quest’anno stimano le perdite del settore nell’ordine del 25%, ossia l’equivalente di tre mesi di viaggi persi. Un dato che potrebbe tradursi in un calo dell’occupazione calcolato fra il 12% e il 14%.

Considerando più nel dettaglio i mercati esteri di riferimento, l’Italia dipende in gran parte dall’Europa, da cui proviene il 79% di tutte le presenze straniere. Ovviamente, per il turismo italiano i periodi più “caldi” sono quelli del trimestre estivo (giugno-agosto), in cui complessivamente si concentra circa il 50% delle presenze totali limitatamente all’anno.

La stima delle eventuali conseguenze di un prolungata emergenza da Coronavirus per il nostro Paese potrebbe generare perdite devastanti, con un calo di 971 mila arrivi e oltre 3 milioni di presenze e con una contrazione della spesa turistica pari a circa 955 milioni di euro rispetto all’anno di riferimento individuato.

La situazione sarebbe particolarmente grave in quattro le regioni, i cui sistemi turistici sarebbero maggiormente bersagliati: Toscana, Lazio, Veneto e Lombardia con quest’ultima ad essere maggiormente esposta dagli effetti della pandemia: il calo si assesta per l’epicentro della crisi con una contrazione di 673 mila arrivi, un meno 1,6 milioni di presenze e con una riduzione del gettito pari a circa 685 milioni di euro.

Da evidenziare anche i crolli sull’andamento in Trentino Alto Adige (-458 mila arrivi; -2,1 milioni di presenze; -233 milioni di euro di spesa turistica), per l’Emilia Romagna (-246 mila arrivi; -666 mila di presenze; -253 milioni di euro di spesa turistica).

Seguono sulla stessa scia Calabria (-18 mila arrivi, -111 mila di presenze, -12,6 milioni di euro di spesa turistica) e Abruzzo (-10 mila arrivi, -42 mila di presenze, -7,7 milioni di euro di spesa turistica).

Altro indicatore prezioso per avere una misura della crisi è il trasporto aereo, settore chiave per il nostro turismo in particolare per l’incoming di lungo raggio. Secondo i dati di Eurocontrol, l’organizzazione paneuropea che si occupa di servizi per l’aviazione, nella quattordicesima settimana dell’anno (dal 30 marzo al 5 aprile) il traffico totale nel nostro Paese, rispetto allo stesso periodo del 2019, ha avuto un calo del 93% segnando tra le peggiori performance del Vecchio Continente.

Con la durata prolungata dell’emergenza, il fatturato della filiera turismo-trasporti subirebbe un vero e proprio crollo, con perdite del 41,5% nel 2020 (contro il 17,8% dell’economia italiana) e un rimbalzo del 42,2% nell’anno successivo che comporterebbe comunque perdite complessive dei ricavi per 64 miliardi di euro (43 miliardi nel 2020 e 21 miliardi nel 2021).

Rispetto invece alla filiera ricettiva, gli alberghi risultano il settore più colpito con cali nel 2020 nell’ordine del 37,5% nello scenario base e del 73,3% nello scenario pessimistico, con perdite complessive nei rispettivi scenari di 6 e 13 miliardi. A seguire figurano le agenzie di viaggio e la ristorazione, con contrazioni previste per il prossimo biennio che vanno dai 5 agli 10 miliardi di euro, l’autonoleggio (dai 2 ai 6 miliardi) e i trasporti marittimi (dai 2 ai 5 miliardi).

Il turismo, insomma, sarà certamente uno dei settori su cui sarà necessario intervenire con più forza: per certi versi, una vera e propria ricostruzione.

< Torna indietro
Ambiente, società e tecnologia

MIND-VR: la realtà virtuale per battere i disturbi psicologici

Intervista a Federica Pallavicini, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze umane per la formazione in Unimib ​

C’è una categoria professionale che il CoronaVirus ha colpito con forza: quella dei medici e degli infermieri.

Esposti fin dall’inizio dell’emergenza al COVID-19, gli operatori del mondo sanitario oltre a correre il rischio concreto di ammalarsi stanno sviluppando il serio rischio di veder sorgere problemi psicologici collegati al prolungato persistere di uno stato di stress.

In altre parole, disturbi d’ansia: un rischio concreto certificato sin dallo scorso 24 marzo dalla FNOPI (Federazione Nazionale Ordini Professioni Infermieristiche), ente pubblico che dal 2018 unisce tutti gli ordini degli infermieri e degli infermieri

pediatrici presenti in Italia, che in un comunicato sul loro sito (fnopi.it) dichiara: “È sotto gli occhi di tutti la condizione e lo stress a cui i nostri professionisti sono sottoposti e di questo e di quanto sarebbe stato possibile fare in tempi non sospetti e che ora riteniamo sia non solo logico e doveroso, ma indispensabile fare, riparleremo quando l’emergenza sarà passata”.

A venire in aiuto di questa preziosa categoria di lavoratori potrebbe essere la Virtual Reality, grazie a un progetto nato proprio nel contesto dell’Università Bicocca, grazie all’unione di alcuni ricercatori, professori e studenti: Mind-VR.

L’idea alla base è molto semplice: visualizzare uno scenario rilassante -come un paesaggio- facilita l’acquisire uno stato mentale positivo.

E allora, perché non ricreare tali scenari grazie alla tecnologia? A raccontare qualcosa di più su Mind-VR è una delle ideatrici del progetto, Federica Pallavicini, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze umane per la formazione dell’Università degli studi Milano-Bicocca.

Federica Pallavicini, assegnista di ricerca presso il Dipartimento di Scienze umane per la formazione dell’Università degli studi Milano-Bicocca.

Che cosa ti ha spinto a voler sviluppare Mind-VR?

“Il progetto iniziale non era pensato per i medici. Era invece un’idea nata dalla mia esperienza di paziente. La molla che ha fatto scattare il tutto è stato il manifesto di un incontro per il rilassamento presente in ospedale. Da lì ho pensato che il VR

potesse aiutare i pazienti per superare stati di ansia, stress e interventi particolarmente dolorosi e invasivi”

Come hai scelto il tuo team?

“L’ho scelto in base alle competenze. Fabrizia è professore associato presso il mio stesso dipartimento e ha studiato per anni il mondo della realtà virtuale. Chiara invece studia presso il corso di laurea magistrale in Teoria e Tecnologia della

comunicazione.”

In quale fase del progetto vi trovate?

“Attualmente ci troviamo in fase di Crowdfunding. Abbiamo stimato di raggiungere circa 5000 euro per sviluppare i contenuti sulla base dei principi psicologici.”

Quali effetti benefici avete testato finora?

“Vengono fatte ricerche sulla realtà virtuale da oltre 20 anni e sono stati verificati più volte i benefici psicologici derivati dal suo utilizzo. Io stessa sono in questo campo di ricerca da ben 10 anni e ho toccato con mano i risultati ottenuti. Una volta

sviluppato Mind-VR anche noi non tarderemo a fare i primi test.”

L’esperienza che fornite si serve solo del casco VR o verranno aggiunti accessori per permettere anche un’esperienza sensoriale del tatto?

“No, ma ci piacerebbe molto. Tuttavia per ora ci basiamo su Oculus Quest che permette all’utente di usare anche le proprie mani.”

Pensi che in futuro Mind-VR possa essere utilizzato anche per i pazienti che hanno vissuto la quarantena?

“Assolutamente sì. Inoltre potrebbe essere utilizzato anche a livello educativo.”

Come pensate di procedere una volta sviluppato e applicato Mind-VR sui medici italiani?

“Una volta sviluppato in italiano ci piacerebbe tradurre tutti i suoi contenuti in inglese in modo da diffonderlo anche all’estero.”

Sarà la realtà virtuale a supportare gli operatori sanitari durante la pandemia da COVID-19? La speranza è che la risposta sia positiva.

< Torna indietro
Marketing & Social Media

AI e moderazione dei contenuti su Facebook

Il problema della disinformazione e della diffusione di contenuti violenti è una realtà contro la quale l’ecosistema dei social network si trova a fare i conti quotidianamente.

 

Spesso il solo intervento umano non è sufficiente, non solo in termini di quantità di notizie da analizzare, ma soprattutto in termini di salute. In tempi recenti il colosso di Zuckerberg ha accettato di stanziare un risarcimento di 52 milioni di dollari ai dipendenti incaricati della moderazione dei contenuti in seguito a numerose denunce da parte degli stessi, i quali hanno sviluppato un disturbo post-traumatico da stress dovuto all’entità del lavoro svolto.

 

Come se non bastasse, lo scoppiare della pandemia da COVID-19 ha portato con sé una crescita esponenziale di fake news e annunci fraudolenti. Rimuovere fonti di disinformazione è diventato ancora più importante per la tutela degli utenti, laddove la diffusione di pseudoscienze, incitamenti all’odio e alla violenza, teorie del complotto e truffe di ogni genere rappresentano un vero e proprio pericolo per la sicurezza dei cittadini.

Il social network, in collaborazione con oltre 60 organizzazioni internazionali di fact-checking, ha tentato di far fronte all’emergenza implementando le funzionalità e l’utilizzo dei sistemi di Intelligenza Artificiale, cercando al contempo di perfezionarne mano a mano l’operato.

 

A che punto siamo

La sfida è riuscire a segnalare correttamente quali siano le notizie autentiche e quali no.

Due fotografie completamente identiche sono facili da riconoscere per l’occhio umano, ma non per l’intelligenza artificiale: un metodo utilizzato per aggirare i controlli è quello di fare uno screenshot della notizia falsa oppure applicarvi un filtro che la distorca. L’AI, ragionando per pixel, fatica a distinguere queste piccole variazioni. È difficile anche qualora le due immagini siano praticamente identiche. Quando viene semplicemente modificata una lettera, il senso viene stravolto, ma l’algoritmo non se ne accorge.

SimSearchNet è il nome del software utilizzato da Facebook nella lotta contro le fake news. Si tratta di un sistema basato su una simil rete neurale, nato proprio per riconoscere i doppioni e i vari escamotage utilizzati per aggirare i controlli. Insomma, conosce bene il nemico.

Il sistema lavora in sinergia con il database delle segnalazioni per evitare falsi positivi e falsi negativi

Il sistema sembra funzionare. Se la notizia si rivela falsa, la sua diffusione viene limitata e la sua lettura ostacolata da un banner che segnala la sua poca attendibilità. Il 95% delle persone non la apre.

Facebook ha impiegato l’AI anche per monitorare la pubblicazione di annunci fraudolenti riguardanti mascherine, cure, kit per la diagnosi del COVID-19 e presunte cure.

Sarà questa la soluzione al diffondersi di notizie false online? Certamente, l’intelligenza artificiale potrebbe dare una grande mano.

< Torna indietro
Ambiente, società e tecnologia

Cosa succede “dopo” a guanti e mascherine? 

La crisi da COVID-19 ci ha abituato a doverci attrezzare di strumenti come guanti e mascherine monouso per vivere la nostra vita quotidiana: ma cosa succede quando, terminato l’utilizzo, vengono gettati nei rifiuti?

È un’azione che abbiamo ripetuto quotidianamente in questo periodo d’emergenza, e che ha riguardato un po’ tutti: per questa ragione parliamo di volumi di rifiuti decisamente importanti.

I decreti legge finora emessi dal governo, insieme alle ordinanze regionali, rafforzano l’obbligo del loro utilizzo ma non indicano particolari regole di raccolta.

Delle linee guida sono state redatte dall’Istituto Superiore di Sanità ma sono i responsabili delle strutture sanitarie e le amministrazioni locali che hanno l’onere di coordinarsi con gli enti locali presenti sul territorio. Quest’ultimi indicheranno ai cittadini le modalità consentite di gestione, che non è affatto semplice.

La filiera dei rifiuti infatti comprende la raccolta, il trasporto, il trattamento e lo smaltimento delle scorie: un tema ben conosciuto per le sue criticità. Per questo motivo il ministro dell’Ambiente ha rilasciato una circolare per evitare la saturazione delle strutture di stoccaggio e smaltimento durante le fasi della filiera.

Le preoccupazioni sono confermate dai dati che ci arrivano dalla regione di Hubei, di cui è capitale Wuhan, dove il problema si è già proposto.
Un articolo del 27 aprile su ScienceDirect riferisce che durante il lockdown i rifiuti urbani sono diminuiti del 30%, mentre c’è stato un incremento del 370% di rifiuti sanitari, per la maggior parte plastica. Viene riferito che anche i costi dello smaltimento dei rifiuti sanitari rispetto a quelli urbani tramite incenerimento varia da 20 a 30 volte tanto a tonnellata. Il rischio non è solo logistico e ambientale ma anche economico.

I consorzi in questo senso svolgono un aiuto essenziale, per efficientare il più possibile il sistema di smaltimento e riciclo dei rifiuti con rischio ambientale alto, come è la plastica: permettendo di abbassare il tasso di materia avviata all’incenerimento, svolgono un ruolo essenziale anche per salvaguardare l’ambiente.

Purtroppo, pur essendo originati da combustibili fossili, guanti e mascherine (come tutti gli scarti del settore sanitario) sono rifiuti speciali non differenziabili e pertanto non è possibile il riciclo: se non vengono declassati a rifiuti urbani devono sottostare al Decreto del Presidente della Repubblica del 15-07-2003 per la gestione di rifiuti sanitari pericolosi a rischio infettivo.

Un grande sforzo e sacrificio collettivo ha permesso di avviare a una fase discendente il trend dei contagi: non è l’unica curva di cui tener conto.

Anche la produzione e il trattamento dei rifiuti prodotti dalla situazione di emergenza dovranno essere presi in considerazione, soprattutto ora che le aziende e le attività commerciali cominciano a riaprire e la nuova normalità sarà contrassegnata dall’utilizzo di guanti e mascherine.