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Marketing & Social Media

Influencer Virtuali: like o unfollow?

L’Influencer è diventato ormai una figura che abitualmente seguiamo sui social: si tratta di personaggi del web che attraverso la propria immagine e con il supporto di un team dedicano quotidianamente tempo e lavoro alla crescita della propria community, con lo scopo di creare contenuti in grado di coinvolgere molte persone anche ricavando somme di denaro.

Una novità che nell’ultimo periodo è diventata più frequente e non ha lasciato indifferenti è rappresentata proprio da loro, gli Influencer Virtuali, una nuova categoria di Influencer nata grazie ai progressi avvenuti nel campo della grafica computerizzata e dell’intelligenza artificiale.

Come mai questi insoliti Influencer sono tanto speciali? Se prima si metteva in dubbio la loro autenticità sui social adesso possiamo avere finalmente la certezza che questa categoria non lo sia affatto, appunto perché non si tratta nemmeno di esseri umani.

Cosa sono gli Influencer Virtuali?

Gli Influencer Virtuali a primo impatto potrebbero sembrare ragazzi e ragazze dall’aspetto perfetto, magari dovuto a qualche filtro in più, ma in realtà sono completamente diversi da quelli ai quali siamo abituati: si tratta infatti di avatar creati al computer (definiti anche CGI Influencer, ovvero computer generated imagery), identici nell’aspetto agli esseri umani e in grado di replicare alla perfezione gli stessi comportamenti ed espressioni.

Vengono creati da esperti di grafica computerizzata e resi reali e molto simili agli umani attraverso l’uso dell’Intelligenza Artificiale, sempre più utilizzata in molti ambiti.

Questi avatar sono creati per comportarsi e apparire come degli Influencer, per questo motivo sui social interpretano il ruolo di modelli e tester e si presentano come figure che possono avere un impatto positivo e influenzare i follower che li seguono.

Nel concreto sponsorizzano brand, partecipano a campagne ideate da aziende reali, mostrano o provano prodotti che gli vengono “inviati” e possono anche partecipare ad eventi.

Soprattutto su Instagram, questi nuovi e inaspettati personaggi si stanno facendo conoscere attraverso collaborazioni con grandi aziende conosciute in tutto il mondo, le quali vedono in questi nuovi protagonisti un’opportunità per attirare un target più giovane e difficile da sorprendere.

Quali sono i più seguiti?

Gli Influencer Virtuali sono già presenti in gran numero sui social, soprattutto su Instagram, ma quali sono i più conosciuti di questa nuova e inaspettata categoria?

In testa alla classifica per numero di follower, esattamente 3 milioni su Instagram, 30.000 su Twitter e 267.000 su Youtube, c’è Lil Miquela, una creazione dalla startup americana Brud, apparsa per la prima volta su Instagram nel 2016 e considerata dal Time tra le persone più influenti su internet nel 2018.

Miquela Sousa si presenta come una diciannovenne di origini spagnole e brasiliane, ed è all’apparenza una giovane ragazza con una forte personalità, appassionata di moda e musica, che nella vita è Influencer, modella e anche cantante; nel 2017 il suo singolo “Not Mine” è diventato virale su Spotify, collocandosi ottavo nella classifica dei brani più ascoltati della piattaforma.

Il suo curriculum vanta già diverse collaborazioni con brand molto importanti, tra cui Prada, Gucci, Diesel, Calvin Klein, Samsung e molti altri.

Miquela però non è solo un’artista di successo o una modella che presta la sua immagine per sponsorizzare i prodotti dei brand che chiedono di collaborare con lei, ma è innanzitutto una figura in grado di comunicare con la propria community attraverso una sua personale voce.

Su Youtube ha un canale molto attivo attraverso il quale si rivolge direttamente ai propri fans e dove discute di personaggi reali, come le Kardashian, come se il suo mondo non fosse in realtà virtuale.

Sui social ha anche postato diverse fotografie assieme a persone reali, famose e influenti come, per esempio, con la star di Netflix Millie Bobbie Brown, quasi per evidenziare il progressivo abbattimento del limite tra ciò che è reale e ciò che non lo è.

Posta con frequenza anche su Twitter e prende posizione su importanti temi di attualità, come, per esempio, il movimento Black Lives Matter.

In passato ha inoltre rilasciato diverse interviste in cui si è espressa su diversi temi proprio come se fosse un normale personaggio influente del web.

In un’intervista rilasciata a Business of Fashion, Miquela ha affermato “sono un’artista e spesso le mie opinioni personali mi hanno anche fatto perdere follower. Voglio essere tutto, anche più di quello che i miei fan si aspettano”.

Potrebbe sembrare il normale pensiero di un Influencer, se non fosse che dietro a queste parole in realtà ci sia un team di esperti di comunicazione e non semplicemente una diciannovenne di successo.

La verità è che nonostante sia una creazione finta realizzata a computer, per molti Miquela è molto più vera e autentica di molte Influencer in carne ed ossa.

Bermuda, con 287mila follower, è l’amica virtuale di Miquela, un esempio di personalità del web da non imitare per la sua superficialità e poco ammirata a causa delle sue trascorse posizioni politiche a favore dell’ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump. È interessante dunque vedere come le agenzie si siano impegnate a realizzare degli avatar quanto più realistici possibili, e a volte con lo scopo di sfavorire un personaggio per avvantaggiarne un altro, come in questo caso rispettivamente con Bermuda e Lil Miquela.

Blawko, creato dalla stessa agenzia americana di Lil Miquela, è conosciuto invece per essere l’ex fidanzato virtuale di Bermuda e molto amico della regina degli Influencer Virtuali.

Le sue caratteristiche fisiche sono i tatuaggi che gli ricoprono tutto il corpo, lo stile e l’abbigliamento hip hop e la mascherina che gli copre sempre il volto. È diventato famoso soprattutto dopo aver partecipato a un DJ set per NTS Radio e oggi è seguito da ben 152mila persone su Instagram.

La modella Shudu ha fatto il suo debutto nel 2017 e oggi il suo profilo conta più di 200mila follower.

La creazione del fotografo di moda Cameron James-Wilson è diventata famosa dopo essere stata testimonial per Fenty Beuty, la linea di make-up firmata Rihanna.

All’inizio tanti erano convinti che fosse una modella reale, e ammaliati dalla sua bellezza hanno scoperto solo in seguito e con grande sorpresa che non lo era affatto.

Oggi collabora ancora con numerosi brand nel campo dell’alta moda.

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Infine, Imma è la creazione dell’agenzia Modeling Cafe Inc Di Tokyo, nata nel 2019 e attualmente seguita da 328mila follower. Dalla sua biografia si legge che è appassionata di arte, film e cultura giapponese, e il suo scopo come Influencer è proprio quello di condividere e mostrare attraverso i social le sue passioni.

Caratterizzata dall’acconciatura rosa a caschetto e dai tratti orientali, Imma potrebbe essere tranquillamente scambiata per una vera modella giapponese, tanto che oltre ad essere molto attiva su Instagram realizza numerosi video su TikTok nei quali si mostra sempre naturale e spontanea.

Un aspetto curioso legato a Imma è il fatto che la sua testa è virtuale mentre il corpo appartiene ad una ragazza reale: in questo modo è molto più semplice farla sembrare una vera modella e farla muovere nello spazio con più naturalezza.

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Ciò che accomuna tutti questi personaggi più o meno influenti è la capacità dei loro creatori di attribuire a loro una personalità definita e unica per renderli quanto più veri e realistici.

Ognuno ha un proprio stile, un carattere, un modo di posare differente e addirittura opinioni personali, tanto che probabilmente molti tra i loro follower non si sono ancora resi conto di seguire degli avatar creati al computer.

 

Perché le aziende sono incentivate a lavorare con loro?

I vantaggi di lavorare con gli Influencer Virtuali sono parecchi, tanto che sempre più aziende scelgono di collaborare con loro.

Innanzitutto, i costi sono decisamente inferiori rispetto a quelli reali, ciò è dovuto al fatto che le aziende non devono regalare ogni volta i prodotti ma semplicemente venderne i diritti di sfruttamento d’immagine. In più, non è necessario sostenere costi in merito a pernottamenti, viaggi o condizioni degli stessi Influencer in quanto essendo virtuali possono apparire ovunque, in qualsiasi momento e oltretutto in più posti contemporaneamente.

Inoltre, essi non sono condizionati dai bisogni fisiologici, non si ammalano mai, sono sempre in forma e non invecchiano.

Ma soprattutto fanno e dicono esattamente ciò che vuole l’agenzia, quindi il loro campo d’azione è limitato mentre il controllo da parte dell’azienda nettamente maggiore.

In un periodo di pandemia e incertezze, gli Influencer Virtuali rappresentano per le aziende la sicurezza che i propri progetti e strategie possano essere portate a termine in qualsiasi circostanza.

Le aziende che hanno creato i propri Influencer Virtuali

Molte aziende hanno deciso di non affidarsi ad agenzie esterne per l’utilizzo di Influencer Virtuali ma di creare i propri.

Tra queste, KFC ha scelto di portare in vita proprio il Colonnello Sanders, storico volto del marchio di pollo fritto. Il colonnello, ormai qualche anno fa, aveva preso il controllo dei canali social del brand, con il compito di sponsorizzare il marchio in modo originale e insolito per una catena di fast food.

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Lo stesso ha fatto Puma con Maya, modella virtuale seguita da 8mila follower.

È stata creata appositamente per l’azienda con lo scopo di rivolgersi al sud-est asiatico attraverso campagne mirate, e dato che si tratta di una regione talmente vasta, Maya è risultata la sola in grado di prestare la propria immagine senza limiti spazio-temporali legati alla sua persona fisica.

Vantaggi e perplessità

I motivi per i quali le aziende potrebbero preferire una collaborazione con gli Influencer Virtuali non sono quindi pochi, allo stesso modo sono molte le perplessità dei competitor del settore e non solo.

Alcuni li trovano addirittura inquietanti perché nonostante la somiglianza con gli esseri umani in realtà non lo sono, ma cercano solamente di imitarli alla perfezione.

I follower di un Influencer solitamente tendono a imitarlo e copiare il suo stile di vita, perciò un fattore fondamentale che dovrebbe essere presente in chi lavora in questo settore è senz’altro la capacità di ispirare fiducia e di diventare un punto di riferimento per la propria community.

Ciò che manca a questi avatar è proprio il lato umano, le emozioni che solamente una persona in carne ed ossa potrebbe trasmettere. Può essere dunque rischioso essere influenzati da avatar apparentemente perfetti che nella realtà non esistono, perché si cercherebbe di imitare qualcosa di irraggiungibile.

Inoltre, dietro agli Influencer Virtuali non c’è una persona, ma un team di esperti che hanno il compito di sfruttare l’immagine di un personaggio, in questo caso creato al computer, per ottenere collaborazioni con aziende e successivamente un guadagno economico.

Forse in futuro queste personalità verranno riconosciute per quello che secondo molti sono veramente, ovvero veri e propri strumenti di pubblicità.

In futuro seguiremo sempre più Influencer Virtuali?

I numeri parlano chiaro, nei prossimi anni le aziende utilizzeranno ancora strategie di influencer marketing per le proprie campagne sui social network.

Secondo i dati esposti nel report dell’Influencer Marketing Hub del 2021, nel corso di quest’anno è prevista una crescita dell’industria dell’influencer marketing fino a raggiungere quasi 14 miliardi di dollari, mentre il 90% degli intervistati della ricerca è convinto dell’efficacia di queste strategie sui social.

Bisogna capire quali metodi verranno scelti dalle aziende per portare avanti le proprie campagne di marketing, se attraverso l’utilizzo dei classici Influencer o meno.

Sicuramente conteranno anche le opinioni degli utilizzatori di Instagram, liberi di seguire l’una o l’altra categoria soprattutto in base all’autenticità e reputazione del personaggio stesso.

Non ci resta che attendere e vedere le reazioni degli utenti dei social, che potranno restare sempre più affascinati dagli Influencer Virtuali finti ma sempre più autentici, o rimanere fedeli a quelli umani ma facilmente considerabili più falsi.

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Influencer Marketing, raccontato da Matteo Pogliani

Chiunque possieda un profilo social avrà sperimentato, come utente, l’influencer marketing. Quanto però conosciamo davvero questa realtà e le relazioni che intercorrono tra brand, influencer e pubblico? Ce le racconta attraverso questa intervista Matteo Pogliani, Head of Digital per l’agenzia Open-Box e professionista che si occupa da molti anni di comunicazione, soprattutto nel mondo online.

Come potremmo definire l’influencer marketing?

Si tratta di un tipo di marketing basato sul coinvolgimento di figure che, grazie a un’attività di personal branding, hanno guadagnato autorevolezza e una forte reputazione online. Queste persone sono centrali all’interno del network e rappresentano un medium e un plus per la comunicazione aziendale, perchè le loro qualità vengono prese in prestito dal brand. È una strategia efficace: gli influencer hanno naturalmente un appeal rispetto ai propri follower e, a differenza di quanto accade nel marketing tradizionale, vengono eliminate le sovrastrutture commerciali. La comunicazione così è più leggera e ha un impatto maggiore sull’utente. Bisogna fare attenzione a scegliere le persone giuste, perchè “il chi vale quanto il cosa”: solo così gli influencer riescono a essere driver per relazioni con gli utenti finali, accorciando la distanza tra brand e utente grazie all’affinità con i propri followers.

Da quando è nato si sta evolvendo?

Un’evoluzione c’è stata: già negli anni 50’ si parlava degli “opinion leader” come di figure che avevano un impatto sulle persone. Per sfruttare questa influenza però bisognava avere accesso ai mezzi di comunicazione di massa. Le prime vere e proprie forme di influencer marketing si sono sviluppate sui blog, mentre ora che queste attività non sono più rare il canale principale è Instagram. Il valore del contenuto sta tornando centrale: lo testimonia il fatto che ora si parli sempre di più di “content creator” e non solo di influencer. Ciò si riflette anche in un altro aspetto: se una volta era l’influencer a far produrre per sé un contenuto da pubblicare, ora le aziende stanno sfruttando la capacità dei creator di creare contenuti per il brand stesso (ne sono un esempio i ragazzi di “Casa Surace” e i “The Jackal”)

Che caratteristiche ha un progetto di influencer marketing efficace?

L’elemento decisivo per giudicare l’efficacia di un progetto è il suo risultato, anche se per arrivare a un buon risultato ci sono dei criteri generalmente validi. Bisogna aver chiaro il concept del progetto nel momento in cui si seleziona l’influencer più adatto e considerarne il pubblico in base a dati come l’età, il sesso e le affinità con il creator. Un errore frequente infatti è la scelta basata unicamente sull’ampiezza della fanbase, o sulla fama. Questo tipo di marketing è di principio uno strumento trasversale e quindi adatto anche ad aziende più piccole, che riescono però a raggiungere una nicchia di interesse. È importante che non ci sia contrasto di stile, mood e tono tra il brand e l’influencer: limitarsi a inviare un prodotto all’influencer per vederlo condiviso nelle stories di Instagram spesso può rivelarsi un errore. Non bisogna considerare solamente l’affinità tra la fan base e il creator, ma anche quella tra il creator e il prodotto stesso. Una cosa importante da considerare per l’azienda è che l’influencer marketing è uno spot che si accende sul brand: se la sua presenza online non è perfetta si vedranno le crepe del progetto.

Come nasce un progetto di influencer marketing?

Si parte dal colloquio con l’azienda: bisogna conoscerne gli obiettivi legati al business, per esempio il lancio di un prodotto ( un obiettivo di business infatti non può essere il raggiungimento di un certo numero di follower). Da un briefing iniziale nasce il concept di progetto, l’idea creativa alla base. Si sceglie allora il canale migliore per realizzarlo e in base a questo si attiva la fase di influencer outreach: si fanno valutazioni profonde sulle collaborazioni passate di un influencer, sulla sua performance nella collaborazione con i brand e sulla sua reputation, per verificare che non abbia scheletri nell’armadio. Una volta individuata la persona giusta, viene comunicata una linea guida del progetto da seguire, senza però imporle uno stile comunicativo. Dopo la pubblicazione si fa un monitoraggio per capirne l’impatto: si analizza la conversazione online prima e dopo la pubblicazione, uno dei pochi strumenti sia qualitativi sia quantitativi per valutare l’impatto della campagna. Anche il valore equivalente, un concetto del marketing tradizionale che si applica anche ai social, è importante: per esempio, quando si analizza la performance di un’attività di influencer marketing su Instagram considerandone le interazioni che ha generato e il reach ci si chiede quante risorse si sarebbe dovuto mettere in campo se si fosse investito per lo stesso progetto in advertising di Instagram.

Esistono linee guida che influencer e aziende devono seguire?

Sì, esistono e sono consultabili da tutti: lo I.A.P ( Istituto per l’autodisciplina pubblicitaria)  le ha inserite in un documento pubblico, la Digital chart. Il principio fondamentale è la riconoscibilità della non spontaneità di un qualsiasi contenuto frutto di una collaborazione tra influencer e brand. L’utente può accorgersene grazie a dei disclaimer, come #adv o #ad seguiti dal nome del brand, che devono essere inseriti nella prima parte del post. Lo stesso principio vale anche nel caso di un prodotto spedito come regalo, che deve essere segnalato dall’hashtag #gifted; non è ritenuto sufficiente dallo stesso I.A.P invece l’uso dell’opzione “branded content” su Instagram. Le multe per chi non rispetta queste regole ci sono e si inaspriscono nel caso in cui non si informino gli utenti sui rischi per la salute. In Italia però non è mai stata comminata una: nella maggior parte dei casi la segnalazione di un contenuto che non rispetta le regole finisce in una cancellazione o in un’integrazione del contenuto stesso, quando però il danno nei confronti degli utenti è già stato fatto.