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Economia, StartUp e Fintech

Turismo spaziale: la fantascienza diventa realtà!

Solo sessant’anni fa abbiamo mandato la prima persona nello spazio. Solo otto anni dopo abbiamo camminato sulla luna. Ora, da oltre vent’anni, ricchissimi pionieri si sono cimentati con la frontiera del turismo spaziale.

Oggi questa esperienza elitaria sta diventando sempre più accessibile al turismo di massa.

 

Il 2021 si è concluso, posizionandosi come l’anno che ha rivoluzionato il turismo spaziale.

Sono stati infatti compiuti enormi passi avanti da numerose agenzie spaziali private.

 

Il prototipo Starship SN-15 di SpaceX ha compiuto con successo un atterraggio, con controllo aerodinamico attivo. È il primo razzo al mondo in grado di atterrare a comando e di essere riutilizzato dopo il lancio.

Questa tecnologia è stata subito impiegata per i rifornimenti alla ISS, presto verrà utilizzata per voli verso la luna e verso Marte.

Si sta pensando di adoperarla anche per raggiungere città dall’altra parte del pianeta in meno di mezz’ora di volo.

 

Quando si parla di turismo spaziale, generalmente ci si riferisce a tre modalità di volo molto diverse: parabolico, suborbitale e orbitale.

 

 

Volo parabolico

 

Da cinquant’anni i voli parabolici ci consentono di sperimentare qualche secondo di assenza di gravità. In realtà non sono veri e propri voli spaziali, perché di fatto volano alla stessa quota di un aereo di linea.

L’aeroplano compie 30/40 parabole (prima va su e poi torna giù) durante il volo, all’apice di ogni parabola tutto ciò che è al suo interno viene sottoposto a circa 20 secondi di microgravità. Ogni volo permette quindi di fluttuare complessivamente per oltre dieci minuti.

Prima e dopo il culmine della curva si sperimentano alcuni secondi di ipergravità, che sottopongono il nostro corpo fino a 1,8 g.

Oggi un volo parabolico turistico ha un costo molto contenuto, si aggira tra i 3000 e i 5000 euro a persona. Ci sono decine di agenzie spaziali, sia pubbliche che private, che forniscono questo servizio.

 

 

Volo suborbitale

 

La SpaceShipTwo, ovvero lo spazioplano sub-orbitale della Virgin Galactic, ha compiuto il suo primo volo turistico sub-orbitale. Portando quattro persone a 85 Km sopra il livello del mare. Questi voli permettono di ammirare la terra dallo spazio e di sperimentare qualche minuto continuato di assenza di gravità, prima del rientro.

È già possibile acquistare i biglietti dei prossimi voli, al costo di 450’000 $ l’uno. Un’esperienza di pochi minuti, ma che ti porta letteralmente fuori dal mondo.

 

A pochi giorni di distanza, l’agenzia spaziale privata Blue Origin ha effettuato un volo simile, portando quattro civili a 106 Km dalla superficie terrestre. Non è l’unico lancio di Blue Origin del 2021, ne ha effettuati poi altri due sempre con successo. La particolarità di questi voli consiste in un razzo riutilizzabile con controllo attivo della discesa che porta la capsula con l’equipaggio in quota, per poi lasciarla atterrare in autonomia grazie a dei paracadute.

 

 

Volo orbitale e ISS

 

Sempre SpaceX ha raggiunto un nuovo gradino nella conquista dello spazio, portando un astronauta e tre civili, senza un addestramento specifico, a 500 Km dalla terra (la stazione spaziale si trova a 400 Km dalla terra).

I quattro pionieri hanno passato tre giorni nello spazio (senza appoggiarsi alla ISS), all’interno della futuristica e panoramica navicella spaziale Crew Dragon Resilience, per poi ammarare in completa sicurezza.

 

Dal 2001 al 2021 ci sono stati solo sette voli turistici per raggiungere la ISS (International Space Station), con un soggiorno medio di una settimana. Utilizzavano ancora navicelle Soyuz al costo di diverse decine di milioni di dollari a persona.

 

 

Stazioni spaziali

 

Sempre nel 2021, un troupe cinematografica di tre persone ha raggiunto la stazione spaziale internazionale. Hanno usato la navicella spaziale Sojuz MS-19, con l’aiuto dell’agenzia spaziale russa per raggiungere la stazione e rientrare poi sulla terra.

Il produttore e regista Klim Shipenko, l’attrice Julija Peresil’d, e il cosmonauta Oleg Novitskiy nel ruolo di se stesso, hanno trascorso 12 giorni in orbita per creare il primo film girato e diretto nello spazio. “The challenge” uscirà quest’anno. Shipenko ha poi detto di essere pronto per girare film sulla Luna e su Marte.

 

La stazione spaziale internazionale è operativa dal 2000 e lo rimarrà almeno fino al 2024. Successivamente verrà probabilmente privatizzata prima di essere deorbitata entro il 2030.

La Russia ha dichiarato l’intenzione di voler scollegare i propri moduli dal resto della ISS, per continuare ad avere una piccola stazione spaziale non privata a cui appoggiarsi.

Numerose stazioni spaziali private entreranno presto in orbita.

 

Il 30 marzo 2022 è previsto il decollo della missione Ax-1 della Axiom Space. L’equipaggio formato da un astronauta e tre clienti paganti raggiungerà la ISS grazie ad un razzo di SpaceX e vi soggiornerà per sette notti. Il costo del biglietto è di 55 milioni di dollari. Il soggiorno non sarà solamente turistico, svolgeranno infatti 25 esperimenti scientifici in condizioni di microgravità.

 

L’agenzia spaziale privata Axiom Space nasce con l’idea di lanciare in orbita la prima stazione spaziale privata della storia. Stanno attualmente costruendo la Axiom Hub One, il primo modulo della stazione, che verrà lanciato in orbita e diventerà operativo entro la fine del 2024 in collaborazione con la Nasa. Sono già previsti altri tre moduli che andranno ad ampliare la stazione, sono: Axiom Hub Two, Axiom Lab e Axiom Power Tower.

 

Blue Origin e Sierra Space (e altre importanti aziende) stanno collaborando per costruire Orbital Reef, una stazione spaziale privata per un uso misto. La stazione andrà in orbita, a 500 Km sul livello del mare, prima della fine della decade. Sarà un vera rivoluzione in ambito spaziale. È stata pensata sia per ospitare turisti all’interno di moduli panoramici costruiti ad hoc, sia per svolgere ricerca nello spazio. Svolgerà contemporaneamente anche ruoli commerciali e sarà inoltre possibile comprare degli indirizzi fisici nello spazio per la sede della propria azienda.

 

Se tutto questo non è abbastanza fantascientifico, facciamo la conoscenza di Orbital Assembly Corporation: un’azienda che sta sviluppando un nuovo modo di costruire strutture artificiali nello spazio. È previsto per il 2023 il lancio in orbita bassa, grazie a SpaceX, di un prototipo in scala ridotta del loro pionieristico “Gravity ring”. Un gigantesco anello che costituirà lo scheletro della struttura abitabile della futura stazione spaziale Voyager station, il primo hotel spaziale di lusso.Il Gravity ring verrà spedito nello spazio smontato (tipo mobile Ikea) e una volta in orbita si automonterà in una manciata di minuti.

La Voyager non ha nulla in comune con le stazioni spaziali convenzionali e nulla da invidiare. Lusso, gravità artificiale e tanto spazio abitabile. Queste le peculiarità che la caratterizzano, infatti la rotazione del Gravity ring genera un’accelerazione centrifuga che emula la gravità terrestre. Ci saranno lussuosissime suite, un ristorante, un bar e una palestra. Il solo spazio abitabile potrebbe contenere 11 ISS. Saranno addirittura presenti dei mezzi di trasporto per persone e materiali; saranno inoltre presenti 44 scialuppe spaziali per atterraggi automatici in caso d’emergenza.

 

 

To the Moon and beyond

 

Nel 2023 l’imprenditore giapponese Yusaku Meazawa e altre 8 persone, scelte tra oltre un milione di candidature spontanee, diventeranno l’equipaggio di dearMoon.

Sarà la prima missione spaziale lunare ad aver l’equipaggio composto da civili (senza addestramento). Verranno utilizzate le tute spaziali e un aerodina riutilizzabile di SpaceX.

Il viaggio durerà cinque giorni, impiegherà un paio di giorni per avvicinarsi alla luna e un altro paio per il rientro. La navicella non allunerà, ma sfrutterà l’effetto fionda per girare intorno alla luna e rientrare nell’orbita terrestre.

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Decentraland: il nuovo mondo degli immobili

D’ora in avanti sarà possibile possedere non soltanto immobili reali: infatti, con l’avvento degli NFT, della tecnologia blockchain e del metaverso, si potranno acquistare e detenere anche immobili virtuali, con tutte le implicazioni introdotte da queste nuove tecnologie, che hanno rivoluzionato i concetti di proprietà e sicurezza. Su questi presupposti si basa l’attività svolta da Decentraland, un servizio online nato nel 2015 per la compravendita di immobili virtuali, che permette di acquistare la proprietà di uno o più terreni tramite la criptovaluta concepita appositamente per la piattaforma: i MANA.

Il funzionamento del sistema

A differenza di precedenti sistemi di compravendita online, la piattaforma di Decentraland è sviluppata tramite la blockchain di Ethereum, che utilizza i cosiddetti “smart contract”, strumenti che certificano in modo inequivocabile la proprietà dei terreni (detti LAND): essi vengono stipulati in modo automatico e senza l’intervento di intermediari, assicurando una maggiore privacy e sicurezza delle informazioni che coinvolgono le parti. Ogni terreno senza proprietario è acquistabile allo stesso prezzo, mentre per gli altri terreni è possibile negoziare prezzi differenti, andando a creare un mercato secondario. Tuttavia, ciò che differenzia veramente questo servizio è la libertà d’azione su ciascun terreno, sui quali è possibile dare vita a nuovi contenuti e idee come, ad esempio, videogiochi, eventi e beni da poter rivendere all’interno del gioco.

Una crescita esponenziale: i MANA

Con una capitalizzazione di mercato di più di 4,5 miliardi di euro la criptovaluta usata nella piattaforma ha avuto un enorme incremento di valore nell’ultimo anno: a far crescere il prezzo non è stato soltanto l’acquisto dei LAND, ma anche tutta l’economia creata all’interno del mondo tramite la compravendita di beni e servizi. Le previsioni di prezzo per i prossimi cinque anni sono tutte rialziste: la fiducia è data non solo dalle plusvalenze derivanti dai terreni virtuali, ma anche dalle diverse opportunità di business che gli utenti potranno sfruttare in futuro.

Le collaborazioni di Decentraland

A dimostrazione delle grandi potenzialità di guadagno legate al mercato immobiliare virtuale, varie multinazionali come Samsung, Adidas e Nike si sono mosse sul metaverso, addentrandosi in un ecosistema vivo e in continua evoluzione. Per quanto riguarda Decentraland, Samsung ha aperto una versione digitale del suo store di Manhattan, permettendo agli utenti di accedere, per un periodo limitato, ad attività interattive al fine di ottenere alcuni NFT gratuitamente; si aggiunge, inoltre, la Virtual Metaverse Fashion Week, l’evento che coinvolge brand della moda di portata internazionale che si terrà per la prima volta online, a prova del fatto che questo settore è tra i più coinvolti dalle recenti innovazioni. Anche Tennis Australia ha stretto un accordo con Decentraland per gli Australian Open: verranno ricreati i luoghi più importanti dell’evento e saranno aggiunti contenuti esclusivi e interattivi per gli utenti. È inoltre stato siglato un accordo con lo Stato delle Barbados per la creazione di un’ambasciata nella piattaforma, che permetterà agli utenti di ottenere visti virtuali e passare liberamente da un metaverso ad un altro: questo sviluppo segue le decisioni prese dal governo di El Salvador non troppo tempo fa in merito ai Bitcoin, andando ad alimentare il dibattito sul legame tra politica e tecnologia.

 

Applicazioni future: la realtà virtuale

In un ecosistema dove il confine tra reale e finzione è sempre più labile, nuove tecnologie renderanno l’esperienza nel metaverso più immersiva e coinvolgente: ne è una dimostrazione lo sviluppo della piattaforma in VR (Virtual Reality), che verrà mostrata al pubblico nell’estate di quest’anno. La realtà virtuale è un progetto finanziato dalla DAO di Decentraland, l’organizzazione decentralizzata e autonoma con funzioni amministrative che viene gestita direttamente dagli utenti, la cui volontà è determinante per le decisioni sul futuro della piattaforma.

Un fenomeno molto più ampio

Quella di Decentraland non è una realtà isolata: la fiducia del mercato ha portato alla crescita di altri progetti, tra cui The Sandbox, il principale concorrente, che propone lo stesso tipo di servizi ma con diversa strategia e finanziatori; benché sia qualche passo indietro nello sviluppo rispetto al concorrente, anche questa piattaforma mostra le potenzialità per un largo utilizzo futuro da parte degli utenti.

Il mercato immobiliare nel metaverso è ormai diventato un fenomeno di ampia portata che si trova ancora all’inizio della sua crescita: nello specifico, per le aziende rappresenta un’opportunità per raggiungere un pubblico più ampio, fidelizzare gli utenti e aumentare le vendite, attraverso attività interattive e di intrattenimento, dopo il calo dovuto alla pandemia.

Dal punto di vista degli utenti, invece, vi è la possibilità di accedere ad un mondo vivo e in continua creazione, potendo loro stessi creare ogni genere di contenuto immaginabile ed esprimere la propria volontà su questioni relative alla piattaforma. Tutti questi elementi rendono Decentraland qualcosa di più di un videogioco o di un qualsiasi altro servizio simile precedentemente creato.

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Doughnut economics: istruzioni per immaginare una “dolce” era post pandemica

Da qualche anno a questa parte i temi della sostenibilità hanno conquistato le luci della ribalta tanto da permeare completamente le nostre vite e influenzarci anche nelle scelte quotidiane. Una delle tematiche più discusse è senz’altro l’economia circolare. E se la circolarità non bastasse più? Affinché sia possibile, per la nostra specie, continuare ad abitare la terra è necessario un modello che non solo sia circolare ma che si sviluppi all’interno di due limiti: una base sociale e un tetto ambientale. Fortunatamente, questo modello esiste già ed è chiamato: economia della ciambella (“Doughnut economics”).

 

I modelli precedenti

 

Era il 1966, quando fu mossa la prima grande critica agli allora “moderni” modelli di consumo. A puntare il dito contro di essi fu l’economista Kenneth E. Boulding che, nel suo articolo “The Economics of the Coming Spaceship Earth, mostrò come l’economia lineare fosse ormai obsoleta e che per sostenere la crescita di un mondo sempre più volto al consumo sarebbe stato necessario un sistema economico in grado di rigenerarsi da solo garantendo la sua sostenibilità nel lungo e nel lunghissimo periodo.  Da allora, il paradigma di “economia circolare” ridisegnò, almeno idealmente, sia il modo di produrre sia quello di consumare. Eppure la nuova visione continuava a ignorare gli aspetti etici indissolubilmente legati al contesto economico.

Ad accorgersi di ciò prima di tutti gli altri è stata Kate Raworth, economista inglese che lavora per l’Università di Oxford, la quale, dopo decenni passati a studiare e analizzare – quella che lei stessa nel libro “Economia della ciambella” definisce – “una teoria economica frustrante” basata su “strane supposizioni circa il funzionamento del mondo”, ha proposto un nuovo modello che sarà in grado di “raggiungere lo sviluppo senza apportare danni alla Terra”. L’idea di fondo è che l’economia del XXI secolo non possa più essere volta solamente alla crescita ma debba essere capace di garantire la prosperità e per farlo, secondo questa impostazione economica, non basta più apportare qualche modifica ai modelli attuali ma occorre ridisegnarli, perché, per usare le parole di B. Fuller, inventore, architetto, designer, filosofo e scrittore statunitense, “Non puoi cambiare le cose contrastando la realtà esistente. Per cambiare qualcosa prepara un nuovo modello che renda obsoleti quelli esistenti”.

 

L’economia della ciambella

 

Il paradigma che si afferma con la “Doughnut economics”, pur non abbandonando la visione circolare, si sviluppa all’interno di due confini: quello interno relativo alle dimensioni sociali e quello esterno relativo ai limiti ambientali. Tra questi due si estende un’area all’interno della quale lo sviluppo può essere categorizzato come equo e sicuro per l’umanità.

Secondo l’autrice, un’economia, per rimanere all’interno del primo limite, dovrebbe garantire a tutte le persone la disponibilità delle risorse di base (cibo, acqua, assistenza sanitaria ed energia) in modo tale che i diritti umani vengano pienamente rispettati. Lo spazio compreso al di sotto di questo confine è quello in cui si sviluppano le condizioni per la privazione umana e, non a caso, graficamente è rappresentato dal buco della ciambella. Allo stesso tempo, l’economia per essere realmente sostenibile, non dovrebbe mai valicare il confine esterno del grafico, in quanto questa incursione produrrebbe gravi stress ai processi naturali della Terra causando, ad esempio, cambiamento climatico, acidificazione degli oceani e perdita di biodiversità. In pratica, la dimensione ambientale forma un confine esterno, superato il quale si realizzano le condizioni di degrado del Pianeta.

 

Vivere nella ciambella

 

Per quanto ancora poco noto, il concetto dell’economia della ciambella è solo relativamente giovane. Infatti, era la fine del 2011 quando fu presentò per la prima volta alla sede ONU di New York, ma solo nel 2020 questa nuova visione ha conquistato una certa popolarità. La nuova ondata di fama è arrivata grazie al vicesindaco di Amsterdam, Marieke van Doorninck, che ha annunciato che la ripartenza della città dei fiori nel post coronavirus avrebbe avuto “il marchio di una ciambella, cucinata ad Oxford”.

La visione ottimistica della “Doughnut economics” si staglia come un luminoso faro nella notte di questi periodi incerti, già preceduti da anni pieni di noncuranza sociale e ambientale nei quali, a lungo si è creduto, di poter crescere infinitamente in luogo che offre solo risorse limitate. Per quanto siano negative le previsioni per il futuro, esiste fortunatamente ancora la possibilità di lasciarsi guidare da una nuova luce.

Quella attuale è la prima generazione che sembrerebbe aver veramente appreso quanto grande è il danno recato al Pianeta dalla chimera di una crescita illimitata e, se da un lato questo getta i più nello sconforto, dall’altro potrebbe trattarsi un grande privilegio: questa potrebbe essere la prima generazione in grado di attuare una rivoluzione volta a costruire un futuro sostenibile a tutto tondo, o forse, sarebbe meglio dire a ciambella.

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Cosa sono veramente gli NFT e come funzionano?

Abbiamo sentito spesso parlare di NFT ultimamente, soprattutto riguardo le opere d’arte virtuale. C’è però molta confusione su questo tema: proviamo a capire meglio di cosa si tratta. NFT è l’acronimo di: Non-Fungible Token (in italiano: gettoni non fungibili). Cosa significa questo?

Iniziamo da token, in informatica, rappresenta una sequenza di simboli che rispetta delle determinate regole. Per fare un esempio pratico: quando inviamo un messaggio in chat, possiamo immaginare l’intero messaggio come un token, ma anche le parole e i caratteri che lo compongono.

Nel mondo blockchain invece, un token, non è altro che un oggetto, in questo caso digitale, che serve ad autenticare qualcosa, tipicamente una persona o un oggetto. Un esempio può essere la carta d’identità di una persona oppure l’etichetta di un prodotto al supermercato che certifica la provenienza dell’alimento.

Ora, cosa significa non fungibili? Sostanzialmente non sono reciprocamente interscambiabili, per cui ogni token è inseparabile dall’oggetto (solitamente digitale) che identifica. Quindi per tornare all’esempio di prima: un mio amico non può utilizzare la mia carta d’identità, perché questo oggetto (la mia carta d’identità) identifica esclusivamente me.

Possiamo quindi definire gli NFT dei certificati di proprietà digitali. È importante comprendere che acquistando un NFT legato a un oggetto digitale, non stiamo acquistando l’oggetto in sé (che sarà quindi potenzialmente accessibile a tutti gli utenti di internet), bensì un certificato (un contratto) digitale che dimostra i diritti sull’oggetto.

Non solo, un NFT può addirittura contenere l’intero contratto di acquisto del suo specifico oggetto. Questo permette di avere il contratto originale sempre consultabile, garantisce inoltre che questo originale che stiamo leggendo non è mai stato modificato, perché è custodito dalla tecnologia blockchain.

Citando AgendaDigitale.euil valore (l’unicità) dell’NFT non poggia davvero sulla tecnologia blockchain, ma sulla fiducia che intercorre fra il venditore e l’acquirente”. Così come quando acquisto un’automobile, il vero valore (l’unicità) del certificato di proprietà dell’auto non risiede nel foglio di carta in sé, ma bensì nella fiducia che ripongo nel venditore e nel sistema che regola questo mondo. La blockchain ci garantisce soltanto che il contratto firmato non può poi essere falsificato.

All’interno dell’NFT è conservato anche un registro dei proprietari, che tiene traccia di tutti i passaggi di mano. Partendo dal creatore stesso, sì scorrono poi tutti i successivi proprietari, fino ad arrivare all’attuale. Questo meccanismo fornisce quindi una prova di autenticità e, al contempo, di proprietà.

Gli NFT permettono anche di frammentare i diritti sull’oggetto, è quindi possibile avere un unico contratto (NFT) che suddivide i diritti di un oggetto tra più proprietari che ne detengono ciascuno una percentuale. E ciascuno di loro può vendere la sua parte o comprarne un’altra, senza dover rivolgersi a tutti i comproprietari.

Attualmente si utilizzano NFT principalmente per oggetti digitali, che possono essere letteralmente qualsiasi cosa. Un’immagine, una canzone, un pezzo di codice, ecc. Insomma, l’unico limite è la fantasia. Però si prestano bene anche con oggetti reali e inizieremo a vederli sempre più spesso. Possono ad esempio essere usati per opere d’arte fisiche, collezioni limitate, per le automobili, prodotti alimentari con provenienza certificata, ecc. Con gli anni, gli NFT potrebbero diventare lo standard per i contratti d’acquisto nella vita di tutti i giorni. Dall’acquisto di una casa, alla spesa al supermercato.

 

Per un computer, questi contratti (o certificati) vengono rappresentati in memoria sotto forma di lunghissime sequenze di zeri e di uno. Questa sequenza viene sintetizzata in un’altra molto più corta, chiamata hash. Viene generata grazie ad una funzione di hashing, riportando la descrizione di Wikipediaè un algoritmo matematico che mappa un messaggio in una stringa binaria (composta da zeri e uno) di dimensione fissa”. Questo hash deriva quindi direttamente dall’oggetto digitale che lo ha prodotto (cioè il contratto contento nell’NFT). Chi lo possiede può facilmente ricostruire l’oggetto originale, mentre è praticamente impossibile per chiunque altro.

Salviamo quindi l’hash con una marca temporale, cioè un servizio che permette di associare data e ora certi ad un documento digitale (e che non può essere contraffatto, ad esempio non può essere postdatato). Infine lo memorizziamo su una delle blockchain che forniscono questo tipo di smart contract.

Gli smart contract sono dei programmi informatici che implementano delle istruzioni condizionali all’interno della blockchain, quindi istruzioni del tipo if / then. In sostanza sono dei processi automatizzati, che all’accadere di un evento eseguono una determinata azione, ad esempio: se ricevono un pagamento, allora rilasciano un servizio.

Per fare un po’ di chiarezza: esistono tante blockchain, che si basano su tecnologie diverse. Originariamente sono nate per lo scambio di criptovaluta, successivamente, prima tra tutte quella di Ethereum, hanno iniziato ad ampliare i servizi offerti, implementando gli smart contract.

Gli NFT resteranno consultabili sulla blockchain su cui sono ospitati finché questa resterà attiva. Dal punto di vista della sicurezza informatica, il mondo blockchain è super efficiente, mentre sul piano energetico questa tecnologia consuma tantissima energia elettrica. Al momento i costi energetici per la sola creazione di un singolo NFT, sulla blockchain di Ethereum, può arrivare a toccare i $100, mentre il costo di trasferimento di un NFT attualmente si aggira intorno ai $40. C’è però da ricordare che la blockchain è una tecnologia molto recente che col tempo migliorerà sensibilmente la sua efficienza. Inoltre, servendosi della blockchain, anche i pagamenti (per l’acquisto e la vendita di NFT) sono resi sicuri e decentralizzati.

 

Siamo abituati a associare gli NFT principalmente alle opere d’arte digitali. In realtà non è sbagliato, si prestano benissimo a questo impiego, però è una visione estremamente limitante delle potenzialità di questo strumento.

Dimentichiamoci per un attimo del mondo dell’arte, per entrare invece in quello della moda. In un futuro relativamente recente, avremo la possibilità di verificare l’originalità (e di mostrarla agli altri) della borsa che abbiamo appena acquistato, e il tutto in un istante grazie ad uno smartphone con una connessione ad internet. Nike è un pioniere in questo settore: oltre a vendere la linea CryptoKicks, cioè un paio di scarpe (reali) con associato un certificato di autenticità basato su NFT, si sta cimentando nella vendita di indumenti virtuali per il metaverso.

Alcuni videogiochi hanno già iniziato a utilizzare NFT per identificare le risorse del gioco (monete, skin, potenziamenti, ecc.). Le risorse possono essere scambiate su mercati di terze parti (esterni al gioco), e dunque senza l’autorizzazione dello sviluppatore del gioco.

Il settore musicale ha già iniziato a vendere grazie agli NFT, sia album in edizione limitata, sia i diritti stessi dei brani. Presto gli NFT sconfineranno anche nel mondo della fotografia e del cinema.

Nel mondo notarile consentirà di risparmiare settimane di visure,visualizzando lo storico dei proprietari di un immobile in pochi secondi.

Sugli scaffali dei supermercati del futuro potremmo trovare un QR code su ogni alimento, che ci indirizzi all’NFT associato. Questo token, potrà contenere informazioni certe su data, ora e luogo di produzione. Ma anche le modalità di allevamento, i pesticidi utilizzati, il tempo di stagionatura e potenzialmente qualsiasi altra informazione.

Nelle industrie gli NFT, oltre ad assicurarci ad esempio che l’automobile che abbiamo comprato sia autentica, ci permetteranno addirittura di verificare che ogni singolo bullone sia anch’esso autentico. Potremmo quindi controllare se il meccanico utilizza davvero ricambi originali.

Per capirne il vero potenziale, dobbiamo renderci conto che gli NFT possono essere usati con tutti quegli oggetti che sono regolamentati da omologazioni e certificazioni. Tipo i sistemi di sicurezza di un aereo o i freni di un’auto. Quindi aggiungeranno un livello di sicurezza in più a tutti quei sistemi a cui affidiamo quotidianamente le nostre vite.

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Cosa significa innovare nel settore assicurativo: l’esempio delle start up Pula e Marshmallow

Anche un settore tradizionale come quello delle assicurazioni negli ultimi anni è stato interessato dall’innovazione tecnologica e pure in questo campo l’Intelligenza Artificiale e le altre nuove tecnologie si sono dimostrate forti alleate quando ben sfruttate nelle loro potenzialità. Dopo il termine Fintech, non è raro sentire oggi parlare di Insurtech (l’unione dei termini insurance e technology), che indica proprio le nuove tecnologie applicate alle assicurazioni, in particolare le assicurazioni del ramo danni. La recente emergenza sanitaria inoltre ha dato un ulteriore impulso all’innovazione che è stata particolarmente evidente nel settore finanziario.

Come emerge da un articolo del blog di N26, le nuove società Insurtech hanno un grande vantaggio competitivo che le differenzia dai grandi colossi delle assicurazioni e dai loro tradizionali modelli di business: proprio l’uso di strumenti innovativi. Grazie all’elaborazione di dati reali anziché l’utilizzo di modelli statistici che suddividono la popolazione in ampie categorie, è possibile offrire polizze costruite su misura e più vicine alle caratteristiche dei singoli clienti. Inoltre, le società Insurtech offrono servizi più smart come app per la gestione delle polizze oltre a una maggiore efficienza e tempi burocratici più brevi grazie alla digitalizzazione dei processi.

 

Danni ambientali – L’esempio di Pula

Le nuove opportunità in un settore tradizionale come quello assicurativo hanno aperto le porte a molte nuove attività imprenditoriali che propongono soluzioni e prodotti innovativi; un ambito in cui sono nate diverse start up è quello della copertura dai danni ambientali, considerate le conseguenze che il cambiamento climatico sta provocando ad esempio a molte attività agricole.

In un articolo del Financial Times viene approfondito quello che sono riuscite a fare alcune start up Insurtech per supportare gli imprenditori agricoli nei paesi emergenti, soprattutto i piccoli agricoltori che non possono permettersi di acquistare alcune costose polizze assicurative; la mancanza di copertura dai danni provoca inoltre un ulteriore effetto ossia la riluttanza di agricoltori e allevatori a fare investimenti in nuove tecnologie per la loro attività. Pula è una di queste start up Insurtech: “Utilizza il Machine Learning e i dati storici di clima e produzione per offrire un’assicurazione basata su un indice di resa per area per gli agricoltori” si legge nell’articolo del Financial Times, “Questo tipo di copertura basa i pagamenti sulla rendita media di un’area e in questo modo gli agricoltori ricevono un indennizzo se la rendita media raggiunta in una stagione è minore rispetto alla rendita assicurata”. Pula offre anche altri servizi e prodotti per i quali gli agricoltori assicurati possono beneficiare di migliori condizioni per via della forza contrattuale della start up.

I problemi del cambiamento climatico e della volatilità dei prezzi non riguardano però solo i paesi emergenti ma sempre più anche le economie avanzate con gravi conseguenze, come accadde nel 2015 a Chicago quando la caduta del prezzo del latte mise in ginocchio molte famiglie.

 

Assicurazione auto – La start up Marshmallow

Nel Regno Unito sta avendo molto successo la start up Marshmallow che offre un’assicurazione auto in cui sono compresi molteplici servizi, oltre la presa in carico della compensazione di CO2 delle prime 500 miglia – circa 800 km – per ogni polizza venduta (iniziativa in collaborazione con ClimatePartner).

I fondatori della start up raccontano sul sito come è nata la loro idea: definiscono il settore assicurativo broken (“rotto”) e i sistemi tradizionali “impersonali” e “obsoleti”, i preventivi estremamente costosi. Hanno deciso così di cercare di portare un cambiamento, partendo dall’offrire assicurazioni auto più economiche ma con l’obiettivo ultimo di trasformare l’intera industria. I servizi e prodotti da loro offerti sono più rapidi, con un supporto clienti attivo 24h e sette giorni su sette, gestione delle polizze con app o da sito e soprattutto più giusti rispetto al calcolo dei preventivi e nell’inclusione di una più ampia platea di clienti altrimenti rifiutati da altre compagnie di assicurazione, tutto ciò grazie all’uso della tecnologia e all’analisi dei dati.

 

Il rapporto degli assicuratori con l’Intelligenza Artificiale

La società di revisione e consulenza PwC ha pubblicato i risultati di una sua indagine e di un sondaggio proposto ad alcune aziende statunitensi di assicurazioni che usano l’Intelligenza Artificiale per la loro attività, dal quale sono emerse interessanti evidenze: quasi due società di assicurazioni su tre che ha investito in IA ha riscontrato benefici in termini di soddisfazione dei clienti mentre quasi la metà di queste società dichiara che l’IA ha favorito i processi decisionali. Di seguito gli ambiti in cui gli investimenti in Intelligenza Artificiale hanno avuto profitto:

 

 

Ai primi posti dunque ci sono una miglior esperienza dei clienti e un supporto nel prendere decisioni, ma compaiono anche benefici in termini di innovazione di prodotto e servizio, incremento di produttività o efficienza e riduzione dei costi.

Dall’altro lato non mancano le preoccupazioni di chi usa questa tecnologia per quanto riguarda i rischi di attacchi informatici e la privacy dei clienti, anche se i rischi non sono legati alla tecnologia in sé ma a un problema più ampio ossia la mancanza di competenze tecniche specifiche per una gestione appropriata ed efficiente dell’Intelligenza Artificiale. Inoltre, talvolta permane una certa titubanza nell’introdurre questi strumenti in azienda e anche laddove vengano fatti gli investimenti, mancano strutture organizzative e strategie ben definite.

Ciò che è necessario sono investimenti in formazione continua, oggi più che mai, e sensibilizzazione riguardo ai vantaggi di accogliere l’innovazione e pensare al di fuori degli schemi senza timore.

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Investimenti sostenibili e rating ESG

La sostenibilità della finanza viene da tempo studiata e analizzata ma è solo di recente che è diventata argomento frequente di discussione, complice la maggiore attenzione che viene posta sul rispetto dell’ambiente e il raggiungimento di determinati obiettivi di inquinamento entro scadenze fissate a livello globale. Sempre più imprese dichiarano di svolgere attività sostenibili e attente all’ambiente ma non solo, crescono di importanza il rispetto dei diritti dell’uomo, gli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 e l’adozione di criteri etici di gestione aziendale.

 

Come sono legate la finanza e la sostenibilità, e in particolare i criteri ESG dei quali sentiamo spesso parlare?  Innanzitutto, i criteri ESG (Environmental, Social, corporate Governance) permettono di valutare l’impatto a livello ambientale, sociale e di governance di un’attività; tali valutazioni vengono assegnate a titoli, fondi di investimento ed emittenti per misurarne appunto la sostenibilità e permettere agli investitori di poter fare scelte responsabili. Esempi di indicatori ESG possono essere le emissioni di COdi un’azienda per il pilastro “E”, le condizioni di sicurezza sul posto di lavoro per il pilastro “S” o il numero di donne presenti nel consiglio di amministrazione per il pilastro “G”.

 

A livello nazionale Borsa Italiana ha recentemente annunciato l’avvio del progetto ESGeneration Italy, insieme alla Federazione Banche Assicurazioni e Finanza e il Forum per la Finanza Sostenibile, che ha l’obiettivo di condurre l’Italia in una posizione emergente e in un ruolo attivo all’interno del panorama internazionale della finanza sostenibile. Come riportato sul sito ufficiale tale progetto è ispirato ai principi di promozione dei criteri ESG, di trasparenza e di prospettiva di medio-lungo termine, i medesimi che sono alla base dell’atto costitutivo di un investimento sostenibile e responsabile della finanza italiana firmato da tre associazioni tra cui l’Associazione Bancaria Italiana.

 

Il 18 ottobre 2021 Euronext, il principale mercato finanziario nell’Eurozona, ha dato il via all’indice di borsa MIB ESG che è il primo indice ESG dedicato alle blue-chip italiane (le società con la maggiore capitalizzazione) con l’obiettivo di evidenziare quelle con le migliori prestazioni e quindi con un più alto punteggio (rating ESG). Tale punteggio viene assegnato sulla base di 38 criteri suddivisi in 6 aree principali legate alle responsabilità ambientali, sociali e di governance delle aziende; in particolare ad ogni azienda viene assegnato un punteggio da 1 a 100 che è rivisto ogni tre mesi.

 

Sono sempre più frequenti gli annunci di banche e altre istituzioni finanziarie che invitano a investire in maniera responsabile e scegliere di supportare imprese con alti rating ESG. Amundi, società di gestione del risparmio, ha creato un mini-sito in cui espone il suo piano triennale per diventare 100% ESG e le azioni intraprese per far sì che tutti i loro fondi di investimento abbiano alti rating ESG senza sacrificare i rendimenti finanziari degli stessi. Le due cose non si escludono: come rivela uno studio di Amundi gli investitori che indirizzano i propri risparmi in fondi ESG ottengono rendimenti più alti; la stessa informazione la troviamo in un articolo de il Sole 24 Ore che riporta come l’andamento dei titoli in borsa di società con rating ESG più alto sia maggiormente favorevole, considerando il medio-lungo termine.

 

Il problema risiede piuttosto nella corretta valutazione dell’effettivo rispetto dei criteri ESG da parte delle società, soprattutto dal punto di vista ambientale per via di comunicazioni scorrette ad esempio, che non corrispondono a impegni reali di riduzione dell’inquinamento. Un recente report dell’OCSE inoltre analizza le pratiche di mercato  e i principali problemi di investimenti ESG e transizione climatica, fornendo alcune soluzioni. I problemi evidenziati riguardano la scarsa comparabilità attuale dei diversi sistemi di rating ESG e la qualità dei dati utilizzati per le decisioni di investimento, risolvibile mediante un intervento più ampio e incisivo delle autorità regolatrici; il disallineamento tra il criterio ambientale dei rating ESG e la transizione ecologica, questione che richiede una maggior trasparenza e un maggior dettaglio dei punteggi usati per i rating ESG; infine il report indica la necessità di <<rafforzare l’integrazione dei rischi e delle opportunità della transizione climatica in strutture di mercato e prodotti in modo che migliori l’efficienza del mercato per supportare un’ordinata transizione a basse emissioni di carbonio>>.

È urgente la collaborazione tra paesi e la definizione di precise pratiche comuni per permettere una reale transizione verso la sostenibilità e permettere a tutti di collaborare, perché ognuno con le proprie scelte può fare la differenza.

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Economia, StartUp e Fintech

La comunicazione della BCE oggi tra vignette e post su Instagram

“I banchieri centrali sono conosciuti per il loro linguaggio, che una persona media fatica a comprendere. Spesso viene usato intenzionalmente.”

 

Inizia così una domanda provocatoria di David Rubenstein posta all’attuale presidente della BCE Christine Lagarde durante una recente intervista del David Rubenstein Show.

 

“Lei invece utilizza un linguaggio che sembrerebbe tutti riescano a comprendere, molto semplice e avanti. Non dovrebbe essere una sorta di norma, rendere ciò che comunica comprensibile al cittadino medio?” prosegue Rubenstein. Affermazione facilmente condivisibile se si guarda una delle conferenze stampa della BCE di dieci anni fa, ricca di tecnicismi e difficile da seguire per via della voce dell’interprete inglese che si sovrappone alla voce francese del presidente della BCE di allora. “Sì David, credo sia estremamente importante che le persone comprendano quello che facciamo. Ha a che fare molto con la fiducia: se qualcuno parla con te in un linguaggio completamente incomprensibile, come fai a fidarti? Per me è stato molto importante concordare con il Consiglio Direttivo che avremmo comunicato in una maniera più chiara e semplice.”

 

La BCE ha da poco rivisto il suo linguaggio e tra le strategie vi è quella di utilizzare brevi frasi nelle dichiarazioni sulle decisioni di politica monetaria, rilasciate ogni sei settimane dopo la riunione del Consiglio Direttivo, così che siano comprensibili anche dai meno esperti. Non solo alla BCE, ma anche Jerome Powell della Federal Reserve americana ha lo stesso obiettivo di chiarezza della comunicazione.

 

La comunicazione, una chiara e incisiva comunicazione, è estremamente importante e imprescindibile in molti campi. Per la Banca Centrale Europea è un vero e proprio strumento a disposizione del banchiere centrale per raggiungere determinati obiettivi; fa parte degli interventi cosiddetti non convenzionali tra cui rientrano l’alleggerimento quantitativo (più noto come quantitative easing), il credit easing e appunto la forward policy guidance. Quest’ultima permette alla BCE, mediante i suoi annunci, di condizionare le aspettative dei mercati sui futuri livelli dei tassi di interesse al fine di raggiungere dati obiettivi macroeconomici. L’ex presidente della BCE e attuale presidente del consiglio Mario Draghi fu il primo a utilizzare questo tipo di annunci e ad invitare i colleghi all’utilizzo. Volendo utilizzare i tecnicismi dei banchieri centrali, i loro annunci vengono anche indicati come annunci “delfici” quando sono più impliciti e “odisseici” quando al contrario sono espliciti. Per far sì che le strategie risultino efficaci una Banca centrale deve essere innanzitutto credibiletrasparente, le persone devono riporre fiducia ed essere sicure che la banca metterà in pratica ciò che comunica di fare. Le comunicazioni dei banchieri centrali influenzano i comportamenti e creano aspettative nei mercati che hanno importanti ripercussioni sull’economia reale.

 

Per rendere dunque il suo linguaggio meno ostico e più vicino al panorama comunicativo odierno la BCE ha deciso di utilizzare termini semplici, frasi brevi e maggiormente comprensibili, ed ha recentemente iniziato a comunicare le proprie decisioni di politica monetaria e a pubblicare contenuti informativi nella forma di post su Instagram e LinkedIn affiancati da grafiche. Dopotutto le decisioni hanno conseguenze sulla vita di tutti i giorni, sul prezzo del mutuo in termini di tasso di interesse ad esempio, ed è importante che vengano comprese.

 

Di seguito una delle vignette con cui ha tentato di spiegare il nuovo obiettivo di inflazione per l’area Euro del 2% nel medio termine per cui un’inflazione troppo bassa (deflazione) non è desiderabile quanto un’inflazione troppo alta:

comunicazione bce
Fonte: sito BCE https://www.ecb.europa.eu

Oltre a comunicare la BCE ha affermato di voler interagire con i cittadini e a tal fine ha messo a disposizione dei contatti sul suo sito ufficiale: è possibile mandare una mail, una lettera o telefonare in apposite fasce orarie per porre domande, dare suggerimenti o commenti riguardanti l’attività della BCE. Ricevere feedback, capire le aspettative delle persone e le loro preoccupazioni sul futuro può aiutare la BCE a condurre la politica monetaria in maniera più efficiente ma non solo, il coinvolgimento dei cittadini può far meglio comprendere ciò che fa la BCE e accrescere la fiducia nell’Eurosistema.

 

Nel sito della BCE è presente inoltre la sezione “Facciamo chiarezza” dove è possibile trovare risposte a molti dubbi tra infografiche e video di un minuto tra cui il video “cos’è la vigilanza bancaria europea” o “cosa rappresenta la firma sulle banconote”.

 

Per i più curiosi qui l’ultimo paper del consulente della BCE Gabriel Glöckler intitolato “Clear, consistent and engaging: ECB monetary policy communication in a changing world” (chiara, coerente e coinvolgente: la comunicazione sulla politica monetaria della BCE in un mondo in cambiamento).

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Economia, StartUp e Fintech

Intervista a Federico Masi, co-fondatore della start up FinTech FLOWPAY

Il pagamento delle fatture in ritardo è un’abitudine molto diffusa a livello nazionale e non solo. I pagamenti in ritardo si trasformano in costi che non riguardano solo le imprese ma si trasferiscono al settore bancario per via dei rapporti che ci sono tra imprese e banche. Flowpay è una start up che nasce con l’obiettivo di porre rimedio a questo problema automatizzando il pagamento delle fatture elettroniche con l’uso dell’open banking, facilitando il rapporto tra le controparti.

 

Come è nata Flowpay?

 

Flowpay nasce a ottobre 2019 dall’incontro tra me, che venivo dal mondo start up e conoscevo molto bene l’integrazione bancaria e i pagamenti, Edoardo Tommasi, Lorenzo Rossi e Tiziano Pacciani di Banco Digitale che si occupavano di soluzioni blockchain e DLT. Ci siamo trovati a una fiera di matching business to business organizzata da Banca Intesa. Io avevo la necessità di creare un metodo di riscossione che rendesse più certi gli incassi di fatture B2B.

 

Questa necessità è sorta in seguito a una tua esperienza diretta?

 

Sì ed oltre alla mia esperienza studiando il mercato di riferimento ho potuto apprendere che, attualmente, il 40% delle fatture che sono in pagamento scadono senza essere pagate. In Italia il problema è particolarmente rilevante perché da una parte è quasi normalizzato il pagamento delle fatture in ritardo e la presenza di molte PMI si traduce in un fabbisogno di liquidità più urgente dal momento che le piccole imprese hanno meno capacità a finanziarsi; tutto ciò crea un problema notevole per l’economia. Inizialmente l’idea che abbiamo avuto era creare una fattura programmabile come se fosse uno smart contract, ed è da qui che nasce Flowpay che successivamente si evolve in un istituto di pagamento. Siamo la prima start up ad essere autorizzata dalla Banca d’Italia a operare come PISP e AISP, l’autorizzazione è giunta a febbraio.

 

Cosa sono queste due tecnologie?

 

La normativa sui pagamenti europei ha introdotto una nuova organizzazione chiamata TPP, third party providers. Alla base c’è un soggetto che si interpone tra banche, o altri operatori finanziari tradizionali, e l’utente, che è autorizzato ad effettuare alcune operazioni attraverso la tecnologia o l’interfaccia offerta dalla terza parte, ossia permettere di mediare le operazioni di informazione (visualizzazione degli estratti conto o di pagamenti) da un utente ad un certo numero di banche, accorciando così la distanza finanziaria tra utente e banca. Le banche, a loro volta, sono obbligate ad esporre questi servizi via API, permettendo in questo modo a terze parti come Flowpay di poter visualizzare tutti i conti di un cliente operando per conto suo, rendendo più comoda la gestione di diversi conti e i pagamenti. Dato che il problema su cui ci siamo concentrati è l’incasso delle fatture, Flowpay utilizza un sistema, il primo di questo tipo, di request-to-pay open banking; dunque, un’azienda che deve ricevere un pagamento può condividere un link con la fattura che deve essere pagata dal cliente che a sua volta può procedere al pagamento con approvazione tramite OTP (One time password). Il pagamento può essere istantaneo, oppure creato oggi per domani con bonifico ordinario, o ancora ordinato oggi per un pagamento a 30 giorni. La nostra value proposition è questa; il consenso al pagamento viene inizializzato oggi dal cliente che deve pagare il fornitore anche se il pagamento effettivo è differito (a 30 o 60 giorni), Flowpay fa da fluidificante della relazione commerciale.

 

Così il recupero crediti è più agile?

 

Flowpay mitiga il rischio di dover dedicare tempo eccessivo al recupero crediti. Chi si occupa di recupero crediti può integrare la nostra API per avere un sistema di informazione maggiore perché l’azienda che implementa il nostro sistema può inviare un link al cliente e chiedere di essere pagata attraverso questo link in uno step, senza dover perdere tempo nel recuperare l’informazione della fattura, il destinatario del pagamento, l’IBAN.

 

Come è accessibile il servizio?

 

Il servizio è offerto tramite una piattaforma integrabile via API quindi è rivolta a molti soggetti come chi si occupa di commercio B2B, chi si occupa di Invoice Trading, finanza alternativa come factoring/reverse factoring o instant lending, chi si occupa di recupero crediti, ma offriamo anche una interfaccia utente per le piccole e micro realtà. Per questo abbiamo integrato i gestionali o i provider di fatturazione elettronica come fattura in cloud, Aruba e MyFoglio.

 

Quali sono i costi?

 

L’iscrizione a Flowpay è gratuita. I pagamenti sono anch’essi gratuiti mentre sugli incassi richiediamo lo 0,03%. La concorrenza, non Open Banking, ha prezzi molto più alti se pensiamo alle commissioni applicate da Stripe, PayPal.

 

Avete pensato a soluzioni per i crediti delle imprese verso la Pubblica Amministrazione?

 

La PA non paga con bonifico ma con mandato, ricorrendo ad una procedura autorizzativa per cui il dirigente preposto alla tesoreria all’interno di un ente pubblico dà mandato alla banca tesoriera di pagare. Allo stato attuale la nostra soluzione non è applicabile. Ho parlato con un hedge fund che ha svolto diverse operazioni su crediti scaduti o crediti in bonis di lungo termine e per loro il fatto che la PA paghi molto in ritardo non è altro che un vantaggio, perché riescono a raccogliere una massa di crediti dello Stato che sono sicuramente esigibili, anche se molto in ritardo, ma ciò crea una situazione molto sfavorevole per le imprese. Stiamo parlando con soggetti istituzionali per trovare una soluzione per le fatture verso la PA.

Ho letto che offrite anche un servizio di credit scoring?

Lo implementeremo in futuro, abbiamo ancora bisogno di dati per istruire con Machine Learning il nostro motore di credit scoring. In futuro, avendo indicazione di ogni soggetto circa le sue attività commerciali, attive e passive, noi riusciremo a mappare e dedurre quali saranno i comportamenti di pagamento dei vari soggetti che appartengono alla rete del nostro utente. L’obiettivo è offrire un payment scoring delle aziende per consigliare ai nostri utenti quali rapporti sono più profittevoli, fino ad arrivare a predire quando conviene ai nostri utenti chiedere l’incasso in base al comportamento passato del cliente/fornitore. Questo permetterà di pianificare e prendere migliori decisioni di allocazione finanziaria di breve termine.

 

Quale tecnologia utilizza Flowpay?

 

Flowpay nasce come una rete distribuita, ossia con la possibilità di installare nodi di dati all’interno di un certo numero di istituti finanziari, e non per creare una rete interbancaria, perché i clienti, di fatto, rimangono clienti diretti delle banche, per poi condividere questo patrimonio informativo con tutte le banche che avessero aderito e dare quindi credibilità e autorevolezza alla rete Flowpay. Questo primo passo con le banche non è andato come sperato perché le banche temono che possiamo sottrarre loro clienti, timore non fondato perché ci appoggiamo alle banche per il nostro lavoro, non ci occuperemo mai di raccolta del risparmio ma anzi la nostra collaborazione può portare ai nostri partner risultati più proficui e nuovi clienti che sono alla ricerca di servizi più efficienti. Si iniziano però a vedere alcuni passi positivi verso la nascita di alcune partnership.

 

Che tipo di difficoltà avete riscontrato dalla vostra nascita ad oggi? Avete ricevuto supporto dallo Stato se è stato richiesto?

 

Per adesso non abbiamo ricevuto aiuti dallo Stato ad eccezione del supporto avuto da Banca D’Italia che ha compreso molto bene e ci ha aiutato a creare un Unicum nel panorama FinTech italiano. Diciamo piuttosto che abbiamo scontato, e stiamo scontando, il prezzo di aver creato la nostra iniziativa in Italia, che nonostante diversi proclami mi sentirei di dire che non è il posto giusto per aprire una startup. Per diversi motivi:

 

  1. Il livello di richieste, soprattutto di Compliance Normativa, in Italia è forse il più alto di Europa ed in un contesto di Single Europe Payment Area (SEPA) vede le aziende italiane soccombere, per questioni di adeguamenti normativi, alla competizione con operatori esteri che possono operare in tutta Europa, compresa l’Italia, con un quadro normativo più lasso;
  2. Non esistono strumenti di capitale (equity o debito agevolato) adeguati a realtà come la nostra che devono competere da subito almeno su base europea. I fondi di Venture Capital con cui abbiamo parlato sono in gran parte esteri e tutti hanno storto la bocca quando hanno compreso che eravamo italiani e chiesto anche esplicitamente di rivedere la localizzazione della società su altri territori;
  3. Gli incumbent (banche e altri attori istituzionali) invece di aprirsi all’Open Innovation sono restii alla collaborazione anche perché non esistono meccanismi di incentivo all’innovazione.

Speriamo che questo secondo tentativo di finanziamento a Invitalia possa dare esito positivo, così da poter dire che lo Stato ci ha aiutato.

 

Un consiglio per i giovani ragazzi che vorrebbero avviare una loro attività?

 

  1. Mio malgrado: non fatelo in Italia;
  2. Studiate bene il mercato prima di fare qualsiasi cosa, studiate la competizione e trovate qualche “sponsor” o “Early adopter” prima di partire a fare;
  3. Chiunque sia disposto a finanziare una start up non ha né voglia né tempo di comprendere nei dettagli il tuo business, deve vedere che tu lo sai fare, quindi contratti e fatturato.
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Economia, StartUp e Fintech

Blockchain, definizione e riflessione durante il Web Marketing Festival

Durante la prima giornata del Web Marketing Festival, in una sala dedicata si è parlato di Blockchain. Gli ospiti che hanno affrontato l’argomento sono stati, in ordine, Giacomo Vella, dell’Osservatorio del Politecnico di Milano, e Massimo Chiriatti, di IBM Italia.

Il primo dei due speaker ha fornito una panoramica dell’argomento trattato: definizione delle tecnologie blockchain e distributed ledger, le tipologie di applicazioni che possono essere realizzate con queste tecnologie, visione su quelli che sono i trend e i progetti sviluppati in ambito aziendale usando queste tecnologie a livello globale.

Il secondo speaker invece ha condotto una riflessione sul concetto di fiducia, ponendo l’attenzione sulle dinamiche tra l’uomo e la macchina.

 

Blockchain e Distributed Ledger: cosa sono?

Giacomo Vella ha illustrato come, partendo da un ecosistema di vari attori/settori che vogliono interagire tra di loro e scambiarsi informazioni, solitamente ad oggi la soluzione più diffusa consiste nel fare riferimento ad una “single source of truth”, un attore centralizzato che faccia da connettore per raccogliere le informazioni per poi scambiarle tra i vari attori. L’attore centralizzato però non è sempre individuabile all’interno dell’ecosistema. In questo caso si fa riferimento ai Distributed Ledger, una famiglia di tecnologie al cui interno si trovano le blockchain, che vanno a creare il concetto di “common source of truth”, una visione della realtà tra diversi attori che vogliono scambiarsi informazioni che non prevede la presenza di un intermediario.

Vella ha posto l’accento sul fatto che, quando si parla di blockchain, si stanno considerando due grandi temi: le piattaforme blockchain, cioè le strutture abilitanti delle applicazioni che possono essere create con questa tecnologia, e le applicazioni che possono essere costruite on top a queste piattaforme.

Successivamente ha esposto le caratteristiche principali della blockchain: network di attori disintermediati che si scambiano informazioni secondo determinate regole, algoritmi crittografici che consentono a tutti gli attori di avere la stessa visione del registro, senza la necessità di mettersi d’accordo con un attore centrale.

 

Ambiti di applicazione

Gli ambiti di applicazione descritti da Giacomo Vella sono divisi in cinque macro strumenti, utilizzati ed abilitati da queste tecnologie blockchain: criptovalute, timestamping, smart contract, token e DApp.

Le criptovalute, la prima applicazione in ordine temporale, possiedono anche un significato molto importante, afferma Vella, in quanto spesso permettono alle piattaforme blockchain di funzionare. Il mercato delle criptovalute risulta essere in costante evoluzione con un valore attuale di mille miliardi di dollari.

La seconda applicazione, il timestamping, consiste nell’utilizzo del registro alla base di una piattaforma blockchain per inserirvi informazioni in grado di certificare la data di un documento, in maniera immutabile e trasparente. In questo discorso, uno degli strumenti più interessanti con il potenziale più alto è rappresentato dagli smart contract, codice informatico registrato in una blockchain la cui particolarità risiede nel fatto che possono essere eseguiti all’interno della blockchain stessa, permettendo di andare a creare delle istruzioni eseguibili automaticamente in caso di determinate condizioni. Oltretutto, il codice attivato sulla blockchain non è più modificabile, è garantito e non è arrestabile.

Tramite gli smart contract è possibile la creazione di token, asset digitali simili alle criptovalute ma con delle differenze, in quanto possono rappresentare diverse tipologie di asset digitali (beni digitali e/o fisici o addirittura dei diritti) e possono essere di tante tipologie. Ad oggi, i token sono tornati alla ribalta con tutto il mondo degli NFT, asset digitali unici non interscambiabili, creati per il loro meccanismo di unicità che sfruttano le caratteristiche della blockchain per generare questa non replicabilità.

Oltre a rappresentare il possesso in maniera univoca di un asset digitale, un’altra caratteristica degli NFT è quella di poter essere scambiati e rivenduti su dei marketplace.

Un’altra delle applicazioni della blockchain, e un modo per sfruttare le potenzialità della programmabilità e degli smart contract, è quella delle Decentralized Application (DApp). La possibilità di andare a programmare degli smart contract più o meno complessi per andare a creare delle vere e proprie applicazioni simili a quelle tradizionali ma che si appoggiano alla blockchain, interagendo sulle transazioni della blockchain stessa, garantendo, in questo modo, una serie di proprietà molto interessanti: sono incensurabili, codice open source, interoperabilità e sono globalmente accessibili.

In termini di distribuzione, delle prime 100 DApps utilizzate ad oggi, la maggior parte interessano il settore DeFi (66%), seguito dal settore del gaming (20%), marketplace di NFT (6%), gambling (5%) e social network (3%). Rappresenta un mondo in grosso fermento.

 

Trend ed evoluzione

La blockchain, spiega Vella, nei primi anni era identificata solo come una tecnologia per lo scambio di valore, con il passare del tempo sono stati introdotti gli smart contract, la possibilità di dare dei token, le DApp. Adesso sta diventando una infrastruttura tecnologica che abilita la creazione di tante applicazioni diverse.

Le ricerche svolte dall’Osservatorio dal 2016 fino alla fine del 2020 hanno interessato più di 1800 casi in tutto il mondo, per comprendere quali applicazioni vengono fatte dalle aziende, e hanno evidenziato diversi trend.

Nel 2020 si è verificato un rallentamento dell’hype perché negli anni precedenti è passato il messaggio della blockchain come la tecnologia che avrebbe risolto tutti i problemi del mondo. In realtà si è visto lo sviluppo di progetti concreti a livello operativo, quindi una riduzione progressiva degli annunci, soprattutto quelli di marketing. Se ci concentriamo sui progetti concreti vediamo una crescita sia di sperimentazione ma soprattutto di progetti operativi, da parte sia delle aziende che delle PA.

Riguardo i settori di applicazione, il finanziario con l’80% risulta essere il più attivo ed è in forte crescita. Aspetto interessante in questo caso è il fatto che inizialmente la blockchain ha rappresentato una minaccia, adesso invece rappresenta un’opportunità.

Gli altri due settori in termini di diffusione sono quello governativo (18%), riguardo alle PA (trasparenza e sicurezza), e l’Agrifood (7%). In generale comunque si rileva il fatto che tanti settori si stanno affacciando nell’utilizzo di questa tecnologia.

Se guardiamo alla diffusione del mondo, l’Asia ne fa da padrone ma l’Europa risulta essere al secondo posto. L’ecosistema, e le competenze sviluppate, risultano essere molto forti su quelle che sono queste tecnologie. L’Italia è posizionata tra le top 10, presenta una buona conoscenza di queste tecnologie, anche in termini di competenze. Gli attori che implementano la blockchain sono principalmente le grandi aziende però, in maniera lenta, si stanno avvicinando a questa tecnologia anche le PMI.

 

Tra fiducia e storia

La fiducia comporta in sé sempre un rischio”, afferma Massimo Chiriatti: a causa del Covid siamo sempre più distanti l’uno dall’altro e, dal punto di vista del tempo, le interazioni sono più rapide e si ha poco tempo per conoscersi.

Nel passato c’era il baratto, ma oggi quando si fa una transazione diretta, ci si scambia un oggetto. In questo senso, la transazione ha delle caratteristiche: è anonima, diretta, immediata e irreversibile.

Il problema di queste transazioni risiede nel fatto che è richiesta la prossimità fisica.

Se ci si sposta sul sistema finanziario, si osserva il fatto che è stato inventato anche per permettere di fare transazioni da remoto, risolvendo il problema della prossimità fisica. Quando però si aggiunge un intermediario, si modifica la natura della transazione stessa. Non è più anonima (serve l’identificazione) e si hanno tempi e costi.

Satoshi Nakamoto ha inventato una rete per attuare transazioni remote e globali. Rappresenta un nuovo sistema per fare transazioni perché nei sistemi precedenti, baratto e moneta, era richiesto il “trust”. Nel momento in cui viene meno questo concetto, ci si avvale del contratto: formalizzazione, terza parte, uno stato, un tribunale che possa sanzionare il contraente nel caso in cui lui non abbia rispettato i termini e le clausole contrattuali.

Se non voglio ricorrere alla fiducia o al contratto sociale, posso usare un altro sistema per fare transazioni, la blockchain, che, a detta di Chiriatti, non sostituisce i modelli precedenti ma potrebbe integrarli. La questione, afferma, è anche a livello filosofico: cosa succede quando mettiamo tra di noi una macchina?

Si va a creare una gerarchizzazione dei rapporti: è la macchina che dice a noi che abbiamo raggiunto un determinato consenso.

Alla luce di questo ragionamento, Chiriatti ha fornito anche una sua definizione di blockchain, utilizzata per comprendere se, in termini di confronto, si intende la stessa cosa: registrazione permanente del consenso raggiunto sullo stato di un asset.

La sua riflessione verte sul fatto che, quando si parla di blockchain, si intendono diritti individuali che la collettività riconosce ma, in realtà, il riconoscimento è dato da un oggetto, una macchina, una rete. Avviene, secondo Chiriatti, un passaggio dalle scienze sociali a quelle naturali, ossia quel dominio di “scienze dure” in grado di attribuire il possesso o meno di una risorsa: “Il punto allora è che la blockchain sembra che disintermedi ma, in realtà, sembra che disintermedia i centri di potere ma di sicuro intermedia le relazioni di fiducia tra le persone, aspetto questo da non sottovalutare”.

A conclusione del suo intervento, Chiriatti si è concentrato sui due modelli di blockchain: pubbliche e private.

Le prime legano insieme l’aspetto tecnologico aggiungendo un particolare economico per creare quello che viene ritenuto un contratto sociale. Si parla di contratto sociale perché si sta trattando di fiducia nelle persone e Satoshi ha proposto un metodo per scambiare valore tra le persone, evitare che altri possano confiscare il valore all’interno del portafoglio della persona, aspetto, questo, che va a minare il concetto stesso di fiducia. L’altro punto riguarda l’impossibilità di inflazione la base monetaria perché scritta nell’algoritmo, quindi ci si fida di un “sistema algoritmo” che ci garantisce questo stato di cose.

D’altro canto, nel caso del secondo modello di blockchain, quelle private, dove la fiducia è massima verso l’interno e nulla nei confronti dell’esterno, quando si possiedono dei valori nel proprio portafoglio, quando non si ha fiducia in sé stessi e si perdono le chiavi, si crea un problema irreversibile. Stessa cosa nel caso di furto. Il terzo rischio è rappresentato dall’eredità. Il tema della fiducia legato alla blockchain va affrontato e non sottovalutato, per evitare che una macchina “ci scomunichi”, ponendoci sotto la macchina.

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Economia, StartUp e Fintech

Storie di Brand: quattro aziende da scoprire

Quando si parla di Brand si pensa immediatamente alla traduzione letterale italiana che corrisponde al marchio o alla marca.

Oggi il Brand non è più solamente un segno distintivo che identifica l’insieme dei prodotti e servizi venduti dall’azienda, ma rappresenta sempre di più una cosa a sé stante in grado di condizionare le vite delle persone che vi entrano in contatto.

Il cliente non sceglie più un Brand semplicemente per il prodotto o servizio che offre ma anche per la sua storia, ed è quindi interessante capire i meccanismi e le strategie che sono state adottate nel corso degli anni da aziende in contesti e ambiti differenti che le hanno portate in una direzione sempre più vicina e attenta ai cambiamenti della società.

I Brand si evolvono continuamente in relazione al cambiamento delle persone con cui interagiscono.

 

Punk Marketing Manifesto di WeRoad con Fabio Bin

Punk e marketing? Cosa c’entrano l’uno con l’altro?

Lo abbiamo scoperto dallo speaker Fabio Bin, Chief Digital & Marketing Officer di WeRoad, una delle aziende più conosciute e di successo in Italia nell’ambito dell’organizzazione di viaggi ed esperienze in tutto il mondo.

Fabio Bin, WeRoad

Gli elementi che compongono una strategia di comunicazione, secondo Fabio, sono essenzialmente tre: le risorse, spesso scarse per cui è consigliato “fare con quello che si ha”, successivamente le ipotesi che necessitano sempre di essere validate, quindi bisogna prima fare per poter poi sapere, e infine il contesto che è in continua mutazione, quindi se non si è flessibili si rischia in breve tempo di non restare al passo con gli eventi.

Per Fabio è inoltre molto importante un motto che rappresenta l’approccio con il quale sviluppa la strategia di marketing della sua azienda, ovvero: “done is better than perfect”, fatto è meglio di perfetto.

Durante il suo intervento, Fabio ha spiegato il parallelismo che ha individuato e che vede coinvolti il punk e la strategia di marketing adottata per la comunicazione di WeRoad: entrambi sono grezzi, ovvero diretti, brutali, capaci di innovare “a colpo di martello”, non vogliono piacere a tutti, sono genuini e simbolo di una Brand personality molto forte.

Per metterli in pratica è fondamentale adattarsi e utilizzare i mezzi a propria disposizione e fare da soli quello che serve per raggiungere l’obiettivo.

Infine, entrambi sono pura azione, veloci, non sono pensiero ma creazione, ed energia.

Il punk marketing manifesto dal quale l’incontro prende nome, è costituito da una serie di punti che insieme definiscono la strategia di marketing adottata da WeRoad. Gli step da seguire sono: non fare pubblicità ma contenuti, non pensare a vendere, “fare il Brand” e tirare fuori la propria voce in qualsiasi occasione, prendere posizione, puntare ad avere fan e non clienti, dire no ad ogni cosa che potrebbe rallentare, non preoccuparsi del budget perché esso non serve!

Tra tutti i punti fondamentali raccontati da Fabio, ce n’è uno particolare sul quale è importante soffermarsi: “il tuo Brand non è tuo”; infatti, oggi il Brand non appartiene più all’azienda, ma alla community, a coloro che ci lavorano e hanno una relazione con esso, perché ormai ha proprio una sua personalità. Per citare Fabio, “quando il Brand diventa della community, diventa vivo”.

 

Educazione sessuale, non torniamo alla normalità con Nicolò Scala di Durex Italia

Durex è un Brand con una reputazione molto forte, può considerarsi il leader di mercato e sinonimo della sua categoria, e da anni impegna nella creazione e divulgazione di solidi programmi educazionali.

Nicolò Scala, marketing manager di Durex Italia, ci ha raccontato l’aspetto fondamentale che distingue la comunicazione di Durex da quella dei suoi competitor sul mercato, ovvero il dualismo che lo rende sia iconico che ironico, che lo porta a presentarsi ai clienti e alla community con un tone of voce che si è costruito negli anni, che possiede un limite molto sottile tra volgarità e banalità, nelle quali però riesce a non cadere mai.

Nicolò Scala, Durex Italia

Per riuscire a contrastare la scarsa informazione e la presenza di taboo che riguardano ancora l’argomento sessualità, Durex è convinto che sia necessario incrementare la formazione o semplicemente iniziare a parlarne, proprio perché, riprendendo le parole di Nicolò, “tacere significa comunicare e radicare che di sesso non si deve parlare”. Nasce quindi l’esigenza secondo il Brand di normalizzare l’argomento sessualità.

Per raggiungere ciò, Durex si è impegnata negli anni a costruire una comunicazione riconoscibile e originale attraverso delle strategie di marketing specifiche focalizzate su tre punti principali: il real time marketing, ovvero il “marketing in tempo reale” realizzato prendendo spunto da eventi di attualità non sempre programmati, l’inclusione e infine l’educazione e l’ironia come chiavi del successo.

Quando la comunicazione diventa efficace e le persone iniziano ad apprezzare veramente il Brand e diventare dei veri e propri “fan”, la fanbase interviene e difendere il Brand da opinioni negative, e questi rappresentano dei piccoli segnali che dimostrano come l’azienda abbia lavorato bene nel corso degli anni alla creazione del suo Brand.

Anche in tempo di lockdown, dopo alcune insicurezze legate al taglio dei costi dovuti alla crisi, tra cui quelli dedicati all’area marketing, si è deciso infine di non tagliare il budget e di sviluppare invece delle strategie per far sentire la propria presenza anche quando le vendite dei prodotti erano calate del 70%.

Da lì è partita una nuova campagna che ha avuto molto successo, dalla quale lo speech ha preso il suo nome, ovvero “non torniamo alla normalità” in quanto secondo Durex era ed è tutt’ora necessario un cambio di mentalità e concezione del sesso, ed è importante provare a costruire un messaggio che non sia solo del Brand, ma anche di salute pubblica.

“Parliamone di più tutti, ciascuno può contribuire positivamente” è il messaggio di un Brand che è andato oltre la sola vendita dei propri prodotti e che oggi si impone sul mercato anche per quello che ha da dire.

 

Barbie e l’evoluzione di un Brand con oltre 60 anni di storia da giocattolo a Role Model con Andrea Ziella

Tutti conoscono Barbie, la linea di bambole di plastica commercializzate dall’azienda Mattel, ma pochi sanno che questo giocattolo oltre ad aver compiuto oltre 60 anni di storia, oggi non è più considerato un semplice oggetto dedicato al divertimento dei bambini ma molto di più.

Andrea Ziella, Head of Marketing and Digital a Mattel Italia, ci ha raccontato attraverso diverse tappe i sessanta anni di storia della bambola spesso criticata ma che negli ultimi decenni ha subito un’importante evoluzione sotto diversi aspetti.

L’obiettivo principale di Ruth Handler, creatrice di Barbie, era che “attraverso Barbie le bambine potessero essere tutto ciò che desideravano. Barbie è sempre stata la prova che le donne avessero infinite possibilità”.

In questi decenni Barbie ha collezionato diverse professioni e culture, ed è stata inoltre musa ispiratrice per tantissimi stilisti, tra cui Dior e Givenchy.

Ma oggi qual è il purpose, ovvero lo scopo ultimo di Barbie? La risposta di Andrea Ziella è stata “ispirare il potenziale infinito che c’è in ogni bambina”.

Soprattutto in questi ultimi anni il Brand si è evoluto in maniera notevole: dal 2014, il focus su Barbie è iniziato a cambiare e a dedicarsi su cosa possedeva (what she owns), nel 2016, era importante ciò che era (what she is), infine dal 2018 è diventato cosa ispira alle persone (what she inspires).

Il concetto di diversità è altrettanto sempre più presente, in quanto oggi Barbie conta più di 35 tipi diversi di colori di pelle e più di 94 tipologie di capelli.

Che dire invece del corpo di Barbie? È sempre stato molto discusso e criticato soprattutto per il fatto che non fosse affatto inclusivo, motivo per il quale negli anni si è cercato di creare nuove “shapes”, corporature differenti, che ad oggi sono più di 9.

In seguito a questi numerosi cambiamenti, il Brand ha fatto rumore a livello internazionale, tanto che il Time ha dedicato una copertina proprio all’iconica Barbie. Questo fatto è particolarmente rilevante in quanto il Time non dedica spesso copertine del proprio magazine a dei Brand, a meno che, come in questo caso, valga la pena raccontare una determinata storia.

Oggi, le Barbie non sono più semplici giocattoli, ma delle Role Models con l’obiettivo di rappresentare un punto di riferimento per le bambine di tutto il mondo.

Nel caso dell’Italia, Barbie ha preso le sembianze di numerose donne in grado di ispirare le bambine, quali Samantha Cristoforetti, Elisa Toffoli, Rosanna Marziale e anche la più recente Estetista Cinica (con la quale Barbie ha inoltre realizzato lo scorso 8 marzo una campagna per ispirare le bambine e parlare di empowerment femminile).

Ecco perché oggi il Brand parla spesso anche di riduzione del dream gap project, ovvero ciò che separa le bambine dal loro vero potenziale.

Questo è uno dei casi in cui un Brand ha fatto un cambiamento radicale nel corso degli anni e oggi riscontra sempre più successo.

 

Comunicare in coerenza o anche come non dimenticare che il contesto è decisivo per la creatività con Danilo Crocetto di NeN

Spesso capita di vedere per alcune città dei manifesti interessanti e insoliti di un nuovo Brand chiamato NeN: messaggi che attirano l’attenzione e che sicuramente non passano inosservati.

Di cosa si occupa NeN? Danilo Crocetto, Marketing & Communication Manager, ci ha raccontato che NeN è un fornitore di luce ed energia.

Ciò che la distingue dagli altri competitor del settore è la sua strategia di comunicazione che le ha permesso di farsi conoscere maggiormente e di non passare inosservata.

L’energia di NeN crea empowerment, abilita a qualcosa di nuovo e non è assolutamente vista come elemento solamente a livello economico o solamente come elemento fondamentale che serve ogni giorno.

Un aspetto determinante che porta questa azienda a raggiungere i notevoli risultati in ambito marketing è il fatto che il suo team sia composto soprattutto da persone che arrivano da contesti quali marketing, comunicazione e digitale, che di conseguenza non sono esperte di come vendere energia ma di come renderla unica agli occhi dei clienti o potenziali clienti.

Danilo ha fatto degli esempi per poter far comprendere a pieno il loro modo di comunicare con gli utenti, dato che i messaggi creati da loro sono completamente diversi rispetto a quelli ai quali l’utente è normalmente abituato.

NeN pensa che in questo sia un mercato che abbia bisogno di una serie di elementi in grado di isolarlo dal contesto. Non bisogna raccontare un messaggio in maniera astratta ma cercare prima di tutto di immedesimarsi nella situazione in cui l’utente si trova, per poterlo comprendere e partire così da quella situazione per creare un’esperienza di comunicazione che sia coerente sia al messaggio che si vuole mandare sia al contesto del momento di fruizione.

L’utente medio è interessato al servizio, qualunque sia il fornitore, quindi le differenze del fornitore del servizio devono emergere a partire dall’esperienza e i contenuti che devono essere contestualizzati e in linea con quello che è il tone of voice e il modo di raccontare il mondo dell’energia.

Il linguaggio utilizzato è abbastanza ironico perché aiuta a staccarsi dall’idea comune e permette di far capire che non si sta parlando semplicemente di gas, ma di una azienda che è anche in grado di dare un ottimo servizio.

Queste testimonianze fornite da quattro professionisti rappresentanti di quattro aziende completamente diverse tra loro ci hanno dato modo di comprendere quanto sia fondamentale al giorno d’oggi distinguersi dai competitor e risultare unici agli occhi delle persone, e per farlo quale modo migliore di costruire e raccontare, attraverso una efficace strategia di comunicazione o altri strumenti di marketing, la propria storia?

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Economia, StartUp e Fintech

Come si sta trasformando il nostro modo di pagare?

Speciale #WMF

L’universo dei mezzi di pagamento è costellato da tantissimi strumenti che i cittadini e imprese possono scegliere per effettuare transazioni e gestire le proprie finanze: sono molte le nuove soluzioni nate negli ultimi anni per soddisfare le necessità di efficienza, velocità, sicurezza, trasparenza e lotta alle frodi.

La prima di un ciclo di conferenze sull’Economia dei Pagamenti fu organizzata dalle FED di Atlanta e di New York nel 2004 e inaugurò la nascita dei pagamenti come branca di studio di economia a sé stante.

Per una panoramica sulle innovazioni e i trend futuri il Web Marketing Festival ha accolto molti protagonisti e studiosi del settore dei pagamenti al Palacongressi di Rimini.
 

Primo giorno

Il 15 luglio Mariano Spalletti, Country Manager Italia di Qonto, e Stefano Schiavio, Head of Financial Parterships di Satispay, hanno tenuto l’intervento “Rivoluzione Fintech: la semplificazione digitale per lo small business”.

Mariano Spalletti ha ricordato i due problemi principali che ostacolano la digitalizzazione delle imprese in Italia ovvero un fattore culturale che porta le imprese stesse ad essere avverse all’innovazione digitale e al testare per prime nuove soluzioni e un fattore strutturale ossia un tessuto economico dove prevalgono piccole e medie imprese. Nonostante l’Italia parta da una posizione non favorevole rispetto alla media UE per quanto riguarda il livello di digitalizzazione delle imprese, l’ultimo periodo ha visto un rapido cambiamento verso un recupero. La digitalizzazione è un fattore di necessità e le imprese che la ignorano rischiano di perdere fatturato e clienti.

Stefano Schiavio ha citato invece il problema dei costi elevati che devono sostenere i commercianti e che li rendono restii ad accettare pagamenti elettronici e digitali, considerati un peso piuttosto che alleati in grado di fidelizzare i clienti. Le soluzioni proposte da Satispay consentono di gestire i pagamenti in maniera più efficiente e semplice abbattendo molti costi. L’abbattimento di alcune barriere all’innovazione permette dunque alle imprese di digitalizzare molti processi e i numeri dicono che la digitalizzazione degli strumenti di pagamento è in crescita. Il contante è oramai inefficiente, costoso e scomodo da utilizzare ma anche le carte di pagamento di plastica sono destinate a scomparire, così come le carte memorizzate sullo smartphone perché nonostante il supporto sia diverso rimangono le medesime procedure da seguire per effettuare una transazione così come i costi e le inefficienze. L’applicazione di Satispay è slegata da carte e permette di pagare a distanza mediante QR code.

La start up francese Qonto invece si rivolge alle imprese e tra i vari servizi che propone figurano carte virtuali, un’applicazione per gestire bonifici e addebiti nonché le spese del team e dipendenti senza ricorrere a note spese e ambisce in futuro a digitalizzare tutto il flusso di lavoro delle imprese.

Schiavio continua parlando del divario tra i piccoli rivenditori e i grandi marketplace come Amazon che si è ulteriormente allargato durante la quarantena dello scorso anno ma ciò ha portato alcune aziende a prendere la decisione di innovare. Satispay supporta gli imprenditori anche su questo lato in quanto la registrazione della propria attività sulla loro piattaforma permette di avere visibilità in modo gratuito e vi è la possibilità di creare così un canale digitale per comunicare i propri servizi ai clienti come la consegna a domicilio. Satispay nasce come azienda B2C ma ha stretto collaborazioni anche con varie banche affinché sia proposto il servizio ai loro clienti.

Il 15 luglio è intervenuto da remoto anche Demetrio Migliorati, Head of Innovation di Mediolanum, sull’argomento della moneta digitale delle banche centrali (ne avevamo parlato qui). Migliorati ha introdotto un aspetto di interesse: la programmabilità, in grado di rivoluzionare il concetto di moneta rendendo il denaro una piattaforma configurabile con logiche libere. La programmabilità della spendibilità permetterà di porre limiti ai pagamenti, ad esempio vietando la spendita di una somma di denaro ricevuta da un ente pubblico presso rivenditori con un certo codice Ateco.

Il 14 luglio 2021 l’Unione Europea ha dato il via all’indagine per un euro digitale che durerà 24 mesi. La maggior parte dei progetti di moneta digitale a livello mondiale così come molte nuove soluzioni di pagamento e autenticazione valutano l’utilizzo della tecnologia Distributed Ledger e Blockchain per l’implementazione.

Ospite dell’area Expo era anche Esendex, azienda con sede centrale a Nottingham e da qualche settimana presente anche in Italia: come ha detto il suo Head of Sales Carmine Scandale, Esendex offre una piattaforma cloud computing ed è il principale brand nell’area EMEA per le attività di comunicazione mobile di tipo B2B. Con questa piattaforma è possibile per le aziende inviare comunicazioni ai clienti per ingaggiarli e fidelizzarli, nonché inviare solleciti di pagamento che rende la riscossione dei debiti più rapida ed economica. La soluzione per i pagamenti prevede l’invio di un messaggio da parte dell’azienda ai clienti per richiedere il pagamento del debito attraverso l’accesso a un link annesso. Perché è stata scelta la modalità dell’sms? Una ricerca dell’osservatorio del Politecnico di Milano ha rilevato che il 93% delle persone che riceve un sms lo apre entro soli 3 minuti. Tra gli altri servizi offerti da Esendex ci sono soluzioni rivolte ai fornitori di utenze e ad operatori sanitari per migliorare i rapporti con i clienti e comunicare con loro in maniera efficiente.

Merita una menzione l’intervento di Sandro Vecchiarelli di Pomiager che ha parlato della tecnologia Self Sovereign Identity tramite la quale potremo comunicare la nostra identità sul web e nella vita reale in maniera più funzionale. In Europa è attualmente operativa una task force per il passaggio dalla tecnologia attuale eIDAS a quella ISS. Gli ambiti di applicazione della ISS sono numerosi: autenticazione, pagare su e-commerce e tenere un registro con tutte le ricevute digitali, accedere a servizi finanziari senza compilare lunghi moduli, contrastare l’antiriciclaggio, condividere solo le informazioni necessarie per accedere a servizi, richiedere un prestito dimostrando il nostro merito creditizio risultante dai dati del nostro profilo. I vantaggi sono molteplici e di grande portata se pensiamo che il credito potrebbe diventare più accessibile e l’identificazione delle persone più facile.
 

Secondo giorno

Il 16 luglio nello Start up District si sono tenuti i pitch di alcune start up operative in diversi ambiti tra cui finanza, salute, e-commerce, agritech & food.

Il primo pitch è stato della start up fintech Cibuspay: uno dei co-founder in 5 minuti ha spiegato il problema della complessità per le aziende nel pagare i pasti ai propri dipendenti e come loro lo hanno risolto. I fondatori di Cibuspay hanno un ristorante a Bolzano ed hanno ben presente i problemi di liquidità dei ristoranti derivanti dai pagamenti differiti delle fatture. Cibuspay è una soluzione completamente digitale grazie alla quale l’azienda assegna un budget ai propri collaboratori e questi ultimi possono pagare il loro pasto anche direttamente dal tavolo in maniera semplice e veloce. Il ristorante accetta il pagamento tramite ricezione di una notifica ed entro fine settimana riceve il pagamento, la burocrazia è azzerata facendo risparmiare tempo prezioso ai ristoratori.

Flywallet è un’altra start up fintech presentata dal suo founder Lorenzo Frollini che si propone di rendere i pagamenti più sicuri mediante un dispositivo indossabile che permette un’autenticazione biometrica risolvendo varie problematiche tra cui le frodi. Con questo dispositivo da polso è possibile anche accedere a molti altri servizi tra cui l’acquisto di biglietti per il trasporto pubblico avvicinando il wearable al tornello, conservare tutte le carte fedeltà e i badge, memorizzare i documenti di identità e grazie alle funzionalità Smart Health è possibile monitorare alcuni parametri vitali. Frollini conclude facendo notare che il mercato dei wearable è fortemente in crescita così come i dispositivi medici indossabili.

Infine, all’interno dell’iniziativa World Start up Fest si è tenuto l’evento dedicato alle scale up internazionali ScaleUp forFuture. Per il nostro settore di interesse hanno partecipato Sumup che vuole offrire prodotti facilmente accessibili anche dalle piccole attività e liberi professionisti come lettori di carte e soluzioni di riscossione da remoto; Revolut che è definita una super app finanziaria dai founder che hanno l’obiettivo di rafforzare la situazione finanziaria delle persone che si affidano a loro. Nel 2020 hanno allargato l’operatività includendo gli Stati Uniti e hanno ricevuto l’abilitazione all’open banking.

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Economia, StartUp e Fintech

L’intelligenza artificiale che unisce ricerca clinica e supporto del paziente in terapia: intervista ad Alessandro Monterosso di PatchAi

Agevolare il percorso dei pazienti sotto terapia e allo stesso tempo raccogliere dati utili alla ricerca clinica in maniera efficiente utilizzando un’applicazione semplice e intuitiva che sfrutta l’intelligenza artificiale puntando al coinvolgimento del paziente: questa è la missione di PatchAi una startup italiana fondata da Alessandro Monterosso, imprenditore, ex infermiere, Forbes under 30 e tech enthusiastic che ci ha raccontato meglio la sua storia, com’è giunto all’idea fino ad arrivare a quello che è oggi la sua startup di tech health.

 
Alessandro, partendo da te, ci racconteresti un po’ del tuo percorso professionale? Tra le cose che hai fatto ho visto spuntare anche un Forbes under 30 e una tappa nella Silicon Valley…

Nasco come infermiere pediatrico e negli anni ho portato avanti la mia formazione sia in ambito infermieristico e di ricerca che in ambito economico-manageriale. Dopo la triennale in Infermieristica a Padova mi sono specializzato in Ricerca Applicata all’Università di Trieste e ho iniziato a lavorare in corsia come infermiere di ricerca dove conducevo i famosi clinical trials per i test di nuovi farmaci da mettere in commercio con focus in oncologia e pediatria. Durante quegli anni ho lavorato anche come autore e redattore di manuali di infermieristica, ma sono sempre stato interessato all’uso della tecnologia in ambito sanitario, per questo decisi di mollare tutto e conseguire un master in Economia Sanitaria Internazionale presso l’Università Bocconi. Proprio in questa occasione ho conosciuto quelli che sarebbero poi diventati i co-fondatori di PatchAi. Subito dopo il master ho iniziato a lavorare per una casa farmaceutica nel campo del marketing centrato sul tipo di paziente donna in gravidanza. Da lì nasce la startup passando per vari percorsi di accelerazione sia in Italia che in Europa, ma soprattutto in Silicon Valley. Nel frattempo, sono stato nominato, giusto l’anno scorso per i miei trent’anni, tra i Forbes under 30 health care.

 
Arrivando proprio alla tua startup: cosa fa PatchAI, perché è davvero innovativa? Ci racconti un po’ la storia dietro la startup?

Quando lavoravo come infermiere di ricerca mi resi conto che la maggior parte della comunicazione tra il personale sanitario e i pazienti, specialmente tra una visita e l’altra una volta tornati a casa dall’ospedale, avveniva via fax oppure via mail o WhatsApp. Contemporaneamente mi accorsi che alcune case farmaceutiche adottavano delle soluzioni digitaliper la raccolta di dati molto importanti sulla salute paziente e di estremo valore riguardo l’efficacia dei farmaci; tuttavia queste soluzioni digitali erano un po’ “giurassiche”, i famosi PDTA di una volta, che servivano a ben poco dato che i pazienti tendevano a utilizzarli di rado e non riuscivano a riportare i dati tempestivamente e soprattutto desideravano comunque utilizzare WhatsApp per raccontare all’infermiere e avere un riscontro, in altre parole necessitavano di una naturale e comprensibile relazione terapeutica tra professionista sanitario e paziente. Partendo da questi presupposti, da nerd quale sono, cominciai a interessarmi alle tecnologie conversazionali come i chatbot, e mi chiedevo se fosse possibile trovare una soluzione che da un lato raccogliesse i dati nel modo migliore: in tempo reale e di qualità, ma che dall’altro lato potesse simulare la relazione terapeutica ed empatica tra infermiere e paziente: da lì il concetto della nostra startup. L’innovazione deriva proprio dal fatto di aver unito questo concetto di relazione terapeutica, proattività e coinvolgimento del paziente, con la raccolta dati, il tutto reso possibile da questo chatbot all’interno della nostra tecnologia, definita Co-PRO® technology. Con questo meccanismo andiamo a lavorare sui dati comportamentali dei pazienti, le loro preferenze e necessità per personalizzare in tempo reale l’applicazione ad ogni singolo utente in modo tale che rispecchi, guidi e migliori il percorso di ciascuno all’interno dei clinical trials. Il valore aggiunto è dato dall’insieme di, come abbiamo detto, personalizzazione, conversazione empatica e comprensione dell’engagement del paziente con il cosiddetto engagement score, questo dettaglio è fondamentale perché influisce tantissimo sull’aderenza alla terapia. Il punteggio si ottiene dalla compilazione di questionari e diari e arriva ai ricercatori per far sì che sappiano anticipatamente quello che può succedere al paziente in termini di aderenza durante lo studio clinico.

 
Il target sono i pazienti in terapia, i quali possono essere anche anziani, come avete fatto a risolvere il problema degli utenti senior con le nuove tecnologie?

Il nostro target indiretto, quello delle cause farmaceutiche, sono proprio persone over 50 e sin dall’inizio abbiamo incluso il punto di vista dei pazienti esperti, dei medici ma anche di coloro meno esperti; quindi il disegno della nostra soluzione, da come è stato ideato, è quanto più possibile semplice con l’assistente virtuale che riesce davvero a guidare l’utente e seguire alcune richieste al momento giusto e nel modo giusto. Seguendo le linee guida della buona user experience, l’applicazione risulta una sorta di WhatsApp e quindi estremamente semplice e intuitiva con delle risposte veloci che aiutano l’utente.  Abbiamo osservato che il prodotto, riguardo l’usabilità non presenta differenze significative tra l’utente 18enne e quello 60enne, il che è molto positivo dal nostro punto di vista perché le due fasce lo credono usabile allo stesso modo.

 
Riusciresti a spiegare a chi non è del settore quali sono le più grandi difficoltà che incontra la ricerca? In che modo l’app riesce a risolvere parte dei problemi?

Uno dei punti dolenti della ricerca è il tasso di abbandono, soprattutto quando si stanno studiando dei farmaci che servono a trattare patologie lunghe e complesse, con i pazienti stessi che hanno già provato diverse terapie che purtroppo non hanno funzionato e sono afflitti da patologie importanti che li pongono in una condizione molto particolare sia dal punto di vista fisico che psicologico, ecco allora che otteniamo l’elevato drop out rate: oltre il 30% dei pazienti esce dallo studio dopo 6 mesi. Questo è comprensibile se si pensa che un paziente, oltre al già gravoso problema di salute, deve compilare un questionario di una decina di domande ogni giorno, assumere tre o quattro medicinali alla volta ognuno in modo diverso: si crea un immenso patient burden come viene chiamato in gergo e la persona comincia a perdere di vista il trattamento e non seguire più quelle regole strette che, le prove in modo particolare, impongono. Come si può immaginare, i risultati sono: aumento di costi e una gestione non ottimale del proprio stato di salute oltre che un report poco affidabile sulla terapia in sé. Un altro aspetto da considerare è, come accadeva soprattutto in passato, il fatto che i pazienti sottoposti a queste sperimentazioni si sentono trattati come cavie da laboratorio (basti pensare ai termini come “arruolamento” o “soggetti” spesso usati anche in questo settore). Noi abbiamo provato a fornire una soluzione a questi grandi problemi mettendo il paziente al centro e puntando sul suo coinvolgimento e sul fatto che debba ricevere un valore di ritorno e non solo l’obbligo di dover dare, il tutto adottando una soluzione digitale e risolvendo quindi anche il problema dei questionari su carta difficili da gestire. Se digitalizzarsi prima era un nice to have ora è un must e non solo per quanto riguarda i questionari, ma anche per la cura in sé e la pandemia ha accelerato ancora più questo cambiamento: basti pensare ad un report di Accenture secondo il quale 4 terapie su 5 sono state bloccate perché non era possibile portarle avanti poiché non utilizzando soluzioni digitali c’era ancora bisogno della carta e della presenza fisica. In tutto questo l’intelligenza artificiale fa presto a inserirsi, noi la utilizziamo per andare a lavorare, come dicevo prima, sui modelli che cercano di comprendere il comportamento degli utenti in merito all’aderenza al percorso diagnostico-terapeutico rispondendo in maniera automatica e semi automatica alle funzionalità dell’app.

 
Come hai fatto a trovare un buon team che ti supportasse e sapesse svolgere le mansioni più tecniche come AI, app development e UX design?

Quando si tratta di team e startup, uno degli aspetti fondamentali a cui abbiamo sempre pensato all’inizio è che non volevamo costruire una software house che progettasse dei prodotti da immettere e modificare continuamente secondo le richieste del mercato e del cliente che ce la commissionava. Abbiamo quindi pensato ad un prodotto unico che doveva essere portato avanti da delle “superstar” adesso chiamate patchers che sposassero la causa, la visione dell’azienda; soprattutto ad oggi, in un mercato in cui figure come UX designers, product manager o ingegneri informatici sono abbastanza richieste e trovando facilmente lavoro, si rischia di avere un alto turnover nel team; da subito abbiamo cercato solo persone che sposassero la nostra visione: migliorare la ricerca clinica con il focus sull’engagement del paziente e quindi lavorare ogni giorno sviluppando soluzioni smart con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita di queste persone e guardando all’esigenza degli stakeholder coinvolti.

 
Qual è per te la parte più bella, quella di cui vai più fiero del progetto e ciò che invece magari vorresti ancora migliorare o implementare?

La parte più bella ad oggi è quella di essere riuscito a rendere realtà ciò che era soltanto un’idea e aver costruito un team che è diventato una famiglia dove non ci reputiamo un’azienda tradizionale ma una startup super dinamica e giovane, dove ognuno ha interesse, oltre che professionale, anche personale nel costruire relazioni con gli altri membri che hanno tutti l’obiettivo comune di raggiungere la vision; questi due sono gli aspetti che mi gratificano di più. Nonostante io abbia mollato la mia carriera in prima linea, riuscire a supportare i pazienti in maniera diversa, ma sempre con qualcosa di concreto che dia un impatto molto più grande di quello che potevo avere io sul singolo paziente, è molto più motivante ed è grazie al team che siamo arrivati qui.

Come vediamo il futuro? Di sicuro roseo, vogliamo crescere arrivando a 100 dipendenti e riuscire a supportare oltre 50 clienti e oltre 100 clinical trials nei prossimi cinque anni, il che significa sostenere diverse migliaia di pazienti riuscendo realmente a migliorare, tutti assieme, il futuro della sanità rendendola quando più possibile smart, empatica e accessibile. Vogliamo diventare market leader a livello europeo dove vediamo che c’è una forte mancanza rispetto all’America a livello di soluzioni. Essendo pionieri del Co-PRO®, che è il nuovo modo conversazionale di raccogliere i dati rispetto a quello che veniva chiamato lo standard di mercato e-pro, mi piacerebbe vedere questa tecnologia adottata ad un livello sempre maggiore: utilizzata da migliaia di pazienti e case farmaceutiche.

 
Un’avventura da startupper che ti porti dietro o in generale un suggerimento che adesso daresti a chi vuole iniziare a fare impresa e innovare?

Continuare a perseverare sull’idea che va raccontata a più persone possibili, anche se è ancora molto presente la convinzione che qualcuno possa rubarci l’idea se la raccontiamo, posso affermare che non è così perché quello che conta maggiormente è l’execution: tutti abbiamo mille idee ogni giorno, ma tra l’idea e il concreto c’è un mondo, nessuno ti ruba l’idea dall’oggi al domani perché, come puoi immaginare, ci vogliono tanti soldi, persone e energie per riuscire a portarla almeno in fase di prototipazione. Il consiglio è dunque quello di perseverare, raccontare il più possibile e partecipare tanto alle competizioni tra startup, avere quanto più possibile un ritorno dagli stakeholders e riuscire a costruire un network. Un dettaglio di cui vado fiero è che abbiamo vinto oltre il 95% delle competizioni sia a livello nazionale che internazionale, ma la gratificazione di vincere i ticket, i crediti o i voucher non è la cosa in assoluto più importante, sono proprio le connessioni che si creano, è il rumore che fai entrando in contatto con persone brillanti che ti possono aiutare e con cui si può avere uno scambio alla pari che fanno la differenza. Quando partecipi alle competizioni trovi sempre giurie diverse che ti fanno mettere costantemente in discussione il modello di business, la struttura aziendale, il prodotto e questo ti arricchisce enormemente, perché lavorando continuamente alla tua idea sviluppi il “bias dei paraocchi” e quindi avere punti di vista sempre nuovi e diversi aiutano a definire l’idea stessa. Come puoi immaginare dalla concezione iniziale di PatchAi ad adesso è tutta un’altra cosa com’è normale che sia, le giurie sono lì apposta per instillarti