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Economia, StartUp e Fintech

Startup fintech e la rivoluzione dei pagamenti digitali: il futuro del denaro è senza contanti?

Il settore delle transazioni finanziarie ha subito una profonda trasformazione negli ultimi decenni, grazie all’introduzione di nuovi metodi di pagamento digitali che stanno progressivamente sostituendo i tradizionali pagamenti in contanti.

L’ascesa dei pagamenti digitali

Innovazioni come le carte di pagamento, i wallet elettronici, le criptovalute e la tecnologia blockchain hanno accelerato il passaggio dal denaro fisico ai pagamenti digitali. Queste modalità hanno ridefinito il sistema finanziario globale, rendendolo più efficiente, rapido, sicuro e accessibile. Tuttavia, emergono anche sfide come la mancanza di privacy, la protezione dei dati, l’esclusione digitale e la criminalità informatica.

Il ruolo delle Startup fintech

Le fintech, attraverso piattaforme di pagamento mobile e criptovalute, hanno facilitato l’accesso ai servizi finanziari, democratizzando la partecipazione all’economia globale. Questo fenomeno è particolarmente evidente nei paesi emergenti, dove le infrastrutture bancarie sono limitate. Società come Revolut, Stripe e Square hanno semplificato i pagamenti, permettendo la partecipazione al sistema economico anche a chi non dispone di un conto bancario. La pandemia di COVID-19 ha ulteriormente rafforzato questa tendenza, spingendo milioni di clienti a utilizzare i pagamenti digitali per motivi di sicurezza e igiene.

Diffusione dei pagamenti mobili

I pagamenti mobili sono ormai riconosciuti a livello globale. Piattaforme come PayPal, Apple Pay e Google Pay sono diventate parte integrante delle transazioni quotidiane, eliminando la necessità di denaro contante o carte fisiche e facilitando le interazioni tra clienti e aziende.

Criptovalute e Blockchain: una nuova era

L’avvento delle criptovalute e della blockchain ha introdotto modalità di pagamento decentralizzate, sicure e veloci. La blockchain riduce commissioni e tempi per le transazioni internazionali, permettendo operazioni senza l’intermediazione delle istituzioni finanziarie tradizionali. Le stablecoin, versioni digitali delle monete reali, combinano la sicurezza delle transazioni criptate con la stabilità economica delle valute tradizionali, offrendo un’alternativa meno volatile rispetto a criptovalute come Bitcoin. Questa evoluzione ha spinto le banche centrali a esplorare le valute digitali, che potrebbero diventare la versione digitale della valuta ufficiale emessa dagli Stati, aumentando l’accessibilità e la sicurezza.

Inclusione finanziaria e opportunità per le PMI

La digitalizzazione dei pagamenti è fondamentale per promuovere l’inclusione finanziaria. In molti paesi in via di sviluppo, dove i servizi bancari tradizionali sono inaccessibili o limitati, il fintech e i pagamenti mobili offrono a miliardi di persone l’opportunità di partecipare all’economia. Piattaforme operative tramite smartphone consentono il trasferimento di denaro e l’accesso a servizi bancari anche in aree remote, creando una connessione tra chi ha accesso alle istituzioni finanziarie e chi ne era escluso.

Le piccole e medie imprese (PMI), storicamente in difficoltà nell’utilizzo dei servizi bancari, possono ora accettare pagamenti digitali da ogni parte del mondo, senza affrontare la complessa burocrazia del sistema bancario tradizionale. Questo ha reso i pagamenti digitali uno strumento di sviluppo, specialmente nei paesi emergenti con limitato collegamento all’economia globale.

Sfide della digitalizzazione dei pagamenti

Nonostante i vantaggi, la transizione ai pagamenti digitali presenta diverse sfide. La sicurezza e la privacy sono preoccupazioni principali, poiché le operazioni digitali sono vulnerabili a minacce informatiche come hacking, furto di dati e frodi. Negli ultimi anni, le forme di criminalità digitale sono aumentate, mettendo a rischio la sicurezza di aziende e privati.

La protezione delle informazioni è cruciale, poiché le piattaforme di pagamento gestiscono enormi quantità di dati personali. Misure di sicurezza adeguate sono fondamentali per proteggere i consumatori e prevenire violazioni della privacy e possibili abusi. La crescente raccolta di dati da parte delle fintech solleva interrogativi sulla gestione della privacy. Le normative attuali sono frammentate e insufficienti, variano da paese a paese, creando incertezze sia per le attività del settore che per i consumatori. È necessaria una regolamentazione uniforme e globale; un quadro normativo chiaro renderebbe le operazioni delle fintech trasparenti e favorirebbe la crescita del settore, garantendo anche la protezione dei consumatori.

Un ulteriore ostacolo è l’esclusione digitale di chi non ha familiarità con la tecnologia o non dispone dell’accesso a internet o ai dispositivi necessari, e quindi non può utilizzare i sistemi di pagamento digitali. Le persone anziane, ad esempio, potrebbero preferire il denaro contante, considerandolo più sicuro e tangibile. La resistenza culturale, sia tra le generazioni più anziane che nelle società dove l’uso del contante è radicato, potrebbe rallentare l’adozione universale dei pagamenti digitali, rendendo fondamentale un cambiamento di mentalità.

Inoltre, nelle aree rurali o meno sviluppate, la mancanza di una connessione internet stabile o di dispositivi moderni rischia di escludere interi gruppi sociali dai vantaggi dei pagamenti digitali, creando un divario tra chi ha accesso alla tecnologia e chi no.

 

Fonti: 

https://www.wired.it/article/pagamenti-digitali-futuro-visa-natalie-kelly/ 

https://www.agendadigitale.eu/cittadinanza-digitale/pagamenti-digitali/pagamenti-digitali-il-futuro-oltre-la-banca-sfide-e-opportunita/ 

https://www.agendadigitale.eu/mercati-digitali/fintech-e-blockchain-cosi-cambia-lo-scenario-del-mercato-finanziario/ 

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Economia creativa e intelligenza artificiale: sfide e opportunità per i professionisti del futuro

L’intelligenza artificiale, meglio detta in questo caso G.A.N. (Generative Adversarial Network) rappresentano forse una delle evoluzioni tecnologiche più d’impatto dell’epoca presente. C’è lo stupore che desta la realizzazione di materiale creativo (apparentemente) nuovo e originale da parte di un computer, lo sfondamento del muro che nell’immaginario collettivo separava questi ultimi dall’uomo: la creatività. C’è anche la paura che l’idea di essere sostituito può generare nel professionista delle industrie creative, con il dilagare di governance sempre più concentrati sul taglio dei costi e sull’efficienza. L’utilizzo dell’intelligenza artificiale non può realisticamente sostituire del tutto, almeno per il momento, il lavoro di coloro che rappresentano l’economia creativa, ma è possibile che un giorno ciò non corrisponda più alla realtà… Quali sono dunque i rischi e le sfide che gli artisti, i compositori, gli scrittori contemporanei affrontano? E quali affronteranno domani? Ancora, viene da chiedersi anche quali vantaggi questi professionisti traggono e potrebbero trarre in futuro da queste tecnologie che hanno giusto adesso raggiunto il livello di funzionalità necessario ad entrare nella “cultura pop”.

 

Allucinazioni, biases, diritto d’autore: le sfide

Quanto alle sfide non è difficile immaginare che un giorno le intelligenze artificiali possano davvero sostituire il lavoro di professionisti del settore creativo: accade già oggi quello che anche solo cinque anni fa sarebbe stato quasi inimmaginabile e piccole imprese così come start-ups neonate utilizzano software come ChatGPT e Dall-E per evitare di disperdere risorse di cui non dispongono per l’assunzione di copywriters, artisti e designers. Con molta cura e attenzione sembrerebbe possibile rendere i prodotti dell’A.I. indistinguibili dall’operato di un essere umano: vorrebbe dimostrarlo la vittoria di “Théâtre D’opéra Spatial”, opera generata da J. Allen utilizzando Midjourney, alla Colorado State Fair; il caso, assai controverso, ha infiammato a più riprese il dibattito sulla legittimità artistica delle “opere” create da intelligenze artificiali. Ovvio però che, senza l’intervento umano – e di uno che sappia cosa sta facendo – è molto difficile che oggi l’A.I. sostituisca completamente un professionista del settore creativo a pari requisiti. È un dibattito aperto: durante lo sciopero dello scorso maggio, la Writers Guild of America ha commentato la situazione evidenziando come “le industrie creative sono uno dei settori in cui la mancanza di un approccio centrato sull’uomo nell’implementazione dell’intelligenza artificiale rischia di far perdere all’intero sistema la sua stessa raison d’etre”. Secondo l’Harvard Business Review “uno scenario possibile vede la competizione ingiusta degli algoritmi ed una governance inadeguata portare allo spiazzamento della creatività umana autentica […]”.

 

L’utilizzo delle intelligenze artificiali per generare materiale in ambito professionale è poi minacciato da quello che è un framework legislativo ancora acerbo: sull’A.I. si dice ancora poco o nulla nei parlamenti di tutto il mondo – anche se alcune aree stanno facendo progressi – e nel frattempo dilagano i contenziosi su diritto d’autore e proprietà intellettuale. L’intelligenza artificiale, infatti, sebbene possa apparentemente produrre materiale originale, lavora in alcun casi in modo difficilmente assimilabile alla creatività umana: le reti neurali sono addestrate utilizzando un data lake, un enorme set di informazioni e dati che il software utilizza – attraverso diverse possibili modalità – per trarre relazioni, interconnessioni, metodi di rielaborazione a partire (solitamente) dal materiale finito per poi svolgere il processo inverso una volta finito l’addestramento. In breve, per addestrare un “pittore A.I.” vengono utilizzate milioni di opere d’arte, fotografie, e di informazioni sulle suddette, dalle quali il modello sarà in ultimo capace di trarre delle conclusioni che gli permetteranno poi di realizzare “nuove” opere d’arte da un prompt. Il problema è in primis rappresentato dal data lake stesso, che non sempre viene aggregato, categorizzato e classificato in modo etico: più di sedicimila artisti hanno lamentato l’uso illecito delle loro opere da parte di Midjourney per il training del modello, ed il caso non è isolato. In secondo luogo, quando i dataset utilizzati sono ristretti il risultato finale può presentare molte somiglianze con il materiale del dataset, ponendo sia un precedente pericoloso che un rischio di contenziosi con i creator originali, specialmente se non interpellati perché la loro opera fosse legittimamente utilizzata per addestrare il modello. Al contempo non risulta difficile immaginare che la controparte a questa situazione sul piano etico e legislativo sia l’illegitimità, seppur non uniformemente in tutti i contesti nazionali, delle pretese a livello di diritto d’autore su opere realizzate con l’intelligenza artificiale. Ciò rappresenta ovviamente un grande pericolo per gli enti coinvolti che, realizzato un contenuto da fruire o da utilizzare per la promozione o ancora finalizzato alla vendita, non vorrebbero vederlo sottratto da altri. In ultimo, sull’argomento licensing, alcuni software permettono per contratto di licenza l’utilizzo a fini commerciali del materiale generato solo se questo è stato realizzato con abbonamenti premium o utilizzando particolari piani sottoscritti ad hoc. I problemi che derivano da dataset ridotti o costruiti con determinati bias si espandono anche oltre la questione sul diritto d’autore: non sono stati rari i casi di modelli che, addestrati su dati ristretti, specifici, parziali oppure prevenuti, producevano output poco vari o recanti gli stessi pregiudizi insiti nel data lake. Esempi che ci mettono in guardia sulla presumibile apartiticità delle intelligenze artificiali sono processi di acquisizione del personale che vedono i modelli perpetrare, attraverso i loro suggerimenti, fenomeni di razzismo e sessismo sistemico, oppure modelli di riconoscimento facciale incapaci di identificare le caratteristiche visive di individui non caucasici.

 

La maggioranza dei risultati insoddisfacenti legati all’uso dell’intelligenza artificiale in settori creativi nasce sostanzialmente dalla mancanza di supervisione da parte della creatività umana, ma ancor più dalla competenza: non è necessario girare troppo a lungo su internet per trovare esperti che al lancio di ChatGPT hanno voluto mettere il G.A.N. alla prova su una varietà di argomenti per segnalarne importanti mancanze. La cosa che più preoccupa delle cosiddette allucinazioni non è un fattore legato all’assurdità – in certi casi – delle informazioni fornite, quanto la certezza matematica con cui il modello ce le propone. Quando le nozioni presentate non sono neanche lontanamente di nostra conoscenza, come possiamo determinare con certezza che il modello non stia fraintendendo o rimescolando in maniera inesatta o prevenuta i dati a sua disposizione? Per spezzare una lancia a favore del modello di OpenAI, il motivo per cui GPT non è in grado di contare le “R” nella parola “strawberry” ha poco a che fare con la qualità con cui elabora le informazioni a sua disposizione e riguarda più come il modello “vede” le parole, il processo chiamato tokenisation. È una parabola interessante però, utile a notare come sebbene questi modelli abbiano grandi potenzialità (e siano eccellenti a svolgere certe funzioni e operazioni) nessuno è onnipotente: DALL-E non è capace di scrivere, così come determinate immagini quali “caverne prive di finestre sul cielo” o “persone senza denti” sono – inspiegabilmente – molto difficili da ottenere; e ancora, ChatGPT genera spesso informazioni totalmente errate su argomenti non estensivamente documentati, o comunque poco presenti nel database dal quale è stato addestrato (e non solo).

 

Dunque le opere creative realizzate tramite l’intelligenza artificiale sono solo in rari casi qualitativamente equiparabili all’operato di un professionista delle industrie creative e in determinati contesti legislativi o tramite l’utilizzo di determinati software è impossibile rivendicare i contenuti realizzati come propri. Inoltre, vi sono importanti rischi che l’intelligenza artificiale pone quando i dati di partenza non sono affidabili o raccolti in maniera eticamente e legalmente accettabile. Ma quali sono invece i meriti dei G.A.N. e quale il loro possibile ruolo nell’economia creativa?

 

Spunti creativi e prompt engineering: cosa i modelli fanno bene

 

Per parlare dei meriti “trasversali” è implicito, dal punto di vista economico, che esistano dei casi d’uso, segmenti in cui l’I.A. non sottrarrebbe lavoro a nessun professionista: determinate realtà semplicemente non possiedono o non sono intenzionate a investire il budget necessario nell’impiego di un professionista del settore a prescindere. Queste realtà sono spesso piccole imprese, magari di nuova formazione; piuttosto che lasciare queste senza risorse in senso creativo perché non possiedono le risorse necessarie, l’utilizzo dell’intelligenza artificiale può essere una buona risorsa per ottenere materiale utilizzabile, sebbene la differenza con il materiale in cui l’uomo – nella veste dei founder in questo caso – ci ha messo del suo è spesso abbastanza evidente. Ed è su quest’ultimo punto che si concentrano quasi tutti gli altri vantaggi che i modelli e le reti neurali possono e potranno portare ai professionisti dei settori creativi. In un’intervista per Radio Davos, lo scrittore Deepak Chopra ha dichiarato che, pur non avendo ancora fatto uso di intelligenze artificiali generative nel suo processo creativo, immagina lo farà sicuramente nel futuro, aggiungendo che “qualsiasi strumento che permetta ad un artista di creare è fantastico […]”. Questo ruolo di assistenza al processo creativo è lo stesso che l’Harvard Business Review vede tra i migliori possibili risultati dell’integrazione dell’I.A. nelle industrie creative, evidenziando come molti business già promuovano l’uso dell’intelligenza artificiale, solo però con lo scopo di migliorare l’efficienza di determinati processi (e quello creativo è stato sempre risaputamente difficile da efficientare). Un altro aspetto di grande importanza nel quale i modelli – quando utilizzati con cognizione di causa – sta nella risoluzione di un problema che affligge i creativi di tutto il mondo da tempi immemori: l’art block, il blocco creativo, quella situazione in cui, per quanto ci si sforzi non si riescono ad avere buone idee (o non si riesce a vedere alcuna delle proprie idee come buona); in queste situazioni l’intelligenza artificiale può essere di grande aiuto per trovare uno spunto, qualche stimolo esterno. Anche nei casi meno estremi, i modelli generativi sono un potente strumento per trovare nuove idee dagli spunti che questi software ci lanciano, osservare nuovi fronti, uscire dagli schemi della propria mente: se ne fa già grande utilizzo nell’ambito business più generale quando si lavora in gruppo su spunti prodotti individualmente, a volte elaborati proprio in tandem con modelli generativi. Il vantaggio che può essere tratto nel proprio lavoro creativo dall’intelligenza artificiale, al di là della propria esperienza professionale, sembrerebbe essere in ultima battuta condizionato anche dalla conoscenza delle basi di quello che viene definito prompt engineering, la conoscenza delle tecniche per la scrittura di prompt che massimizzano la qualità dei risultati ottenuti modificando in determinati aspetti il prompt, l’insieme di parole utilizzate per spiegare all’I.A. quale risultato l’utente vuole ottenere.

 

 

In definitiva, i vantaggi principali non starebbero, almeno per il momento, nel sostituire il lavoratore creativo con la macchina in una sorta di nuova rivoluzione Fordista, ma nell’affiancarlo perché i modelli generativi possano dargli spunti, velocizzare il suo lavoro, permettere una migliore comunicazione tra committente e professionista. È importante notare come la maggior parte degli insuccessi nell’uso di modelli generativi in questo settore stiano proprio nel tentativo di rimpiazzare i professionisti con il modello stesso, senza che quest’ultimo sia supervisionato da qualcuno di qualificato nell’ambito di interesse. La strada, insomma, pare non sia quella di generare l’illustrazione con il modello e inserirla direttamente nel materiale pubblicitario dell’azienda, rischiando anche di incorrere in contenziosi, ma utilizzare invece questi software per generare moodboards più precise, per fornire al professionista immagini di riferimento più in linea con la propria visione, per efficientare ed integrare l’opera dei creativi senza tentare di sostituirla integralmente.

 

Fonti:

 

https://www.weforum.org/stories/2024/02/ai-creative-industries-davos/

https://www.nytimes.com/2022/09/02/technology/ai-artificial-intelligence-artists.html

https://hbr.org/2023/04/how-generative-ai-could-disrupt-creative-work

https://hbr.org/2023/04/generative-ai-has-an-intellectual-property-problem

https://techcrunch.com/2024/08/27/why-ai-cant-spell-strawberry/

https://www.reddit.com/r/dalle2/s/crPpig1opr

https://community.openai.com/t/why-is-it-that-dall-e-cant-write/646218

https://medium.com/@rickspair/the-future-of-creativity-how-generative-ai-is-revolutionizing-art-and-design-art-generativeai-166edb1d0267

https://medium.com/@calebpr/data-leak-midjourneys-unauthorised-use-of-16-000-artists-works-sparks-legal-and-ethical-56b862899e6f

https://www.nature.com/articles/s41586-024-07856-5

https://www.media.mit.edu/articles/artificial-intelligence-has-a-problem-with-gender-and-racial-bias-here-s-how-to-solve-it/

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S2713374524000050

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iBicocca Titanium: il percorso di pre-accelerazione firmato UniMiB

Alla scoperta del nuovo percorso complementare fornito gratuitamente da iBicocca, progetto di UniMiB, per supportare idee imprenditoriali di studenti, ricercatori e personale universitario. Intervista alla D.ssa Elena Ippolito, responsabile del progetto iBicocca che da anni porta avanti la cultura dell’“innovazione, imprenditività e imprenditorialità”

 

Chi è Elena Ippolito

La D.ssa Elena Ippolito lavora presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca da 28 anni. Precedentemente ha lavorato 12 anni presso l’Università Statale di Milano. «Sono stata inizialmente ‘Vicesegretario amministrativo del Dipartimento’ di Matematica e poi ‘Segretario amministrativo dei Dipartimenti’ di Informatica e Matematica in Bicocca per 12 anni». Racconta Elena, “l’iMum”, come la chiamano i suoi ragazzi che seguono il percorso iBicocca, durante l’esperienza biennale al Tar Lombardia come ‘Capo Ufficio accettazione ricorsi e archivio generale’ ha deciso di iscriversi all’università e nel 2013 ha conseguito la Laurea in ‘Management pubblico’.  Successivamente al suo rientro in Bicocca, coglie al volo un’occasione che le viene proposta, ovvero tradurre in Bicocca quanto dettato dal bando Startup – D.D. n. 436 del 13 marzo 2013 – pubblicato congiuntamente da Miur e il Mise (Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca; Ministero dello Sviluppo Economico, ndr.).

I due Ministeri esortavano nel bando le università, a dotarsi di misure per favorire l’imprenditività quindi la proattività nei ragazzi, in modo che gli stessi potessero lavorare insieme, pur provenendo da corsi di studi diversi, per la realizzazione di progetti imprenditoriali.

Elena stava frequentando in quel periodo il Master in ‘Open Innovation and Knowledge Transfer (MIT)’ presso il Politecnico di Milano, concluso a pieni voti nel 2015, quando, grazie alla collaborazione con Francesco Inguscio crea iBicocca.

 

La nascita di iBicocca

Nella progettazione di iBicocca, Elena è stata supportata da Francesco Inguscio, startupper con curriculum vitae degno di nota. L’ha conosciuto mentre era alla ricerca di spunti per realizzare un percorso di imprenditorialità per UniMiB.

«Il Direttore Generale mi ha detto: «Elena, devi capire qual è la misura giusta per tradurre il contenuto del bando startup nel nostro Ateneo». Quindi, ovviamente, per decidere che cosa realizzare, dovevamo comprendere quale fosse il bisogno. Si può dire che iBicocca è nata con lo stesso iter di una startup. Quindi, io e Francesco Inguscio, prima abbiamo sondato la conoscenza di certe tematiche tra gli studenti ospitando nel nostro Ateneo  nel 2014 un evento che si chiamava ‘Mi Faccio Impresa’; L’iniziativa che era organizzata da  un funzionario della Provincia di Milano, aveva collocazioni diverse nei diversi anni. Nell’edizione 2014 con sede nell’edificio ‘Agorà – U6’, avevamo invitato 15  startup che oltre a presentare il proprio modello di business agli studenti, hanno offerto loro la possibilità di proporsi per posizioni di stage. In quel contesto ha avuto luogo inoltre la prima edizione della “Bicocca Ideas”, competizione di idee made in Bicocca. Al termine dell’evento è stato somministrato un questionario ai partecipanti per comprendere il grado di conoscenze del mondo dell’imprenditoria ed è stata una sorpresa apprendere che erano passati da quell’evento circa 2000 studenti e che c’era una richiesta di approfondire le tematiche trattate. Questo ci ha dato la possibilità di analizzare i dati e di porre le basi del percorso iBicocca.»

Nel 2015 parte la prima edizione del percorso iBicocca con 280 studenti iscritti all’offerta formativa, che rilasciava già allora Open Badge creati ad hoc per essere convertiti in CFU (Crediti Formativi Universitari) per altre attività utili nel mondo del lavoro, ove il Piano di Studio dei partecipanti lo prevedesse. Al termine della prima edizione di iBicocca i feedback sono stati molto positivi e uno dei ragazzi prossimo alla laurea, che ha partecipato alle sessioni formative, una volta laureato ha addirittura fondato una startup.

 

iBicocca Titanium

Racconta Elena: «Il Titanium è un vero e proprio percorso di pre-accelerazione aperto a team che abbiano già un’idea abbastanza definita e che ambiscano a trasformarla in un’idea di business, fondando la propria startup. Noi ci avvaliamo della collaborazione di ‘weBeetle’, che è il nostro advisor per questo percorso. Il percorso è organizzato in sei “sprint”, in cui in sessioni plenarie vengono approfonditi tutti gli argomenti legati all’idea imprenditoriale; è previsto inoltre per ogni singolo team un percorso di approfondimento dedicato. Ogni singola squadra ha la possibilità di vedere crescere la propria idea, analizzando tutti quegli aspetti legati ad esempio al mercato, ai competitors piuttosto che alla ricerca dei finanziamenti, alla definizione di un executive summary, e ad un business model canvas un po’ più organizzato fino al business plan, che è il documento che in sostanza racchiude le condizioni per la fattibilità e la realizzazione di un’impresa. Il Business Plan mostra la capacità anche di avere dei guadagni e ovviamente vengono messi a  punto i margini che la società avrà per permetterle di crescere velocemente e capire se effettivamente ha senso sviluppare l’idea imprenditoriale proposta. Inoltre, il business plan è sì una sorta di bilancio preventivo, ma anche la  proiezione della crescita a 5-10 anni, molto apprezzata e richiesta  dagli investitori.

Al termine del percorso Titanium ci sarà un evento finale alla presenza degli investitori in cui verranno premiate le tre migliori idee. Se uno di questi tre team costituirà la start up entro la fine dell’anno, gli investitori erogheranno un primo finanziamento. Questo evento offrirà una vetrina vera e propria, tutti i partecipanti avranno la possibilità di conoscere una serie di soggetti che poi possono facilitare la crescita dei propri progetti.»

Il primo ciclo di iBicocca Titanium ha visto la candidatura di ben 44 team tra ricercatori, dottorandi, personale amministrativo e studenti. Dal bando si evince la volontà di creare collaborazione intra ed extra Ateneo: il gruppo deve essere composto da almeno un componente afferente all’’Università degli Studi di Milano – Bicocca, mentre gli altri membri possono essere persone esterne alla comunità Bicocca.

Hanno superato la prima selezione 21 squadre, scelte in base al grado di fattibilità del progetto e alle competenze presenti nel team. Non ci sarà particolare competitività tra i team in quanto ognuno di loro si occupa di un pezzo di mercato che non collide con gli altri.

Elena non perde occasione per regalare qualche consiglio basato sulla sua esperienza: «faranno un pitch tutti i team che arriveranno al termine del percorso con un team completo, inteso come competenze complementari e diverse tra loro. Noi abbiamo sempre detto che uno dei punti di forza di una startup è proprio il team. Gli investitori, di fatto, investono più sulle persone, che sull’idea; nel tempo abbiamo visto che solo le aziende con un team molto forte, affiatato, ma eterogeneo, hanno i presupposti per avere successo. I componenti del team stesso devono avere necessariamente competenze diverse: lo sviluppatore, ad esempio, che mette a punto il dispositivo e lo brevetta, non può essere lo stesso che si occupa del Business Plan perché hanno una formazione diversa, i due devono lavorare comunque insieme ma con ruoli e responsabilità compatibili con il proprio percorso di studi. Questa ricchezza di conoscenza è uno dei punti di forza per crescere velocemente.»

Cosa si aspetta il team iBicocca da questo nuovo progetto?

«È un grandissimo successo aver visto 44 team iscritti. Abbiamo guardato le presentazioni delle idee, siamo molto contenti perché alcune sono veramente fatte molto bene. In realtà, molti degli esclusi (per lo più per una questione di possibilità di seguirli correttamente piuttosto che per il grado di definizione dell’idea) verranno comunque recuperati perché noi ci teniamo a supportare il più possibile tutti coloro che ci credono e che vogliono crescere. Personalmente mi aspetto al termine del Titanium almeno quattro startup pronte per i primi mesi del 2025.»

Noi del team di iBicocca siamo un gruppo molto compatto. Ognuno di noi, come in una startup, ha competenze diverse, pur essendo abbastanza intercambiabili, ma abbiamo l’obiettivo comune di lavorare con efficacia, competenza e disponibilità, per fare in modo che i ragazzi abbiano un supporto costante e di qualità. Salutando “la iMum ” le faccio un grande augurio per questa e per le prossime edizioni. Sono certo che ogni gruppo sfrutterà al massimo questa occasione!

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Henry Mintzberg e l’impatto delle pratiche aziendali sulla stabilità economica

 

Le imprese: insiemi di individui che svolgono la propria attività in un intreccio di visioni, strategie e azioni, al fine di produrre e distribuire beni e servizi.

Il loro impatto, tuttavia, va ben oltre: sono il cuore pulsante dell’economia globale, le forze motrici di un mondo in costante movimento e una parte integrante della nostra società, in quanto influenzano, con le proprie mosse, la sua stabilità sia economica che sociale.

A esaminare da vicino il ruolo delle imprese nell’ecosistema economico fu, nel 2010, un articolo alquanto critico, denominato “how the enterprises trashed the economy” (trad. “Come le imprese hanno distrutto l’economia”), pubblicato sulla rivista The Economist e firmato dal rinomato economista, professore e scrittore canadese Henry Mintzberg. La sua analisi era incentrata, in realtà, sulle imprese americane.

Nel corso del tempo si sono susseguite numerose teorie economiche volte a risanare i problemi derivanti dalla mala gestione dell’economia americana. Secondo Mintzberg l’errore primario sarebbe da cercare all’interno delle imprese stesse, che hanno creato il più grande problema che permea l’economia moderna. Ma andiamo con ordine.

 

Lo scandalo delle compensazioni esecutive

 

Le dinamiche del mondo aziendale vedono le imprese e i leader agire da attori principali e gli economisti assumere il ruolo di osservatori. Mintzberg, nel suo articolo, ritiene impossibile assumere che tutti i leader abbiano, nel corso del tempo, un comportamento corretto e ciò rappresenta, sia nel breve che nel lungo termine, un danno consistente.

In molti casi, gli amministratori delegati e altri dirigenti aziendali delle più grandi imprese statunitensi hanno ricevuto dei compensi e dei bonus astronomici, spesso sproporzionati rispetto alle prestazioni effettive dell’azienda: generose stock-option (cioè possibilità di acquistare azioni dell’azienda a un prezzo inferiore rispetto al valore di mercato), bonus in denaro e incentivi basati sulle performance.

Negli Stati Uniti il concetto di leadership è, ormai, ampiamente consolidato.

Ma se la leadership consiste nel trasmettere segnali positivi che coinvolgono tutte le altre persone nell’azienda, qualsiasi CEO disposto ad accettare un pacchetto di compensi esclusivi non può essere considerato un leader. E, se è vero che “un pesce marcisce dalla testa” (come vuole un vecchio detto), allora anche in economia deve valere l’assunzione in base alla quale le cause di malcontento di un subordinato devono essere cercate, in molti casi, tra coloro che occupano posizioni di maggiore responsabilità.

Al contrario, la realtà vuole che a subirne le conseguenze siano i dipendenti: mentre i dirigenti si avvantaggiano di compensazioni sempre più esose, i lavoratori sono costretti a lottare per mantenere dei salari dignitosi e delle condizioni di lavoro quantomeno adeguate. Le conseguenze, inoltre, non sono limitate all’aumento di divari e disuguaglianze all’interno delle aziende, ma anche a un impatto negativo sull’efficienza e sulle prestazioni complessive delle imprese stesse: quando i dirigenti sono incentivati principalmente dal raggiungimento di obiettivi finanziari a breve termine, possono essere portati a fare scelte che danneggiano la stabilità a lungo termine dell’azienda.

E tutto ciò si traduce, molto spesso, in licenziamenti di massa e fallimenti.

 

Il grande problema dell’economia

Se il CEO è l’incarnazione stessa dell’azienda, allora gli altri sono ridotti a meri numeri da tagliare alla minima flessione dei risultati finanziari. Ma i licenziamenti massicci delle “risorse umane”, volti a salvaguardare i costi, rappresentano davvero una soluzione valida? Il costo di questi licenziamenti, poi, è tangibile: si riflette non solo sull’etica aziendale, ma anche sui lavoratori e sui middle manager oberati, poco apprezzati, scoraggiati e stanchi.

Il problema risiede nei leader che restano in cima, senza scendere tra le fila e senza calarsi nella realtà operativa dell’azienda.

Chi tra gli alti dirigenti delle banche e delle compagnie di assicurazioni fallite sapeva davvero cosa stesse succedendo quando hanno rischiato il futuro delle loro imprese?

 

IKEA: un’azienda solida?

 

Un’azienda robusta non è una collezione di risorse umane, ma è una comunità di esseri umani. L’efficacia di una strategia aziendale non deriva tanto da un processo decisionale che si origina dall’alto, quanto piuttosto da un processo di apprendimento che può emergere da qualsiasi angolo dell’azienda.

Ma quante, tra le grandi aziende americane, possono davvero vantare una simile solidità? La chiave del successo di IKEA, ad esempio, sta nell’offerta di mobili non assemblati ma facilmente trasportabili: si tratta di un’idea nata da un lavoratore che, per far entrare un tavolo nella sua auto, ha dovuto rimuoverne le gambe. Questa persona non è stata né scoraggiata né ridimensionata dalla leadership aziendale.

Quando le persone all’interno di un’azienda sono trattate con rispetto e ricevono il giusto riconoscimento da una leadership impegnata nel coinvolgere tutti, si crea un legame autentico con i prodotti, i clienti e l’intera strategia aziendale.

È questo tipo di coinvolgimento genuino a fare la differenza.

Nel caso degli impiegati delle banche e delle compagnie di assicurazioni fallite, gli si chiedeva se fossero realmente coinvolti e interessati alle attività aziendali, proprio come lo era la loro leadership?

 

Aziende esploratrici e aziende sfruttatrici

Per Mintzberg esistono due vie fondamentali per far salire il valore delle azioni: l’esplorazione e lo sfruttamento.

Le aziende che esplorano raggiungono quest’obiettivo attraverso una ricerca accurata, la creazione di prodotti migliorati e un servizio superiore; si tratta di un percorso impegnativo, che richiede tempo e dedizione.

D’altra parte, le aziende che sfruttano scelgono una strada più agevole: deprezzano il valore del marchio, riducono gli investimenti in ricerca, confondono i clienti con prezzi ingannevoli e cercano di muoversi sempre al limite della legalità, spingendo i politici per ridurre il livello delle normative. Questi comportamenti possono far aumentare il valore delle azioni per un periodo sufficiente a consentire agli esecutivi di incassare i propri bonus e trasferirsi altrove, com’è accaduto in molte delle grandi aziende americane.

 

Qual è la soluzione?

La critica di Mintzberg parte proprio dall’assunzione che se ad aver portato le proprie imprese sull’orlo del baratro sono stati i leader aziendali, la soluzione ai problemi sarebbe dovuta arrivare da loro e non dalle teorie economiche, le quali, come detto, provengono dagli economisti, cioè dei meri osservatori.

Il comportamento delle imprese rischia di trasformare il loro ruolo all’interno della società: da motori di crescita e innovazione a macchine orientate esclusivamente al profitto a breve termine.

È fondamentale porre l’accento su una leadership aziendale autentica e responsabile: i dirigenti non devono essere solamente gestori di sé stessi, ma delle guide in grado di ispirare e coinvolgere l’intera organizzazione verso degli obiettivi comuni.

Solo così le imprese potranno recuperare quel senso di solidità e intraprendenza che le ha caratterizzate in passato, contribuendo così a una crescita economica più equa e sostenibile per tutti.

 

Fonti:

The Economist: Henry Mintzberg on how the enterprises trashed the economy

Abuso di compensazione esecutiva

Il successo di IKEA

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Economia, StartUp e Fintech

Innovazione economica: come cambierà il nostro modo di fare business

L’innovazione economica rappresenta un affascinante campo di studio in costante evoluzione. In un contesto globale sempre più interconnesso e caratterizzato da rapidi progressi tecnologici, le imprese si trovano costantemente di fronte a sfide dinamiche che richiedono un adattamento continuo per mantenere la competitività. È imperativo comprendere come questi cambiamenti influenzeranno il nostro approccio nel mondo degli affari.

Nel tessuto sempre più complesso dell’economia contemporanea, osserviamo con attenzione alcuni trend chiave che plasmeranno il futuro del business: la digitalizzazione, ad esempio, sta rivoluzionando la modalità con cui le imprese operano, introducendo nuove opportunità e, al contempo, nuove sfide. L’adozione di tecnologie emergenti, come l’intelligenza artificiale e l’Internet delle cose, è fondamentale per rimanere al passo con un panorama competitivo in costante mutamento.Inoltre, la sostenibilità ambientale è sempre più al centro delle strategie aziendali, poiché le imprese si rendono conto dell’importanza di un approccio responsabile verso l’ambiente.

Quindi, l’innovazione economica non riguarda solo l’aspetto tecnologico, ma anche la capacità di integrare pratiche sostenibili nel core business. Vediamole nel dettaglio.

 

Digitalizzazione

La trasformazione digitale sta rivoluzionando il modo in cui le imprese operano, nel modo in cui le informazioni vengono raccolte, elaborate e condivise. Le imprese stanno abbracciando sempre più le tecnologie digitali per migliorare l’efficienza operativa, la comunicazione e la creazione di valore per i clienti: dalla gestione dei dati all’automazione dei processi, le aziende devono abbracciare la tecnologia per rimanere efficienti e competitive.

La digitalizzazione permette l’ automazione dei processi aziendali, ciò significa che l’attività ripetitive e time-consuming possono essere gestite in modo più rapido ed efficiente attraverso l’uso di software e sistemi automatizzati. Questo non solo aumenta la produttività, ma libera anche risorse umane per compiti più strategici. Attraverso il processo di digitalizzazione si ha la formazione dei Big Data, ovvero l’accumulo massiccio di dati. Le imprese possono raccogliere e analizzare grandi quantità di dati per ottenere insights significativi sul comportamento del cliente, le tendenze di mercato e le prestazioni aziendali. Questa analisi informata è cruciale per prendere decisioni strategiche. Ma ti chiederai: “dove si trovano questi dati?”.

La risposta è: non c’è niente di fisico, questi dati si trovano tutti sul Cloud (memorie esterne accessibili tramite internet). Questa soluzione è fondamentale perché offre flessibilità e accessibilità ai dati. Le imprese possono archiviare informazioni in modo sicuro e accedervi da qualsiasi luogo, facilitando il lavoro remoto e migliorando la collaborazione tra team.
Un esempio tangibile di digitalizzazione è l’espansione dell’e-commerce e di come ciò influenzi la vendita al dettaglio: le imprese devono offrire un’esperienza di acquisto online intuitiva e sicura per soddisfare le aspettative dei consumatori digitali.

Infine, con una crescente dipendenza dalla tecnologia digitale, la sicurezza informatica diventa cruciale (cybersecurity). Le imprese devono investire in robuste misure di sicurezza per proteggere i dati sensibili e garantire la continuità operativa.

Intelligenza artificiale

L’AI consente alle aziende di analizzare grandi quantità di dati per identificare modelli e trend. Questa analisi predittiva può essere utilizzata per prevedere comportamenti futuri dei clienti, tendenze di mercato e performance operativa, consentendo alle aziende di prendere decisioni informate; grazie all’analisi dei dati dei clienti le aziende possono offrire esperienze personalizzate ai customer: si possono creare offerte e servizi su misura, migliorando la soddisfazione del cliente e la fidelizzazione. Inoltre, gli algoritmi di apprendimento automatico possono automatizzare una varietà di compiti ripetitivi, riducendo il carico di lavoro manuale. Ciò consente alle risorse umane di concentrarsi su attività più complesse e creative, migliorando l’efficienza operativa complessiva.

Sostenibilità aziendale

Le imprese stanno sempre più riconoscendo che la sostenibilità ambientale non dovrebbe essere solo un’aggiunta o un aspetto separato delle loro attività, ma dovrebbe essere incorporata nel cuore stesso della strategia aziendale. Ciò implica una riflessione su come ogni aspetto delle operazioni aziendali, dalla catena di approvvigionamento alla produzione, alla distribuzione e oltre, può essere reso più sostenibile. Inoltre, la sostenibilità può costituire un vantaggio competitivo perché i consumatori moderni sempre più attenti all’impatto ambientale delle aziende e preferiscono quelle che dimostrano un impegno autentico verso la sostenibilità, quindi integrare pratiche sostenibili influenza positivamente la reputazione e la fedeltà del cliente.

Non solo il cliente, bensì qualsiasi stakeholder, compresi gli investitori che considerano la sostenibilità come un criterio importante nella loro decisione di investimento e quindi questi sono interessati ad investire in aziende che adottano approcci sostenibili verso l’ambiente. A livello pratico, quindi l’azienda deve sicuramente impegnarsi sulla riduzione delle emissioni di gas terra, con l’uso di energie rinnovabili. Inoltre, si devono concentrare sull’ottimizzazione dell’uso dell’energia, quindi ridurre il consumo energetico, attraverso per esempio sistemi di illuminazione a basso consumo e isolamenti efficienti. La sostenibilità ambientale implica anche una gestione responsabile delle risorse naturali: le aziende possono adottare politiche che promuovono il riciclo e riducono l’uso di materiali non sostenibili. Inoltre, tutto ciò va spiegato attraverso una comunicazione trasparente: le aziende devono comunicare apertamente le proprie pratiche sostenibili, i progressi compiuti e gli obiettivi futuri. Questa trasparenza contribuisce a costruire la fiducia dei clienti e degli investitori.

Sostenibilità ambientale: il caso studio

Un esempio pratico di sostenibilità ambientale è l’azienda Nespresso che si occupa della produzione e vendita di macchine da caffè espresso e capsule di caffè. Innanzitutto, Nespresso è una B corp, una certificazione che viene data da un ente esterno e attesta l’impegno dell’azienda sulle tematiche ambientali. Infatti, alcuni dei principali elementi di sostenibilità associati a Nespresso includono:

  • Programma AAA Sustainable Quality™: Nespresso lavora in collaborazione con l’organizzazione non-profit Rainforest Alliance per implementare il Programma AAA Sustainable Quality™.Questo programma mira a migliorare la sostenibilità sociale, economica e ambientale nelle comunità agricole di caffè. Fornisce supporto agli agricoltori per adottare pratiche agricole sostenibili e migliorare la qualità del loro caffè.

    In 11 anni il programma si è esteso dai 300 coltivatori coinvolti nella fase di lancio alle 63.000 piantagioni che adottano oggi le pratiche Nespresso AAA Sustainable Quality™.
    Il Programma AAA Sustainable Quality™ si basa su un approccio dinamico, in costante evoluzione, che riunisce le idee più innovative in materia di qualità, produttività e sostenibilità, rivolgendo una particolare attenzione ai parametri sociali, ambientali ed economici.
    I risultati sono lampanti. I dati rilevati da CRECE mostrano ad esempio l’impatto positivo del programma sulle piantagioni aderenti in Colombia. Secondo le valutazioni indipendenti dell’ente, i coltivatori AAA Sustainable Quality™ della regione ottengono performance notevolmente più elevate rispetto a quelle di un gruppo di controllo non iscritto al programma.”, così possiamo leggere dal sito.

  • Perché nel negozio Nespresso quando noi compriamo le capsule ci viene dato anche un sacchetto?
    La risposta è semplice, in funzione del riciclo; infatti questo sacchetto va riempito con le capsule usate che sono in alluminio (quindi in teoria andrebbero buttate nella plastica o nel vetro, a seconda del comune, ma non sono puliti perché contengono anche del caffè), poi noi consumatori possiamo riportare le capsule esauste in negozio dove le buttiamo in particolari cestini; lì c’è già un grande schermo che ci informa su come sta andando la raccolta di capsule esauste (comunicazione trasparente), quindi ci informa sulla CO2 risparmiata, sul numero di capsule riciclato, e così via.

Da questo punto in poi è l’azienda stessa che si preoccupa di dividere il caffè dalla capsula in alluminio, così da poterlo riutilizzare, mentre il caffè viene riciclato per fare compost che viene utilizzato per la coltivazione di riso, il quale viene acquistato da Nespresso e donato al Banco alimentare. Nel 2022 sono 780 i quintali di riso donati a Banco alimentare della Lombardia, Banco alimentare del Lazio e a Banco alimentare del Piemonte.

Quali direzioni intraprendere?

Come sta facendo Nespresso, tutte le aziende stanno implementato diverse iniziative per promuovere la sostenibilità nei loro processi produttivi e nelle catene di approvvigionamento. È importante notare che la sostenibilità è un percorso continuo, e le aziende continuano a cercare nuovi modi per migliorare le loro pratiche aziendali e ridurre l’impatto ambientale complessivo perché la sostenibilità ambientale è diventata un elemento cruciale per il mondo. Queste tendenze influenzano la struttura delle aziende, le dinamiche di mercato e le strategie competitive.

Bisogna prestare molta attenzione anche alla digitalizzazione e all’intelligenza artificiale; quindi, le aziende devono farsi un’idea su come navigare in questo ambiente digitale in costante evoluzione. Affrontare queste sfide richiede una comprensione approfondita delle dinamiche economiche globali e una capacità costante di apprendimento e adattamento. In conclusione, esplorare l’innovazione economica è un viaggio che ci permette di cogliere le opportunità emergenti e di affrontare le sfide in un mondo in costante trasformazione.

 

 

Fonti:

B corp

AAA-sustainable

Riciclo capsule

Credits:

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Economia, StartUp e Fintech

Esplorando i percorsi della gestione dei progetti: Waterfall, Agile e Scrum

Anche se non lo sappiamo ciascuno di noi è nel suo piccolo un Project Manager. Infatti, quando parliamo di “progetto”, non dobbiamo solo pensare a complessi codici informatici o a edifici che si ergono dal suolo. Un progetto può essere qualsiasi cosa, dalla creazione di un nuovo prodotto al coordinamento di eventi, e la gestione dei progetti è ciò che tiene tutto insieme. In parole semplici, è l’arte di fare accadere le cose nel modo giusto, nel tempo giusto e con le risorse giuste (approfondimento su “La teoria del triplo vincolo dei progetti”)

In questo articolo, esploreremo in modo pratico cosa significa gestire un progetto distinguendo due approcci: Waterfall e Agile. In ultimo dedicheremo la nostra attenzione a comprendere uno dei più celebri metodi agili: Scrum.

 

Modello Waterfall

Il modello Waterfall, conosciuto anche come “a cascata”, rappresenta un approccio tradizionale nella gestione dei progetti industriale. Nel suo nucleo, il Waterfall si sviluppa in modo sequenziale attraverso una serie di fasi distinte, e la transizione da una fase all’altra avviene soltanto dopo il completo raggiungimento degli obiettivi della fase precedente e la consegna di un deliverable. Questo modello è caratterizzato da una struttura ben definita, idealizzata per progetti in cui i requisiti possono essere chiaramente stabiliti dall’inizio e non subiscono significative variazioni durante l’implementazione.

In particolare, questo modello si articola in cinque fasi fondamentali:

  • Initiating, la fase di avvio del progetto con l’identificazione dei requisiti attraverso un dialogo con il cliente;
  • Planning, la fase di pianificazione delle attività coinvolte per il raggiungimento dell’obiettivo finale;
  • Implementing, la fase di esecuzione;
  • Controlling, la fase di monitoraggio e controllo;
  • Closing, la fase di chiusura del progetto.

I vantaggi del modello Waterfall includono:

  • pianificazione semplice: il team e i clienti concordano fin dall’inizio, semplificando la consegna rapida;
  • facile gestione: ogni fase ha risultati specifici, facilitando la gestione grazie a una struttura chiara e una pianificazione prevedibile;
  • documentazione completa: processo e risultati ben documentati fin dall’inizio;
  • coinvolgimento del cliente non obbligatorio: la presenza del cliente è necessaria solo in alcune fasi specifiche;
  • semplice interfaccia con gli stakeholders: grazie alla documentazione e alle tempistiche definite.

Tuttavia, gli svantaggi emergono quando si affrontano cambiamenti imprevisti, miglioramenti progressivi o quando la comprensione iniziale dei requisiti si rivela incompleta. Ne citiamo alcuni:

  • comunicazione limitata con il cliente: i requisiti sono definiti all’inizio, limitando la comunicazione successiva;
  • modello rigido: i progetti reali raramente seguono il flusso lineare del modello;
  • non ideale per progetti di grandi dimensioni: ritardi influenzano tutti i processi successivi;
  • test alla fine dello sviluppo: i bug possono emergere tardi, rendendo costose le correzioni;
  • difficoltà di modifiche retroattive: modifiche nelle fasi precedenti sono complesse e costose;
  • rischi di insoddisfazione del cliente: il cliente potrebbe non essere soddisfatto del prodotto finale.

 

 Metodologia Agile

L’approccio Agile rappresenta una svolta significativa rispetto al modello Waterfall, ponendo l’enfasi sulla flessibilità, la collaborazione continua e la risposta rapida ai cambiamenti. In contrasto con la natura sequenziale del Waterfall, l’Agile è concepito per affrontare la complessità dei progetti attraverso cicli iterativi e incrementali. Si adatta a contesti caratterizzati da elevata incertezza, alto contenuto tecnologico, dinamicità, scadenze brevi e performance-based.

Esso nasce con la pubblicazione del “Manifesto Agile” da parte di alcuni sviluppatori che dichiarano i loro quattro principi guida:

  • gli individui e le interazioni prevalgono sui processi e sugli strumenti;
  • il software funzionante è più significativo della documentazione esaustiva;
  • la collaborazione con il cliente è prioritaria rispetto alla negoziazione di un contratto;
  • rispondere al cambiamento è più importante del seguire un piano prefissato.

Queste metodologie fanno sempre riferimento al triplo vincolo (tempo, risorse e scopo), ma lo capovolgono in maniera tale da rendere la gestione dei progetti più flessibile.

 

Fonte: Waterfall, Incrementale o Agile? (luigiatauro.com)

 

L’Agile presenta numerosi vantaggi, tra cui:

  • processo client-focalizzato: il cliente è coinvolto in ogni fase, favorendo una collaborazione continua e una migliore gestione del rischio;
  • obiettivi periodici: incrementalità dei requisiti offre opportunità frequenti di valutazione e cambiamenti;
  • auto-organizzazione del team: team agili sono responsabili di task concatenati, ottimizzando tempo e risorse;
  • consegne di componenti funzionali: possibilità di consegnare componenti funzionali invece di un’unica soluzione finale.

Tuttavia, gli svantaggi non sono trascurabili. Troviamo:

  • minor strutturazione e chiarezza nei flussi di lavoro: rispetto al waterfall, il lavoro può risultare meno strutturato;
  • coinvolgimento del cliente può portare ad aggiunte non pianificate;
  • possibili costi aggiuntivi: la mancanza di una pianificazione dettagliata iniziale può rendere difficile stimare i tempi e i costi con precisione;
  • richiede elevata dedizione del team: la necessità di una comunicazione costante e di una collaborazione stretta può richiedere un impegno significativo;
  • la mancanza di chiarezza può far deviare il progetto;

 

 Scrum: Un’implementazione specifica di Agile

Scrum si presenta come un’implementazione specifica dei principi Agili, fornendo una struttura organizzativa e processuale per la gestione di progetti complessi in framework time-boxed. Esso, infatti, si distingue per la sua organizzazione in cicli di lavoro noti come sprint, ciascuno della durata di solito tra due e quattro settimane. Questo approccio consente una pianificazione adattativa e una consegna incrementale, allineandosi perfettamente con l’essenza dell’Agile.

Scrum definisce chiaramente i ruoli all’interno di un team:

  • Il Scrum Master funge da facilitatore, garantendo che il team segua i principi e le pratiche Scrum, rimuovendo gli ostacoli e facilitando la comunicazione;
  • Il Product Owner rappresenta le esigenze del cliente, gestendo il Product Backlog e prendendo decisioni chiave sulle priorità;
  • Il Team di sviluppo, composto da professionisti multifunzionali, è responsabile della realizzazione del lavoro pianificato durante lo sprint.

Gli eventi Scrum sono momenti chiave nel ciclo di vita di uno sprint. Approfondiamo gli step più importanti:

  • La Sprint Planning inizia ogni sprint, definendo cosa può essere consegnato e come farlo;
  • La Daily Scrum è una breve riunione quotidiana per sincronizzare le attività del team;
  • La Sprint Review valuta il lavoro completato alla fine dello sprint;
  • La Sprint Retrospective riflette sull’esperienza sprint, identificando miglioramenti.

Scrum utilizza diversi artefatti per organizzare il lavoro. Vediamo i principali:

  • Il Product Backlog è un elenco priorizzato di tutte le funzionalità desiderate
  • Lo Sprint Backlog rappresenta il lavoro pianificato per uno specifico sprint.
  • Il Product Increment è la somma delle funzionalità completate durante uno sprint, contribuendo gradualmente al prodotto finale.

 

Confronto diretto: Waterfall vs. Agile

Il confronto tra il modello Waterfall e l’approccio Agile rivela differenze fondamentali nell’approccio alla gestione del progetto. Mentre il Waterfall adotta un modello sequenziale, in cui ogni fase è completata prima che la successiva abbia inizio, l’Agile, compreso Scrum, si basa sulla flessibilità e sull’adattabilità. Nel Waterfall, la pianificazione è dettagliata fin dall’inizio, con poco spazio per modifiche durante l’esecuzione. Al contrario, l’Agile consente di rispondere dinamicamente ai cambiamenti, adattando la direzione del progetto in base alle nuove informazioni o alle evoluzioni dei requisiti.

Confrontiamo i due approcci, dunque, su alcuni punti chiave:

  • adattabilità ai cambiamenti
  • controllo e la visibilità del progresso

Un peculiarità che distingue l’Agile, e Scrum in particolare, è la sua notevole adattabilità ai cambiamenti nei requisiti del progetto. Mentre il Waterfall potrebbe sperimentare difficoltà nel gestire modifiche tardive, l’Agile abbraccia il cambiamento come parte integrante del processo. Scrum, in particolare, incorpora revisioni regolari del backlog e iterazioni frequenti, consentendo al team di rispondere prontamente alle richieste del cliente o alle nuove priorità, mantenendo al contempo un focus sulle consegne di valore.

Il controllo e la visibilità del progresso rappresentano un’altra area di contrasto tra Waterfall e Agile. Nel modello sequenziale, il Waterfall offre un controllo più rigido, ma a volte a scapito della visibilità iniziale. In Agile, soprattutto in Scrum, il controllo si basa sull’ispezione regolare e sulla trasparenza. Le riunioni quotidiane, le revisioni dello sprint e le retrospettive forniscono un’ampia visibilità del progresso, consentendo ai team di identificare e risolvere tempestivamente eventuali problemi.

 

Fonte: Thitithamawat, S., Chertchom, P., Prathuangsit, P., Mruetusatorn, S., Thongchotchat, V., & Buraphawichit, P. (2018). Understanding stakeholders’ perspective of human factors in system development project in Thailand. In Proceedings of the 12th International Conference on Project Management (ProMAC2018) (pp. 262-267). The Society of Project Management.

 

Scegliere l’approccio giusto

Nel prendere la decisione tra l’approccio Waterfall e l’Agile, è essenziale considerare diversi fattori chiave. La complessità e la natura del progetto, la stabilità dei requisiti, i vincoli di budget e le esigenze del cliente giocano un ruolo cruciale nella scelta del modello di sviluppo. Progetti con requisiti stabili e ben definiti possono beneficiare dell’approccio più strutturato del Waterfall trovando una struttura solida e prevedibile, mentre progetti in continua evoluzione o soggetti a cambiamenti frequenti traggono vantaggio dall’agilità dell’approccio Agile. Lo Scrum si adatta in modo particolare a progetti che richiedono una rapida risposta alle esigenze del mercato e un coinvolgimento continuo del cliente.

Guardando al futuro, è evidente che entrambi gli approcci continueranno a esistere, ognuno con il proprio spazio d’applicazione. La crescente complessità dei progetti e la richiesta di maggiore flessibilità e rapidità nel rispondere ai cambiamenti del mercato favoriranno l’adozione di metodologie agili. Tuttavia, ciò non significa che il Waterfall diventerà obsoleto. In alcuni scenari, la sua struttura sequenziale potrebbe ancora dimostrarsi adatta. La chiave è comprendere le esigenze specifiche del progetto e selezionare l’approccio che meglio si adatta a tali requisiti, garantendo così il successo nell’evoluzione dinamica del panorama dello sviluppo del software.

 

 

Fonti

Waterfall vs Agile – QRP International

Metodi Waterfall e Agile. I due metodi più famosi e utilizzati di…

Project Management: Waterfall vs Agile. Quale metodologia scegliere e perchè. 

Scrum Project Management: Advantages and Disadvantages 

ISIPM, Guida alle conoscenze di gestione progetti, FrancoAngeli, 2023

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Economia, StartUp e Fintech

Startup a prova di fallimento: guida alle migliori pratiche per una startup di successo

Ben Horowitz, rinomato imprenditore e venture capitalist, ha descritto la vita da CEO di una startup come segue: “As a startup CEO, I slept like a baby. I woke up every 2 hours and cried.” Questa battuta umoristica rende chiaramente l’idea dell’intensità e delle sfide che le startup affrontano nel loro percorso imprenditoriale.

Nel vasto mondo cinematografico dedicato agli eroi imprenditoriali, spesso ci si sofferma su storie iconiche come quella di Ray Kroc, il fondatore di McDonald’s nel film ‘The Founder’, o sul genio dietro Facebook, Mark Zuckerberg, come narrato in ‘The Social Network’. Tuttavia, la realtà delle startup è spesso più complessa e piena di sfide profonde che raramente trovano spazio sul grande schermo. In questa odissea imprenditoriale, esploreremo le principali ragioni che portano molte startup al fallimento, fornendo al contempo strategie vitali per evitare le trappole mortali del crollo. Attraverso una profonda esplorazione di queste cause, speriamo di fornire una guida approfondita per aspiranti imprenditori.

 

In primo luogo, è importante definire cosa significa startup. Secondo Graham, cofondatore di Y Combinator, una startup è “un’azienda dedicata a crescere rapidamente”. Questa definizione sottolinea l’aspetto distintivo della crescita veloce come obiettivo principale di una startup, differenziandola da altre imprese che potrebbero avere focus diversi. La crescita rapida è spesso associata alla capacità di penetrare il mercato, acquisire utenti o clienti in modo massiccio e generare un impatto significativo nel minor tempo possibile.

 

Navigare l’odissea delle startup: alla ricerca del Santo Graal del “product-market fit”

“La cosa più scioccante che abbiamo imparato è che se non avessimo costruito il nostro prodotto, avremmo risparmiato molti soldi. Ci siamo resi conto che non era qualcosa che le persone volevano.” – Eric Ries, Partire leggeri

L’epica narrativa delle startup spesso inizia con una visione audace di risolvere un problema o soddisfare un bisogno di mercato. Tuttavia, la realtà cruda rivela che la mancanza di mercato rappresenta il 42% dei casi di fallimento secondo uno studio di CBInsight. Un’innovazione brillante o un prodotto rivoluzionario possono scomparire nell’oscurità se non si verifica il tanto necessario “product-market fit”. La sfida fondamentale sta nel validare l’idea di business prima di lanciarsi nel caos competitivo.

Ciò può essere fatto attraverso l’esecuzione di esperimenti mirati, testando l’accoglienza del mercato e valutando se il prodotto o servizio proposto risolve effettivamente un problema esistente. Strumenti fondamentali in questa fase sono gli smoke test. Ad esempio, se se si vuole lanciare un prodotto innovativo di cosmesi ecologico ma anche commestibile ci si dovrebbe cimentare innanzitutto nello sviluppo di un MVP (cfr. con glossario) e di una landing page dettagliata (cfr. con glossario) che funga da termometro iniziale per valutare l’interesse del pubblico.

 

Fondi esauriti: navigando tra scogli finanziari

Ciò che alla fine ha ucciso Flud è stato che la nostra società non è stata in grado di raccogliere un finanziamento aggiuntivo. Così Flud alla fine rimase senza soldi“ – il Team della Startup Flud

Un secondo ciclope che minaccia l’odissea delle startup è rappresentato dall’esaurimento dei fondi. Questo rappresenta il 29% delle cause di fallimento delle startup. Gestire le risorse finanziarie in un’azienda è un’arte complessa, e le sfide sono molteplici e variegate. Spesso, un investimento non si traduce in un ritorno automatico, e il percorso finanziario può diventare un labirinto intricato.

La gestione accurata delle risorse finanziarie è essenziale, e un financial plan ben strutturato può prevenire questo esito indesiderato. Per coloro che si sentono persi in questo terreno, l’outsourcing può essere la bussola che guida attraverso le tempeste finanziarie. Affidarsi a esperti per plasmare il proprio percorso finanziario può fare la differenza tra la prosperità e il naufragio.

 

Il team come timone: l’importanza di un equipaggio saggio

Sono stato colto alla sprovvista dalla difficoltà di assumere… una startup con una crescita modesta e sporadica non era molto attraente” – Cofondatore Jason Crawford di Fieldbook

Il 23% delle startup naufraga a causa di un equipaggio non adatto o troppo debole. La selezione del team è un passo cruciale, e l’importanza di avere individui con le giuste competenze e attitudini non può essere sottolineata abbastanza. La ricerca di un co-founder con visioni allineate e competenze complementari può trasformarsi in una mossa vincente. Al contrario, un team troppo eterogeneo e poco motivato, soprattutto se numeroso, può condurre al fallimento.

Nelle prime fasi, probabilmente la startup potrà rivolgersi solo ai diretti conoscenti come recita l’acronimo FFF (Family Friends and Fools), ma è bene prestare attenzione alla formazione del team evitando una eccessiva diluizione delle quote societarie, mantenendo un controllo solido e una visione strategica chiara.

 

 Navigare tra gli scogli della concorrenza: un’analisi competitiva

““Tolstoy apre Anna Karenina osservando: ‘Tutte le famiglie felici sono simili; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.’ Gli affari sono l’opposto. Tutte le aziende felici sono diverse: ognuna guadagna un monopolio risolvendo un problema unico. Tutte le aziende fallite sono uguali: non sono riuscite a sfuggire alla competizione.”” – Peter Thiel, Zero to One: Notes on Startups

Il 19% delle imprese chiude i battenti a causa della presenza o dell’arrivo di concorrenti inarrivabili. Per evitare di naufragare tra gli scogli della competizione, è fondamentale scegliere il posizionamento strategico, segmentando il mercato e, in caso di forte concorrenza, differenziarsi per qualità o prezzo. È consigliabile adottare una prospettiva allargata, coerente con il modello di Porter delle 5 forze (per maggiori informazioni sul modello: Modello delle cinque forze competitive di Porter – Wikipedia), considerando non solo concorrenti diretti, ma anche altri attori importanti come i fornitori di beni sostitutivi, complementari e potenziali entranti. Strumenti come SWOT analysis e la mappatura dei raggruppamenti strategici (Analisi SWOT – Wikipedia, Mappatura di gruppi strategici)possono rivelarsi il sestante per individuare punti critici e opportunità nel vasto oceano del mercato.

 Imparare a timonare i costi: pricing errato e costi elevati

“Ogni cosa vale il prezzo che il compratore è disposto a pagare per averla.” – Publilio Sirio

Determinare il giusto prezzo per un prodotto o servizio è una navigazione pericolosa. Il 18% delle startup che fallisce a causa di una strategia di pricing sbagliata. Un prezzo troppo basso potrebbe sminuire il valore percepito, mentre uno troppo alto potrebbe scoraggiare i clienti.

La creazione di un pricing model accurato è cruciale. Oltre a conoscere i costi sostenuti, comprendere la percezione dei potenziali clienti è fondamentale. Solo un’analisi completa dei costi, combinata con una comprensione approfondita del mercato, può proteggere dalla temuta causa di naufragio.

 

Oltre alle cause di fallimento precedentemente esaminate, nei successivi articoli parleremo delle altre sfide che possono minacciare il successo delle startup: prodotto inefficiente, modello di business errato, timing sbagliato, pivot fallito. 

 

In conclusione, navigare nell’ecosistema delle startup richiede una comprensione profonda delle sfide che si possono incontrare. La capacità di apprendere dagli errori altrui, di validare le idee iniziali, di gestire con cura le risorse finanziarie e di adattarsi alle mutevoli dinamiche del mercato sono tutte componenti cruciali per il successo a lungo termine. Nella corsa delle startup, la resilienza e la strategia giocano un ruolo altrettanto importante delle idee brillanti.

 

Glossario

  • Un MVP è la versione più elementare di un prodotto che contiene solo le caratteristiche essenziali necessarie per soddisfare i primi utenti e raccogliere feedback significativi.
  • Una landing page, invece, è una pagina web progettata e ottimizzata per ricevere i visitatori e convincerli a compiere una specifica azione.

 

Fonti

CB Insights: “The Top 20 Reasons Startups Fail” (2019).

Le 5 principali cause di fallimento di una startup – QUEC GROUP

Perché le startup falliscono? Ecco le 12 ragioni principali | WeWealth (we-wealth.com)

Perché le Startup Falliscono? Le Principali Cause (sprintx.it)

I 10 motivi per cui le startup falliscono – Startup Geeks

Eric Ries, “Partire leggeri. Il metodo Lean Startup: innovazione senza sprechi per nuovi business di successo”, Rizzoli, 2014

Peter Thiel, “From Zero to One”, Rizzoli, 2011

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Economia, StartUp e Fintech

ChatGPT Plus: come cambia l’intelligenza artificiale che sta facendo impazzire il mondo

Avete di sicuro provato a utilizzare ChatGPT (Generative Pre-trained Transformer), vero? In effetti, questa particolare applicazione basata sull’intelligenza artificiale è una dei trend del momento. Conversare con questa chat a proposito di tantissimi argomenti diversi sta cambiando i paradigmi nel nostro modo di lavorare con la scrittura: pensate a come si possano redarre articoli scientifici, pezzi divulgativi, poesie e altre tipologie di testi la cui forma e il contenuto risultano molto pertinenti e in linea con i prompt assegnati, ossia i comandi con cui si effettuano le richieste.

Ebbene, OpenAI, l’azienda che ha creato ChatGPT ha deciso di affiancare al sistema già online una versione premium, che avrà più funzioni. Ma andiamo con ordine.

Pur essendo altamente performante, la ChatGPT in versione gratuita presenta delle limitazioni in rapporto al numero di utenti supportati dal server, specialmente durante le ore di picco. Proprio per gestire al meglio l’intenso traffico registrato sul sito web a partire dal lancio avvenuto a novembre 2022, il 1 febbraio l’azienda ha annunciato di aver prodotto la versione Plus attivabile a 20 dollari al mese; con questa versione, per adesso disponibile soltanto agli utenti degli Stati Uniti, si potrà accedere alla chat a tempo illimitato, al servizio clienti 24/24 e 7/7, ai nuovi aggiornamenti e alle funzionalità in maniera prioritaria, oltre che si potranno ottenere risposte più veloci.

Tra i piani futuri vengono menzionate anche l’esplorazione di opzioni per abbonamenti meno costosi ma i fondatori specificano chiaramente che la versione Plus, destinata a rispondere ad esigenze professionali, andrà solamente ad affiancare la versione gratuita che continuerà a restare accessibile a tutti.

L’azienda prevede poi di migliorare costantemente i servizi da loro offerti, in accordo con le recensioni inviate dagli utenti. Inoltre è stata annunciata una lista d’attesa per ChatGPT API, un’API con la quale gli utenti potranno creare nuovi prodotti, integrare la chat in altri esistenti ed effettuare ricerche accademiche.

Insomma, ChatGPT sembra essere destinato a ulteriori sviluppi, sempre più complessi e coinvolgenti. Siete pronti a passare alla versione Plus? Noi un po’ curiosi lo siamo.

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Economia, StartUp e Fintech

L’Edutech può favorire il pensiero critico? Il caso Kialo

Già da qualche anno la tecnologia ha iniziato a conquistare un ruolo da protagonista in ambito scolastico: sorge quindi spontanea la necessità di interrogarsi sull’efficacia degli strumenti educativi digitali nel favorire il pensiero critico dei giovani studenti. Nel 2017 Errikos Pitsos lancia la piattaforma Kialo, con sede a Brooklyn, proprio al fine di contribuire allo scambio di idee sotto un profilo critico.

Il motivo che ha mosso l’ideatore a fondare questa piattaforma di discussione online è quello di costruire una propria persona, sia per allenarsi a difendersi dagli insidiosi troll, sia per rinforzare la propria capacità espressiva. Kialo è uno spazio in cui gli iscritti alla piattaforma possono liberamente proporre degli argomenti da sviscerare insieme, scriverne un pensiero e aprire così una discussione a cui chiunque può ricollegarsi pubblicando il proprio punto di vista. Il contributo viene inserito tra i pro o i contro in una netta divisione in colonne. Tutti i contributi vengono poi trasformati in un tassello facente parte di un grafico il quale, in un colpo d’occhio, attraverso una suddivisione cromatica in verde e in rosso, ci restituisce la ‘’temperatura’’ della discussione che ruota intorno all’argomento in questione.

 

Fonte: https://www.kialo-edu.com/

Alcuni contributi possono essere incentrati su temi di attualità e suscitare riflessioni sulla possibilità, per esempio, dell’Ucraina di arrendersi per poter salvare vite umane oppure sulla validità di programmi scolastici informativi inerenti l’identità e l’orientamento sessuale, ma anche tematiche generiche e leggere come una riflessione sulla promozione dell’immortalità umana (se scientificamente possibile) oppure l’ipotesi dei social media regolati dai governi. Si può davvero spaziare tra gli argomenti più vari.

La piattaforma offre anche la possibilità di accedere con un profilo da insegnante e creare dei dibattiti di classe in cui gli studenti possono mettere in pratica quanto visto in aula e consolidarne la conoscenza sulla scia del metodo di tesi e antitesi. L’insegnante può aggiungere collegamenti ipertestuali inserendo ulteriori informazioni per facilitare l’esplorazione dell’argomento. Tutto ciò è molto innovativo rispetto al panorama generale: lo studente viene introdotto in una piazza virtuale in cui la scrittura di un articolo, un tema, un saggio non rimane confinato nel rapporto uno a uno studente-insegnante.

Il messaggio che questa piattaforma lancia è chiaro: per poter dissentire è fondamentale saper argomentare. Senza questa abilità si rischia di rinunciare a proporre il proprio punto di vista o di favorire atteggiamenti oppositivi che non aggiungono valore e non sono costruttivi.

Nell’intervista pubblicata su The Chronicle il fondatore chiosa concludendo: ‘’Wikipedia tells you the what and we tell you the why’’ (Wikipedia ti dice il cosa e noi ti diciamo il perché).

Ragionando sul dubbio se la tecnologia stia distruggendo il pensiero critico oppure no, è necessario in prima istanza convenire sul fatto che qualsiasi device o medium è uno strumento atto a svolgere un compito: non va pertanto approcciato come se fosse una soluzione.
Per proteggere un giovane o una giovane dai rischi che l’accesso indiscriminato a ogni tipo di contenuto online può comportare, è meglio mettere dei limiti o offrire la chiave per determinare criticamente il valore di ciò che si trova online?

Questo vale anche per ciò che si può fare attraverso i nuovi strumenti tecnologici.

Ad esempio, i ragazzi possono utilizzare Power Point per ricreare su un foglio digitale quello che veniva creato a mano su un cartellone: ma dov’è l’evoluzione? Non si tratta piuttosto di involuzione, considerato che possono generare lavori accattivanti senza preoccuparsi di sviluppare una personale tecnica artistica? Inoltre, se questo strumento non viene utilizzato come un mezzo per aprire discussioni, confronti o creare lavori interattivi come può risultare una presentazione pensata in modo critico? Sarà un semplice utilizzo delle varie funzionalità offerte dal software che non vengono, tuttavia, impiegate per “andare oltre”.

La tecnologia viene oggi utilizzata con lo scopo opposto che si prefigge Errikos Pitsos: viene cioè messa a disposizione per rendere la vita e i compiti facilmente eseguibili con la conseguenza di limitare sia la potenzialità tecnologica sia la potenzialità del pensiero critico individuale.

Ad oggi in ogni caso la ricerca di Pitsos sta dando buoni frutti: sono 134.4 mila le visite mensili di Kialo e nel mese di ottobre 2022 si è registrata una variazione del + 4.19%.
Basterà per costruire un pensiero critico maturo anche online? Di sicuro è un primo passo.

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Economia, StartUp e Fintech

Perché regalare sconti in cambio di follower non è una grande strategia sul lungo periodo

Gli sconti sono una pratica ampiamente utilizzata da aziende operanti in svariati settori, al fine di convogliare l’attenzione del consumatore sull’offerta. Questi vengono in genere affiancati ad una scadenza, in modo tale da creare una sensazione di urgenza: in questo modo, maggiori saranno le probabilità di migliorare la brand awareness nel primo periodo. Nonostante ciò, non è detto che questa strategia porti dei vantaggi consistenti in futuro: in quest’ottica, si può considerare il caso studio di About You, un e-commerce attivo nel settore della moda che ha proposto una sfida al suo pubblico, dando la possibilità di ricevere sconti del 50% sull’acquisto dei prodotti dell’azienda se il profilo Instagram avesse ottenuto 250 mila follower entro il 6 maggio. L’obiettivo è stato ampiamente raggiunto e l’offerta è stata resa disponibile fino all’8 maggio.

In generale, i vantaggi di un’iniziativa di questo tipo sono evidenti: prima di tutto si ha una forte crescita di lead, ossia di persone interessate ad acquistare i prodotti del brand; questo avviene grazie al passaparola, che fa leva su una tecnica molto comune denominata “Buzz marketing”. In seguito, è molto probabile che la maggior parte dei lead diventino clienti a tutti gli effetti, se la promozione e la sua comunicazione vengono strutturate in maniera chiara ed efficace; gli svantaggi, al contrario, si presentano nel momento in cui questi elementi vengono meno, nello specifico se non si studia una strategia di lungo periodo da implementare successivamente. Il problema di fondo si pone quando il brand non mira a rafforzare il rapporto con il suo pubblico, ma ha l’unico obiettivo di aumentare le vendite: allargando la propria audience aumenta anche quella parte di utenza definita “cold”, non legata particolarmente alla marca, che dopo questa iniziativa si ripresenterà soltanto nel momento in cui verranno offerti nuovi sconti. Campagne di questo tipo non comunicano nessun elemento inerente alla storia e ai valori del brand: dato che non si punta a differenziarsi, quando l’offerta termina gli acquirenti non avranno alcun motivo per non comprare anche dai competitor.

Prendendo come riferimento il caso About You, si può notare come questo esempio segua perfettamente le affermazioni dette in precedenza. L’obiettivo dei follower è stato raggiunto con largo anticipo, attraverso grossi investimenti in una pubblicità a volte quasi invadente. I problemi di questa campagna, tuttavia, si mostrano prima di tutto nella mancata costruzione di una relazione solida tra azienda e cliente: le dimensioni degli sconti proposti, in questo senso, rischiano di minare la fiducia dell’acquirente verso la qualità e la validità dell’acquisto. Inoltre, sotto ai post di promozione della campagna il tenore dei commenti rimanda ad alcuni timori legati a malfunzionamenti e ritardi nella conferma dell’ordine. Da considerare poi la mancanza di risposta alle domande degli utenti stessi: oltre ad alimentare la sfiducia verso questa operazione, si va a sviluppare una comunicazione unidirezionale che non giova al rafforzamento della brand identity.

Si può quindi dire che gli sconti siano una buona pratica da utilizzare per coinvolgere prospect e portarli a conoscenza dell’offerta e, in generale, dell’azienda. Questa strategia, se viene però strutturata come nel caso esaminato, non porta risultati importanti nel lungo periodo: è fondamentale mettere al centro la customer care e valorizzare la relazione con ogni singolo acquirente, anche sui social, dove un commento può essere visibile per sempre a tutti e avere delle ripercussioni sull’impresa. Inoltre, bisogna anche considerare la brand reputation, intesa come l’immagine che il pubblico ha del brand: la via migliore è quella di sviluppare uno scambio bilaterale, dove al messaggio inviato dall’azienda si considera il feedback dell’utente, in modo tale da far sentire quest’ultimo valorizzato e rispettato.

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Economia, StartUp e Fintech

Compra ora, paga dopo: una nuova modalità di pagamento

Il “Buy Now Pay Later” è una modalità di pagamento a rate per servizi di e-commerce rivolta a imprese e consumatori, alla ricerca di opportunità di crescita economica e di un servizio alla clientela comodo e semplice. Questa formula, entrata da anni nel mercato internazionale, ha raggiunto l’apice della sua crescita soltanto nel periodo della pandemia, date le più stringenti condizioni economiche che gravano sui consumatori. Secondo un’analisi dell’Osservatorio Innovative Payments della School of Management del Politecnico di Milano, esistono più di 130 società al mondo che offrono un servizio Buy Now Pay Later come intermediarie; inoltre, il 90% di queste sono nate negli ultimi otto anni, a dimostrazione di come questo fenomeno in crescita sia già presente da molto prima del 2020. Attraverso questo sistema l’utente ha la possibilità di acquistare dal sito ed effettuare il pagamento successivamente: in questo modo i consumatori hanno a loro vantaggio un sistema di pagamento più sostenibile, mentre le imprese hanno la prospettiva di un miglior tasso di conversione e di una maggiore fidelizzazione, riducendo l’abbandono dei prodotti inseriti nel carrello. Il servizio è completamente gratuito per i compratori, essendo totalmente a carico delle aziende che decidono di farne uso.

La forma principale è quella online, attraverso la quale aziende come Klarna e Paypal propongono il pagamento in tre rate senza interessi; anche Amazon offre ai consumatori la possibilità di accedere ad un pagamento dilazionato con rate di durata e interessi variabili. Esistono inoltre imprese come Scalapay che propongono anche l’acquisto all’interno dei negozi, attraverso l’utilizzo di codici a barre o QR code. Altre realtà come Soisy propongono un sistema Peer to Peer Lending di prestiti tra privati: i finanziatori anticipano la somma dovuta agli e-commerce e gli acquirenti, in seguito, restituiranno la quota a rate di capitale con gli interessi agli investitori.

Questo strumento deriva dal più longevo credito al consumo, ossia un finanziamento ottenuto da istituti bancari e di credito e anch’esso a breve termine: tuttavia, per poter usufruire di questo servizio è necessario presentare delle garanzie che dimostrino la possibilità per il cliente di sostenere il pagamento. A differenza del sistema a rate tradizionale, il “Compra Ora Paga Dopo” non coinvolge istituti di finanziamento e viene applicato sugli acquisti a breve termine e per importi contenuti, relativamente a categorie di spesa specifiche: dai prodotti per la casa all’abbigliamento, fino ai viaggi e all’intrattenimento.

Le previsioni future indicano che il trend che segue l’applicazione del “Buy Now, Pay Later” sarà in crescita, data l’introduzione di nuove applicazioni e l’adozione da parte di aziende di altri settori. Rimane però da definire con maggior chiarezza il quadro normativo in merito alle regole e alle autorizzazioni che gli erogatori che adotteranno il “Compra ora, Paga dopo” devono possedere: in quest’ottica, infatti, è necessaria una maggior tutela del consumatore da campagne aggressive di marketing e dal rischio di insolvenza a cui è soggetto quest’ultimo. Va considerata, inoltre, la difficoltà a ricevere un rimborso in caso di malfunzionamenti o problemi relativi alla consegna del prodotto, dovendo necessariamente rivolgersi sia al venditore che alla società che offre questo tipo di soluzione.

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Economia, StartUp e Fintech

UAF: arriva il nipote on demand

UAF (U are family) è una piattaforma digitale nata a Milano nella primavera del 2022 con lo scopo di mettere in collegamento anziani e giovani per far passare del tempo loro insieme, e rendere più piacevole la vita di chi è vittima di solitudine.

 

Gli ideatori sono Matteo Fiammetta, nanotecnologo, e Cecilia Rossi, designer e costumista, entrambi 29enni ed ex alumni Polimi. Amici dalle elementari con percorsi di studio agli antipodi si sono ritrovati durante il primo lockdown del 2020: condividendo pensieri e dubbi professionali scatenati dalla crisi pandemica hanno deciso di dar vita ad un progetto d’impatto sociale identificando la marginalizzazione degli anziani come il nemico da combattere.

 

Attraverso un lavoro certosino fatto di circa 2000 interviste e di studio psicologico per creare profili di compatibilità, Matteo e Cecilia hanno prodotto un algoritmo capace di accoppiare gli utenti che si iscrivono a UAF. La piattaforma è fruibile via web e, per i meno tecnologici, anche attraverso numero di telefono (3519289518).

Anziani e giovani si iscrivono, i primi per trovare compagnia (reale o virtuale) e condivisione, i secondi per beneficiare di un punto di vista differente sul mondo offrendo degli slot settimanali di disponibilità oraria.

 

Non si tratta però di volontariato: i nipoti “on demand” (definiti così anche sul sito della startup) vengono retribuiti grazie al legame creato da UAF con case farmaceutiche, home care company, welfare aziendali e partner assicurativi. Infatti il trend di offerta di benefit “E-S-G” (“environment-social-governance”) è in continua crescita e vengono rese disponibili sempre più risorse per la cura e l’assistenza morale delle persone anziane.

 

Attualmente la community è attiva su Milano ma conta di espandersi trovando finanziatori e utenti in Italia e all’estero.

 

Nel contesto dell’ormai noto progressivo invecchiamento della popolazione UAF è una tra le prime realtà a considerare l’incontro tra fasce d’età profondamente diverse come una vera risorsa per la società e si avvia a modificare l’impatto delle startup sul “longevity shock” preannunciato ormai un decennio fa dal Fondo Monetario Internazionale.