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Ambiente, società e tecnologia

Inganni etici nell’automazione industriale. I robot minacciano davvero le nostre occupazioni?

Il processo di automazione industriale, intrinsecamente propenso a un’evoluzione continua, affonda le sue radici nell’introduzione pionieristica dei primi dispositivi autonomi nelle fabbriche tessili britanniche; si tratta di una metamorfosi che ha attraversato secoli di sviluppo, culminando, poi, in una fase attuale, in cui la tecnologia si fonde sinergicamente con la produzione industriale. Il focus è posto, in questo caso, sul dibattito riguardante l’impatto occupazionale delle tecnologie di automazione, che costituisce un tema di notevole complessità.

 

Da una parte, la letteratura scientifica presenta numerosi studi che corroborano l’esistenza di una correlazione positiva tra gli investimenti delle imprese in automazione e l’incremento del tasso di disoccupazione. La condizione italiana, per esempio, è stata oggetto di un’analisi approfondita in uno studio, diffuso nel numero di dicembre 2021 della rivista “Stato e Mercato” e intitolato “Rischi di automazione delle occupazioni: una stima per l’Italia”, in base al quale il numero di lavoratori italiani a rischio si collocherebbe tra i 4 e i 7 milioni.

 

In base a questo scenario, che rimane prettamente teorico, l’intento ergonomico di questo processo, cioè quello di sollevare l’uomo da azioni usuranti e abitudinarie, potrebbe essere cambiato. L’automazione odierna non costituirebbe più un mero ausilio all’attività umana, ma anche, molto spesso, un sistema di strumenti in grado di renderla superflua. Tuttavia, la questione in oggetto riveste uno spettro molto più ampio: il mondo del lavoro italiano si confronta con delle sfide diverse, quali la carenza di competenze e la discrepanza tra quelle richieste e quelle disponibili.

 

 

Si tratterebbe, quindi, di una preoccupazione infondata se riguardante la realtà italiana: un altro studio, condotto dall’INAPP nel 2021 e intitolato “Stop worrying and love the robot: An activity-based approach to assess the impact of robotization on employment dynamics”, ha rivelato che in Italia l’introduzione di robot industriali non ha influenzato negativamente il tasso di occupazione, ma ha contribuito a ridurre, seppur in misura contenuta, quello di disoccupazione. Ad aver subito un aumento è stata, invece, la domanda di professionisti legati al ciclo di vita dei robot, che va dalla loro progettazione all’utilizzo effettivo negli stabilimenti.

 

Contrariamente alle ipotesi, quindi, l’obiettivo originario continua a esistere: nei Paesi sviluppati le attività fisiche ripetitive sono state automatizzate, in maniera tale da ridurre il rischio per la salute degli operatori, mentre le attività a contenuto cognitivo elevato continuano a registrare un aumento favorevole.

 

Ad ogni modo, l’obiettivo principale di questo articolo non è esaminare contesti come quello italiano, dove il settore dell’automazione ha avuto uno sviluppo adeguato nel tempo, in linea con le necessità umane. Oltretutto, in questi contesti è necessario evidenziare un aspetto fondamentale, seppur spesso trascurato, che prescinde dalle visioni in merito, siano esse ottimistiche o pessimistiche: nonostante l’applicazione avanzata dell’apprendimento automatico, i posti di lavoro non sono scomparsi. E, probabilmente, sulla base di molti studi, non lo faranno neanche nel prossimo futuro.

 

“Robots and Organization Studies: Why Robots Might Not Want to Steal Your Job” è il titolo di uno studio condotto nel 2019 da Peter Fleming, che  considera la necessità di affrontare delle questioni più ampie, riguardanti la giustizia sociale nella realtà globale. Nello specifico Fleming, nel corso del suo studio, affronta le condizioni di Devi Lal, un uomo residente a Delhi, in India, la cui mansione era stata individuata, in un report del 2012 (Miller, 2012) come il lavoro peggiore del mondo.

 

L’occupazione di Devi era quella del “manual scavenger”. Si tratta di una figura addetta a calarsi senza corde nelle fogne e pulire a mani nude le fogne intasate, immergendosi nudo e per diverse ore tra i rifiuti e i gas tossici. Per questo lavoro Devi veniva pagato l’equivalente in rupie di 3.50 euro al giorno.

 

In base a quanto riporta Fleming, in città come Londra e Oslo la pulizia manuale delle fogne è relativamente rara. E, se una persona venisse incaricata di immergersi in un ambiente tanto deplorevole, si tratterebbe di un tecnico specializzato, adeguatamente equipaggiato e soggetto a degli specifici protocolli di sicurezza e igiene. Questo fenomeno indica una vera e propria discrepanza: “la differenza tra Delhi e Londra -sottolinea Fleming- è il costo della manodopera di Devi: il suo tasso salariale è decisamente inferiore al costo che si potrebbe investire in una macchina”.

 

Tuttavia, la stessa logica caratterizza anche i Paesi più ricchi; si tratta del motivo per il quale un robot, almeno per il breve periodo, non si preoccuperà di pulire le nostre case. L’impiego di persone è semplicemente più economico, soprattutto a causa della presenza di lavoratori di minoranza etnica, che sono sovra-rappresentati nella forza di lavoro sottopagata. I costi di capitale e manutenzione per investire in attrezzature di intelligenza artificiale sono considerevoli e, a tal proposito, le aziende valutano non solo la possibilità di meccanizzare un lavoro, ma, data la disponibilità di manodopera a basso costo, anche l’eventuale vantaggio economico.

 

Una delle principali cause di lavoro precario e stagnazione salariale è stata individuata nella de-sindacalizzazione (Kalleberg, 2011): i datori di lavoro che operano in luoghi che sono rimasti fortemente sindacalizzati hanno un forte interesse nei confronti dell’automazione, soprattutto laddove il sindacato è (o minaccia di essere) militante. È necessario, quindi, analizzare anche quei contesti in cui la sindacalizzazione non esiste.

 

Un esempio è l’azienda di ride-hailing Uber, che ingloba una serie di aspetti fondamentali. Innanzitutto, l’applicazione di Uber comporta un’automazione parziale della mansione, in quanto riduce il livello di competenze necessarie ai tassisti tradizionali, che ricevono una formazione. Inoltre i conducenti, individuati come lavoratori autonomi, ricevono salari significativamente più bassi. Questo accade sia in Europa che negli Stati Uniti ed è il motivo principale per cui i lavoratori di Uber si sono rapidamente sindacalizzati, chiedendo pieni diritti lavorativi.

 

Prendendo in considerazione delle realtà diverse da quelle europee e statunitensi, come l’Egitto, in cui la contrattazione tra commerciante e cliente è molto forte e, in generale, le condizioni dei lavoratori sono peggiori, il rapporto tra paga e soddisfazione dei lavoratori è inversamente proporzionale. Nonostante la paga sia molto bassa, i conducenti di Uber svolgono con piacere il proprio lavoro. Al tempo stesso, dato il particolare rapporto qualità-prezzo, Uber è preferito dai turisti rispetto ai sistemi tradizionali, in quanto è l’alternativa più economica e l’unica soggetta a una regolamentazione.

 

Non sorprende, quindi, il fatto che Uber abbia annunciato un significativo investimento nella tecnologia delle auto a guida autonoma solo nei Paesi in cui i conducenti hanno portato avanti delle rivolte (Morris, 2017).

 

In conclusione, non si può affermare con certezza che il ruolo dell’intelligenza artificiale non avrà alcuna influenza sulle occupazioni in futuro. Rimane però costante la tendenza di alcune aziende, soprattutto quelle che operano nei Paesi più poveri, a voler rimanere ancorate al proprio status quo unicamente a causa del vantaggio economico fornito dalla persistenza dei lavoratori sottopagati.

FONTI

rivisteweb.it

fortune.com

jstor.org

dailymail.co.uk

journals.sagepub.com

oa.inapp.org

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Economia, StartUp e Fintech

Esplorando i percorsi della gestione dei progetti: Waterfall, Agile e Scrum

Anche se non lo sappiamo ciascuno di noi è nel suo piccolo un Project Manager. Infatti, quando parliamo di “progetto”, non dobbiamo solo pensare a complessi codici informatici o a edifici che si ergono dal suolo. Un progetto può essere qualsiasi cosa, dalla creazione di un nuovo prodotto al coordinamento di eventi, e la gestione dei progetti è ciò che tiene tutto insieme. In parole semplici, è l’arte di fare accadere le cose nel modo giusto, nel tempo giusto e con le risorse giuste (approfondimento su “La teoria del triplo vincolo dei progetti”)

In questo articolo, esploreremo in modo pratico cosa significa gestire un progetto distinguendo due approcci: Waterfall e Agile. In ultimo dedicheremo la nostra attenzione a comprendere uno dei più celebri metodi agili: Scrum.

 

Modello Waterfall

Il modello Waterfall, conosciuto anche come “a cascata”, rappresenta un approccio tradizionale nella gestione dei progetti industriale. Nel suo nucleo, il Waterfall si sviluppa in modo sequenziale attraverso una serie di fasi distinte, e la transizione da una fase all’altra avviene soltanto dopo il completo raggiungimento degli obiettivi della fase precedente e la consegna di un deliverable. Questo modello è caratterizzato da una struttura ben definita, idealizzata per progetti in cui i requisiti possono essere chiaramente stabiliti dall’inizio e non subiscono significative variazioni durante l’implementazione.

In particolare, questo modello si articola in cinque fasi fondamentali:

  • Initiating, la fase di avvio del progetto con l’identificazione dei requisiti attraverso un dialogo con il cliente;
  • Planning, la fase di pianificazione delle attività coinvolte per il raggiungimento dell’obiettivo finale;
  • Implementing, la fase di esecuzione;
  • Controlling, la fase di monitoraggio e controllo;
  • Closing, la fase di chiusura del progetto.

I vantaggi del modello Waterfall includono:

  • pianificazione semplice: il team e i clienti concordano fin dall’inizio, semplificando la consegna rapida;
  • facile gestione: ogni fase ha risultati specifici, facilitando la gestione grazie a una struttura chiara e una pianificazione prevedibile;
  • documentazione completa: processo e risultati ben documentati fin dall’inizio;
  • coinvolgimento del cliente non obbligatorio: la presenza del cliente è necessaria solo in alcune fasi specifiche;
  • semplice interfaccia con gli stakeholders: grazie alla documentazione e alle tempistiche definite.

Tuttavia, gli svantaggi emergono quando si affrontano cambiamenti imprevisti, miglioramenti progressivi o quando la comprensione iniziale dei requisiti si rivela incompleta. Ne citiamo alcuni:

  • comunicazione limitata con il cliente: i requisiti sono definiti all’inizio, limitando la comunicazione successiva;
  • modello rigido: i progetti reali raramente seguono il flusso lineare del modello;
  • non ideale per progetti di grandi dimensioni: ritardi influenzano tutti i processi successivi;
  • test alla fine dello sviluppo: i bug possono emergere tardi, rendendo costose le correzioni;
  • difficoltà di modifiche retroattive: modifiche nelle fasi precedenti sono complesse e costose;
  • rischi di insoddisfazione del cliente: il cliente potrebbe non essere soddisfatto del prodotto finale.

 

 Metodologia Agile

L’approccio Agile rappresenta una svolta significativa rispetto al modello Waterfall, ponendo l’enfasi sulla flessibilità, la collaborazione continua e la risposta rapida ai cambiamenti. In contrasto con la natura sequenziale del Waterfall, l’Agile è concepito per affrontare la complessità dei progetti attraverso cicli iterativi e incrementali. Si adatta a contesti caratterizzati da elevata incertezza, alto contenuto tecnologico, dinamicità, scadenze brevi e performance-based.

Esso nasce con la pubblicazione del “Manifesto Agile” da parte di alcuni sviluppatori che dichiarano i loro quattro principi guida:

  • gli individui e le interazioni prevalgono sui processi e sugli strumenti;
  • il software funzionante è più significativo della documentazione esaustiva;
  • la collaborazione con il cliente è prioritaria rispetto alla negoziazione di un contratto;
  • rispondere al cambiamento è più importante del seguire un piano prefissato.

Queste metodologie fanno sempre riferimento al triplo vincolo (tempo, risorse e scopo), ma lo capovolgono in maniera tale da rendere la gestione dei progetti più flessibile.

 

Fonte: Waterfall, Incrementale o Agile? (luigiatauro.com)

 

L’Agile presenta numerosi vantaggi, tra cui:

  • processo client-focalizzato: il cliente è coinvolto in ogni fase, favorendo una collaborazione continua e una migliore gestione del rischio;
  • obiettivi periodici: incrementalità dei requisiti offre opportunità frequenti di valutazione e cambiamenti;
  • auto-organizzazione del team: team agili sono responsabili di task concatenati, ottimizzando tempo e risorse;
  • consegne di componenti funzionali: possibilità di consegnare componenti funzionali invece di un’unica soluzione finale.

Tuttavia, gli svantaggi non sono trascurabili. Troviamo:

  • minor strutturazione e chiarezza nei flussi di lavoro: rispetto al waterfall, il lavoro può risultare meno strutturato;
  • coinvolgimento del cliente può portare ad aggiunte non pianificate;
  • possibili costi aggiuntivi: la mancanza di una pianificazione dettagliata iniziale può rendere difficile stimare i tempi e i costi con precisione;
  • richiede elevata dedizione del team: la necessità di una comunicazione costante e di una collaborazione stretta può richiedere un impegno significativo;
  • la mancanza di chiarezza può far deviare il progetto;

 

 Scrum: Un’implementazione specifica di Agile

Scrum si presenta come un’implementazione specifica dei principi Agili, fornendo una struttura organizzativa e processuale per la gestione di progetti complessi in framework time-boxed. Esso, infatti, si distingue per la sua organizzazione in cicli di lavoro noti come sprint, ciascuno della durata di solito tra due e quattro settimane. Questo approccio consente una pianificazione adattativa e una consegna incrementale, allineandosi perfettamente con l’essenza dell’Agile.

Scrum definisce chiaramente i ruoli all’interno di un team:

  • Il Scrum Master funge da facilitatore, garantendo che il team segua i principi e le pratiche Scrum, rimuovendo gli ostacoli e facilitando la comunicazione;
  • Il Product Owner rappresenta le esigenze del cliente, gestendo il Product Backlog e prendendo decisioni chiave sulle priorità;
  • Il Team di sviluppo, composto da professionisti multifunzionali, è responsabile della realizzazione del lavoro pianificato durante lo sprint.

Gli eventi Scrum sono momenti chiave nel ciclo di vita di uno sprint. Approfondiamo gli step più importanti:

  • La Sprint Planning inizia ogni sprint, definendo cosa può essere consegnato e come farlo;
  • La Daily Scrum è una breve riunione quotidiana per sincronizzare le attività del team;
  • La Sprint Review valuta il lavoro completato alla fine dello sprint;
  • La Sprint Retrospective riflette sull’esperienza sprint, identificando miglioramenti.

Scrum utilizza diversi artefatti per organizzare il lavoro. Vediamo i principali:

  • Il Product Backlog è un elenco priorizzato di tutte le funzionalità desiderate
  • Lo Sprint Backlog rappresenta il lavoro pianificato per uno specifico sprint.
  • Il Product Increment è la somma delle funzionalità completate durante uno sprint, contribuendo gradualmente al prodotto finale.

 

Confronto diretto: Waterfall vs. Agile

Il confronto tra il modello Waterfall e l’approccio Agile rivela differenze fondamentali nell’approccio alla gestione del progetto. Mentre il Waterfall adotta un modello sequenziale, in cui ogni fase è completata prima che la successiva abbia inizio, l’Agile, compreso Scrum, si basa sulla flessibilità e sull’adattabilità. Nel Waterfall, la pianificazione è dettagliata fin dall’inizio, con poco spazio per modifiche durante l’esecuzione. Al contrario, l’Agile consente di rispondere dinamicamente ai cambiamenti, adattando la direzione del progetto in base alle nuove informazioni o alle evoluzioni dei requisiti.

Confrontiamo i due approcci, dunque, su alcuni punti chiave:

  • adattabilità ai cambiamenti
  • controllo e la visibilità del progresso

Un peculiarità che distingue l’Agile, e Scrum in particolare, è la sua notevole adattabilità ai cambiamenti nei requisiti del progetto. Mentre il Waterfall potrebbe sperimentare difficoltà nel gestire modifiche tardive, l’Agile abbraccia il cambiamento come parte integrante del processo. Scrum, in particolare, incorpora revisioni regolari del backlog e iterazioni frequenti, consentendo al team di rispondere prontamente alle richieste del cliente o alle nuove priorità, mantenendo al contempo un focus sulle consegne di valore.

Il controllo e la visibilità del progresso rappresentano un’altra area di contrasto tra Waterfall e Agile. Nel modello sequenziale, il Waterfall offre un controllo più rigido, ma a volte a scapito della visibilità iniziale. In Agile, soprattutto in Scrum, il controllo si basa sull’ispezione regolare e sulla trasparenza. Le riunioni quotidiane, le revisioni dello sprint e le retrospettive forniscono un’ampia visibilità del progresso, consentendo ai team di identificare e risolvere tempestivamente eventuali problemi.

 

Fonte: Thitithamawat, S., Chertchom, P., Prathuangsit, P., Mruetusatorn, S., Thongchotchat, V., & Buraphawichit, P. (2018). Understanding stakeholders’ perspective of human factors in system development project in Thailand. In Proceedings of the 12th International Conference on Project Management (ProMAC2018) (pp. 262-267). The Society of Project Management.

 

Scegliere l’approccio giusto

Nel prendere la decisione tra l’approccio Waterfall e l’Agile, è essenziale considerare diversi fattori chiave. La complessità e la natura del progetto, la stabilità dei requisiti, i vincoli di budget e le esigenze del cliente giocano un ruolo cruciale nella scelta del modello di sviluppo. Progetti con requisiti stabili e ben definiti possono beneficiare dell’approccio più strutturato del Waterfall trovando una struttura solida e prevedibile, mentre progetti in continua evoluzione o soggetti a cambiamenti frequenti traggono vantaggio dall’agilità dell’approccio Agile. Lo Scrum si adatta in modo particolare a progetti che richiedono una rapida risposta alle esigenze del mercato e un coinvolgimento continuo del cliente.

Guardando al futuro, è evidente che entrambi gli approcci continueranno a esistere, ognuno con il proprio spazio d’applicazione. La crescente complessità dei progetti e la richiesta di maggiore flessibilità e rapidità nel rispondere ai cambiamenti del mercato favoriranno l’adozione di metodologie agili. Tuttavia, ciò non significa che il Waterfall diventerà obsoleto. In alcuni scenari, la sua struttura sequenziale potrebbe ancora dimostrarsi adatta. La chiave è comprendere le esigenze specifiche del progetto e selezionare l’approccio che meglio si adatta a tali requisiti, garantendo così il successo nell’evoluzione dinamica del panorama dello sviluppo del software.

 

 

Fonti

Waterfall vs Agile – QRP International

Metodi Waterfall e Agile. I due metodi più famosi e utilizzati di…

Project Management: Waterfall vs Agile. Quale metodologia scegliere e perchè. 

Scrum Project Management: Advantages and Disadvantages 

ISIPM, Guida alle conoscenze di gestione progetti, FrancoAngeli, 2023

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Economia, StartUp e Fintech

Startup a prova di fallimento: guida alle migliori pratiche per una startup di successo

Ben Horowitz, rinomato imprenditore e venture capitalist, ha descritto la vita da CEO di una startup come segue: “As a startup CEO, I slept like a baby. I woke up every 2 hours and cried.” Questa battuta umoristica rende chiaramente l’idea dell’intensità e delle sfide che le startup affrontano nel loro percorso imprenditoriale.

Nel vasto mondo cinematografico dedicato agli eroi imprenditoriali, spesso ci si sofferma su storie iconiche come quella di Ray Kroc, il fondatore di McDonald’s nel film ‘The Founder’, o sul genio dietro Facebook, Mark Zuckerberg, come narrato in ‘The Social Network’. Tuttavia, la realtà delle startup è spesso più complessa e piena di sfide profonde che raramente trovano spazio sul grande schermo. In questa odissea imprenditoriale, esploreremo le principali ragioni che portano molte startup al fallimento, fornendo al contempo strategie vitali per evitare le trappole mortali del crollo. Attraverso una profonda esplorazione di queste cause, speriamo di fornire una guida approfondita per aspiranti imprenditori.

 

In primo luogo, è importante definire cosa significa startup. Secondo Graham, cofondatore di Y Combinator, una startup è “un’azienda dedicata a crescere rapidamente”. Questa definizione sottolinea l’aspetto distintivo della crescita veloce come obiettivo principale di una startup, differenziandola da altre imprese che potrebbero avere focus diversi. La crescita rapida è spesso associata alla capacità di penetrare il mercato, acquisire utenti o clienti in modo massiccio e generare un impatto significativo nel minor tempo possibile.

 

Navigare l’odissea delle startup: alla ricerca del Santo Graal del “product-market fit”

“La cosa più scioccante che abbiamo imparato è che se non avessimo costruito il nostro prodotto, avremmo risparmiato molti soldi. Ci siamo resi conto che non era qualcosa che le persone volevano.” – Eric Ries, Partire leggeri

L’epica narrativa delle startup spesso inizia con una visione audace di risolvere un problema o soddisfare un bisogno di mercato. Tuttavia, la realtà cruda rivela che la mancanza di mercato rappresenta il 42% dei casi di fallimento secondo uno studio di CBInsight. Un’innovazione brillante o un prodotto rivoluzionario possono scomparire nell’oscurità se non si verifica il tanto necessario “product-market fit”. La sfida fondamentale sta nel validare l’idea di business prima di lanciarsi nel caos competitivo.

Ciò può essere fatto attraverso l’esecuzione di esperimenti mirati, testando l’accoglienza del mercato e valutando se il prodotto o servizio proposto risolve effettivamente un problema esistente. Strumenti fondamentali in questa fase sono gli smoke test. Ad esempio, se se si vuole lanciare un prodotto innovativo di cosmesi ecologico ma anche commestibile ci si dovrebbe cimentare innanzitutto nello sviluppo di un MVP (cfr. con glossario) e di una landing page dettagliata (cfr. con glossario) che funga da termometro iniziale per valutare l’interesse del pubblico.

 

Fondi esauriti: navigando tra scogli finanziari

Ciò che alla fine ha ucciso Flud è stato che la nostra società non è stata in grado di raccogliere un finanziamento aggiuntivo. Così Flud alla fine rimase senza soldi“ – il Team della Startup Flud

Un secondo ciclope che minaccia l’odissea delle startup è rappresentato dall’esaurimento dei fondi. Questo rappresenta il 29% delle cause di fallimento delle startup. Gestire le risorse finanziarie in un’azienda è un’arte complessa, e le sfide sono molteplici e variegate. Spesso, un investimento non si traduce in un ritorno automatico, e il percorso finanziario può diventare un labirinto intricato.

La gestione accurata delle risorse finanziarie è essenziale, e un financial plan ben strutturato può prevenire questo esito indesiderato. Per coloro che si sentono persi in questo terreno, l’outsourcing può essere la bussola che guida attraverso le tempeste finanziarie. Affidarsi a esperti per plasmare il proprio percorso finanziario può fare la differenza tra la prosperità e il naufragio.

 

Il team come timone: l’importanza di un equipaggio saggio

Sono stato colto alla sprovvista dalla difficoltà di assumere… una startup con una crescita modesta e sporadica non era molto attraente” – Cofondatore Jason Crawford di Fieldbook

Il 23% delle startup naufraga a causa di un equipaggio non adatto o troppo debole. La selezione del team è un passo cruciale, e l’importanza di avere individui con le giuste competenze e attitudini non può essere sottolineata abbastanza. La ricerca di un co-founder con visioni allineate e competenze complementari può trasformarsi in una mossa vincente. Al contrario, un team troppo eterogeneo e poco motivato, soprattutto se numeroso, può condurre al fallimento.

Nelle prime fasi, probabilmente la startup potrà rivolgersi solo ai diretti conoscenti come recita l’acronimo FFF (Family Friends and Fools), ma è bene prestare attenzione alla formazione del team evitando una eccessiva diluizione delle quote societarie, mantenendo un controllo solido e una visione strategica chiara.

 

 Navigare tra gli scogli della concorrenza: un’analisi competitiva

““Tolstoy apre Anna Karenina osservando: ‘Tutte le famiglie felici sono simili; ogni famiglia infelice è infelice a modo suo.’ Gli affari sono l’opposto. Tutte le aziende felici sono diverse: ognuna guadagna un monopolio risolvendo un problema unico. Tutte le aziende fallite sono uguali: non sono riuscite a sfuggire alla competizione.”” – Peter Thiel, Zero to One: Notes on Startups

Il 19% delle imprese chiude i battenti a causa della presenza o dell’arrivo di concorrenti inarrivabili. Per evitare di naufragare tra gli scogli della competizione, è fondamentale scegliere il posizionamento strategico, segmentando il mercato e, in caso di forte concorrenza, differenziarsi per qualità o prezzo. È consigliabile adottare una prospettiva allargata, coerente con il modello di Porter delle 5 forze (per maggiori informazioni sul modello: Modello delle cinque forze competitive di Porter – Wikipedia), considerando non solo concorrenti diretti, ma anche altri attori importanti come i fornitori di beni sostitutivi, complementari e potenziali entranti. Strumenti come SWOT analysis e la mappatura dei raggruppamenti strategici (Analisi SWOT – Wikipedia, Mappatura di gruppi strategici)possono rivelarsi il sestante per individuare punti critici e opportunità nel vasto oceano del mercato.

 Imparare a timonare i costi: pricing errato e costi elevati

“Ogni cosa vale il prezzo che il compratore è disposto a pagare per averla.” – Publilio Sirio

Determinare il giusto prezzo per un prodotto o servizio è una navigazione pericolosa. Il 18% delle startup che fallisce a causa di una strategia di pricing sbagliata. Un prezzo troppo basso potrebbe sminuire il valore percepito, mentre uno troppo alto potrebbe scoraggiare i clienti.

La creazione di un pricing model accurato è cruciale. Oltre a conoscere i costi sostenuti, comprendere la percezione dei potenziali clienti è fondamentale. Solo un’analisi completa dei costi, combinata con una comprensione approfondita del mercato, può proteggere dalla temuta causa di naufragio.

 

Oltre alle cause di fallimento precedentemente esaminate, nei successivi articoli parleremo delle altre sfide che possono minacciare il successo delle startup: prodotto inefficiente, modello di business errato, timing sbagliato, pivot fallito. 

 

In conclusione, navigare nell’ecosistema delle startup richiede una comprensione profonda delle sfide che si possono incontrare. La capacità di apprendere dagli errori altrui, di validare le idee iniziali, di gestire con cura le risorse finanziarie e di adattarsi alle mutevoli dinamiche del mercato sono tutte componenti cruciali per il successo a lungo termine. Nella corsa delle startup, la resilienza e la strategia giocano un ruolo altrettanto importante delle idee brillanti.

 

Glossario

  • Un MVP è la versione più elementare di un prodotto che contiene solo le caratteristiche essenziali necessarie per soddisfare i primi utenti e raccogliere feedback significativi.
  • Una landing page, invece, è una pagina web progettata e ottimizzata per ricevere i visitatori e convincerli a compiere una specifica azione.

 

Fonti

CB Insights: “The Top 20 Reasons Startups Fail” (2019).

Le 5 principali cause di fallimento di una startup – QUEC GROUP

Perché le startup falliscono? Ecco le 12 ragioni principali | WeWealth (we-wealth.com)

Perché le Startup Falliscono? Le Principali Cause (sprintx.it)

I 10 motivi per cui le startup falliscono – Startup Geeks

Eric Ries, “Partire leggeri. Il metodo Lean Startup: innovazione senza sprechi per nuovi business di successo”, Rizzoli, 2014

Peter Thiel, “From Zero to One”, Rizzoli, 2011

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Ambiente, società e tecnologia

Punti quantici: un premio Nobel dalle molte applicazioni in medicina

Il premio Nobel per la chimica di quest’anno è stato assegnato il 4 ottobre a Moungi G. Bawendi, Louis E. Brus e Alexei I. Ekimov “per la scoperta e la sintesi dei punti quantici”, ottenuti per la prima volta negli anni 80. Si tratta di strutture artificiali, cristalline, semi-conduttrici ed estremamente piccole: le loro dimensioni vanno da alcune unità fino a poche decine di nanometri, che corrispondono a un miliardesimo di metro. Dalle loro dimensioni e struttura dipendono le loro peculiari proprietà, che li rendono potenzialmente utili in moltissimi settori tra cui l’ottica, l’elettronica, l’energia e la medicina.

I punti quantici rientrano a pieno titolo tra le nanotecnologie: uno dei principi teorici fondamentali di questo campo scientifico è il cambiamento osservabile nelle proprietà di un composto a seconda della sua dimensione. Se in una grande porzione di materia notiamo certi fenomeni, a scale molto piccole ne emergeranno altri, principalmente dovuti a effetti quantistici. Molte proprietà possono essere modificate solamente variando la dimensione delle particelle: tra queste, quella di maggiore interesse per i punti quantici è la fluorescenza. In questo fenomeno, una sostanza emette luce a una lunghezza d’onda diversa da quella che ha ricevuto in precedenza. I punti quantici possono dunque assorbire radiazione elettromagnetica ultravioletta e riemettere luce visibile di differenti colori a seconda delle loro dimensioni.

Questa loro caratteristica, assieme alla capacità di trasportare elettroni, li rende utili come componenti all’interno dei moderni display, dei LED o come strumento per il bioimaging (un insieme di tecniche utilizzate per ottenere immagini di tessuti e organi di organismi viventi), dato che la loro fluorescenza può essere molto più intensa di quella di altre sostanze. Ad oggi è possibile ottenere punti quantici di dimensioni desiderate in modo accurato e con tecniche chimico-fisiche relativamente poco costose.

Quantum dots e nanomedicina: quali sono le applicazioni possibili?

Queste strutture cristalline sono spesso formate da metalli pesanti, come il cadmio; sono dunque tossici per le cellule e per gli organismi. Esistono però dei punti quantici formati da strutture di grafene, potenzialmente combinate con altri tipi di composti (procedura che viene chiamata “funzionalizzazione”), che attualmente rappresentano la variante più biocompatibile. Si apre quindi la strada a numerose applicazioni nella branca della nanomedicina, cioè “l’applicazione della nanotecnologia in campo medico”.

Questi punti quantici sono in grado di superare la barriera ematoencefalica (la struttura che “regola selettivamente il passaggio sanguigno di sostanze chimiche da e verso il cervello”), caratteristica che li rende potenzialmente utili nel trattamento di alcune malattie neurodegenerative, come il morbo di Alzheimer. È stato osservato che i punti quantici di grafene possono funzionare come inibitori dell’aggregazione all’esterno dei neuroni della proteina amiloide, responsabile del decorso della malattia.

Un’altra applicazione per i punti quantici di grafene è il drug delivery: queste nanostrutture possono diventare dei veri e propri trasportatori di farmaci affinché essi vengano rilasciati esattamente nel punto desiderato del corpo. La loro stabilità una volta entrati a contatto con i fluidi corporei e la capacità che hanno di conservare i farmaci che trasportano li rendono dei buoni candidati per questa applicazione. Grazie a questo si potrebbe diventare così in grado, per esempio, di rilasciare molecole nelle cellule tumorali senza intaccare quelle normali. Un vantaggio dei punti quantici rispetto ad altri tipi di molecole usate come trasportatori dipende dall’intensa fluorescenza prima descritta: è possibile infatti monitorarne il comportamento all’interno dell’organismo grazie a tecniche di bioimaging.

Tutte queste applicazioni sono ancora in fase di studio e sperimentazione: i punti quantici hanno e potranno avere un grande potenziale tecnologico in molte applicazioni biomediche, così come in altri ambiti.

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Ambiente, società e tecnologia

Come valorizzare le biomasse di scarto grazie alle bioraffinerie

E se la buccia delle patate e altre biomasse di scarto diventassero una materia prima preziosa da cui ricavare prodotti chimici, combustibili e altri materiali? La valorizzazione delle biomasse di scarto è possibile anche grazie a una serie di approcci sperimentali e industriali che possono essere raggruppati sotto il nome di “bioraffineria”.

Per capire meglio di cosa si tratta, prendiamo come riferimento la definizione data da IEA: “una bioraffineria è un insieme di processi sostenibili volti a trasformare le biomasse in uno spettro di prodotti commercialmente rilevanti”. Le biomasse che possono essere utilizzate vanno da scarti di lavorazione del legno, paglia, amido, fino ad alghe e altri sottoprodotti dell’industria agroalimentare. Queste possono essere trasformate in prodotti chimici di alto valore o combustibili utili per i trasporti ed energia.

Ma quali sono i processi più sfruttati? Le materie prime possono, per esempio, essere gassificate (cioè portate allo stato gassoso), trasformazione che permette la loro scissione in componenti più piccoli, che saranno poi necessari per la sintesi di molecole più complesse. Un altro processo molto sfruttato è la pirolisi, che consente la decomposizione chimica delle materie prime unicamente grazie al calore fornito. Si possono altrimenti condurre una serie di reazioni chimiche che permettano la separazione di tutti i componenti di interesse. Un’ultima via disponibile è quella della fermentazione, che sfrutta la capacità di microrganismi (come batteri) di trasformare grazie al loro metabolismo sostanze come gli zuccheri: in quest’ottica è e sarà molto importante la ricerca su microrganismi GM (geneticamente modificati), il cui metabolismo può essere modificato per ottenere prodotti altrimenti difficilmente raggiungibili con una sintesi chimica.

Come valorizzare la buccia delle patate

A livello teorico, moltissimi tipi di biomasse potrebbero essere processate grazie alle bioraffinerie. Ne esistono però alcune più interessanti e studiate di altre: per esempio, la buccia delle patate. Questo tipo di scarto largamente prodotto a livello industriale può essere fonte di composti interessanti in vari ambiti. Può essere usato non solo come mangime per animali da allevamento o come materia per compostaggio: dalla buccia di patata possono essere estratti, grazie a solventi chimici, delle molecole antiossidanti naturali utili alla conservazione dei cibi (normalmente, antiossidanti sintetici vengono addizionati per garantirne la durata). Si può produrre bioetanolo come combustibile da fonti rinnovabili (si tratta di etanolo in tutto e per tutto, per cui il prefisso “bio” indica solamente la sua provenienza): attualmente la maggior parte del bioetanolo (circa il 60%) deriva dalla fermentazione della scorza della canna da zucchero, ma esiste una domanda in crescita data dalla spinta ad emanciparsi sempre di più dai combustibili fossili. Infine, a partire dalla buccia di patata e dai suoi nanocristalli di cellulosa si sta cercando di produrre una bioplastica, un altro tipo di manufatto concepito per diminuire la dipendenza odierna dai combustibili fossili: ad oggi le sue proprietà meccaniche però non sono ancora ottimali.

L’approccio delle bioraffinerie è quindi utile per valorizzare biomasse di scarto non solo riutilizzandole, ma trasformandole in prodotti ad alto valore aggiunto.

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Ambiente, società e tecnologia

Perché non dobbiamo preoccuparci per lo sversamento delle acque di Fukushima

Il 24 agosto 2023 in Giappone è iniziato il rilascio delle acque della centrale nucleare in dismissione di Fukushima Dai-ichi. A seguito dell’incidente avvenuto a marzo 2011, che ha causato la fusione del combustibile all’interno del reattore, ne è stato effettuato il raffreddamento con acqua, che ne è rimasta contaminata. In riposta a questa notizia non sono mancati titoli allarmistici, polemiche e dichiarazioni contrarie: ma questi sono davvero giustificati alla luce dei fatti scientifici?

Perché non bisogna preoccuparsi

L’acqua entrata in contatto con il combustibile fuso è stata filtrata grazie a un sistema chiamato “ALPS” (Advanced Liquid Processing System): questa operazione ha reso possibile, grazie a dei processi chimici, la rimozione di 62 radionuclidi, cioè “nuclei atomici instabili che decadono emettendo energia sottoforma di radiazioni”. L’unica specie chimica che non è stato possibile rimuovere è il trizio, un isotopo radioattivo dell’idrogeno. Non dobbiamo però allarmarci: infatti la sua concentrazione nell’acqua di Fukushima è circa 7 volte inferiore al limite fissato dall’OMS per l’acqua potabile, risultato che è stato possibile raggiungere diluendo l’acqua precedentemente contaminata con acqua di mare. L’intero procedimento è stato costantemente monitorato dalla IAEA, l’Agenzia internazionale per l’energia atomica, che ha dichiarato tramite un report scientifico che le misurazioni condotte sull’acqua in Giappone sono state “accurate e precise”. Inoltre, lo sversamento di circa 1 milione di tonnellate di acqua iniziato il 24 agosto durerà circa 30 anni e sarà ulteriormente seguito da IAEA.

Alla luce di tutti i sistemi di sicurezza e delle precauzioni messi in atto, si può affermare che l’impatto di questa operazione sull’ecosistema marino e sulla salute umana sarà del tutto trascurabile e non causerà dunque alcun danno.

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Entertainment, videogame e contenuti

La controversa questione delle AI nel mondo della creatività

É sempre più ampia la diffusione di opere create con l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale in grado di generare immagini a partire da fonti testuali o visive.

Questo particolare uso delle AI è l’argomento che attualmente preoccupa maggiormente gli artisti e sceneggiatori di Hollywood, che temono di venire privati del loro lavoro e pretendono risposte anche sulla complessa questione del diritto d’autore. Un recente caso riguarda la sigla della nuova serie dei Marvel Studios “Secret Invasion”.

La sequenza presenta delle illustrazioni generate da una AI animate e accompagnate da una colonna sonora. La scelta insolita di utilizzare un’intelligenza artificiale ha portato ad un’ampia discussione sul web.

Gli utenti sui social e gli operatori nel settore dell’animazione si interrogano sul perché un’azienda che dispone di un numero così ampio di disegnatori debba ricorrere a questa strumentazione. Molti criticano la scelta considerandola come una mancanza di rispetto verso gli illustratori dei fumetti dai quali è tratta la serie e accusano la presenza di errori nella rappresentazione delle scene e dei personaggi. Il regista e produttore esecutivo della serie Ali Selim, in un’intervista a “The Polygon”, ha spiegato che il motivo della decisione è strettamente legato al tema di Secret Invasion. Infatti la trama racconta di un’invasione della Terra da parte di alieni mutaforma in grado di assumere le sembianze di chiunque e ruota attorno al mistero circa la vera identità dei personaggi.

In questo senso, l’estetica prodotta dalla AI avrebbe permesso di far immergere lo spettatore nella cupa e incerta atmosfera della serie. Altre fonti interne, invece, sostengono che la scelta di utilizzare l’intelligenza artificiale è stata perlopiù dovuta ad una esigenza di diminuire i costi e i tempi di produzione, già rallentati dall’epidemia da COVID-19.

 

Chi e come ha lavorato alla sigla?

La sigla è stata sviluppata dalla società di effetti visivi Method Studios, la quale ha fornito dei chiarimenti circa la composizione del team creativo e la produzione della sequenza. In particolare, in un comunicato a “The Hollywood Reporter” ha dichiarato che è stata richiesta la collaborazione di numerosi direttori artistici, illustratori, sviluppatori e animatori.

Il procedimento creativo è stato composto da una prima fase di storyboard, l’illustrazione, la generazione AI, l’animazione 2D e 3D e infine la fase di compositing. Tutte le tappe del processo sono state seguite da un’attenta direzione artistica.

Secondo Method Studios l’AI ha fornito risultati ottimali, ha dato alla sigla un carattere ultraterreno e alieno e ha permesso la creazione di aspetti e movimenti unici ai personaggi. Agli autori bastava descrivere ciò che volevano vedere e l’intelligenza artificiale provvedeva a generarlo utilizzando come fonte i disegni del fumetto originale e le immagini promozionali.

Tuttavia, la società tiene a specificare che l’AI è stata solo uno degli strumenti nelle mani degli sviluppatori, il quale li ha assistiti nel loro lavoro senza sostituirli. In questo senso, l’utilizzo del programma avrebbe solamente integrato e aggiunto elementi innovativi al lavoro del team creativo.

Da un punto di vista legale, però, resta ancora un importante interrogativo.

 

A chi appartiene il diritto d’autore su opere generate da AI?

La questione è molto accesa e si riferisce all’individuazione di una persona fisica titolare di diritti di proprietà intellettuale su opere create con l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale e sulla modalità di protezione.

Ad oggi possiamo prendere in considerazione due pronunce da organi di sistemi giudiziali diversi che possono aiutare a stabilire se la Marvel possa effettivamente far valere il diritto d’autore sulla sigla: la Corte di Cassazione italiana e l’Ufficio del Copyright degli Stati Uniti.

Caso dell’opera “The scent of the night”

Il 18 luglio 2018, l’architetto Chiara Biancheri ha portato davanti al Tribunale di Genova l’accusa alla Rai di violazione del proprio diritto di autore sull’opera “The scent of the night”, utilizzata come scenografia fissa per il Festival di Sanremo nel 2016.

L’artista aveva utilizzato l’editor virtuale Apophysis e, usando come fonte le tecniche di altri illustratori, ha generato dei fiori frattali che ha poi personalizzato, arricchito e dettagliato. Sia il Tribunale che la Corte d’Appello hanno riconosciuto la titolarità del diritto di proprietà intellettuale in capo all’architetto. La Corte d’Appello ha interpretato così l’art. 1 della Legge n.633 del 1942, secondo il quale il concetto giuridico di creatività si riferisce a qualunque opera in cui sia riscontrabile il seppur minimo atto di ingegno creativo suscettibile di manifestazione all’esterno e le consente di ricevere protezione.

In particolare, la Corte ha ritenuto che “The scent of the night” era frutto di un’espressione personale dell’artista e non solo la riproduzione di un fiore ad opera del software.

La Rai ha poi fatto ricorso alla Corte di Cassazione, la quale nella sentenza del 16 gennaio 2023 ha confermato la decisione della Corte d’Appello. Inoltre, l’organo giudiziale ha aggiunto che il tema dell’arte ad opera di AI costituisce un terreno ancora inesplorato dalla giurisprudenza.

Bisogna però presupporre in ogni caso la necessità della presenza di intervento umano nella creazione dell’opera in misura maggiore rispetto a quello del software impiegato.

Caso dell’opera “Zarya of the Dawn”

Per realizzare il fumetto Zarya of The Dawn, l’artista Kristina Kashtanova ha utilizzato l’AI Midjourney e ha inizialmente ottenuto la registrazione del copyright. Tuttavia, l’Ufficio del Copyright degli Stati Uniti ha condotto una successiva revisione della sua domanda di registrazione in quanto la disegnatrice non aveva dichiarato di aver usato il software.

L’artista ha sostenuto di aver utilizzato Midjourney come solo strumento di assistenza e che poteva dunque ritenersi unica autrice dell’opera. Secondo il Copyright Act, ossia la legge sul diritto d’autore americana, un’opera può essere registrata se è un opera originale, indipendente e sufficientemente creativa.

L’Ufficio, per prendere una decisione ha analizzato le modalità operative di Midjourney. Dal momento che si tratta di un software che genera immagini partendo da dei comandi iniziali dall’utente (i prompt), la reale mente creativa è, secondo l’interprete, il programma stesso mentre le istruzioni assumono il ruolo di semplici suggerimenti.

Tuttavia, l’Ufficio non esclude che per le AI che funzionano in modo diverso da Midjourney si possano trarre conclusioni diverse.

 

In base alle due pronunce possiamo stabilire che l’assegnazione del diritto d’autore sia dato dalla prevalenza del lavoro umano da quello dell’AI. In ogni caso, la tematica è molto dibattuta tutt’ora e si potrebbero verificare una molteplicità di fattispecie come queste e decisioni giudiziali diverse. Non ci resta che attendere i prossimi interventi legislativi in merito.

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Ambiente, società e tecnologia

Com’è fatto un metaborgo?

Le possibilità connesse all’avvento delle tecnologie digitali coinvolgono sempre più ambiti, sia economici che sociali: dal gaming alla medicina, dall’industria al settore turistico, in particolare quest’ultimo, dove il metaverso ha trasformato un piccolo paese della Valtellina nel primo Metaborgo d’Italia.

Questo grazie a un progetto innovativo, presentato a Bruxelles in occasione dell’European Tourism Day e inaugurato lo scorso 3 giugno ad Albaredo San Marco, piccolo comune di 300 abitanti in provincia di Sondrio.

Sviluppato dall’azienda Carraro Lab in collaborazione con l’Università di Milano Bicocca, il Metaborgo consentirà ai visitatori, grazie a visori VR da noleggiare in loco o  utilizzando semplicemente il proprio smartphone, di immergersi nella storia di questo piccolo borgo montano; infatti, percorrendo 12 tappe di un tour interattivo, che alterna realtà virtuale e realtà aumentata, si potranno osservare scene di vita quotidiana passata e conoscere le  vicende storiche di Albaredo, con la possibilità, per gli utenti, di incontrare gli abitanti dell’epoca, scoprirne usi e costumi e apprezzare le tradizioni che caratterizzano quest’angolo della Valtellina.

 

L’iniziativa del Metaborgo, secondo Barbara Mazzali, assessore al Turismo della regione Lombardia, “può rappresentare una parte della nuova frontiera del turismo”.

Sono numerose, infatti, le strutture alberghiere, le destinazioni turistiche e le istituzioni museali, tra cui un autentico Museo delle Esperienze di Realtà Virtuale, “La Macchina del Tempo” di Bologna, che, implementando queste soluzioni tecnologiche nelle loro strategie commerciali e di valorizzazione, hanno come obiettivo il miglioramento dell’ambiente di riferimento e la volontà di rendere indimenticabile l’esperienza di turisti e visitatori.

 

Metatourism, inoltre, è stato l’argomento principale anche di convegni e fiere di settore, tra cui l’edizione 2022 della BTO (Buy Tourism Online) di Firenze, dove molti interventi si sono concentrati sulle opportunità e le possibilità offerte dal legame tra turismo e metaverso.

Sono esempi significativi che testimoniano come le tecnologie VR e AR stiano rivoluzionando sempre di più il settore dei viaggi e del turismo.

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Ambiente, società e tecnologia

Ahi ahi, AI! Le criticità dell’Intelligenza Artificiale

Il 2 giugno ha fatto il giro del mondo la notizia secondo cui, durante una simulazione digitale, l’intelligenza artificiale creata per i droni dell’esercito avrebbe ucciso il proprio operatore, reo di limitarne l’efficacia.

Dagli approfondimenti è emerso che in realtà il colonnello Tucker Hamilton, responsabile delle attività di test sulle AI per l’Aeronautica militare statunitense, aveva raccontato uno scenario ipotetico: un’IA impostata con l’obiettivo di abbattere missili terra-aria, non prima di aver ricevuto l’approvazione da parte di un operatore, potrebbe secondo il colonnello interpretare l’uomo come un ostacolo al raggiungimento dello scopo, e quindi decidere di eliminarlo.

Sebbene il clamore della notizia si sia poi sgonfiato grazie alle dichiarazioni di Hamilton, il pericolo che questa nuova tecnologia possa essere una minaccia per l’essere umano non è certo una novità.

Il 30 maggio 2023 il Center for AI Safety, una nonprofit che si occupa dei rischi che l’intelligenza artificiale porta alla società, ha pubblicato un comunicato secondo cui “mitigare il rischio di estinzione da parte dell’IA dovrebbe essere una priorità globale insieme ad altri rischi su scala sociale come le pandemie e la guerra nucleare”. La sintetica dichiarazione è stata sottoscritta da più di 350 esperti del campo e scienziati, tra cui Bill Gates e diversi membri di società internazionali, come OpenAI e Google DeepMind, ma mancano i rappresentanti di Meta.

Sul sito della nonprofit è presente anche un comunicato stampa collegato in cui la dichiarazione viene paragonata per importanza a quella sui potenziali effetti della bomba atomica fatta da Oppenheimer nel 1949.

Secondo diversi addetti ai lavori, non si tratta di altro che di un’operazione di marketing a basso costo al fine di sviare l’attenzione dalle attuali criticità dell’IA, così come la lettera aperta firmata da diversi operatori del settore, tra cui Elon Musk, in cui viene chiesta una pausa di sei mesi allo sviluppo di tecnologie più sofisticate di GPT-4: se pensano che sia necessario un periodo di stop perché non lo fanno?

Gli attuali problemi legati a IA sono per lo più imputabili alle caratteristiche della tecnologia stessa e all’uso improprio che se ne fa, come l’amplificazione di pregiudizi.

Vediamone alcuni.

In Amazon era stata sviluppata una tecnologia per valutare i curriculum, basata sui profili delle persone assunte negli ultimi dieci anni, secondo un sistema a stelline, analogamente ai punteggi dati ai prodotti dell’e-commerce.  Nel corso del primo anno, l’azienda ha notato come il sistema preferisse gli uomini alle donne: era naturale che fosse così, visto che l’azienda stessa nei dieci anni precedenti aveva preferito candidati maschili.

Gli appassionati di The good wife ricorderanno la puntata in cui una nuova tecnologia che doveva categorizzare le immagini (indicando se rappresentavano una persona, un animale, un oggetto…), classificava i soggetti afroamericani come scimmie: al software era stato insegnato molto bene come individuare un caucasico, ma non altrettanto come farlo con le persone di colore.

Questi sono solo alcuni esempi di come l’IA non possa essere definita di per sè maschilista o razzista: prende decisioni in base agli input ricevuti, che possono avere bias ab initio.

Un professore universitario in Texas ha bloccato la laurea di tutti i suoi studenti perché ChatGPT aveva affermato che tutte le tesi fossero frutto del lavoro di ChatGPT stesso. L’ironia è che sottoponendo all’IA la tesi del professore, anche questa viene classificata come prodotto dell’IA: la tecnologia, infatti, tende a compiacere lo scrivente e a seconda di come è impostato il prompt dà feedback opposti e/o non veritieri (è possibile far affermare che 1+1 fa 5).

Analogamente, negli Stati Uniti la NEDA (National Eating Disorder Association) aveva annunciato il licenziamento del personale che si dedicava alle linee telefoniche di supporto, sostituendo il servizio con un chatbot apposito, Tessa. L’operazione è poi stata bloccata perché l’IA dava risposte pericolose che incoraggiavano per esempio diete restrittive. Non proprio quello che ci si aspetterebbe contattando un’organizzazione che supporta le persone con disordini alimentari.

Insomma, problemi con l’intelligenza artificiale ne abbiamo già da ora, li risolveremo prima di estinguerci?

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Ambiente, società e tecnologia

“Hey Magi!”: in arrivo l’ultima novità targata Google

Magi, acronimo per Meta-Learning Agent for Human Instruction, si appresta a diventare l’integrazione AI (artificial intelligence) del motore di ricerca più utilizzato al mondo.

Recentemente gli sviluppi della ricerca sull’AI hanno portato alla ribalta ChatGPT, una chatbox in grado di scrivere testi complessi e fornire risposte articolate a moltissimi quesiti. Tutti i colossi del web stanno quindi correndo ai ripari per tenere il passo; Microsoft e Google non potevano essere da meno. Quest’ultimo in particolare negli ultimi mesi ha impiegato a tempo pieno circa 160 sviluppatori per poter presentare alla conferenza sviluppatori I/O 2023 dello scorso 10 maggio buona parte delle novità sulla sua AI. In realtà l’intero progetto di Google prende il nome di Bard, dalla figura del poeta-cantore di gesta epiche della tradizione celtica (soprannome tra l’altro utilizzato per Shakespeare), mentre la sua estensione all’esperienza di ricerca è stata chiamata appunto Magi. Ma vediamo un po’ più nel dettaglio di che cosa si tratta.

L’implementazione dell’AI nella web search engine dovrebbe fornire all’utente un’esperienza più personalizzata di quella attuale andando ad anticipare le sue esigenze attraverso l’integrazione contemporanea di più piattaforme. Un esempio di quanto appena detto, secondo numerose fonti web, potrebbe essere quello che riguarda il settore turismo. Inserendo nella chatbox i termini della ricerca, Google dovrebbe essere in grado di rispondere in un’unica schermata a tutte le domande dell’utente, riportando le migliori offerte per biglietti aerei, hotel, esperienze di viaggio come city tour e ristoranti senza neanche rendere necessario l’utilizzo di altre url. Allo stesso modo, un acquisto on line potrebbe essere effettuato già attraverso Google e senza la necessità di visitare l’e-commerce di un qualsiasi brand. In pratica l’esperienza di ricerca diventerà più una conversazione che un semplice botta e risposta.

E non finisce qui: Google lancerà altri servizi collegati all’AI che andranno a modificare e potenziare quanto già offerto da alcune delle sue APP più gettonate: Earth vedrà un miglioramento delle sue mappe attraverso l’implementazione di una navigazione immersiva che renderà molto più precisi i percorsi. Google Foto verrà invece integrato con Magic Editor, cioè una sorta di Photoshop molto semplificato. Tivoli Tutor sbarcherà sul mercato dei corsi di lingua offrendo la possibilità di conversazioni virtuali e, sempre nella macroarea delle lingue straniere, sarà possibile tradurre una frase parlata in tempo reale grazie ad un traduttore simultaneo virtuale.

Le funzionalità di Magi dovrebbero essere disponibili entro l’estate per buona parte degli utenti degli Stati Uniti e per il resto del globo entro fine anno. Non ci resta che attendere!

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Ambiente, società e tecnologia

Come l’intelligenza artificiale sta cambiando i lavori creativi

Che l’intelligenza artificiale sia già largamente presente nelle nostre vite è evidente: basti pensare agli assistenti vocali, tra cui Siri, Cortana, Google Assistant e Alexa, ai marketplace online come Amazon, che in base al nostro comportamento online è in grado di capire a quali prodotti potremmo essere interessati e indirizzarci al loro acquisto, alle piattaforme streaming come Netflix, che, sempre in base alle azioni che effettuiamo sulla piattaforma, impara quali sono i contenuti di nostro gradimento per proporcene di simili e agli assistenti alla guida (ADAS) – presenti sulla maggior parte delle vetture oggi in commercio – i quali aiutano a prevenire gli incidenti. Proprio a partire da questi ultimi si evolve la guida autonoma, il cui graduale perfezionamento spinge il mondo a interrogarsi sull’impatto che questa avrà in futuro sui trasporti, nonché sulle problematiche che potrebbe generare nel mondo del lavoro se andasse a sostituire gli autisti di taxi, mezzi pesanti e mezzi agricoli. Questo interrogativo si inserisce in un dibattito più ampio, che, in tempi recenti, ha iniziato a interessare anche i cosiddetti lavori creativi; oggi, infatti, si può chiedere ai vari sistemi in circolazione – tra cui ChatGPT, Midjourney, Dall-e, Crayon, Imagen ed altri – di scrivere testi o generare immagini a partire dalle richieste degli utenti. Ma che cosa sono di preciso i lavori creativi?

Con il termine “creativi” si indicano tutti quei lavori riconducibili alla capacità espressiva dell’individuo, come il grafico, il fotografo, il designer e in generale l’artista. Tra i fattori che hanno contribuito a dare risonanza mediatica al dibattito sulla sostituibilità di queste figure da parte dell’intelligenza artificiale, significativo è stato il disclaimer che ha accompagnato ad aprile 2022 il lancio del servizio Dall-E 2 da parte della società OpenAI (che ha lanciato anche ChatGPT), il quale, tra le altre cose, afferma che “il modello potrebbe aumentare l’efficienza nell’esecuzione di alcuni compiti come l’editing o la produzione di fotografie d’archivio, che potrebbe soppiantare il lavoro di designer, fotografi, modelli, editor e artisti”. Allo stesso modo, tra gli altri eventi, ha creato preoccupazione nel settore la vincita di un concorso artistico negli Stati Uniti da parte di un quadro prodotto con Midjourney (“Théâtre D’opéra Spatial”).

Il mondo degli artisti è diviso sulla questione: una parte vede con scetticismo l’avvento di strumenti come Dall-E e Midjourney, l’altra al contrario apprezza queste piattaforme, in quanto ritiene che siano in grado di trasformare operazioni fino a ieri laboriose e che richiedevano precise competenze per essere svolte, in operazioni alla portata di tutti. Di questo parere è, ad esempio, lo scultore canadese Benjamin Von Wong, che afferma di non saper disegnare e dunque di affidarsi a Dall-E – dove basta inserire una stringa di testo per vedere realizzata l’immagine che si desidera – per visualizzare idee che successivamente trasformerà lui stesso in sculture.

L’utilizzo creativo dell’intelligenza artificiale non riguarda però solo il singolo artista nel processo di creazione di un’opera, bensì anche un altro ambiente dove l’AI è già largamente utilizzata per svolgere svariate operazioni: l’azienda. Questa, a seconda del tipo, ospita al suo interno diverse mansioni creative, per ciascuna delle quali esiste o sta nascendo una risposta del tutto digitale.

Nel caso degli organi di informazione, alcune testate giornalistiche tra cui Forbes e il Washington Post si affidano a strumenti come Heliograph e Synthesia per l’individuazione delle notizie di tendenza, l’ottimizzazione delle immagini e la stesura di titoli, altre come il DailyMirror e Express pubblicano articoli redatti dall’IA o vi inseriscono immagini da questa generate (più economiche rispetto a quelle di un fotografo), mentre altre ancora, tra cui Wired e Slow News, hanno scritto policy che impediscono a loro stesse di ricorrere a immagini o articoli frutto dell’IA. Alla base di quest’ultima decisione stanno ragioni di carattere etico, infatti, scrive Wired: “Vogliamo essere in prima linea nell’uso di nuove tecnologie, ma anche farlo in maniera etica e con una certa attenzione”.

A vedere la presenza sempre più massiccia dell’intelligenza artificiale in chiave creativa è anche l’area marketing. La piattaforma Contents.com è in grado di ricoprire diverse delle mansioni tipiche del social media manager, promettendo di “generare qualsiasi tipo di contenuto in pochi secondi” e, basandosi su un approccio data driven, dichiara di poter produrre qualsiasi tipo di testo – dalle schede prodotto ai post per social media, dai siti web agli e-commerce – e ha già collaborato con diversi marchi noti, come Ikea e Allianz. Ghost Writer AI viene utilizzato dalla casa di videogiochi Ubisoft per scrivere i dialoghi tra personaggi non giocanti. Ad aprile 2023, Levi’s ha annunciato la collaborazione con la startup olandese Lalaland per la realizzazione di avatar iperrealistici generati dall’intelligenza artificiale che saranno utili a presentare i prodotti rispecchiando più fedelmente le caratteristiche dei consumatori. Uno dei casi più eclatanti è, infine, quello di Beck’s, che a breve metterà in commercio in edizione limitata la birra Autonomous, interamente sviluppata dall’IA; in particolare, Beck’s si è affidata a ChatGPT e Midjourney per la creazione della ricetta, del branding e della campagna marketing a supporto della birra, mettendo tutte le scelte in mano alla tecnologia. Sebbene si tratti di un prodotto ideato per celebrare il 150esimo anniversario dell’azienda, è chiaro che questo progetto contribuisca a segnare la strada per un futuro sempre maggiore coinvolgimento dell’IA nei piani aziendali anche per i ruoli creativi; non a caso, Beck’s ha annunciato che introdurrà nel corso del 2023 nuovi design per i suoi pack disegnati collaborando con sistemi come quelli già citati.

I casi fin qui analizzati ci mostrano come l’intelligenza artificiale sia destinata a divenire sempre più parte integrante delle professioni creative, con la conseguente necessità per le autorità pubbliche di intervenire normativamente laddove questo fenomeno possa creare problemi (ad es. deep fake, diritto d’autore…) e per coloro che svolgono lavori creativi di possedere le conoscenze base tecnologiche, di programmazione e di analisi.

Ad ogni modo, fino al momento in cui sarà possibile “insegnare la creatività ai computer” – qualcosa che il dottor Stephen Thaler ha tentato di fare con DABUS (sistema che ha dato vita autonomamente a due idee di prodotti dopo essere stato “allenato” dall’umano) – la capacità di guardare fuori dagli schemi, il senso critico e la motivazione ad approfondire un aspetto della realtà invece che un altro saranno prerogative dell’umano, che darà l’input all’intelligenza artificiale affinché trasformi il pensiero in realtà.

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Marketing & Social Media

L’Occidente ha paura di Tik Tok: è realmente una minaccia?

Tik Tok, l’applicazione cinese più amata dagli adolescenti, ha di recente iniziato a destare sospetti in più paesi, i quali stanno disponendo divieti di installazione dell’app nei dispositivi governativi: in particolare si parla di Stati Uniti, Canada, India, Taiwan, Lettonia, Danimarca, Belgio, Nuova Zelanda, Regno Unito e persino la Commissione e Parlamento Ue. Ciò sarebbe dovuto al timore di spionaggio da parte della Cina e ad un forte rischio di violazione della privacy dei suoi utenti. Nei giorni scorsi anche in Italia è stata presentata la questione, il tutto con una mozione del PD in Senato.

Ma come si è giunti a questo punto?

Il blocco di Tik Tok dai dispositivi federali statunitensi

Con una nota della Casa Bianca diffusa il 27 febbraio scorso, è stato imposto alle agenzie governative statunitensi di disinstallare Tik Tok da qualunque dispositivo informatico entro 30 giorni.
La scelta è dovuta al forte timore di spionaggio da parte della Cina e a un intollerabile rischio per la privacy e per la sicurezza nazionale. Ciò che sta preoccupando i legislatori è il fatto che il governo cinese possa costringere Tik Tok a consegnargli i dati dei suoi utenti e che manipoli i contenuti che visualizzano quotidianamente sull’applicazione per influenzare le loro scelte commerciali e politiche.
La questione è stata affrontata lo scorso 23 marzo, data nella quale si è tenuto il confronto tra l’amministratore delegato di Tik Tok Shou Zi Chew e il Congresso degli Stati Uniti. L’ad non ha potuto confermare al 100% che il governo cinese non potesse utilizzare l’applicazione per attività di spionaggio verso gli americani o che non potesse manipolare i contenuti che vedono. Ciò ha portato ad incrementare lo scetticismo dei deputati statunitensi.

Chew ha tuttavia dato delle rassicurazioni basate sui miliardi che Tik Tok sta spendendo per la creazione di firewall per la protezione dei dati degli americani. L’amministratore è convinto che, una volta terminato il processo, la preoccupazione dei legislatori statunitensi si placherà.

Non ci resta che aspettare e vedere se sarà effettivamente così. Dal canto suo, il Ministro degli Esteri Mao Ning ha risposto alle accuse opponendosi all’azione dell’Amministrazione americana e invitandola a rispettare i principi del libero mercato e della concorrenza leale. Inoltre ha lanciato una provocazione:“Quanto si può sentire incerta la massima superpotenza mondiale, se ha paura dell’app preferita dai giovani?”.

Ciò risulta ironico dal momento che in Cina la maggior parte delle piattaforme digitali più frequentate come Google, Facebook, Whatsapp, Youtube e Instagram sono bloccate o fortemente limitate.

La disposizione arriva in Italia

Già tre anni fa il Garante della privacy italiano comunicò al Comitato Europeo per la protezione dei dati personali tramite una lettera delle insicurezze sull’uso che il governo cinese fa dei dati dei cittadini italiani.

Il Parlamento Europeo approvò il Digital Service Act (che non è ancora stato recepito in Italia), ossia un quadro giuridico moderno che punta alla tutela dei diritti fondamentali degli utenti in tema di privacy e a creare condizioni di equa concorrenza tra le imprese. Questo perché piattaforme e social network utilizzati a livello mondiale possono arrivare a controllare l’economia digitale e di conseguenza a limitare la scelta dei consumatori.

Con la caduta del governo Draghi si è verificato un rallentamento nell’attuazione del Digital Service Act, ma dal 1 gennaio 2024 sarà effettivo in automatico.

Nelle scorse settimane, il ministro per la Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo ha pensato di fare come gli altri paesi che hanno già attuato il provvedimento di blocco di Tik Tok dai dispositivi dei dipendenti pubblici e di portarlo in Italia, ma successivamente ha interrotto il lavoro.
Nei giorni scorsi, l’idea è stata riproposta con una mozione del PD in Senato. Si vuole infatti tornare a dibattere sull’argomento in Parlamento, data anche l’urgenza e necessità di tutela del diritto alla privacy e della sicurezza nazionale.

Filter Bubble e dark ads: la democrazia è a rischio?

Questo intenso dibattito porta inevitabilmente a indagare su quale sia l’effettivo ruolo dei social network nella società odierna e su quanto incidano sulla formazione e competizione di idee, opinioni e visioni del mondo e della politica.

Al giorno d’oggi, accedere e partecipare al mercato dell’informazione è estremamente facile, veloce e poco dispendioso. Di conseguenza il diritto di manifestare il proprio pensiero, enunciato all’art. 21 della nostra Costituzione, trova molto margine di applicazione.

Ogni individuo può divulgare le proprie idee e diventare un potenziale produttore di contenuto, attraverso flussi di comunicazione dal carattere aperto e globale. Ciò potrebbe portare a pensare che il confronto tra pensieri diversi venga permesso senza problemi nel contesto informatico, tuttavia ci si trova dinanzi ad un ostacolo.

Questa è la filter bubble, ossia la “bolla” nella quale i motori di ricerca e i social media  chiudono noi utenti. In particolare, i loro algoritmi selezionano i contenuti da proporci in modo differenziato in base ai nostri gusti, preferenze e pregiudizi e ci mostrano solo quelli, rafforzando le nostre idee.

L’effetto è quello di creare comunità chiuse nelle proprie opinioni nelle quali hanno tutti la stesse convinzioni che possono condividere tra loro, convincendosi che siano le uniche verità esistenti. In questo modo, ogni idea diversa viene data automaticamente per errata e il dibattito pubblico viene fortemente limitato.

Si può dunque dire che gli algoritmi creino uno psicogramma di ciascuno di noi, ossia un profilo psicologico personale nel quale sono racchiusi tutti i nostri desideri, idee e aspirazioni più profonde, sulla base del quale ci possono mandare contenuti strategici come le dark ads. Queste sono informazioni basate spesso su fake news volte ad influenzare la scelta dell’elettore, rafforzando le sue convinzioni e indirizzandolo verso una determinata preferenza politica.

Il nostro libero arbitrio è quindi ormai solo apparenza? La democrazia è realmente possibile in questo contesto? Con la mozione proposta sarà forse possibile dibattere su questi interrogativi e studiare meglio questi fenomeni.